In questo Forum puoi scrivere... con cognizione... quello che vuoi.
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03/06/2012, 15:03

Enkidu, a me piace si leggerti. però mi piace anche studiare le persone che mi sembrano interessanti e questo a volte fa sorgere impressioni sbagliate.
Avevo immaginato che ti saresti sentito offeso, ma davvero, non ne hai alcun motivo.
[:D]

Per quanto riguarda il resto. La filosofia io la leggo, non l'ho studiata se non per divertimento mio personale. Non so se sono competente e quanto non mi sono mai posta il problema, ma so quali sono i temi di discussione principali e il modo in cui vengono dibattuti. So quali sono le tematiche, le tendenze, gli orientamenti. Per questo alcune tue asserzioni mi stupiscono e non mi trovano concorde. Poi magari sono lapidaria nell'esprimere il mio dissenso, ma cerco di essere breve riguardo agli argomenti che possono portare troppo off topic la discussione.

03/06/2012, 15:16

EddyCage ha scritto:

Ho appena visto la prima parte...

troppi se... e poi sembra che hanno fatto la scoperta dell'acqua calda...

io posso pure non vedere, ma l'uccello continuerà ad esserci...

io e il cavallo vediamo la stessa cosa, il cavallo vede la stessa cosa più grossa... nel suo mondo la cosa sarà anche più grossa, nel mio mondo la cosa sarà più piccola...

se misuro la cosa la cosa avrà uguale misura nel mio e nel suo mondo.

La realtà non potremmo mai vederla obbiettivamente... nè e io nè il cavallo.
Ma abbiamo l'intelligenza per poterla misurare... noi umani...

troppi se...
bif!


Che l'uccello sia li non possiamo saperlo.
Non è vero che continua ad esistere.

Ti faccio un esempio famoso, se cade un albero e non c'è nessun essere vivente a sentirlo, fa rumore?

Per rispondere a questa domanda bisogna chiedersi cosa è il rumore.
Non è forse un qualcosa che esiste solo nel nostro cervello e di altri essere viventi in forma diversa?

Ma allora senza essere viventi, questo fenomeno fisico fa rumore o no?

Captiamo un campo di frequenze che noi decodifichiamo come rumore grazie al senso dell'udito.
Cosi anche un topo lo sente, però forse lo sente più forte e con una tonalità differente che per noi potrebbe significare tutt'altra cosa.

Ma allora se non ci fosse nessun essere vivente non ci sarebbe neanche un campo di frequenze da captare, allora ecco che forse la realtà è una nostra proiezione e che di fatti non esiste.

E' sconvolgente lo so.

Ora gli scettici potrebbero dire che l'albero cade senza la nostra volontà, cioè noi non controlliamo questo evento, succede e noi lo captiamo, non lo creiamo, siamo passivi.
Allora perchè cade l'albero? Chi crea questo evento? perchè dovrebbe esistere?
Perchè è vecchio quindi per il tempo? Come concausa di un terzo evento come una tempesta? oppure tagliato da un individuo diverso da noi?

Ma tutti questi concetti non li esprimiamo grazie all'esperienza fatta dai nostri sensi?
Come possiamo parlare di vecchiaia, tempo e tempeste se non attraverso i nostri sensi e da chi ci ha preceduto e li ha documentati?

E allora se i nostri ragionamenti sono basati sulla proiezione di una realtà relativa, come possiamo dire "l'uccello che ci sia un essere vivente o no a vederlo, continua ad esistere" ???




PS: Il cavallo e noi vediamo la stessa cosa? si è possibile, ma solo perchè abbiamo i sensi della vista con molte caratteristiche comuni.
Ultima modifica di sanje il 03/06/2012, 15:30, modificato 1 volta in totale.

03/06/2012, 15:33

EddyCage ha scritto:

Gli darò un occhiata... mi fa piacere sapere che tu non esisti ( essendo io genio e creatore... eheheheh :) )
Hola Bliss!


Saresti contento della mia non esistenza?
[:0]
Sei malvagio allora e disilluso [}:)].
Io esisto come chiunque altro e non ho intenzione di non esistere.
Con tutto lo sforzo che ha fatto la natura e l'evoluzione per dotarci si strumenti sopraffini per consentirci di percepire l'"altro", perchè vorresti
cancellare gli altri dalla tua esistenza?
[;)]

03/06/2012, 15:49

sanje ha scritto:

EddyCage ha scritto:

Ho appena visto la prima parte...

troppi se... e poi sembra che hanno fatto la scoperta dell'acqua calda...

io posso pure non vedere, ma l'uccello continuerà ad esserci...

io e il cavallo vediamo la stessa cosa, il cavallo vede la stessa cosa più grossa... nel suo mondo la cosa sarà anche più grossa, nel mio mondo la cosa sarà più piccola...

se misuro la cosa la cosa avrà uguale misura nel mio e nel suo mondo.

La realtà non potremmo mai vederla obbiettivamente... nè e io nè il cavallo.
Ma abbiamo l'intelligenza per poterla misurare... noi umani...

troppi se...
bif!


Che l'uccello sia li non possiamo saperlo.
Non è vero che continua ad esistere.

Ti faccio un esempio famoso, se cade un albero e non c'è nessun essere vivente a sentirlo, fa rumore?

Per rispondere a questa domanda bisogna chiedersi cosa è il rumore.
Non è forse un qualcosa che esiste solo nel nostro cervello e di altri essere viventi in forma diversa?

Ma allora senza essere viventi, questo fenomeno fisico fa rumore o no?

Captiamo un campo di frequenze che noi decodifichiamo come rumore grazie al senso dell'udito.
Cosi anche un topo lo sente, però forse lo sente più forte e con una tonalità differente che per noi potrebbe significare tutt'altra cosa.

Ma allora se non ci fosse nessun essere vivente non ci sarebbe neanche un campo di frequenze da captare, allora ecco che forse la realtà è una nostra proiezione e che di fatti non esiste.

E' sconvolgente lo so.

Ora gli scettici potrebbero dire che l'albero cade senza la nostra volontà, cioè noi non controlliamo questo evento, succede e noi lo captiamo, non lo creiamo, siamo passivi.
Allora perchè cade l'albero? Chi crea questo evento? perchè dovrebbe esistere?
Perchè è vecchio quindi per il tempo? Come concausa di un terzo evento come una tempesta? oppure tagliato da un individuo diverso da noi?

Ma tutti questi concetti non li esprimiamo grazie all'esperienza fatta dai nostri sensi?
Come possiamo parlare di vecchiaia, tempo e tempeste se non attraverso i nostri sensi e da chi ci ha preceduto e li ha documentati?

E allora se i nostri ragionamenti sono basati sulla proiezione di una realtà relativa, come possiamo dire "l'uccello che ci sia un essere vivente o no a vederlo, continua ad esistere" ???




PS: Il cavallo e noi vediamo la stessa cosa? si è possibile, ma solo perchè abbiamo i sensi della vista con molte caratteristiche comuni.





Se è per questo che dire del Paradosso del gatto di Schrödinger

http://it.wikipedia.org/wiki/Paradosso_ ... 3%B6dinger

...?

Sai che c'è... che è un argomento su cui si può discutere all'infinito...

esiste la realtà all'infuori di noi...?

Al 99,99% sì...! Rimane sempre quell'ipotesi del dubbio...!
A ogni modo non puoi farci niente. E' come dire esiste Dio...?
E giù sermoni di filosofi che per millenni si attaccano e staccano tra loro...
che dire...
che se ti trovi un punto fermo vivi meglio...

per me è Dio... non so se esiste o meno, credo di sì... so che la realtà che ho intorno va vissuta e la devi vivere. Si insomma si può vivere. Sì insomma è la realtà che abbiamo davanti agli occhi. E te sei formato dalle esperienze fatte in questa vita...

Sì, insomma, è un pò strano parlarne in un forum, però l'argomento è stato tirato fuori e filosofeggiarci sopra fa piacere. Alla fine vuoi o no vuoi qui vivi, quindi vivi...

non è che puoi fare poi tanto.

E con i miei sensi mi piace assaporare quello che ho intorno.

E quando morirò poi forse conoscerò la Verità. Per adesso so che l'uomo non può rispondere a tutte le domane.

E qui torniamo a percezione e oggettività.

Forse intuiamo qualcosa, che c'è qualcosa di più, ma non siamo in grado di analizzarlo a fondo. L'uomo di per sè è limitato dai suoi sensi... nello stesso tempo ha la capacità razionale di studiare i fenomeni.

forse ci sono però delle cose più grandi che mai riuscirà ad arrivare a studiare. Prendi ad esempio le formiche... ( mi piacciono come insetti, ecco perchè le uso come esempio...) Metti che le rinchiudi in una ciotola, si insomma poggi una ciotola sopra il loro formicaio ( lascia sta che possono andare sotto o scavare...) per loro il mondo finisce lì... metti che hanno la possibilità di analizzare la cosa, forse potranno intuire che c'è qualcosa oltre, ma è un grande passo... forse troppo...!

sì insomma quello che voglio dire è che l'uomo si chiederà di queste cose per molto molto e molto ancora tempo.

quindi è lecito chiedersi il perchè, ma sapendo però che a ogni modo, anche se non trovi la soluzione, viviti quello che t'è stato messo avanti.

Siamo limitati purtroppo, il che ha anche i suoi pro...

Sì insomma, un pò di stupidità non fa male...
!

Te la vivi molto meglio!

Poi se sei uno stupido ( mi riferisco in generale... anche a me...! ) che sa di non sapere e che nello stesso tempo sa che ha la possibilità di analizzare certe cose e sa che qualcosa può essere analizzato e altro no e allora si mette l anima in pace e si dice:"ma sai che c'è, stica z zi!" Allora forse te la vivi meglio!


Se si trombasse di più avremmo meno probemi!
D'altro canto se si trombasse di più l'uomo penserebbe di meno...!

Cosa c'entra...?

Niente

Ma mi pareva opportuno dirlo...
!

[:D] [8D] [:D]

03/06/2012, 15:58

[BBvideo]http://www.youtube.com/watch?v=e8KMEceR2xc[/BBvideo]

e se non l'avete visto, vedetevi questo film...

03/06/2012, 16:07

Blissenobiarella ha scritto:

EddyCage ha scritto:

Gli darò un occhiata... mi fa piacere sapere che tu non esisti ( essendo io genio e creatore... eheheheh :) )
Hola Bliss!


Saresti contento della mia non esistenza?
[:0]
Sei malvagio allora e disilluso [}:)].
Io esisto come chiunque altro e non ho intenzione di non esistere.
Con tutto lo sforzo che ha fatto la natura e l'evoluzione per dotarci si strumenti sopraffini per consentirci di percepire l'"altro", perchè vorresti
cancellare gli altri dalla tua esistenza?
[;)]


:) la mia era una battuta! :) Riferita al fatto che dicevi che noi siamo geni e creatori di ciò che c'è intorno...!

Ciò che c'è intorno esiste al di là di noi, sia che noi ci siamo che no, è il modo di percepirlo che può cambiare!
:)

Certo tutta la discussione gira intorno a questo... ma a noi ci piace chiacchierare quando non c'abbiamo niente da fà... eheheh :P
Tranquilla Bliss, come faremo senza il tuo pollo con le patate!!!!!

Yeah!!!

:))
Ultima modifica di EddyCage il 03/06/2012, 16:10, modificato 1 volta in totale.

03/06/2012, 16:11

Anzi organizza una cena che i nostri sensi devono soggettivamente testare la bontà oggettiva del piatto...

!


A ogni modo m'è venuta fame, cià_!

[8D]
Ultima modifica di EddyCage il 03/06/2012, 16:12, modificato 1 volta in totale.

03/06/2012, 16:24

Arrosto prego. E certamente scherzavo anche io.
[:p]

L'ozio è il padre delle idee geniali.
[:)]

03/06/2012, 16:25

Biologia e conoscenza secondo F.J.Varela
di Marina Praturlon


1. Premessa

Quando parliamo di scienza non dobbiamo mai dimenticare che l’operare scientifico presuppone sempre un quadro di riferimento teorico o filosofico all’interno del quale poi opera secondo le sue modalità specifiche. La scienza occidentale si muove nel contesto più generale del pensiero filosofico dominante in Occidente, cioè secondo la prospettiva di un’ontologia del fondamento che spazia fra i due limiti estremi (e speculari) del realismo/materialismo (secondo cui il fondamento è la materia, il mondo o l’ "oggetto") e dell’idealismo/spiritualismo (il fondamento è l’Io, l’anima, il Soggetto assoluto). La distinzione dualistica fra soggetto e oggetto, fra psiche e corpo/materia, fra organismo e ambiente, riflette questo quadro teorico generale, perennemente in tensione fra l’uno e l’altro polo di opposizione, pensati alternativamente:o come entità distinte che devono la loro indipendenza (il proprio "essere") ad un nucleo fondante, un sé che ne garantisce l’identità; oppure come entità in cui il fondamento dell’ uno può ridursi al fondamento dell’altro.

A partire dal Novecento, però, questo orizzonte metafisico si è incrinato in maniera irreversibile anche sotto la spinta delle riflessioni dell’operare scientifico, sempre più alle prese con paradossi logici e nuovi scenari cognitivi. Un punto particolarmente critico, dopo le criticità già emerse nella matematica, nella fisica e nella chimica, è emerso in quell’area del pensiero scientifico in cui la mente che pensa il mondo a un certo punto incontra se stessa: nelle scienze della vita e nelle scienze cognitive, innanzitutto, e in maniera collaterale nella tecnologia cognitiva e nella robotica (Artificial Life). E’ qui, infatti, che emerge, come in un quadro di Escher, quella circolarità paradossale fra l’essere e il conoscere, fra la natura e la mente, che rende nuovamente problematica la questione dell’ontologia. Se, infatti il mondo come appare non è mai il mondo "in sè" ma è sempre un mondo relativo al soggetto che emerge costantemente dalla sua attività interpretante, e il soggetto conoscente presuppone sempre un corpo e una vita bio-socio-ecologica che lo rende possibile, allora va riconosciuto che esiste una connessione originaria, una relazione circolare fra soggetto e oggetto all’interno della quale l’identità dell’uno sfuma in quella dell’altro, in cui l’uno si manifesta in dipendenza dell’altro. In altre parole, soggetto e oggetto sono entità interdipendenti prive di fondamento proprio. Questa interdipendenza (o origine co-dipendente) crea un corto circuito cognitivo che sfocia nei paradossi logici e nel collasso della logica classica basata sui principi di identità e di non-contraddizione, cioè sui pilastri del pensiero scientifico così come lo conosciamo. Se l’origine profonda di questa relazione di interdipendenza rimane in sè un mistero all’analisi intellettuale (perchè è qualcosa che precede sempre il pensiero essendo una sua pre-condizione), la natura di tale relazione (auto-referenziale, circolare, interdipendente) toglie però argomenti ad una ontologia "del fondamento", aprendo una prospettiva di "sfondamento" totalmente estranea alla nostra tradizione di pensiero. In questa nuova prospettiva, che si sta facendo strada in diverse discipline scientifiche e che va distinta da esiti nichilistici, i due poli della relazione Mente-Natura (nelle sue diverse forme) vengono concepiti come emergenti l’uno dall’altro, cioè come risultato di una dinamica complessa in cui ogni livello dipende e contemporaneamente vincola l’altro nella sua espressione, senza che sia possibile individuare un livello ultimo, "fondamentale".

Tutto questo riapre un’antica questione epistemologica che è tornata recentemente alla ribalta proprio in seguito allo sviluppo delle scienze e delle tecnologie cognitive e che chiama in causa direttamente la teoria della conoscenza come "rappresentazione" e il suo correlato ontologico: cioè l’ipotesi realista di un mondo "lì fuori" indipendente dal soggetto e predefinito. Il problema si può riassumere così: se non esiste alcun soggetto assoluto che possa autonomamente dar forma al mondo, nè alcuna realtà oggettiva indipendente che sia normativa per l’attività cognitiva, allora come è possibile la conoscenza? E soprattutto, come è possibile una conoscenza non-arbitraria (efficace, vitale) e più radicalmente, la stessa vita? Di fronte a questa sfida, il pensiero occidentale fa fatica a trovare una soluzione soddisfacente a causa delle premesse filosofiche su cui si fonda: l’alternativa all’essere continua ad essere il nulla, l’alternativa al principio di non-contraddizione è ancora il caos e l’impossibilità della conoscenza, l’alternativa all’ontologia rimane il nichilismo. Il Dharma, con la sua visione della vacuità, dell’impermanenza, dell’interdipendenza, dell’assenza di sé dei fenomeni e dell’Io, con la sua concezione del buddhadharma come qualcosa che è al di là di esistenza e non esistenza, come Via di Mezzo, offre all’Occidente una via d’uscita a questa impasse, e gli scienziati occidentali non hanno faticato molto a rendersene conto. I contatti fra la fisica occidentale e il Dharma sono a tutti noti, ma forse è meno noto il fatto che anche la biologia e le scienze cognitive stanno conoscendo in questi anni un interessante dialogo col Dharma. Una figura di spicco di queste ricerche è stato il biologo F.J.Varela (uno dei fondatori del progetto Mind and Life) il cui lavoro costituisce un esempio di come sia possibile fare scienza "senza fondamenti", ossia prendendo sul serio la consapevolezza dell’interdipendenza costitutiva fra mente e natura (fisico e psichico), la quale a sua volta mette in discussione sia la categoria dell’"oggettività" che una certa concezione spiritualista della mente ad essa speculare.

E’ interessante andare a vedere quali sono stati i risultati di un simile "esperimento culturale" che ha finito per scontrarsi sia con la concezione dominante in biologia - quella dell’adattazionismo neo -darwiniano -sia con la teoria dominante nelle scienze cognitive nota come Cognitivismo.

Il pensiero di Varela come biologo e come neuroscienziato, d’altronde, era, già racchiuso in nuce nella teoria che lo ha reso noto, insieme ad Humberto Maturana: cioè la teoria dell’ autopoiesi. Questa particolare concezione della vita costituisce infatti il ponte che unisce le scienze biologiche alle scienze cognitive, ovvero costituisce una risposta possibile alla domanda sulle radici biologiche della conoscenza.



2. Autopoiesi: una definizione sistemica del vivente

Per arrivare a una definizione soddisfacente dei sistemi viventi (biologici o artificiali) Varela ha utilizzato gli strumenti della teoria dei sistemi applicandoli alla biologia e in seguito alla neurofisiologia. Il modello adottato è quello del comportamento dei sistemi complessi, sia nella forma minimale degli automi modulari (o cellulari) sia nelle forme più complicate in cui più unità vengono messe in rete e lasciate interagire (come nei "sistemi senza input" di Ashby). La simulazione di questi sistemi ha rivelato delle proprietà comuni caratteristiche, fra cui il fatto che la dinamica del sistema, o della rete di sistemi, inizialmente caotica ed insignificante, genera stati di coerenza globale (forme, comportamenti collettivi, strutture ordinate) completamente imprevedibili a priori ed emergenti dalla sola dinamica interna del sistema. Da qui il termine auto-organizzazione, che esprime appunto la capacità di questi sistemi di generare spontaneamente mutamenti qualitativi, sia di tipo strutturale che di tipo funzionale (come il riconoscimento di forme), senza che il sistema sia "istruito" per farlo (come avviene invece per i più noti sistemi di Intelligenza Artificiale).

Questi "significati" emergenti corrispondono a determinati autovalori, o attrattori, che possono essere immaginati come l’espressione del raggiungimento di uno stato di congruenza fra i diversi elementi (sottosistemi) del sistema, derivante esclusivamente dalla sua dinamica interna. Questo è il motivo per cui questa proprietà è stata chiamata "autonomia" e questi sistemi sono stati definiti "autonomi". Questa classe di sistemi, per la prima volta individuati e descritti da Norbert Wiener, identificano dunque quei sistemi che si mostrano chiusi per ciò che riguarda la propria organizzazione: ovvero tutti i cambiamenti strutturali (fisici) sono subordinati al vincolo prioritario del mantenimento dell’organizzazione interna. Ciò vuol dire che questi sistemi selezionano fra tutte le possibili interazioni con l’ambiente solo quelle "ammissibili", cioè quelle compatibili con la conservazione della propria autonomia. Lo schema input-output o stimolo-risposta, è dunque improprio per descrivere il comportamento di questi sistemi, perchè la risposta del sistema è sempre determinata dalla propria organizzazione operazionalmente chiusa, e mai dall’ambiente, nei confronti del quale il sistema rimane "cieco". In altre parole all’interno di questo modello l’ambiente non ha alcun potere istruttivo o in-formativo: laddove uno di questi sistemi artificiali viene lasciato interagire con un "ambiente", quest’ultimo non trasmette alcuna informazione (quindi non agisce come input), ma si limita ad avere un’azione perturbante che può o meno innescare una trasformazione, ma una trasformazione che rimane totalmente dipendente e subordinata all’organizzazione interna di quel sistema. Questo è ciò che viene chiamato "chiusura operativa". Il concetto fondamentale è che due o più sistemi autonomi in interazione reciproca sviluppano sempre una dinamica che tende a stabilizzare i sistemi coinvolti su determinati autovalori: il sistema nel suo insieme raggiunge così uno stato di coerenza interna più o meno stabile nel tempo che esprime l’adattamento dei diversi sotto-sistemi l’uno all’altro.

Partendo dal presupposto che il sistema vivente è un sistema autonomo che si realizza fisicamente grazie alla sua apertura termodinamica, Varela fa osservare che tale realizzazione è possibile perchè l’organizzazione autopoietica del vivente, selezionando il campo di interazioni in cui può entrare senza perdita di identità, implica la specificazione di un dominio cognitivo entro i cui confini vive e opera: la sua "nicchia". Questo dominio è ciò che permette e, allo stesso tempo, ciò che delimita, l’orizzonte materiale e cognitivo di ogni essere vivente, la condizione necessaria perchè il sistema vivente possa aprirsi al mondo senza esserne disciolto, assorbito o trasformato in qualcos’altro: solo se e fino a quando conserva la sua identità, infatti, un sistema può differenziarsi dal "mondo" e quindi "conoscerlo".

Gli organismi viventi sono certamente sistemi autonomi, ma l’autonomia, secondo Varela, non basta a definirli: perchè un sistema sia "vivente", esso deve realizzare la propria organizzazione nello spazio fisico, cioè deve auto-prodursi materialmente attraverso scambi energetici con il suo "ambiente". Questo "accoppiamento strutturale" con la nicchia è una condizione necessaria, insieme all’autonomia, per la realizzazione di un sistema autopoietico, e ciò che fonda e giustifica il processo di reciproco adattamento, o co-adattamento, dei due sistemi accoppiati (organismo e ambiente, soggetto e oggetto). Questo processo però, a causa della chiusura operativa, è inteso come il raggiungimento di una condizione di mutua compatibilità e non come l’adattamento del vivente ad un ambiente indipendente predefinito. L’autopoiesi quindi è il processo biologico, l’architettuta sistemica, attraverso la quale si forma la visione dualistica che distingue il sé dal non-sé , il dentro dal fuori, l’organismo e l’ambiente, creando la temporanea esistenza separata dei "fenomeni" oggettivi e soggettivi da un’originaria condizione di indistinzione.

Prendendo la cellula come unità biologica fondamentale, Varela fa osservare che l’organizzazione cellulare è tipicamente circolare (ricorsiva) e reticolare: ogni elemento all’interno di essa è interdipendente dagli altri e forma una rete di processi di produzione di componenti che costantemente rigenerano questa rete, col risultato che il prodotto dell’attività del sistema è lo stesso sistema, in un completo autoriferimento. La ricorsività dell’organizzazione cellulare, a causa della sua natura circolare autoreferente, implica la specificazione di un ambito topologico chiuso, separato dal contesto, il quale a sua volta prende forma come "ambiente". Nella sua realizzazione fisica, ciò si traduce nella specificazione di una rete ricorsiva di processi metabolici che si svolgono entro lo spazio finito della cellula, di cui la membrana non è che il limite estremo: non esiste all’interno di questa rete chiusa un luogo privilegiato che possa sottrarsi al vincolo costituito dall’appartenere a questa rete (ad esempio il genoma), nè un sottosistema che possa essere considerato propriamente causa o effetto del funzionamento di un altro.

In questa dialettica di chiusura ed apertura è racchiusa tutta la particolarità della vita: nel momento in cui una organizzazione chiusa si realizza fisicamente, acquista un senso la distinzione fra organismo e ambiente, i quali nascono propriamente insieme da questo medesimo atto di separazione. A causa della chiusura operativa, le trasformazioni fisiche dovute all’apertura strutturale vengono mantenute compatibili con l’organizzazione interna che rimane inalterata. Il grado di libertà all’interno di questi vincoli operativi consiste nel fatto che le trasformazione fisiche ammissibili modificano continuamente il sistema allargando o restringendo il campo delle interazioni possibili (ambiente, mondo), modificandone l’orizzonte cognitivo e di conseguenza il comportamento. Ma questo avviene sempre con conservazione dell’organizzazione interna: tutto ciò che non rientra in questo orizzonte cognitivo non è accessibile al sistema, o meglio, dal punto di vista del sistema non esiste affatto. L’aspetto cognitivo dell’autopoiesi consiste in questo: che la natura chiusa e circolare (autoreferenziale) della sua organizzazione circoscrive il campo delle possibili interazioni a quelle che sono compatibili con la propria conservazione, e quindi definisce il mondo nel quale può esistere.

A causa della particolarità dell’organizzazione vivente di possedere una chiusura operativa, il rapporto dell’organismo con la propria nicchia manifesta delle caratteristiche piuttosto singolari. Ad esempio, poichè in ogni momento lo stato interno del sistema vivente richiede che alcune specifiche interazioni con la propria nicchia si verifichino effettivamente, ogni passaggio di stato implica la predizione che queste condizioni vengano di nuovo soddisfatte: se la presenza di ossigeno è una condizione essenziale alla conservazione dell’autopoiesi, il sistema si comporterà come se si aspettasse che la nicchia conservi anche in futuro questa caratteristica. Dunque il comportamento dei sistemi autopoietici è tipicamente inferenziale o induttivo, nel senso che una condizione necessaria del suo operare è la predizione di quelle classi di interazioni che permettono al sistema di vivere conservando la propria identità, contribuendo, in questo modo, anche alla loro selezione o creazione. Il vivente, così, presuppone, predice e contribuisce a selezionare e modellare un ambiente con determinate caratteristiche tramandando con se stesso anche il suo "mondo".



3. Dalla cellula alle reti neurali : l’emergenza dei mondi percettivi.

Varela ha esteso questo modello al comportamento del sistema nervoso centrale (SNC), seguendo in sintesi questo ragionamento: se ogni cellula è un sistema autonomo, allora una rete di cellule come i neuroni è una rete di sistemi autonomi in interazione reciproca analoga alle reti artificiali, e ne condivide le proprietà essenziali. L’architettura reticolare, la chiusura operativa dei singoli componenti e l’accoppiamento strutturale con un ambiente perturbante sono appunto le condizioni necessarie e sufficienti a generare una dinamica complessa ed un comportamento cognitivo spontaneo (cioè emergente) della rete. La creazione di senso che ne deriva, e l’adattamento reciproco della rete con le classi di perturbazioni ricorrenti (cioè l’ "ambiente del sistema", o nicchia) generato dallo stabilizzarsi di autocomportamenti, saranno entrambi il prodotto della dinamica interna della rete (cioè del SNC) in interazione con eventi aleatori perturbanti.

In altre parole, la nozione di un mondo indipendente "lì fuori" diventa superflua, perchè ciò che si costituisce come "mondo" è un prodotto della rete neurale e non una rappresentazione interna o una simulazione di un ambiente indipendente esterno, per quanto parziale e specie-specifica.

In questo la teoria di Varela si differenzia anche dall’ipotesi secondo la quale l’emergenza di significati che si osserva nei sistemi complessi è causata dall’effetto disorganizzante del "caso": dal punto di vista enattivo (parola coniata dallo stesso Varela), il fattore aleatorio che agisce come perturbazione non è mai assolutamente indipendente dal sistema (quindi mai assolutamente casuale), non perchè sia già noto, ma perchè, pur essendo privo di un significato a priori, rientra comunque nella classe delle interazioni ammesse dal sistema, e quindi rientra nel quadro delle possibilità specificate dalla sua organizzazione. Ciò che viene eliminato in questa nozione di casualità è ancora il riferimento ad un ambiente esterno completamente indipendente dal "soggetto": ciò che chiamiamo "perturbazione" non veicola alcun significato, nessuna informazione che non sia già in un certo senso anticipata dallo stesso sistema. Varela insiste su questo punto cruciale: se teniamo presente il carattere autonomo dei sistemi cognitivi naturali non è possibile sostenere una teoria della conoscenza come ricostruzione o rappresentazione internalizzata di caratteristiche del mondo esterno ottenuta attraverso una manipolazione delle informazioni provenienti da inputs ambientali selezionati. E questo anche se questa selezione avviene su criteri di adattamento e co-adattamento: anche se la struttura del sistema percettivo-cognitivo del SNC è il frutto di una storia di selezione naturale, e quindi è vincolata dal suo ambiente-contesto nelle sue trasformazioni fisiche e nelle sue effettive possibilità, rimane il fatto che il SNC opera come sistema chiuso, e quindi sia la percezione che la cognizione (la quale include il livello superiore della categorizzazione e le altre forme superiori di cognizione) sono prodotti di un’attività tutta interna al sistema nervoso e in quanto tali riflettono unicamente esigenze e logiche interne al SNC. Questo, a sua volta, è inglobato, e dunque subordinato, al sistema sopraordinato dell’intero organismo di cui deve rispettare i vincoli organizzativi: non è l’occhio e nemmeno la corteccia visiva a "vedere", ma l’intero organismo in quanto unità autonoma in accoppiamento strutturale con un ambiente perturbante da esso stesso specificato.

La ricerca connessionista ha permesso di immaginare come, cioè attraverso quali processi e con quale architettura materiale, sia possibile ottenere un comportamento cognitivo senza postulare un ambiente dalle caratteristiche pre-definite. Al contrario dei sistemi di IA tradizionale, costruiti a partire da regole generali in vista di obiettivi specifici da ottenere tramite la manipolazione ( cioè il calcolo) di simboli il cui significato è deciso a monte dal programmatore (da cui la definizione di approccio computazionale o di calcolo simbolico), nei sistemi connessionisti, date alcune regole locali o contestuali, un certo numero di componenti semplici vengono messi in rete (in parallelo) e lasciati interagire liberamente: dopo un certo tempo, lo stato caotico della rete lascia il posto a configurazioni coerenti, forme e funzioni emergenti che corrispondono agli attrattori della rete: è la stessa rete che produce i suoi significati, senza alcun intervento istruttivo esterno.

Il livello semantico-rappresentativo che per il cognitivista è racchiuso nel simbolo, per il connessionista è emergente dall’attività cooperativa di un vasto insieme di componenti semplici, sub-simboliche, di per sé insignificanti. Nei sistemi di riconoscimento delle immagini, ad esempio, che simulano l’apprendimento visivo dal punto di vista del connessionismo, una rete neurale artificiale viene messa in contatto con una serie di schemi lasciando che il sistema si riorganizzi autonomamente dopo l’esposizione ad ognuno di essi: dopo una prima fase di "apprendimento", il sistema impara a "riconoscere" immediatamente ogni schema, nel senso che in corrispondenza di ognuno di essi accede ad uno stato globale caratteristico, e questo anche in presenza di parziale mutilazione dello schema o in condizioni disturbate. Ognuno di questi stati globali identifica o "significa" un particolare schema che il sistema ha imparato a conoscere e riconoscere attraverso processi di auto-organizzazione completamente interni al sistema. Questa conoscenza, dunque, non consiste in una rappresentazione dell’oggetto resa possibile dall’elaborazione (computazionale) delle informazioni provenienti dall’esterno, ma piuttosto consiste in una autoproduzione di significati che non hanno un diretto riferimento con l’oggetto conosciuto, ma esprimono la reazione (cambiamento di stato) del sistema perturbato all’evento perturbante; reazione che un osservatore (e non il sistema in quanto tale) può interpretare come conoscenza dell’oggetto, mettendo i due elementi in una relazione causale.

In questo modo i sistemi connessionisti hanno rivelato molte capacità, che non esiteremmo a definire cognitive, prescindendo completamente dal tradizionale approccio computazionale-cognitivista.

Naturalmente questo vale per l’intera classe dei sistemi autonomi, ma ciò assume un carattere particolare quando il nostro oggetto diventa quella sotto-classe che abbiamo definito autopoietica o biologica: qui i sistemi autonomi (naturali o artificiali) hanno la caratteristica di possedere una apertura strutturale che li espone continuamente ad una fonte di perturbazioni "aggiuntiva" e li costringe ad operare in un contesto vincolante. Di conseguenza questi sistemi sono tipicamente instabili, nel senso che per mantenere la loro coerenza interna ed integrità fisica devono sottoporsi a continue trasformazioni, ovvero a continui passaggi da stati caotici a stati ordinati attraverso disorganizzazioni e riorganizzazioni interne. Il SNC opera secondo questa logica di chiusura operativa ed è quindi in costante trasformazione strutturale, il che si traduce in un continuo processo di disorganizzazioni innescate da perturbazioni aleatorie e di riorganizzazioni tendenti a ricostruire stati di coerenza e di equilibrio interno. Ma l’ambiente perturbante del SNC non è solo ciò che un osservatore potrebbe chiamare "ambiente esterno", ma è anche l’ "ambiente interno" all’organismo in cui è inglobato, quindi il SNC non discrimina fra perturbazioni provenienti dall’esterno e quelle provenienti dall’interno: dalla sua prospettiva operazionalmente chiusa esistono solo perturbazioni disorganizzanti a cui rispondere adeguatamente, e nel processo di riorganizzazione sarà coinvolta l’intera rete neurale e non solo una parte circoscritta o "area" collegata a questa o quell’altra funzione. Questo spiega tra l’altro la resilienza del SNC, cioè la capacità di ogni parte del sistema di assumersi le funzioni di un’altra parte che per qualsiasi motivo risulti deficitaria o compromessa. E spiega anche il perché in qualsiasi atto cognitivo siano coinvolte in maggiore o minore misura tutte le altre funzioni, e non esistano "compartimenti stagni" totalmente autonomi. I comportamenti del SNC sono dunque sempre auto-comportamenti perchè rispondono ad una logica autoreferenziale complessa che non ha come scopo quello di conoscere il mondo esterno, ma quello di conservare la propria organizzazione, o identità. Nonostante ciò non si può neanche affermare che il SNC sia un sistema indipendente, un soggetto assoluto che inventa il suo mondo. Infatti, a causa della sua apertura strutturale, l’emergenza di autovalori o di significati dalla rete neurale è vincolata (anche se non determinata) dalle fonti di perturbazioni ricorrenti (o ambiente) con cui il sistema è in accoppiamento strutturale.

Il "mondo", inteso come insieme relativamente stabile di configurazioni emergenti ricorrenti (insieme virtuale di micro-mondi), non è un’invenzione della mente, un mondo arbitrario, perchè questa mente (a sua volta insieme virtuale di micro-identità) è un fenomeno emergente dal corpo, è una mente incorpata, e quindi sottosta agli stessi vincoli cui il corpo è sottoposto nella sua storia di accoppiamento strutturale con un ambiente perturbante. Il punto sta nel comprendere che ciò che si costituisce come ambiente è a sua volta determinato dalla struttura del sistema e quindi non può essere considerato indipendente e normativo per l’attività cognitiva: mente e mondo sono inclusi l’uno nell’altra, si specificano l’un l’altra in una relazione circolare mai conclusa, impermanente.

In un’opera fondamentale, scritta in collaborazione con E.Rosch ed Evan Thompson, The embodied mind, Varela esamina in maniera approfondita il funzionamento del cervello ed alcune modalità percettive fondamentali come le funzioni visive e la percezione del colore, nel tentativo di dimostrare che il cervello non opera come un elaboratore di informazioni provenienti dal mondo esterno e non ha come scopo la conoscenza di questo mondo, ma piuttosto può essere descritto come quel sotto-sistema in grado di potenziare in maniera consistente la capacità dell’individuo di mantenere stabili le proprie condizioni di co-adattamento attraverso un comportamento "orientato". La particolarità del cervello animale, secondo questo punto di vista, consiste nel potenziamento di quel tipo di neuroni, gli interneuroni, che fanno opera di collegamento fra il sistema sensorio (con la sua rete di neuroni sensori) e quello motorio (con la sua rete di motoneuroni), permettendo quella dinamica reciprocamente retroattiva fra sensorio e motorio che permette all’azione di essere guidata percettivamente: l’attività sensoria si dirige (cioè si rende disponibile, si "apre") verso aspetti rilevanti del suo ambiente determinando l’azione motoria; questa, a sua volta, provoca una riorganizzazione del sistema motorio in seguito agli effetti perturbatori cui viene sottoposto, con la conseguenza che anche il sistema sensorio ne viene modificato a causa dell’accoppiamento dei due sistemi attraverso sotto-reti interconnesse. Ciò permette al sistema motorio di retroagire sulle sue stesse condizioni percettive, modificandole in funzione degli effetti dell’attività motoria. In ciò consiste quella relazione circolare fra sensorio e motorio che fa si che la percezione sia inscindibile dall’azione, e viceversa che l’azione sia guidata dalla percezione. Su questa ipotesi si basa anche un settore specifico della ricerca sulla vita artificiale, i cui risultati, come ad esempio le "creature" di R.Brooks create in un laboratorio del MIT, sembrano confermare questo modello di cognizione come attività emergente da sottoreti interconnesse di attività senso-motoria.

Sul modello delle reti connessioniste, l’attività percettiva può essere descritta come una complessa dinamica in cui schemi senso-motori continuamente emergono e si selezionano reciprocamente rendendo possibile la stabilizzazione di regolarità che si sedimentano fino a formare un "know -how" incorpato, la cui apparente stabilità riflette la capacità del sistema nervoso di mantenere su valori relativamente stabili le condizioni di co-adattamento indispensabili alla sua conservazione, processo che crea l’illusione di una "visione del mondo" solida e "reale".

Questo processo di produzione continua di configurazioni neurali emergenti può essere visto come un’attività ermeneutica a carattere intenzionale: la forma fisica (corporea) dell’apparato percettivo, storicamente determinato, propone un’interpretazione del mondo attraverso la specificazione di un campo di interazioni possibili, non ancora attuali. Il soggetto entra nel dominio di interazioni permesso dal proprio stato interno usando e manipolando gli oggetti attraverso il suo corpo e le sue capacità percettive incorpate, e continua questa esplorazione entro i limiti del possibile, cambiando continuamente il proprio campo di azione in conseguenza delle trasformazioni interne al SNC. Questa anticipazione rispetto alla costituzione del mondo (percettivo) è sempre un riferirsi a qualcosa che ancora non c’è, è una predizione rispetto a ciò che può essere, e questa predizione ha la forma di modelli interpretativi emergenti che vengono costantemente confrontati e modificati attraverso azioni guidate percettivamente. Questo "confronto", va sottolineato, non ha nulla a che fare con la teoria della conoscenza per "prova ed errori": questa infatti viene intesa come un processo di ottimizzazione della conoscenza di un mondo "oggettivo" indipendente attraverso la tesaurizzazione dell’esperienza dell’errore, mentre invece l’ambiente verso il quale l’esplorazione percettiva si dirige si presenta come un orizzonte indefinito ed indeterminato di possibilità che prende una forma (significato) solo a posteriori, costruendosi in seguito a questa attività percetto-motoria. Il fine di questo processo cognitivo non è quello di raggiungere una visione sempre meno parziale di un’unica realtà, ma di produrre mondi che siano vitali, cioè che riflettano le condizioni di coadattamento che permettono la conservazione della vita. Poiché queste condizioni, per ogni essere vivente, dipendono da una storia evolutiva propria di ogni specie e di ogni singolo individuo, il "mondo" percepito che così viene ad emergere non è arbitrario, come abbiamo visto, ma non è neanche assoluto, dal momento che riflette solo una delle molte traiettorie evolutive possibili, né definitivo, perché dipendente da una struttura corporea "aperta" e in continua trasformazione. Ciò che emerge da questa attività costruttiva (o produttiva) che prende forma "strada facendo", non è, pertanto, la formazione di prospettive diverse sul mondo , ma veri e propri "mondi" differenti, condivisi in maggiore o minore misura a seconda del grado di condivisione di una storia di co-adattamento. Nel linguaggio del Dharma, potremmo tradurre questi mondi percettivi con le diverse visioni karmiche appartenenti alle varie classi di esseri senzienti.



4. Micro-mondi e micro-identità: la genesi del reale virtuale.

A partire dai processi più elementari della percezione, Varela definisce la cognizione come un’attività ermeneutica e creativa resa possibile dal carattere intrinsecamente intenzionale (predittivo) dell’attività autonoma ed auto-organizzata delle sottoreti neurali senso-motorie interconnesse, la cui struttura, storicamente determinata da vincoli di accoppiamento (ontogenetico e filogenetico) con un ambiente eco-socio-culturale, specifica di volta in volta il dominio cognitivo del sistema, cioè il suo "mondo". Entrare in un particolare dominio di interazioni significa esporre l’attività senso-motoria a possibili perturbazioni che, innescando trasformazioni interne al sistema nervoso, possono provocare l’emergenza di nuove configurazioni relativamente stabili di attività neurale, corrispondenti alla produzione di nuovi "mondi", forme, concetti, significativi non-arbitrari. Ad ognuna di queste configurazioni neurali corrisponde allo stesso tempo una micro-identità" e un "micro-mondo" che, sebbene siano resi stabili da una storia di accoppiamento che produce regolarità, non hanno alcun fondamento oggettivo né in un Sé permanente né in una realtà esterna indipendente. Il mondo "oggettivo" che così si viene a formare, insieme al suo correlato soggettivo di "persona", sono in-fondati; la loro natura è virtuale, la loro emergenza non-necessaria: quello che nel Dharma viene chiamata la natura vacua del Sé e dei fenomeni, che non significa "non esistenza" ma piuttosto esistenza relativa, interdipendente e impermanente. La vera natura delle cose, infatti, secondo il Dharma, non rientra né nella categoria dell’essere né nella categoria del non-essere, né in quello di esistenza, né in quello di non-esistenza.

L’impressione di stabilità che il soggetto sperimenta rispetto a se stesso e al suo mondo di esperienza è solo apparente, anche se giustificata, e dipende dal fatto che ognuno di noi considera la propria condizione a partire da un certo punto, ignorando la strada percorsa nel suo sviluppo onto e filogenetico, lungo la quale una serie di regolarità ricorrenti si è stabilizzata ed incorpata nel tempo formando il cosiddetto "senso comune". Quest’ultimo non è altro che un bagaglio di micro-mondi e micro-identità che il sistema cognitivo ha memorizzato, seguendo un percorso analogo all’apprendimento dei modelli connessionisti di riconoscimento, e che emerge spontaneamente e prontamente ogniqualvolta il soggetto si trova in una situazione nota analoga a quelle che hanno innescato quel tipo di emergenza.

L’infondatezza che si cela dietro l’apparente stabilità del mondo e del Sé, non implica, dunque, che questi ultimi siano irreali: il mondo "oggettivo" ha una realtà relativa perché dietro la sua solida superficie cela una storia di accoppiamento non-necessaria che l’ha generato; allo stesso modo la forma di soggettività di cui abbiamo personalmente esperienza, l’Io coscienziale, è il risultato di un continuo farsi storico che non ha i caratteri della necessità, ma che tuttavia trova una sua ragion d’essere proprio per il fatto di essere il risultato di una storia possibile.

Ora, poiché, come abbiamo visto, conoscere significa agire in maniera pertinente ad un contesto rilevante (e non significa rappresentare un mondo predefinito), la cognizione si trova immancabilmente coinvolta nel processo di costruzione di un mondo significativo: la realtà "oggettiva", il mondo che a noi sembra avere una vita autonoma ed indipendente dalla mente, in realtà dipende strettamente dalla cognizione intesa come azione incarnata. Di qui il carattere intrinsecamente fattuale ed etico della cognizione.

In accordo con un insegnamento fondamentale della tradizione buddhista, Varela considera questa consapevolezza della natura virtuale del mondo come del Sé, il fondamento di ogni etica. Solo questa consapevolezza, infatti, può far apprezzare la natura interconnessa ed interdipendente di ciò che siamo e del mondo in cui viviamo: l’azione progressivamente cessa di essere diretta verso un Io sostanziale da proteggere ed alimentare, e si orienta spontaneamente verso l’ altro, non più inteso come un alter ego sostanziale, ma sentito come parte di sé, cioè come un elemento che partecipa della stessa realtà vacua ed interdipendente cui anche noi partecipiamo. La scoperta dell’infondatezza del Sé e del suo mondo di esperienza, della sua natura disunita e transitoria, storica e contestuale, non genera quindi una sensazione di vuoto e non prelude ad una deriva nichilistica de-responsabilizzante del comportamento, ma al contrario apre le porte ad un’esperienza di compartecipazione che rende l’agire più responsabile (perchè consapevole del proprio ruolo creativo nella generazione del reale) ed eticamente orientata (perché conscio della propria appartenenza ad un sistema transpersonale che l’ha generato e che contribuisce a conservare).

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI.
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Maturana H.-L’illusione della percezione ovvero la chiusura operativa del sistema nervoso, La Nuova Critica, Serie: La vita e la scienza, 2, Quaderno 64, Alfamedia, Roma

Maturana H.,Varela F.(1980)-Autopoiesi e Cognizione, Marsilio Editori, Padova, 1985

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Morin E.(1986) -La conoscenza della conoscenza, Feltrinelli, Milano, 1993

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Varela F.(1979)-Principles of biological autonomy, North Holland, New York

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Vattimo G.(1985)-Fine della modernità, Garzanti, Milano

http://www.buddhismo-occidente.it/varela.htm

03/06/2012, 16:45

La teoria delle superstringhe e la materia di settore nascosta: intervista al fisico John Hagelin
di Cate Montana (What the Bleep)
http://www.scienzaeconoscenza.it/ar...nascosta.php


Il fisico quantistico John Hagelin ha di recente visitato l’Italia (settembre 2006). Ha infatti tenuto prima a Roma, poi alla Triennale di Milano una conferenza dal titolo creatività-coscienza-cervello a fianco del neurofisiologo prof. Fred Travis e del noto regista David Lynch. Hagelin è direttore dell’unione globale degli scienziati per la pace. Questa intervista abbina le informazioni dei più recenti sviluppi in seno alla teoria delle stringhe con ampie speculazioni - profondamente scientifiche e ben radicate nella natura del pensiero – sulla meditazione, i corpi sottili, i viaggi astrali e altro ancora.


Tratto da Scienza e Conoscenza n.18 (ottobre-dicembre 2006).


Esplorando il mondo misterioso della materia e dell’energia oscura, ci troviamo di fronte a “una forma completamente trascendentale e non manifesta di energia e di materia” che può essere uguagliata al Vuoto biblico. Indagheremo ora, invece, qualcosa di presente nei regni manifesti chiamata materia di settore nascosta.
Quanto nascosta è la materia di settore nascosta? Molto nascosta. Bisogna essere ben ferrati nella teoria delle stringhe per averla sentita almeno nominare. Fortunatamente, mentre stavamo esaminando le centinaia di pagine di trascrizione che abbiamo compilato per il secondo film del Bleep, ci siamo imbattuti in un breve accenno alla materia di settore nascosta come un potenziale “universo di pensiero” proprio in una delle interviste al Dr. John Hagelin. Tale è stato l’interesse destato che siamo tornati da lui a fargli delle domande – e come siamo contenti di averlo fatto!
All’inizio questa intervista è un po’ tecnica. Non mollate. Porta, infatti, il luoghi molto interessanti.


WTB – La materia di settore nascosta è la stessa cosa della materia oscura? È collegata all’energia oscura? O è completamente diversa?
Hagelin – Sono tre cose totalmente indipendenti.


Allora com’è che la teoria delle superstringhe apre la possibilità a una sfera del pensiero, che si dice sia chiamata materia di settore nascosta?
Beh, devo iniziare dicendo che questa indagine sulla materia di settore nascosta in relazione alla sfera del pensiero è speculativa ed è principalmente opera mia. Detto ciò, le teorie delle superstringhe – in pratica – prevedono tutte la presenza della materia di settore nascosta, che per molti aspetti è simile alla materia familiare, formata di particelle e forze, e per altri aspetti, minori, può essere diversa. Ciò che rende nascosta la materia di settore nascosta, è che, almeno nell’interpretazione comune, interagisce con la materia di settore osservabile o materia comune, solo attraverso la sua influenza gravitazionale.
Se questo fosse veramente il punto, tale materia nascosta sarebbe quasi irrilevante per il nostro mondo di materia ordinaria, perché l’interazione gravitazionale tra qualsiasi cosa è normalmente troppo debole per assumere un qualche interesse. Del resto, ci sono eccezioni in quantità a tale affermazione. Se la materia di settore nascosta si aggrega in pianeti e stelle, potrebbe avere un forte effetto gravitazionale su di noi. O, se la materia di settore nascosta si aggrega attorno al sole a causa dell’attrazione gravitazionale del sole stesso, o si aggregasse attorno alle galassie a causa dell’attrazione gravitazionale delle galassie stesse, quella materia di settore nascosta si aggiungerebbe alla forza di gravità del sole; si aggiungerebbe alla forza di gravità delle galassie.
Ci sono circostanze, perciò, nelle quali l’interazione con la materia di settore nascosta attraverso la forza di gravità potrebbe essere d’interesse. Detto ciò, la materia di settore nascosta diventa veramente interessante quando riconosciamo che la prima premessa, ovvero che interagisca con noi solo in modo gravitazionale, è generalmente falsa. Oltre alla sua interazione gravitazionale, la materia di settore nascosta può avere, e spesso ha su di noi una debole influenza elettromagnetica. Eppure anche come debole influenza elettromagnetica, forse mille volte più debole della normale influenza elettromagnetica, è lo stesso miliardi di volte più potente della forza di gravità. Preso atto delle sue interazioni elettromagnetiche nei confronti della materia comune, la materia di settore nascosta diventa molto più affascinante.

Perché l’hai definita “la sfera del pensiero”? O tale riferimento si rifà alla sfera del pensiero solo potenzialmente?
Tale materia è un buon candidato per un mondo-pensiero - o un mondo di pensiero - numero uno: a causa delle sue dettagliate proprietà, un vasto soggetto sul quale possiamo ritornare. Numero due: perché abbiamo bisogno di una spiegazione fisica per il pensiero. Abbiamo bisogno di un qualcosa, quando ci si guarda dentro nel profondo, per connettere il cervello fisico con il campo unificato di consapevolezza. E il campo unificato della consapevolezza esiste alla dimensione super-unificata di 10 alla meno 33 cm, che è molto al di sotto della dimensione nucleare.

Ti riferisci alla scala di Planck?
Sì. E se quella è la sfera della consapevolezza, e sono sempre più innumerevoli le ricerche a suggerire la possibilità che definitivamente lo sia – si tratta del campo unificato, la scala di Planck. Abbiamo bisogno di un qualcosa che connetta la consapevolezza al cervello fisico e ai neuroni; per fornire una connessione tra quello che è un organo molto macroscopico, il cervello - e persino i neuroni e il DNA dentro ai neuroni - con la microscopica scala di Planck.

Ti riferisci al lavoro di Roger Penrose con Stuart Hameroff?
Sì, c’è un legame. Roger Penose, infatti, fu tra i primi ad insinuare che il fenomeno che chiamiamo consapevolezza potrebbe in definitiva essere un fenomeno di scala di Planck. Ecco la connessione. Ha lavorato su certi meccanismi che aiutano a renderlo plausibile. Non credo sappia della teoria delle superstringhe e della materia di settore nascosta. Potrebbe esserne alquanto eccitato. La materia di settore nascosta ci dà, in molti modi, una connessione tra la consapevolezza ed il cervello fisico, e questo, di nuovo, richiederebbe una scala di forze molto, molto corte. E sono le proprietà della materia di settore nascosta che la rendono un legame davvero naturale tra la fisica dell’infinitamente piccolo e la sfera della consapevolezza, e la fisica macroscopica del cervello.
Bisogna che tale connessione esista, perché la consapevolezza è intimamente connessa con la percezione sensoriale, i nostri organi di movimento, e l’attività del cervello umano. Però, la consapevolezza fondamentalmente non è creata dal cervello. Può essere riflessa dal cervello, modulata dal cervello, ma non creata. Non secondo la mia comprensione, e non secondo l’esperienza diretta di quello che è la consapevolezza nei secoli, specialmente ora, in questa generazione, con la rinascita della meditazione. E l’abbondanza di ricerca sulla meditazione, l’esperienza della consapevolezza stessa, afferma che è fondamentale nella creazione e trova la sua fonte ultima in questo campo unificato di intelligenza alla base della mente e della materia. Questa è l’esperienza diretta.
Un numero sempre crescente di prove dà supporto al ruolo fondamentale della consapevolezza nell’universo fisico. Ora che arriviamo a comprenderla come il campo unificato, dovremmo comprendere la mente. Dovremmo capire il pensiero, che è il vero collegamento tra la pura e astratta consapevolezza e il cervello fisico.
La materia di settore nascosta ha delle meravigliose proprietà che si prestano a fornire un tale collegamento tra la piccolissima sfera della consapevolezza e la più macroscopica sfera del cervello. Una delle chiavi di tali proprietà si chiama invariabilità di dimensione. E l’invariabilità di dimensione è un elemento interessante della materia di settore nascosta. L’invariabilità di dimensione significa, in pratica, che la grandezza non conta. Questo non è vero nella fisica comune. E non è vero per le grandissime particelle in generale. Qualsiasi cosa fatta di comune materia non ha un’invariabilità di dimensione.
Possiamo prendere un essere umano ed ingrandirlo fino a 10 volte la nostra altezza, 10 volte la nostra larghezza e 10 volte la nostra profondità, e si potrebbe pensare che, insomma, come faremmo a saperlo [se succedesse]? Se ingrandissimo gli alberi, ed ingrandissimo la nostra casa ed ingrandissimo il nostro letto, come potremmo mai sapere di essere 10 volte più grandi? Beh, lo sapremmo. Alla fine crolleremmo sotto il nostro stesso peso. Perché il nostro peso – ecco una spiegazione basilare – il nostro peso cresce al cubo della nostra altezza. La resistenza delle nostre ossa, però, cresce solo al quadrato della lunghezza e della larghezza dell’osso. Le cose, quindi, non crescono in scala alla rinfusa. Gli esseri umani hanno la loro dimensione ideale, non potremmo essere molto più grandi, non potremmo essere molto più piccoli, semplicemente non potrebbe funzionare. Lo stesso con gli insetti. Hanno una dimensione caratteristica, e non si può semplicemente fare un insetto gigante come si faceva nei film dell’orrore negli anni ’50 e sperare che il poveretto sopravviva.
Le cose hanno una misura o dimensione naturale nel nostro mondo di grandi particelle giganti. Questo, però, non è il caso nel regno del settore nascosto,. E la fisica del settore nascosto - i suoi meccanismi, la sua meccanica - è tutta a invariabilità di dimensione. Che significa che la dimensione delle cose semplicemente non conta? Significa che si potrebbe avere un meccanismo o un fenomeno nel settore nascosto che interagisce con il cervello, e può essere della grandezza del cervello o di un neurone. Si può avere un’interazione tra la materia di settore nascosta e la materia cerebrale. Quello stesso meccanismo potrebbe letteralmente, e lo farebbe, restringersi fino alle dimensioni di un punto. La stessa dinamica potrebbe avvenire alla dimensione di un punto, al contrario di questa dimensione più macroscopica e fornire questa specie di ponte di invariabilità di dimensione tra la fisica delle grandi dimensioni nel cervello e la fisica microscopica della scala di Planck. Perciò fornisce una connessione naturale tra il grande e il piccolo trascendendo, completamente le dimensioni.
Questo è un tantino tecnico, ma è un punto importante. Aiuta a descrivere perché la dimensione non conta. E l’altra cosa è, per i meditatori e altri che l’hanno sperimentato, o persino lo sperimentano regolarmente, che noi abbiamo una speciale fisiologia sottile; talvolta è definita corpo mentale, talvolta corpo sottile, o corpo astrale. Abbiamo un veicolo fisico più sottile legato a noi che, in certe circostanze, si può muovere indipendentemente dal corpo. E quel veicolo contiene la nostra consapevolezza. È come un contenitore di consapevolezza, un contenitore o veicolo per il pensiero. E con questo potete viaggiarci. Potete imparare a sviluppare l’abilità di lasciarvi alle spalle il vostro corpo fisico e entrare in quello sottile – non è qualcosa che raccomando. Seppure, in certe circostanze avviene spontaneamente. Non è una capacità particolare che vale la pena di coltivare, e ha persino i suoi piccoli rischi. E’ però un’esperienza conosciuta, e certamente anche una mia esperienza. E’ per questo che posso parlarne con una sicurezza empirica basata sull’esperienza, o esperimento. C’è un corpo più sottile di quello che chiamiamo “corpo fisico” e è intimamente associato con quello che chiamiamo pensiero, o mente. E nel momento che vi capita di fare tale esperienza, specialmente se siete un fisico o un ingegnere, dovete chiedervi: “Questo, di che cosa è fatto?”
E presto vi troverete a scartare le solite possibilità. È fatto di luce? No. Quella sarebbe una naturale prima supposizione perché è, in un certo senso, un veicolo luminoso e traslucido. La luce, però, non resta unita. Non si può avere una palla di luce appiccicosa. La luce si disperde in ogni direzione. Non ha la capacità di aderire in quello che si definisce un solitone, o pezzo, o veicolo di qualche sorta. Quindi non è luce – e di certo non forza di gravità, e nemmeno la forza nucleare forte o debole, perché quelle sono forze a raggio limitatissimo. E alla fine esaurisci le possibilità, e ti rendi conto che abbiamo bisogno di qualcosa di nuovo. Magari, qualcosa di nuovo che appare alquanto complicato. Probabilmente non è solo un tipo di particella o un tipo di forza, ma uno stato aggregato di forze e particelle … proprio come gli atomi sono tenuti assieme da fotoni di luce, elettroni, protoni, neutroni e particelle.
Quindi, un esame relativamente elementare delle caratteristiche di base di questo corpo sottile, o corpo di pensiero, rivela che è formato di materia non convenzionale. E allora la fisica a quel punto si fa avanti e limita le possibilità a una. Quella possibilità è la materia di settore nascosta. Perché, non è nient’altro. Quando si arriva alla materia di settore osservabile, quando si arriva al mondo delle forze e particelle che formano la materia osservabile, sappiamo ciò che sono. E sappiamo che non ce ne sono altre.
Fondamentale a questa spiegazione di tale materia collegata al pensiero, o forse, persino quale sostanza dei nostri corpi di pensiero, è il bisogno di quel corpo di pensiero fatto di materia di settore nascosta di interfacciarsi, in qualche modo, con il nostro cervello fisico. Come avviene? Come si intensifica quella connessione, o persino in che modo si sfrutta quella connessione per sviluppare rare abilità?
Beh, poiché la materia di settore nascosta è elettricamente carica, benché debolmente – chiamiamola carica elettricamente in modo frazionale – non ha la carica elettrica di un elettrone o protone, ma qualcosa come un millesimo di quello. Ciò significa che si attaccherà in modo lasso, elettrostaticamente, alla materia comune. Proprio come un qualcosa che ha una piccola carica elettrica, come un pezzo di plastica carico di elettricità statica aderirà alla mano o alla vostra maglia.
Ci nutriamo di cibo. Respiriamo aria, ma consideriamo ora quei cibi che sono pieni di materia organica. E questa stessa materia organica avrà probabilmente attaccate a sé piccole quantità di materia di settore nascosta. E così il corpo potrebbe accumulare materia di settore nascosta. Potrebbe persino concentrare materia di settore nascosta in diversi organi, nel cervello. Questo è speculativo, ma sto insinuando, possibilmente, che quelle che noi chiamiamo strutture subcorticali o gangli basali, cose come la ghiandola pituitaria, l’ipotalamo, ecc. potrebbero facilmente concentrare quantità di materia di settore nascosta che si agganciano al nostro DNA, o forse persino si agganciano alla sinapsi neurale.
Una volta che abbiamo la materia di settore nascosta “incrostata” sopra, o incorporata nella nostra ghiandola pituitaria ad esempio, quella stessa materia, che si è concentrata nella ghiandola pituitaria, scruterà direttamente nel mondo del settore nascosto. Perché essere fatti di materia di settore nascosta, che contiene cariche di settore nascoste analoghe alla carica elettrica, interagirà elettromagneticamente. Ma non al normale fotone del nostro mondo osservabile, particelle, luce, la forza dell’elettromagnetismo – ma ad un fotone di quel settore, che è una forza analoga nel mondo del settore nascosto che noi sappiamo che c’è e deve esserci.
È un altro tipo di luce. È essenzialmente come la nostra luce, ma non rilevante per il nostro mondo. È un tipo di luce diversa che è rilevante per questo mondo di pensiero; rilevante per il mondo del settore nascosto. E se abbiamo materia di settore nascosto incrostata sul nostro cervello da qualche parte, allora quella può scrutare direttamente nel mondo di settore nascosto attraverso il fotone di quel settore, che può vedere tutto nel “mondo nascosto” come noi vediamo con i nostri occhi fisici il nostro mondo. A patto che il nostro sistema nervoso concentri ed accumuli materia di settore nascosta, attraverso questo tipo di materia, ha una finestra in questo mondo di pensiero.

Allora, in sostanza, risuoneremo alla sua frequenza? Perché il nostro sistema ne è impregnato fino al punto di risonanza?
Sì, ben detto. Tecnicamente, potrei affermare che le frequenze potrebbero essere le stesse del nostro mondo. Ma non è tanto la frequenza del fotone il punto, è l’identità… quale tipo di fotone. Un fotone che vede la normale carica elettrica? O il fotone tipo del settore nascosto che vede solo cariche di settore nascoste? Perciò quello che hai detto è corretto. Voglio dire, il mondo della frequenza potrebbe non essere esattamente quello. … Significherebbe che se i nostri corpi di settore nascosto fossero semplicemente attaccati ai nostri corpi fisici attraverso un collegamento elettrostatico, quel legame si potrebbe facilmente interrompere – proprio come si può tirar via un pezzo di plastica statica dalle dita. E potrebbe muoversi indipendentemente. E potrebbe certamente riattaccarsi. Potresti essenzialmente portar via la tua mente con te e riportarla indietro.
Queste sono idee ancora in evoluzione, consistenti con quello che sappiamo della fisica e del regno del pensiero. E uno dei forti motivi perché questa ricerca continui è per eliminazione; di base si tratta della mancanza di una comprensione alternativa su ciò che il pensiero è. Come poter connettere il sottostante mondo della consapevolezza con la scala di Planck, e il mondo fisico del cervello e dei processi cognitivi; e come comprendere di che cosa è fatto questo corpo di pensiero universalmente sperimentato? Com’è che possiamo avere un contenitore che trasporta la nostra soggettività o consapevolezza e che si può muovere separatamente dal corpo fisico - un’esperienza che è stata riportata, veramente, in ogni regione ed in ogni cultura nel mondo. Queste esperienze, se ci si guarda dentro, non si possono ignorare – forzano un ripensamento su che cos’è il pensiero. Non si possono “spazzare” queste anomalie lasciandole sotto il tappeto, per sempre – benché ci sia una naturale tendenza a farlo. E se vuoi capire che cos’è il pensiero nel contesto di quello che sappiamo essere le leggi della fisica, inclusi gli ultimi sviluppi nella super-unificazione basati sulle superstringhe, si è veramente forzati nella direzione della materia di settore nascosta.
Uno dei motivi per i quali il progresso in questo campo è stato così lento è che ci sono veramente così pochi teorici delle stringhe, qualcuno in grado di pensare – voglio dire persone familiari con quello che è successo nella fisica, specialmente nell’ultima decade, interessate a fenomeni quali la consapevolezza. Il sovrapporsi di queste due comunità – chiamiamole la comunità della consapevolezza e quella della fisica – è così raro ancora; e per comunità della fisica intendo quegli scienziati che lavorano nei settori d’avanguardia della comprensione di come l’universo funziona e di che cosa è fatto, quella sovrapposizione è così piccola che il progresso in questo campo è certamente stato impedito. Forse ci sono persone eccellenti, come Bill Tiller. Sfortunatamente, sono pochissimi quelli che hanno un’attuale comprensione dell’universo com’è conosciuto oggi. La gran parte di quello che oggi conosciamo dell’universo si è in realtà imparato nell’ultima decade. Il che significa che al momento non ci sono molti collaboratori e sviluppi in questa materia.
Tratto da Scienza e Conoscenza n.18 (ottobre-dicembre 2006)


Per saperne di più

Roger Penrose PhD (1931 – Colchester, Gran Bretagna)
Ha studiato all'University College School di Londra e al St. John's College di Cambridge. Si è laureato in fisica a Cambridge nel 1957. Dal 1973 insegna matematica presso l'Università di Oxford. Nel 1998, per i suoi studi sulla struttura dell'universo ha ricevuto il premio Wolf, il maggior riconoscimento mondiale per la matematica. I suoi libri disponibili in italiano sono: La mente nuova dell'imperatore, Ombre della mente, La strada che porta alla realta` - editore Rizzoli

Stuart R. Hameroff MD (1947 – Buffalo, New York)
Fisico e ricercatore, professore emerito, direttore del dipartimento di anestesia e psicologia, direttore del Centro Studi per la Consapevolezza all’Università dell’Arizona, Tucson - http://www.consciousness.arizona.edu/hameroff/, http://www.quantumconsciousness.org

Penrose e Hameroff hanno elaborato una teoria della consapevolezza dove viene ipotizzato che la consapevolezza umana potrebbe essere il risultato di fenomeni quantistici ancora ignoti che avrebbero luogo nei microtuboli(strutture cellulari di natura proteica) e che rientrerebbero in una nuova teoria capace di unificare la teoria della relatività di Einstein con la meccanica quantistica.

Wiliam Tiller, PhD
Membro dell’Accademia Americana di Scienze Avanzate, professore emerito della Stanford University’s Department of Materials Science. Ha pubblicato più di 250 articoli scientifici e diversi libri, tra pubblicazioni tecniche e divulgative. Negli ultimi 30anni inoltre si è applicato in modo approfondito in sperimentazioni e studi teoretici nel campo della psicoenergetica che a suo avviso diventerà una parte molto importante della fisica di domani. L’ultima sua fatica: Some Science Adventures with Real Magic- Pavier - http://www.tiller.org/

Cate Montana è direttore del The Bleeping Herald e una scrittrice freelance del Pacific Northwest. Giornalista professionista da 18 anni è correntemente specializzata in tematiche sulla consapevolezza, la fisica quantistica, la salute alternativa, le culture native. E’ raggiungibile ai seguenti indirizzi:cate@whatthebleep.com or stellar@ywave.com. Ha appena inaugurato un quotidiano on line - The Global Intelligencer -www.theglobalintelligencer.com dedito a dare un contributo per creare un futuro cosciente e sostenibile. The Bleeping Herald è una rivista on line che ha avuto inizio nel 2005 in risposta alle innumerevoli richieste di info legate all’uscita del film What the BLEEP Do We Know e, come potenziale forum, per articoli e discussioni a tema relativi al nostro mondo che cambia. - http://www.whatthebleep.com e http://www.whatthebleep.com/mailings

03/06/2012, 20:13

Blissenobiarella ha scritto:

Arrosto prego. E certamente scherzavo anche io.
[:p]

L'ozio è il padre delle idee geniali.
[:)]




[:D] [:D] [:D]

03/06/2012, 20:28

Qui una versione parlata, senza sottotitoli...

03/06/2012, 21:23

Blissenobiarella ha scritto:

Enkidu, a me piace si leggerti. però mi piace anche studiare le persone che mi sembrano interessanti e questo a volte fa sorgere impressioni sbagliate.
Avevo immaginato che ti saresti sentito offeso, ma davvero, non ne hai alcun motivo.
[:D]

Per quanto riguarda il resto. La filosofia io la leggo, non l'ho studiata se non per divertimento mio personale. Non so se sono competente e quanto non mi sono mai posta il problema, ma so quali sono i temi di discussione principali e il modo in cui vengono dibattuti. So quali sono le tematiche, le tendenze, gli orientamenti. Per questo alcune tue asserzioni mi stupiscono e non mi trovano concorde. Poi magari sono lapidaria nell'esprimere il mio dissenso, ma cerco di essere breve riguardo agli argomenti che possono portare troppo off topic la discussione.




E tu non hai motivo di stupirti, come io non mi stupisco della tua risposta, volta ancora a spostare il discorso dal suo oggetto centrale... .
Basterebbe che tu non ti limitassi a leggere ma a cercare di afferrare il senso di quello che sto dicendo.
Non mi sembra che tu lo stia facendo. Passo e chiudo. Per quanto mi riguarda, la discussione è chiusa.
Quello che ho scritto ho scritto, e tanto basta.
E continuo a sentirmi offeso, anche perché sono solo io a decidere se devo sentirmi tale o meno.
Ultima modifica di Enkidu il 03/06/2012, 21:28, modificato 1 volta in totale.

04/06/2012, 01:09

Ne sei proprio sicuro?
Cosa non avrei afferrato esattamente secondo te?

Ho letto bene quello che hai scritto e a mio parere nei confronti di alcune tematiche tu avanzi un pregiudizio al posto di un ragionamento. Un pregiudizio non si può affrontare in maniera dialogica. Niente di quello che hai scritto fino ad ora mi spinge ad avere un' opinione diversa. Ma se mi sbaglio e ma mia è un'opinione errata, perchè prendersela? Non è che ti ho messo un timbro sulla fronte ed archiviato il caso.
Prendo comunque atto che sei offeso e non è mia intenzione sminuire i tuoi sentimenti... che però non dipendono da me, come potrebbero? Probabilmente l'argomento è "carico" emotivamente.

12/06/2012, 14:21

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