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MessaggioInviato: 19/09/2012, 15:32 
Lazio, Polverini verso le dimissioni. Spuntano altre spese: 75mila euro di foto

ROMA - Il governatore del Lazio, Renata Polverini, è vicina alle dimissioni. Come lei stessa ha ammesso, sta cercando il ministro dell’Interno, Anna Maria Cancellieri, per valutare le condizioni e i tempi del voto anticipato. La Polverini si è detta molto seccata dalle notizie di stampa che “tendono a mettere sullo stesso piano il consiglio e la giunta” e sta quindi maturando l’idea che non ci siano più le condizioni per andare avanti.

Nel frattempo puntano fuori altre spese “strane” alla Regione Lazio: 75mila euro di foto, un milione all’anno per le pensioni agli assessori. La giunta costa 5 milioni l’anno e, come riporta il Corriere della Sera, l’assessore all’Istruzione Gabriella Sentinelli ha uno staff di 17 persone.

Scrive il Corriere della Sera:

Le foto, non sono solo quelle della consigliera Veronica Cappellaro, che ha usato mille euro dei fondi Pdl per un book in uno studio del centro di Roma. Ma anche quelle della presidente Renata Polverini che, da inizio legislatura, non ha badato a spese: tra le delibere di assunzione della sua giunta, infatti, c’è anche quella di Edmondo Zanini, fotografo della presidente, che costa alla Regione 75 mila euro l’anno. Zanini la segue da sempre e, quando Polverini viene eletta, entra a far parte del suo staff come “responsabile comunicazione e grandi eventi”.

Pii c’è Gabriella Sentinelli (Istruzione), con 17 persone nello staff tra cui l’ex calciatrice Carolina Morace, l’ex estremista di destra Adriano Tilgher, parenti di assessori regionali o del Comune di Roma, la compagna dell’ex sottosegretario al Mibac Francesco Giro. È vero che auto blu e di servizio sono state ridotte, ma restano sempre un bel numero, 68.

http://www.blitzquotidiano.it/politica- ... o-1346590/


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MessaggioInviato: 19/09/2012, 18:47 
L’accordo preso sul panfilo Britannia il 2 giugno 1992 prevedeva anche l'eliminazione del giudice Paolo Borsellino, oltre alla svendita dell'Italia,Manipulite e i governi "tecnici" Ciampi,Amato,Prodi pur di non fare arrivare al potere neanche un’idea?

http://www.comedonchisciotte.org/site/m ... t&sid=5040

Dalla lettura di un articolo del Corriere, la Goldman Sachs sarebbe sul punto di prendere il controllo della rete Wimax italiana; del resto non c’è nessuna sorpresa, visto il ruolo cruciale che la Goldman, azionista della Federal Reserve americana, ha svolto sin dall’inizio nella svendita dell’Italia, di cui si può ragionevolmente affermare che sia iniziata con esattezza il 2 giugno 1992 – nonostante alcuni precedenti inutili tentativi - con l’accordo preso sul panfilo Britannia, onori di casa fatti dalla Regina d’Inghilterra, al largo di Civitavecchia, tra Draghi, allora direttore generale del Tesoro, Azeglio Ciampi, in qualità di governatore della Banca d’Italia, e un centinaio tra rappresentanti della finanza anglosassone americana (Barclays, Warburg, azionista della Federal Reserve, PricewaterhouseCoopers – ex Coopers & Lybrand – Barings – oltre alla Goldman ecc.) e degli ambienti industriali e politici italiani.

Era presente anche Costamagna, che diventerà dirigente della Goldman quando sua moglie finanzierà l'ultima campagna elettorale di Prodi.

Lì gli angli dettarono le istruzioni su come privatizzare, per scelta obbligata, le industrie italiane statali. Con l’aiuto della stampa iniziò una campagna martellante per incutere il timore nel popolo italiano di “non entrare in Europa”, manco ne fossimo stati tra i Sei paesi fondatori…

E questa è oramai storia, tant’è vero che sull’episodio del “panfilo Britannia” vi furono le interrogazioni parlamentari di alcuni onorevoli come Raffaele Tiscar (DC), Pillitteri e Bottini (PSI) Antonio Parlato (MSI), autore di tre interrogazioni rimaste senza risposta e della senatrice Edda Fagni (PCI).

Fu l’inizio dell’era dei governi tecnici, dopo 40 anni di regime DC, con il “tecnico” Ciampi, il tecnico Amato, il tecnico Prodi. Il governo doveva, a tutti i costi essere “tecnico”, pur di non fare arrivare al potere neanche un’idea, che fosse tale e che lo fosse per il bene del paese, come sarebbe potuto esserla quella, ad esempio, di un Aldo Moro…

Era la stagione dell’attentato a Falcone cosicché – guarda caso - la stampa non diede il dovuto risalto all’incontro, e da poco erano iniziate le indagini di Tangentopoli - nome in codice Manipulite – cosicché molti esponenti degli ambienti politico-economici si ritrovarono improvvisamente “minacciati” dall’insidia latente di potersi ritrovare nell’occhio del ciclone. Un modo per “ammorbidire” un ambiente, prima della grande “purga”?

Certo è che Manipulite sembra sia avvenuta proprio in un momento opportuno per fare “PiazzaPulita” di una classe politica con velleità italiote, e per ottenere le “ManiLibere” di fare entrare i governi dei “tecnici”, quelli che con i loro amici della Goldman e della Coopers ci avrebbero inculcato la “medicina” amara della svendita dell’IRI.

Di sicuro un Craxi, per quanto corrotto, non avrebbe mai siglato un patto così scellerato, quello di svendere tutto il comparto nazionale produttivo del paese (l’IRI ad oggi sarebbe stata la maggiore multinazionale al mondo e noi non saremmo un paese in svendita), lui che tenne testa agli americani nella vicenda dell’Achille Lauro, negando loro l’accesso al nostro territorio per attaccare i sequestratori della nave, terroristi palestinesi, e portando avanti le trattative con i terroristi nonostante il veto del presidente Reagan… Certo è che Craxi, dopo l’inizio di Tangentopoli, dovette rassegnare le dimissioni a febbraio del 1993…Guarda caso…

E, infatti, proprio qualche anno prima Craxi era stato duramente criticato dagli ambienti angloamericani, quegli stessi che non si privano mai d’interferire nella nostra politica interna, proprio di “ingerenza dello Stato in economia” - per voce dei loro accoliti Andreotti, Spadolini, Cossiga - perché aveva decretato la fine del mandato di Enrico Cuccia come presidente di Mediobanca (di cui divenne però presidente onorario), e perché si era opposto alla vendita dello SME, il complesso alimentare dell’IRI, negoziato direttamente dal suo presidente Romano Prodi ma smentita da una direttiva del Governo.
Mediobanca, secondo il sito e movimento internazionale Movisol (http://www.movisol.org/draghi4.htm ) “fu posta sotto il controllo di fatto della Lazard Frères [altra azionista della Fed Res] di Londra, una banca che è proprietà di un raggruppamento estremamente influente dell’establishment britannico, il Pearson Group PLC (…) che controlla anche la rivista “The Economist” e il quotidiano “Financial Times”. Nel piano di spartizione del bottino della seconda guerra mondiale "l'Italia, occupata dalle potenze occidentali, sarebbe diventata un'area in cui avrebbe predominato l'influenza britannica", influenza che nel frattempo è scesa a patti con la grandeur della Francia….

Ma tornando agli angli, era quindi chiaro che per potere procedere alle privatizzazioni bisognava togliere di torno una classe politica che mostrava i muscoli davanti a certe velleità statunitensi di comandare a casa nostra, e soprattutto che non voleva mollare l’osso – o il malloppo - per lasciare posto a una classe di tecnici, fedeli servitori delle banche e dei circoli finanziari angloamericani, il cui motto era “privatizzare per saccheggiare”. Quella della condizione di tecnicità per accedere al potere fu un imperativo talmente tassativo, da riuscire nell’intento di dividere il PCI, con una fetta che divenne sempre più “tecnica”, sempre più British, sempre più amica delle banche, sempre più …PD…

Il premio di tutta questa svendita, prevista per filo e per segno in tanto di Libri sulle privatizzazioni dai governi tecnici, o di sinistra che dir si voglia (a firma di Amato o di Visco) fu la nostra “entrata in Europa”, demagogicamente parlando, o la cessione della nostra già minata sovranità monetaria dalla Banca d’Italia alla Banca centrale europea SA per una moneta, l’euro che, con il tasso iniziale di cambio imposto euro-Lira troppo elevato fu penalizzante per le nostre esportazioni.

Senza più la possibilità di emettere moneta quando il governo lo reputi giusto, con la possibilità di vendere i titoli del debito pubblico in mani istituzionali estere e private (fino al 2006 il nostro debito doveva rimanere in mani pubbliche e nazionali), senza neanche un governo economico a livello europeo che possa controllare quella banda di imbroglioni, è come se ci avessero improvvisamente messo sulla piazza pubblica per venderci al mercato degli schiavi…

E non c’è l’ombra di un dubbio che nel nostro indebitamento crescente vi sia la mano invisibile di qualche regia occulta, occulta ad esempio come i British Invisibles, che organizzarono appunto la riunione sul panfilo, occulta come alcuni azionisti che si nascondono nelle partecipazioni incrociate e a catena e di cui mai si riescono a scoprire i nomi. O come i mandanti di Soros che speculò sulla Lira per svalutarla, facendoci uscire dallo SME (Sistema monetario europeo) proprio per ostentare lo spauracchio del rischio di “non entrare in Europa”.
L’anno 1992 fu davvero un anno cruciale per il destino del nostro paese, tant’è vero che quando Amato divenne presidente del Consiglio qualche giorno dopo l’incontro sul panfilo, con il decreto 333 dell’11 luglio trasformò in SpA le aziende di Stato IRI, ENI, INA ed ENEL e mise in liquidazione l’Egam. In quell’anno, quando Amato dovette far fronte alla speculazione contro la Lira di Soros, utilizzò 48 milioni di dollari delle riserve della Banca d’Italia, dopo avere operato un prelievo forzoso dell’8 per mille dai conti correnti degli italiani. Sempre in quell’anno mise in liquidazione l’Efim, le cui controllate passarono all’IRI e trasformò le FS in SpA. Sempre nel 1992 Draghi, Direttore del Tesoro preparò la Legge Draghi che entrerà in vigore nel 1998 con il governo Prodi e si predispose una legge per permettere la trattativa privata nella cessione dei beni pubblici qualora fosse in gioco “l’interesse nazionale”….

Prodi, che dal 1990 al 1993 fu consulente della Unilever e della Goldman Sachs, quando nel maggio del 1993 ritornò a capo dell’IRI riuscì a svendere la Cirio Bertolli alla Unilever al quarto del suo prezzo e a collocare le azioni che le tre banche pubbliche, BNL (diventanta della BNP Paribas), Credito italiano e Comit detenevano in Banca d’Italia, privatizzando il 95% della stessa.

Indovinate chi scelse come "Advisor"?
Uomini della Goldman, nel senso che vi hanno lavorato sono, oltre a Costamagna e Prodi, Monti (catapultato alla carica di Commissario), Letta, Tononi e naturalmente Draghi. Sicuramente ce ne sono altri; molti nostri uomini politici se non lavorano per la Goldman, lavorano per l'FMI, come Padoa Schioppa, presidente della BEI, Banca europea per gli Investimenti.

Queste sono informazioni che dovrebbero essere spiegate in lungo e in largo dalla stampa, e sicuramente superate dagli avvenimenti - tranne articoletto del Corriere sopra - e invece sono state, e lo sono tutt'ora, accuratamente occultate al grande pubblico, anche se per quelli che gli altri si divertono a chiamare complottisti, per denigrarne le parole, è storia arcinota.


Ultima modifica di greenwarrior il 19/09/2012, 18:48, modificato 1 volta in totale.


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MessaggioInviato: 19/09/2012, 18:51 
[size=125][b]Documentazione riepilogativa sul complotto del Britannia[/b][/size]

14 gennaio 1993
La strategia anglo-americana dietro le privatizzazioni in Italia: il saccheggio di un'economia nazionale

http://www.frontediliberazionedaibanchieri.it/article-documentazione-riepimplotto-del-britannia-1-parte-89283110.html

Documento diffuso dall'Executive Intelligence Review e dal Movimento Solidarietà

Il 2 giugno 1992, a pochi giorni dall'assassinio del giudice Giovanni Falcone, si verificava in tutta riservatezza un altro avvenimento che avrebbe avuto conseguenze molto profonde sul futuro del Paese. Il «Britannia», lo yacht della corona inglese, gettava l'ancora presso le nostre coste con a bordo alcuni nomi illustri del mondo finanziario e bancario inglese: dai rappresentanti della BZW, la ditta di brockeraggio della Barclay's, a quelli della Baring & Co. e della S.G. Warburg. A fare gli onori di casa era la stessa regina Elisabetta II d'Inghilterra. Erano venuti per ricevere alcuni esponenti di maggior conto del mondo imprenditoriale e bancario italiano: rappresentanti dell'ENI, dell'AGIP, Mario Draghi del ministero del Tesoro, Riccardo Gallo dell'IRI, Giovanni Bazoli dell'Ambroveneto, Antonio Pedone della Crediop, alti funzionari della Banca Commerciale e delle Generali, ed altri della Società Autostrade.

Si trattava di discutere i preparativi per liquidare, cedere a interessi privati multinazionali, alcuni dei patrimoni industriali e bancari più prestigiosi del nostro paese. Draghi avrebbe detto agli ospiti inglesi: "Stiamo per passare dalle parole ai fatti". Da parte loro gli inglesi hanno assicurato che la City di Londra era pronta a svolgere un ruolo, ma le dimensioni del mercato borsistico italiano sono troppo minuscole per poter assorbire le grandi somme provenienti da queste privatizzazioni. Ergo: dovete venire a Londra, dove c'è il capitale necessario.

Fu poi affidato ai mass media, ed al nuovo governo Amato, il compito di trovare gli argomenti, parlare dell'urgente necessità di privatizzare per ridurre l'enorme deficit del bilancio. Al grande pubblico, sia il governo che i mass media hanno risparmiato la semplice verità che il "primo mobile" dietro tutto il dibattito sulle privatizzazioni è costituito dalle grandi case bancarie londinesi e newyorkesi. L'obiettivo è semplicemente quello di prendere il controllo di ogni aspetto della vita economica italiana sfruttando le numerose scuse di ingovernabilità, corruzione, partitocrazia, inefficienza, ecc.

Prima di esercitarci a calcolare quante lirette il ministero del Tesoro potrebbe ottenere dalla svendita dell'ENI, dell'IRI ecc., cerchiamo di mettere in luce i presupposti filosofici dei banchieri londinesi e dei loro associati newyorkesi della Goldman Sachs, Merrill Lynch e Salomon Brothers e dei loro sostenitori nel Fondo Monetario Internazionale, nell'OCSE e nel mondo dei mass media. Queste grandi finanziarie di New York e Londra su cui si fonda il potere anglo-americano gestiscono il gioco della liberalizzazione dei mercati internazionali. Ne scrivono e riscrivono le regole per massimizzare di volta in volta i profitti. A Bruxelles contano su sir Leon Brittan, fratello del Samuel Brittan direttore del Financial Times. Fino al gennaio 1993 Leon Brittan è stato Commissario della CEE per la Politica di Concorrenza ed è l'autore delle regole bancarie ed assicurative che hanno favorito Londra, tanto criticate sia dalla Germania che dagli altri paesi membri della CEE. Sir Leon era un esponente del governo della Thatcher quando improvvisamente, nel gennaio del 1986, si dimise per andare a Bruxelles.

Nonostante le illusioni di grandeur, Parigi è un centro finanziario che non può tener testa alla prepotenza anglo-americana, e lo stesso discorso vale per i finanzieri di Francoforte, così come quelli del Sol Levante. Pur disponendo delle maggiori istituzioni bancarie e assicurative, il Giappone non è in grado di offrire una valida resistenza alle manipolazioni finanziarie anglo-americane.

La globalizzazione e il "Big Bang" londinese

La formula che gli anglo-americani tentano oggi di spacciare ai governi di tutto il mondo, convincerli cioè a svendere i patrimoni dello stato per ottenere qualche liquido con cui far fronte al dissesto del bilancio ed al tempo stesso "promuovere la competitività", fu collaudata dalla finanza londinese alla fine del 1979, in particolare dalla N.M. Rothschild & Co., che coordinò la svendita generale per conto del governo della "Lady di Ferro".

Così un ristretto gruppo di finanzieri ha dominato per quasi 12 anni l'economia inglese. Principalmente si tratta di esponenti della Società Mont Pelerin, come i consiglieri della Tatcher Karl Brunner, sir Alan Walters, lord Harris of High Cross ed altri ancora. La Società Mont Pelerin è stata presieduta internazionalmente fino a poco tempo fa dall'economista arciliberista Milton Friedman, ascoltatissimo dal Presidente Ronald Reagan.

Friedman è l'architetto della politica economica imposta al Cile dalla dittatura di Augusto Pinochet. Essa si riduce all'idea di tenere il governo fuori da ogni intervento e lasciare che gli interessi privati facciano il bello e cattivo tempo. Friedman fece scalpore quando propose che l'eroina e gli altri stupefacenti venissero considerati alla stregua di una "merce" normale, in modo da permettere al consumatore di "scegliere liberamente" se acquistarla o meno.

Sotto la rivoluzione "liberistica" imposta dalla Thatcher sono state messe all'asta le imprese migliori dell'Inghilterra, dalla British Petroleum alle compagnie del gas e dell'acqua, fino alla industria militare Vickers. Da quando la Thatcher è stata costretta ad andarsene vengono pian piano alla luce informazioni sempre più precise di come ad arricchirsi spudoratamente in quella "privatizzazione" furono principalmente gli amici della Lady di Ferro.

D'altro canto quel "collaudo" dimostra come non sia affatto vero che l'industria, una volta privatizzata, diventi più efficiente. Dopo 13 anni di thatcherismo, quella britannica è la più arretrata tra le grandi economie europee. Negli investimenti per la Ricerca e Sviluppo del settore macchine industriali ed automobile, l'Inghilterra è stata superata anche dall'Italia. L'essenza del "liberismo" thatcheriano è dare la priorità assoluta alla finanza, a scapito dello sviluppo industriale dell'economia nazionale.

Questa degenerazione britannica toccò il fondo nell'ottobre del 1986, quando il governo decretò la completa deregolamentazione finanziaria della City di Londra, che fu chiamata il "Big Bang". Poco meno di un anno dopo, la borsa di Londra crollò insieme a tutte le altre, travolte dalla frenetica spirale di speculazioni e truffe da essa iniziata.

In Inghilterra il “problema” delle ditte di proprietà statale, come la British Leyland o la Jaguar, non era il fatto che esse fossero di proprietà dello stato, ma piuttosto che questo stato, amministrato dal governo della Thatcher, non volle impegnarsi in una oculata politica di pianificazione degli investimenti industriali, cosa caratteristica ad esempio del MITI in Giappone, perché quel governo esprimeva gli interessi dell'alta finanza e non quelli delle capacità produttive del paese. Oggi però dovrebbe essere chiaro anche ai non addetti che la deregolamentazione finanziaria londinese ha inesorabilmente portato alla rovina economica nazionale. L'Inghilterra versa nella peggiore crisi economica dagli anni Trenta, con la disoccupazione che è tornata ai livelli del 1979, quando si insediò la Thatcher. Il deficit del bilancio lievita ad un tasso annuale del 7% del PNL.

Però, contrariamente alla situazione del 1979, oggi il governo britannico non dispone più di una propria base industriale con cui mettere in moto tutta una serie di investimenti nel settore industriale.

Ma, a prescindere dal saccheggio compiuto da sir Jimmy Goldsmith, Jacob Rothschild, lord Hanson e compagnia dietro il paravento del "liberismo ad oltranza", la privatizzazione decisa della Thatcher va collocata nel contesto della strategia anglo-americana per aprire altre regioni economiche a forme molto sofisticate di saccheggio neo-coloniale, perpetrato con la "mano invisibile" tanto cara alle teorie liberistiche. Questa "mano invisibile" anglo-americana regola i meccanismi di fusioni ed acquisizioni operate da altri governi nella misura in cui questi sono così stupidi e sprovveduti da richiedere e pagare profumatamente "consulenze finanziarie" proprio a quella cricca di finanzieri.

Alla fine degli anni Settanta, quando a Londra la Thatcher cominciò lo scontro col sindacato per ridurre i salari e cominciò a svendere le imprese statali ai suoi amici, a Wall Street gente come Donald Reagan, presidente della Merrill Lynch, e Walter Wriston, capo della Citicorp, si impegnarono a lanciare una "rivoluzione finanziaria" sulla stessa falsariga che in America fu chiamata "deregolamentazione dei mercati finanziari".

Quando Ronald Reagan diventò presidente nel 1981, e prestò ascolto a Milton Friedman, la deregulation fece innumerevoli proseliti a Washington. Nei 12 anni che seguirono, fino alla sconfitta di George Bush nel novembre del 1992, Washington voltò le spalle ad una ben dosata politica di supervisione e regolamentazione governativa di attività particolarmente importanti come quella delle compagnie aree e degli autotrasporti, per non parlare dell'economia in generale. Le leggi che erano state escogitate negli anni della Grande Depressione per proteggere la proprietà di piccoli risparmiatori e azionisti furono abrogate o ignorate negli anni Ottanta per fare spazio alla "legge del Far West" che prevede la sopravvivenza del più cattivo.

Negli anni ruggenti della deregulation la filosofia negli USA era "tutto è ammesso, dillo con i soldi". Così al crimine organizzato fu permesso di reinvestire i proventi illeciti nei regolari flussi finanziari, per poterli così usare nelle scalate speculative a Wall Street condotte da gente come Mike Milken, Ivan Boesky ed altri. Grazie al proliferare delle "obbligazioni spazzatura", o altre tecniche speculative, si potevano acquisire imprese sane i cui nuovi proprietari trascuravano la politica di sviluppo a lungo termine su cui cresceva l'impresa, cercando solo di realizzare profitti a breve termine. Fu così che la TWA Airlines finì in mano a Carl Icahn, uno speculatore della banca Drexel. In questi anni Ottanta, i principali istituti finanziari di Londra e New York, come la S.G. Warburg, la Barclays, la Midland Bank, la Citicorp, la Chase Manhattan, la Goldman Sachs, la Merrill Lynch, la Salomon Bros., lanciarono la "globalizzazione dei mercati finanziari". Il presupposto di partenza era che se tutti i paesi avessero abolito i controlli sui flussi di capitali ed altri meccanismi, la nuova finanza anglo-americana avrebbe potuto accedere a nuovi, grandi spazi economici, altamente profittevoli. I grandi nomi della finanza erano alla caccia di nuovi organismi sani su cui esercitare la propria distruttiva opera parassitaria, e così sedussero molti ambienti bancari, sia europei che giapponesi, a rinunciare alla naturale diffidenza per unirsi al gioco speculativo anglo-americano e "vincere".

Uno dei sofismi utilizzati a questo proposito era quello che descriveva il sistema finanziario del paese preso di mira come "superato", "obsoleto", "non abbastanza dinamico"; insomma, da riformare per promuovere la nuova ondata di finanza creativa. Così l'intera Europa fu accusata di soffrire di "Eurosclerosi". Tutti i trucchi sono buoni per costringere le economie nazionali a sollevare le barriere protettive e permettere alla finanza anglo-americana di dilagare su ciò che essa definiva mercati "arretrati" o "provinciali" e sfruttare la maggiore scaltrezza finanziaria per saccheggiarli.

La grande speculazione e la finanza angloamericana

Il vero e proprio inizio di questa dissennata corsa alla deregulation e alla "globalizzazione" dei mercati finanziari in stile thatcheriano, a cui assistiamo attualmente in Italia, risale alla fine degli anni '60, inizio anni '70. A partire da quel periodo, le grandi banche internazionali americane, come la Chase Manhattan e la Citicorp, iniziarono a cercare nuovi impieghi del capitale che fruttassero alti profitti, in quanto gli investimenti nell'economia interna americana non erano così profittevoli come quelli all'estero. Nel 1971, decine di miliardi di dollari avevano già abbandonato gli Stati Uniti ed erano approdati in Europa. L'astuto Sir Siegmund Warburg, presidente della omonima e celebre banca britannica (la stessa a cui il ministro del Tesoro Barucci si è recentemente rivolto per stimare il valore immobiliare dell'IMI), si recò allora a Washington per convincere il Tesoro e il Dipartimento di Stato USA a far rimanere all'estero quei capitali, in modo che Londra potesse usarli per ripristinare il ruolo di "banchiere mondiale" che la City aveva svolto fino al 1914. È ironico che il primo prestito in "Eurobbligazioni" sottoscritto da Siegmund Warburg fosse quello di 15 milioni di dollari lanciato dalla Società Autostrade dell'IRI.

La vera trovata di Warburg fu però l'uso dei dollari espatriati in Europa, i cosiddetti "Eurodollari", che si rivelarono l'innovazione finanziaria più destabilizzante degli anni settanta. Il Presidente Nixon, seguendo il consiglio di George Shultz e Paul Volcker, annunciò il 15 agosto 1971 che da quel momento in poi Washington e la Federal Reserve, la banca centrale USA, si sarebbero rifiutate di riscattare in oro i dollari posseduti dalle altre banche centrali. Washington stracciò, con atto unilaterale, gli accordi di Bretton Woods del 1944 che stabilivano l'ordine monetario postbellico. Di colpo, il mondo si ritrovò ostaggio di un regime di "tassi di cambio fluttuanti" che trasformò il sistema monetario basato sul dollaro in una gigantesca arena speculativa.

Nel maggio 1973, sei mesi prima che scoppiasse la "crisi petrolifera", l'oligarchia politico-finanziaria angloamericana si riunì segretamente nella località svedese di Saltsjoebaden per discutere la fase successiva del "ricatto" esercitato per mezzo del dollaro sull'economia mondiale.

Tra gli ospiti di quel ristretto gruppo di potenti, riuniti sotto l'egida del Club Bilderberg, c'era il Presidente della FIAT Gianni Agnelli. Si discusse che bisognava persuadere l'OPEC ad aumentare il prezzo del petrolio del 400%. Dato che dal 1945 il petrolio si acquistava solo con dollari, la mossa avrebbe automaticamente quadruplicato la domanda di dollari sul mercato internazionale.

Henry Kissinger, un altro ospite della riunione segreta del Bilderberg, battezzò l'idea col nome di "riciclaggio dei petrodollari". I suoi interlocutori, come Lord Richardson della British Petroleum, Robert O. Anderson dell'americana Atlantic Ritchfield Corporation (ARCO) o lo svedese Marcus Wallenberg, non erano interessati a discutere come impedire i catastrofici effetti sull'economia mondiale derivanti da un quadruplicamento del prezzo del petrolio, ma, piuttosto, l'intera discussione in quella sperduta località della Svezia ruotò attorno all'idea di come assicurare che poche, scelte banche americane controllassero la nuova ricchezza dei "petrodollari" in mano araba. Si trattava quindi di come aumentare il potere nelle mani delle banche di Londra e New York, del cartello petrolifero e dei loro amici europei, alle spese del resto del mondo.

Negli anni '80, dopo due crisi petrolifere e l'equivalente shock della stretta creditizia pilotata da Paul Volcker alla guida della Federal Reserve (1979-1982), la deregulation finanziaria di Thatcher e Reagan creò, nel contesto di un valore "fluttuante" del dollaro e del riciclaggio di prestiti in petrodollari che rifinanziavano il deficit dei paesi del Terzo Mondo, la cornice per un nuovo riciclaggio, quello dei narco-dollari. La liberalizzazione delle transazioni finanziarie in Europa e negli Stati Uniti negli ultimi dieci anni è servita infatti ad aprire le porte al riciclaggio dei proventi illeciti della droga, che nel 1990 si stimava in un valore tra i 600 e i 1000 miliardi di dollari.

La Lugano connection

A questo punto occorre dedicare qualche riga alle finanziarie di Wall Street che svolgono un ruolo decisivo nella "privatizzazione" delle imprese pubbliche italiane. Sono tre le ditte impiegate all'uopo come "consulenti" del governo Amato: Goldman Sachs, Merrill Lynch e Salomon Brothers. Lo stesso ministro dell'Industria Giuseppe Guarino, contrario a una "svendita" del patrimonio industriale raccolto nelle ex Partecipazioni Statali, sembra riporre fiducia in queste tre finanziarie, i cui dirigenti incontrò il 17 settembre scorso nel corso di un viaggio a New York.

Sono molti attualmente a ritenere la Goldman Sachs la più potente finanziaria di Wall Street, posizione conquistata almeno a partire dal 1991, quando scoppiarono gli scandali di "insider trading" che la coinvolgevano assieme alla Salomon Brothers. Il presidente della Goldman Sachs, Robert Rubin, sarà il capo del Consiglio per la Sicurezza Nazionale del Presidente Clinton. Quel posto dovrà essere un "ufficio di guerra economica" in stile britannico, per fronteggiare quelli che l'ex capo della CIA William Webster chiamò "gli alleati politici e militari dell'America che sono i suoi rivali economici". Rubin non è il primo dirigente della Goldman Sachs che ricopre una carica nel governo americano. Prima di lui l'attuale vicepresidente, Robert Hormats, fu consigliere di Henry Kissinger al Dipartimento di Stato e un altro "senior partner", John Whitehead, fu sottosegretario di Stato con Ronald Reagan. La Goldman Sachs é uno dei più influenti manipolatori del prezzo del petrolio e del valore delle monete, che determina tramite la sussidiaria J. Aron & CO., che opera sul mercato delle merci e dei "futures". La Goldman Sachs ha rafforzato la sua presenza in Italia aprendo nel 1992 un "ufficio operativo" a Milano. Più avanti vedremo il ruolo cruciale che essa ha svolto nella crisi della lira e nella partita delle privatizzazioni.

La Salomon Brothers domina, assieme alla Goldman Sachs, il commercio di greggio mondiale. La Salomon possiede anche la svizzera Phibro (Philipp Brothers), che opera nel settore delle materie prime. Nel 1989 la Phibro fu coinvolta in un caso di riciclaggio di milioni di dollari ricavati dalla vendita di cocaina negli Stati Uniti. I soldi venivano riciclati dalla banda chiamata "La Mina", che lavorava per il cartello della coca colombiano, nella Phibro Precious Metal Certificates.

Dopo gli scandali di "insider trading" e speculazione su Buoni del Tesoro USA scoppiati nel 1991, a cui abbiamo accennato sopra, ci fu un completo rinnovo dei vertici della finanziaria. Il nuovo presidente, attuale azionista di maggioranza, è Warren Buffett, originario di Omaha, Nebraska.

Buffett, oltre ad essere amico intimo di George Bush, è anche il principale azionista del Washington Post e della rete televisiva ABC. Egli possiede vasti interessi anche nell'American Express (del cui consiglio di amministrazione fa parte Henry Kissinger) e nella Wells Fargo Bank.

Lo stesso Buffett si dice sia implicato in uno scandalo di pedofili del Nebraska che facevano capo, fino alla fine degli anni '80, al finanziere repubblicano Larry King, della banca Franklin Credit Union. Buffett era il patrocinatore e il sostenitore di King. La Warren Buffett Foundation, la fondazione intestata a suo nome, finanzia cause antidemografiche, come quelle lanciate da organizzazioni americane come Negative Population Growth, Planned Parenthood, l'Associazione per la Sterilizzazione Volontaria e il Population Council.

La Merrill Lynch è famosa per il ruolo che svolse in una sensazionale operazione di riciclaggio del denaro tra l'Italia, la costa orientale degli Stati Uniti e Lugano. Si tratta della "Pizza connection", che portò al processo in cui la famiglia mafiosa newyorchese dei Bonanno fu accusata di aver riciclato circa 3,5 miliardi di dollari fino a quando fu arrestata, nel 1984. I Bonanno avevano usato, per i loro traffici, la sede centrale di New York e gli uffici di Lugano della Merrill Lynch. L'aspetto più sconcertante del processo sulla “Pizza connection” in Svizzera e a New York è che essi ignorarono completamente la complicità dei vertici della Merrill Lynch. All'epoca del processo il ministro del Tesoro americano, responsabile per le ispezioni sul riciclaggio del denaro, era l'ex presidente della Merrill Lynch Donald Reagan. Il processo si concluse con alcune multe nei confronti di funzionari minori della sede luganese della finanziaria americana, e la storia finì lì. Come è noto, la Merrill Lynch é stata incaricata dall'IRI, il 9 ottobre scorso, di preparare la privatizzazione del Credito Italiano.

Abbiamo fin qui identificato alcuni fatti poco noti che riguardano le tre finanziarie di Wall Street chiamate a svolgere un ruolo decisivo nella valutazione e nella stessa privatizzazione delle imprese pubbliche italiane. Queste finanziarie accedono a dati di grande importanza e delicatezza che riguardano alcune delle più valide imprese europee e si posizionano in assoluto vantaggio come "consiglieri per la privatizzazione". Naturalmente, tutto secondo una rigida etica professionale e senza conflitti di interesse!

Moody's e la guerra della lira

Quasi in contemporanea con la nomina del governo Amato, l'agenzia di "rating" newyorchese Moody's annunciò, con la sorpresa di molti, che avrebbe retrocesso l'Italia in serie C dal punto di vista della credibilità finanziaria. Questo, senza che le cifre del debito italiano fossero cambiate drasticamente (la tendenza al deficit era nota almeno da due anni) e senza alcun rischio di insolvenza da parte dello stato. La giustificazione di Moody's fu che il nuovo governo non dava sufficienti garanzie di voler apportare seri tagli al bilancio dello stato. Negli ambienti finanziari internazionali, Moody's è famosa perché usa come arma "politica" la sua valutazione di rischio, tale che beneficia interessi angloamericani a svantaggio di banche rivali o, come nel caso dell'Italia, di intere nazioni. Il presidente della Moody's, John Bohn, ha ricoperto un'alta carica nel ministero del Tesoro USA sotto George Bush.

La mossa di Moody's costrinse il governo Amato ad alzare i tassi d'interesse sui BOT per non perdere gli investitori. Essa segnalò anche l'inizio di una guerra finanziaria contro la lira. Secondo fonti ben informate, i più aggressivi speculatori contro la lira, nell'attacco del luglio scorso, furono la Goldman Sachs e la S.G. Warburg di Londra. Ribadiamo che la speculazione ebbe un movente principalmente politico, non finanziario, e che, purtroppo, ebbe successo. L'Italia fu costretta ad abbandonare lo SME e il governo varò un piano di tagli e annunciate privatizzazioni per ridurre il deficit.

Ciò che Amato non ha mai detto è che la svalutazione della lira nei confronti del dollaro ha dato agli avventurieri della Goldman Sachs e delle altre finanziarie di Wall Street un grande "vantaggio". Calcolato in dollari, l'acquisto delle imprese da privatizzare è diventato, per gli acquirenti americani, circa il 30% meno costoso. Lentamente, specialmente dopo l'ultimo attacco speculativo dell'inizio dell'anno, la lira si va assestando sul valore "politico" di circa 1000 lire a marco, esattamente il valore indicato dalla Goldman Sachs nel luglio scorso come “valore reale” della moneta italiana.

Come mai questa "coincidenza"? Come mai la finanziaria newyorchese ha appena aperto un ufficio operativo in un paese che secondo i suoi criteri sprofonda nella crisi? Come mai un economista come Romano Prodi, "senior adviser" della Goldman Sachs, suggerisce di privatizzare alla grande, vendendo tutte e tre le banche d'interesse nazionale (Banca Commerciale, Credito italiano, Banca di Roma), più il San Paolo di Torino, il Monte dei Paschi di Siena e l'Ina (Convegno presso l'Assolombarda il 30 settembre 1992)?

Lo stesso Prodi, che nel passato è stato a capo dell'IRI, oggi sembra aver sposato completamente la causa neoliberista angloamericana, tanto da aver proposto, a metà novembre, che l'Europa applichi verso i paesi dell'est una politica simile a quella dell'accordo di libero scambio siglato tra Stati Uniti, Messico e Canada (NAFTA). Un tale trattato darebbe il via libera alle grandi imprese per trasferire le loro attività all'est, dove la forza lavoro costa meno (è quanto è avvenuto ai confini tra Stati Uniti e Messico). Ciò aggraverebbe la crisi all'ovest e condurrebbe, nel medio-lungo termine, ad un abbassamento della produttività anche all'est, dato che la manodopera sottopagata è anche meno qualificata.

Il governo italiano deve scartare una simile politica, così come deve abbandonare il circolo vizioso dei tassi d'interesse alti che, per difendere la moneta, alimentano lo stesso deficit che si dichiara di voler combattere. Tra il giugno e il settembre scorso, i tassi sono aumentati paurosamente, da circa l'11% al 20% prima che la lira abbandonasse lo SME. Tuttora la Banca d'Italia mantiene il tasso d'interesse al 13%. Tenuto conto che ogni punto di aumento degli interessi si traduce in 15.000 miliardi in più sul debito dello stato a breve termine, il governo italiano è stato messo alle corde dagli speculatori angloamericani (e dai loro complici italiani) aumentando la pressione per privatizzare a prezzi di svendita.

Andando avanti su questa strada, l'Italia commetterà un suicidio economico. La sola via d'uscita è l'adozione di una politica creditizia nazionale del tipo che ai tempi di Enrico Mattei si sarebbe considerata ovvia. Occorre ripristinare il controllo sui cambi, congelare una parte del debito con una moratoria di 10-15 anni (salvaguardando naturalmente gli interessi dei piccoli risparmiatori), parallelamente all'avvio di una aggressiva politica di investimenti, favorita da crediti agevolati, nelle infrastrutture moderne, in concerto con i partner europei. Per far ciò, occorre che lo stato si riappropri della piena sovranità monetaria, il che significa che per finanziare gli investimenti esso non debba bussare alla porta della Banca d'Italia, la quale ha finora, incostituzionalmente, battuto moneta a nome dello stato per poi rivendergliela a tassi "di mercato", cioè da usura. I motivi che hanno portato al "divorzio" tra il Tesoro e la Banca d'Italia, e cioè l'improduttivo finanziamento del debito, esistono, ma combattere il malgoverno non significa eliminare il governo. Perciò occorre porre fine al "divorzio" tra Bankitalia e Tesoro.

Una efficace repressione dell'attività di riciclaggio del denaro da parte della mafia, compreso quello investito nei BOT, accompagnata da un astuto cambio della moneta (la famosa “lira pesante”), darebbe alle istituzioni dello stato una posizione di forza e la credibilità e la fiducia popolare. L'alternativa è il caos e la guerra civile.

28 giugno 1993
Come difendere l’industria nazionale dalla speculazione e dalle svendite indiscriminate

Ampia rappresentanza delle forze politiche italiane alla conferenza del Movimento Solidarietà e dell'Executive Intelligence Review

Il Movimento Solidarietà e la Executive Intelligence Review hanno tenuto il 28 giugno 1993 a Milano, presso la sala FAST, una conferenza sul tema dell'economia, affrontando in particolare aspetti come le moderne tecniche di speculazione finanziaria, le privatizzazioni ed i grandi programmi di sviluppo.

La caratteristica forse più singolare della conferenza è stata la partecipazione dei rappresentanti di numerose forze politiche, anche disparate o divergenti, animati dal comune interesse di approfondire la conoscenza del pensiero economico dell'economista americano Lyndon LaRouche e di misurarsi con questo.

Da qui l'opportunità di dedicare il primo numero del bollettino della nuova associazione alla pubblicazione degli atti del convegno, per mettere a disposizione di un più vasto pubblico le analisi e le documentazioni che gli specialisti dell'EIR William Engdahl e Claudio Celani hanno esposto nelle loro relazioni, come pure gran parte dei numerosi contributi con i quali parlamentari, giornalisti e altri partecipanti hanno arricchito e animato il convegno.

"La speculazione selvaggia sui mercati internazionali e la «geopolitica» britannica sono le due facce della stessa medaglia oligarchica", ha affermato nella sua breve introduzione ai lavori il giornalista dell'EIR Paolo Vitali, moderatore della conferenza. Vitali ha sottolineato che le speranze di milioni e milioni di persone, a seguito della caduta dei regimi comunisti del 1989, non sono state tradite dal fatale sprigionarsi di eventi e forze che non subivano più le strettoie della divisione del mondo in rigide sfere d'influenza, come asseriscono certe teorie sociologiche, ma sono state negate da un preciso piano di destabilizzazione "geopolitico", che è partito ancor prima del crollo del muro di Berlino, e dalla incapacità e codardia delle forze politiche ed élite europee di reagire a questa nuova e precisa minaccia.

"L'economista e politico americano Lyndon LaRouche, che sconta innocente in un carcere del Minnesota da quasi cinque anni una montatura giudiziaria orchestrata dall'amministrazione Bush" - ha continuato Vitali - "ha tracciato tempo fa il paragone tra le situazione post 1989 con il periodo che precedette la Prima Guerra mondiale. A quel tempo l'oligarchia imperiale britannica sviluppò il concetto della «geopolitica» per far fronte alla minaccia rappresentata dalla potenzialità di sviluppo economico e sociale in tutta l'Europa continentale, l'«Eurasia». Due guerre mondiali, il Trattato di Versailles e l'accordo di Yalta, furono le dirette conseguenze di questa strategia «geopolitica»".
"Con l'avvicinarsi del crollo della Cortina di Ferro nel 1989, i circoli oligarchici anglo-americani decisero che bisognava a tutti i costi impedire che la riunificazione tedesca costituisse un trampolino di lancio per una nuova politica di indipendenza, integrazione e sviluppo economico per tutto il continente, ripristinando il progetto de Gaulle di «un'Europa dall'Atlantico agli Urali». Gli attacchi alla Germania come «Quarto Reich», partiti dalle più alte sfere londinesi, e fatti propri dai nazi-comunisti serbi, l'aggressione del Panama, la guerra del Golfo, le atrocità interminabili nell'ex Jugoslavia, la destabilizzazione economica dell'Est europeo con le folli «terapie d'urto» dei liberisti, l'eliminazione fisica di chi proponeva un piano alternativo di sviluppo, come il Presidente della Deutsche Bank Alfred Herrhausen, sono tutti aspetti di questa complessa e articolata strategia di destabilizzazione".

"Questa è la stessa trama destabilizzatrice che in Italia, soprattutto con gli eventi dell'ultimo anno, mira a frantumare le fondamenta stesse del nostro essere nazione sovrana indipendente. Guerre e destabilizzazioni, politiche economiche super liberiste, una speculazione selvaggia che ha trasformato i mercati finanziari internazionali in un'unica casa da gioco d'azzardo, sono elementi solidali di una strategia oligarchica, come contiamo di dimostrare, che o è fermata e sconfitta o può farci sprofondare, in un futuro tutt'altro che lontano, in un altro catastrofico conflitto".

La piaga della "finanza derivata" e l'economia dell'illusione

Discorso di William Engdahl, esperto economico dell'EIR di Wiesbaden, autore di «A Century of War», un libro che descrive il ruolo del petrolio come un'arma fondamentale nella politica anglo-americana dei Nuovo Ordine Mondiale.

L'Italia è vittima di una destabilizzazione sistematica ad opera di forze coordinate interne ed estere. La componente solitamente meno compresa è quella estera, rappresentata da un cartello di speculatori stranieri impegnati a distruggere il paese con denaro preso a prestito.

Nel 1948 l'Italia era considerata di importanza strategica nella NATO per arginare il diffondersi del comunismo in Europa, in particolare nei Balcani e nel Mediterraneo. In questo contesto di strategia geopolitica una crescita economica del Paese era ritenuta una componente essenziale.

Un discorso differente è invece quello che riguarda l' indipendenza dell'Italia. Howard K. Smith, un "insider" americano, parlò apertamente della spartizione del bottino della seconda guerra mondiale nel 1949 affermando: "Fino al 1946 le potenze vittoriose si sono disputate gran parte del vuoto lasciato da Hitler (...) l'Italia, occupata dalle potenze occidentali, sarebbe diventata un'area in cui avrebbe predominato l' influenza britannica".

Questo predominio fu rappresentato principalmente dall'influenza che la Mediobanca avrebbe assunto sotto Enrico Cuccia. La Mediobanca fu posta sotto il controllo di fatto della Lazard Freres di Londra, una banca che è proprietà di un raggruppamento estremamente influente dell'establishment britannico, il Pearson Group PLC. Il Pearson Group controlla anche la rivista «Economist» ed il quotidiano «Financial Times», che si sono recentemente distinti nella campagna di attacchi alle istituzioni economiche e politiche italiane.

Dal 1989 però, e dalla fine del regime comunista di Mosca, l'establishment anglo-americano si è reso conto del fatto che un'Italia economicamente stabile e collegata ad un'Europa continentale che si rafforza attorno ad una Germania riunificata e pro- spera non serviva più agli scopi di un'egemonia globale atlanticista, anzi, rappresentava una minaccia.

La crisi finanziaria in cui sia l'America che l'Inghilterra versavano nel 1989 si avvicinava alle dimensioni della Grande Depressione degli anni Trenta. Per far fronte all'erosione della propria egemonia gli anglo-americani adottarono ulna dottrina tanto semplice quanto folle: cercare in ogni modo di distruggere la stabilità dell'Europa continentale per impedire che essa potesse fungere da polo antagonista all'egemonia globale anglosassone.

Questo è il contesto in cui si colloca tutto ciò che viene fatto contro l'Italia ed il resto dell'Europa.

George Soros e la finanza derivata

Il crac della borsa di Wall Street, nell'ottobre del 1987, coincise con il lancio di una strategia radicalmente nuova da parte delle grandi finanziarie, quali la Salomon Brothers, Merrill Lynch, Morgan Stanley e di grandi banche americane quali la Citicorp, Bankers' Trust, J.P. Morgan & Co. Il crollo record di 508 punti dell'Indice Dow Jones, verificatosi il 19 ottobre 1987, fu causato da un'incredibile innovazione introdotta nelle transazioni finanziarie. Le grandi finanziarie acquistavano contratti a termine, i "futures", non di ditte specifiche, ma su interi indici delle azioni borsistiche. Le finanziarie di Wall Street ricorsero ad un trucco, acquistando le "futures" ad un costo inferiore del 10% rispetto alle azioni stesse, ed influenzando così un rialzo del prezzo delle azioni sul mercato di New York. Ma poteva funzionare anche nel- la direzione opposta. Questo portò alla bolla speculativa che esplose il 19 ottobre, con l'effetto acceleratore dei sistemi computerizzati. I computer di Wall Street erano stati preprogrammati in modo da vendere automaticamente al verificarsi di una caduta dei mercati. Fu un gioco che spinse i mercati finanziari verso una paralisi irreversibile, ma a quella paralisi non ci si arrivò solo grazie al precipitoso intervento stabilizzatore da parte delle Banche Centrali. Proprio qui stava il trucco escogitato a Wall Street: avevano inventato un sistema di gioco d' azzardo in cui non si rischia di perdere! Molto meno rischioso della gestione di un casinò a Las Vegas.

Il gruppo di Wall Street cominciò allora a sperimentare quest'arma terribile sulla borsa di Tokio. Nel novembre del 1989 l'Indice Nikkei Dow toccava i record storici di 39 mila Yen. Ma all'inizio dell'estate successiva quel valore era già dimezzato. A scatenare il tracollo furono le stesse case americane: Salomon Bros. Morgan Stanley, Merrill Lynch, Bankers Trust, Goldman Sachs, con un nuovo apporto dei brokers londinesi.

Una conseguenza delle operazioni per approfittare del drastico ribasso della borsa di Tokio (le cosiddette "put options" o "short-selling") fu il ritiro pressoché completo degli investimenti giapponesi nel resto del mondo, mentre le banche del Sol Levante versavano nella crisi peggiore del dopoguerra.

Nel frattempo Washington e Londra esercitavano notevoli pressioni sulle altre capitali del Gruppo dei Sette perché favorissero la "liberalizzazione" dei mercati finanziari e la partecipazione al "gioco globale". All'Uruguay Round dei negoziati GATT per la prima volta si discusse il libero scambio dei servizi finanziari.

Parallelamente alla "globalizzazione" dei mercati finanziari mondiali si verificò senza chiasso uno sviluppo estremamente importante.

Il direttore della Central Intelligence Agency William Webster decise di istituire una nuova sezione della CIA, il Directorate V. Annunciando la decisione a Los Angeles, Webster sottolineò l' importanza della tendenza alla "globalizzazione dei mercati finanziari internazionali" come un'area d'interesse per la nuova CIA. Finita l'era della guerra fredda, Webster vedeva una nuova missione per la CIA nello spionaggio contro "gli alleati politici e militari dell'America che al tempo stesso sono nostri concorrenti economici".

Dopo cinque anni di collaudi e affinamenti condotti a Tokio ed a Wall Street le tecniche innovative di Wall Street venivano sottoposte alla prova più ambiziosa: far crollare le valute nazionali, ad onta delle più autorevoli autorità bancarie centrali, mettendo i governi con le spalle al muro. A Wall Street furono introdotti nuovi strumenti finanziari che non avevano alcun collegamento concreto con il flusso reale di scambi commerciali e di investimenti. A questi strumenti fu dato il nome di "derivatives", o finanza derivata.

A Wall Street svilupparono le operazioni nel regno dei tutto astratto dei contratti finanziari a termine, che poi furono estese anche alle valute; si stabilì così un mercato di "futures" tra vari paesi e non solo nell'ambito di una sola borsa. Si scommette sul prezzo futuro di una valuta rispetto ad un'altra, ad esempio il marco rispetto al dollaro, oppure sul valore di un titolo di stato di un paese rispetto a quello di un altro, ad esempio entro una scadenza di 90 giorni.

Si tenga ben presente però che l'oggetto della compravendita non è un Buono del Tesoro italiano e un qualsiasi altro corrispettivo straniero, ma si scommette, così come si fa alle corse, sul loro valore entro una data scadenza.

Le grandi finanziarie di Londra e di Wall Street si attrezzarono con i sistemi di Contrattazione computerizzata che collegarono con le principali piazze finanziarie internazionali realizzando così la globalizzazione finanziaria di cui parlava Webster.

I nuovi contratti furono chiamati "derivati" in quanto il loro prezzo deriva da un titolo azionario o finanziario reale, o da una merce, ma non esiste un collegamento con la sua diretta proprietà. A Chicago, ad esempio, iniziarono la contrattazione di contratti a termine dell'indice del Nikkei Dow di Tokio, e lo stesso fecero da re. A Tokio non svolgevano contrattazioni simili e non ne capivano l'importanza. Gli sforzi del ministero delle Finanze nipponico per ottenere la cooperazione di Singapore a sospendere tali scambi fallirono in blocco. Gli organi d'informazione statunitensi e britannici criticarono quell'iniziativa giapponese come "passata di moda".

La Moody's crea l'ambiente controllato

Nei giorni successivi al "no" danese nel referendum del 2 giugno 1992 sul Trattato di Maastricht gli "insider" di Wall Street prepararono il grande attacco. Nel luglio 1992 gli operatori più importanti furono messi al corrente del fatto che "entro la fine dell'anno ciascuna moneta dello SME in Europa avrebbe cominciato a fluttuare liberamente". I manager delle finanziarie decisero pertanto di sbarazzarsi dei titoli e delle valute europee. Tra i candidati più ovvi per tale svendita spiccavano l'Italia, come pure l'Inghilterra.

Ciò di per sé però non bastava. Il rischio era troppo alto e bisognava andare invece sul sicuro, perché sullo SME vegliava uno schieramento di alcune tra le più potenti banche centrali del mondo, a partire dalla Bundesbank, legate da un patto di reciproca difesa. A questo punto si ricorse ai servigi della Moody's Investor Service, una ditta che stabilisce il "rating" a Wall Street, stabilisce cioè il grado di affidabilità dei titoli.

Anni addietro l'Italia aprì le porte agli investimenti stranieri, e vi fu costretta per finanziare il deficit, dando anche agli stranieri l'opportunità di acquistare Buoni dei Tesoro. Bastava allora convincere questi investitori stranieri che il debito statale italiano valesse poco più di quello di un paese come la Bolivia, ed essi si sarebbero precipitati a liquidare quei titoli, costringendo così la Banca d'Italia ad offrire tassi di interesse sostanzialmente più alti per i nuovi Bot.

Questo è il compito che la Moody's ha assolto a partire dal giugno dello scorso anno. Iniziò annunciando di aver posto il debito italiano nella lista del "credit watch", cioè sotto osservazione per una probabile retrocessione, benché non si stesse verificando alcuna crisi di solvibilità. Poi ci fu la serie di retrocessioni del debito italiano decretate dalla Moody's seguite ogni volta da un rialzo dei tassi di interesse che il Tesoro era costretto ad offrire agli acquirenti dei suoi titoli.

Ogni aumento dell'l% del tasso d'interesse sul vasto debito pubblico italiano significa un aumento medio del deficit governativo di circa 17 mila miliardi di lire, che in pochi minuti brucia i disperati tagli effettuati sulla spesa pubblica. Le nuove emissioni a tassi maggiorati erano interpretati dalla Moody's come un nuovo segnale di "inaffidabilità", e giù un altro votaccio sulla pagella dell'Italia. Si tratta evidentemente di un circolo vizioso deliberatamene messo in moto dalla Moody's che culminò nel settembre scorso!

Ma cos'è questa Moody's, questo ente privato che ha finito col decidere il destino di nazioni e governi sovrani? Chi gli conferisce tanta autorità? Perché ad esempio non ha dato pollice verso anche agli Stati Uniti, visto che il debito pubblico di quel paese ha superato i 4 mila miliardi di dollari?

Nel mondo finanziario la Moody's è famosa come "la più politica" agenzia di "rating". È presieduta da John Bohn, che nell'amministrazione di Bush era un funzionario ad alto livello del Tesoro. Mentre votava una retrocessione dopo l'altra dell'Italia l'estate scorsa la Moody's dava un rapporto molto positivo sulle grandi banche, come la Citicorp, che avevano esteso prestiti all'impero immobiliare canadese Olimpia & York di Paul Reichmann finito in una bancarotta clamorosa. I Reichmann erano legati politicamente ad Henry Kissinger, a lord Carrington ed all'oggi famoso George Soros. La Moody's e premurosa con gli amici.

La cosa è persino più palese. Proprietaria della Moody's è la Dun & Bradstreet Inc. che è anche proprietaria del Wall Street Journal. Nel consiglio d'amministrazione della Dun & Bradstreet figurano i principali direttori delle più importanti finanziarie di Wall Street che hanno condotto la speculazione contro la lira, e che sono anche quelle che al tempo stesso "prestavano consulenze" al governo italiano su come condurre il delicato processo di privatizzazione delle imprese di stato. II conflitto d'interessi è ovvio.

Nel consiglio d'amministrazione della M.J. Evans, strettamente legata alla Moody's, figura un personaggio che al tempo stesso è nel consiglio di amministrazione della Morgan Stanley ed un altro ancora, R.A. Hansen, figura nella direzione della ,J.P. Morgan e della Merrill Lynch! Un altro ancora è Charles Raikes, che è stato consigliere della Federal Reserve dal 1958.

George Leung, amministratore delegato della Moody's Investors Service, dichiarava su Financial World del 18 febbraio: "La gente è sempre più disillusa nei confronti del governi, sempre più preoccupata degli imbrogli e problemi che vede nei governi e finisce col cercare qualcuno che possa indipendentemente far luce su tanta confusione. Questo è il nostro ruolo". Questa dichiarazione d'intenti è anteriore alla campagna della Moody's contro l'Italia. Chi ha affidato alla Moody's il potere di decidere sulle nazioni? Nessuno. Moody's ha colmato il vuoto creatosi con la paralisi dei governi, costringendo ad accettare i propri diktat con la minaccia di voti sfavorevoli sul debito. La Moody's però ha solo preparato il terreno. L'attacco alla lira è stato sferrato dalla speculazione della finanza derivata, diretta a colpire il "fianco debole" dello SME.

George Soros ed i suoi amici

Con l'avvicinarsi in Francia della scadenza referendaria su Maastricht del 19 settembre,un raggruppamento di banche e speculatori di Wall Street, diretto da George Soros, uno strano personaggio di origine ungherese, lanciò una formidabile ondata speculativa per costringere la lira a svalutare ed uscire di conseguenza dallo SME.

Ecco come funzionò.

La finanza derivata, teniamolo presente, consiste in scambi in cui non si cedono o acquistano azioni o titoli reali, ma che rappresentano solo un accordo tra le due parti a compiere pagamenti ad una futura scadenza in rapporto al rendimento di una merce o una valuta. L'esempio tipico è dato da una banca che compie un'operazione commerciale "derivata" mettendo a disposizione soltanto il 10% dei valore nominale del contratto, cioè il deposito di garanzia. Grazie ai collegamenti personali con banche come la Citicorp di New York, George Soros è stato capace di far crollare la lira e la sterlina, come pure la corona svedese, il tutto soltanto con denaro preso a prestito, senza versare più del 5% per il margine di garanzia collaterale!

In sostanza Soros ha dato come garanzia soltanto 50 milioni di dollari di titoli per ottenere una linea di credito, dalla Citicorp ed altre banche, di un miliardo di dollari. Un prestito a tempi brevissimi, per scommettere sulla svalutazione forzata della lira nei giorni in cui in Francia si teneva il referendum! Il rapporto speculativo del suo denaro è stato di 20:1. Dal canto loro la Bundesbank, la Banca d'Italia e le altre banche per difendere la propria valuta hanno invece dovuto sborsare il prezzo completo degli acquisti. Si stima che la Bundesbank abbia speso a settembre 60 miliardi di dollari nelle varie operazioni di difesa delle monete dello SME. Utilizzando i "derivatives", Soros e Wall Street hanno potuto spuntarla sulla Bundesbank con soli 3 milioni di dollari (20:1) !

In una tipica operazione di swap con i "derivatives" condotta da Soros lo scorso autunno si sono acquistate lire con i dollari, le lire sono poi state convertite in marchi tedeschi al tasso fisso di cambio dello SME. Poi è stata la volta della Moody's a declassare l'Italia, mentre gli organi di informazione internazionali si davano da fare a descrivere la gravità della crisi economica e politica del paese. Le corporation hanno avuto paura ed hanno cominciato a vendere lire. La valuta italiana è così passata da 765 lire contro il marco all'inizio di settembre alle 980 lire solo quattro settimane più tardi.

A quel punto Soros poteva acquistare lire fortemente scontate (il 28% in meno) e ripagare il suo debito iniziale, prima che scadesse la data del suo contratto, per il quale aveva inizialmente versato solo il 5%. II profitto che ne ha ricavato si calcola sul 560%, cioè circa 280 milioni di dollari. Ma nessuna autorità di vigilanza sarebbe potuta intervenire perché l'operazione è stata condotta "fuori registro", o come si suoi dire "Over-the-Counter", direttamente tra le due parti interessate senza altre formalità.

Naturalmente, se la lira si fosse rivalutata del 5% l'impero di Soros sarebbe stato spazzato via all'istante. Soros però non è soltanto un giocatore d'azzardo "fortunato".

Intendo infatti spiegare che Soros è riuscito a condurre le sue recenti operazioni speculative in grande stile perché ha accesso alle informazioni più riservate dei centri di potere. Nel caso della crisi dello SME, come poteva sapere Soros quale delle 12 valute sarebbe stata colpita in quale giorno preciso?

Ex funzionari della Federal Reserve USA spiegano privatamente che Soros ha ricevuto informazioni riservate da parte di un amico che nella Federal Resene di New York lavora nel settore delle valute internazionali. La Fed di New York dispone, minuto per minuto, delle informazioni sull'andamento delle monete direttamente dalle banche centrali europee. Se Soros può disporre di tali informazioni il suo gioco è garantito.

Ma chi c'è dietro questo personaggio misterioso? Soros opera attraverso la Quantum Fund NV, una compagnia off-shore registrata nelle Antille Olandesi.

Opera insieme ad un raggruppamento internazionale che potrebbe essere chiamato il gruppo dei Rothschild. Nel consiglio di amministrazione della Quantum Fund figura Nils Taube, socio d'affari di lord Rothschild, e sir James Goldsmith, imparentato ai Rothschild. Altro membro del Quantum è Richard Katz che a Milano dirige la Rothschild Italia, S.p.A. Altri esponenti del Quantum sono Isidore Albertini della ditta di brocheraggio milanese Albertini & Co.; Alberto Foglia, capo della Banca del Ceresio di Lugano; e Edgar Picciotto, un socio di affari di Carlo de Benedetti. Picciotto dirige inoltre la CBITDB Union Bancaire Privée di Ginevra.

Si dice poi che al Quantum partecipino segretamente anche Marc Rich, uno svizzero latitante che operava nel settore dei metalli preziosi e del petrolio, ed il mercante di armi israeliano Shaul Eisenberg. Soros inoltre è colui che ha introdotto in Polonia ed in Russia il professore di Harward Jeffrey Sachs, il guru della terapia d'urto che causa il caos economico incontrollabile e profitti astronomici per gruppi ristretti di potere. Degno di nota è il fatto che Marc Rich ed Eisenberg sono stati tra gli investitori più attivi nell'Europa orientale e nel CSI a partire dal 1990.

Torniamo alla "Dottrina Webster" della CIA, promulgata nel 1989. All'epoca di Bush Washington era impegnata a sabotare l'unità economica europea. L'estate scorsa il governo USA fece strane dichiarazioni che ebbero l'effetto di scuotere le parità delle monete europee in rapporto al dollaro, come fase preliminare della crisi di settembre. Responsabile di quella operazione fu l'allora viceministro del Tesoro David Mulford, che oggi presiede la Credit Suisse First Boston di Wall Street. Prima di andare a Washington nel 1982 Mulford era uno dei direttori della Merrill Lynch, quando allora era presieduta da Donald Reagan, che andò anche lui a Washington come ministro del Tesoro sotto il Presidente Reagan.

Degno di nota è che una delle primissime nomine fatte dal Presidente Clinton riguarda Robert Rubin, presidente della Goldman Sachs, finanziaria più prestigiosa di Wall Street. Oggi Rubin è il Direttore dei nuovo Consiglio di Sicurezza Economica Nazionale della Casa Bianca. Esperti osservatori di Washington ritengono che il nuovo consiglio sia stato creato per coordinare l'applicazione della Dottrina Webster direttamente dalla Casa Bianca.

Le alte sfere della CIA, magari attraverso ex funzionari, hanno fatto opera di reclutamento nei consigli di amministrazione delle grandi finanziarie di Wall Street. Ai dirigenti delle finanziarie che accettano, la CIA impartisce un particolare addestramento ed essi tornano poi al loro mondo di Wall Street. Conosco personalmente un banchiere svedese che è stato invitato a Washington il novembre scorso ad un seminario dove l'ex capo della CIA William Colby teneva un discorso sul tema della nuova missione di spionaggio economico dei servizi segreti USA. Colby è personalmente impegnato a reclutare i dirigenti delle grandi finanziarie spiegando loro che adesso i mercati finanziari globali sono considerati un "area di interesse della sicurezza nazionale USA". Il seminario era sponsorizzato dalla Merrill Lynch e dalla Borsa di New York.

L'esplosione della finanza derivata

"Senza la crescita enorme delle operazioni speculative della finanza derivata la crisi dello SME non si sarebbe mai verificata", ha affermato recentemente un esperto banchiere europeo. Mentre nel 1987 le banche centrali furono in grado di difendere la stabilità dello SME a costi minimi, nel 1992 esse sono state ridotte all'impotenza dai meccanismi della finanza derivata.

Invece di svolgere una regolare attività di compravendita nei mercati a termine regolari, come quello di Chicago, dove le banche sono costrette a versare un deposito di garanzia ed a rendere nota quotidianamente la propria esposizione creditizia, i grandi di Wall Street eludono la sorveglianza del governo trattando direttamente, "Over the Counter", tra banca e banca o tra banca e finanziarie straniere. La transazione non figura nel bilancio della banca cosicché gli investitori non possono sapere quanto è il rischio che l'istituto in questione corre di fronte ad un crollo del già enorme mercato dei "derivatives".

La classifica dei grandi speculatori in "derivatives" era guidata lo scorso anno dalla Citicorp, che vantava operazioni per circa 1400 miliardi di dollari. Seconda era la Chemical Bank con 1300 miliardi di dollari, terze a pari merito la J.P. Morgan e la Bankers Trust, con mille miliardi di dollari ciascuna. Sono contratti che riguardano azioni, petrolio, obbligazioni come pure gli swap internazionali di valuta e gli swap dei tassi d'interesse. Per quanto riguarda queste ultime due voci, i contratti "derivati" oltre confine hanno già raggiunto l'astronomico ammontare di 4 mila miliardi di dollari.

La graduatoria dell'esposizione su questo mercato dei contratti "derivati" continua con la Merrill Lynch, per 720 miliardi di dollari, la Salomon Bros., con 730 miliardi di dollari e la Morgan Stanley con 300 miliardi di dollari. Queste attività hanno aperto tutto un vasto settore di informatica bancaria sofisticatissima, che impiega i supercomputer CRAY per processare i dati in parallelo, necessari per gestire la contrattazione automatica senza frontiere che avviene grazie a programmi capaci di far fronte ai complessi problemi di calcolo del rischio a variabile multipla. Ma, a parte questi aspetti pittoreschi, a fare profitti con la speculazione "derivata" so- no solo gli "insider traders" di New York. Il gioco d'azzardo è truccato, con la complicità di Washington. Cercare di capire gli aspetti "tecnici" della manovra con la quale Soros è riuscito ad intascare un miliardo di dollari di profitti speculando sulla sterlina a settembre è fatica sprecata. Certo è però che giornali finanziari quali il Wall Stret Journal ed il Financial Times fanno il possibile per destare l'impressione opposta.

Il che fare

Governi e banche centrali dell' Europa continentale hanno sin ora respinto le nuove tecniche speculative della finanza derivata. Alcuni banchieri svizzeri e tedeschi sono convinti che l'offensiva condotta dagli anglo-americani con la finanza derivata sia “più pericolosa di una guerra nucleare con la Russia”. Il 24 novembre, poco dopo la crisi dello SME, il direttore generale della Banca per i Regolamenti Internazionali di Basilea Alexander Lamfalussy ha dichiarato ad un gruppo di banchieri a Londra: "Volete sapere perché molti colleghi delle banche centrali nutrono le mie stesse preoccupazioni che queste attività possano rappresenta- re problemi di natura sistemica nel sistema finanziario internazionale?" Lamfalussy teme il ripetersi del fenomeno verificatosi col crac borsistico del 1987: "l'attività sui mercati derivati potrebbe avere notevoli ripercussioni nei sotto- stanti mercati a pronti, al punto da accentuare proprio quella instabilità dei prezzi contro la quale si pensava di dare un'assicurazione con alcuni strumenti derivati".

Lamfalussy ha inoltre spiegato che la grande esposizione negli strumenti fuori bi- lancio da parte delle banche "ha reso più opaca la natura e la distribuzione del rischio nelle operazioni sul mercato finanziario". Ha infine prospettato lo scenario peggiore: "Qualora si verificasse un problema in un istituto le altre ditte reagirebbero immediatamente e drasticamente. Potrebbero ritirare improvvisamente ed indiscriminatamente linee di credito, e persino disimpegnarsi da operazioni in corso. Il tutto aumenterebbe la possibilità del verificarsi improvviso di un blocco globale di liquidità".

Anche un personaggio di spicco a Wall Street come Henry Kaufman, che è stato il primo economista della Salomon Brothers, si è detto preoccupato perché la speculazione "derivata" fa intravedere "una prossima catastrofe colossale perle banche americane". Altri così bollano queste novità nel sistema finanziario: "ventiseienni con il computer stanno costruendo la bomba all'idrogeno finanziaria." Tuttavia non fanno nulla per controllare la situazione. La primavera scorsa Lamberto Dini condusse uno studio per il Fondo Monetario Internazionale, ma il suo rapporto è stato praticamente censurato, la stampa non ha ottenuto delle copie. Ad una mia domanda nel corso di una conferenza a febbraio, Lamberto Dini ha risposto: "Le banche americane e londinesi svolgono il grosso delle attività in questo processo. Dobbiamo determinare innanzitutto cosa stia effettivamente accadendo.

Alcuni segni di resistenza

Più recentemente il Presidente della Commissione Finanza e Banche del Congresso USA, l'on. Henry Gonzalez, ha richiesto alla Federal Reserve ed alla Commissione "Securities & Exchange" del governo di condurre un'indagine approfondita sulle attività all'estero del Quantum Fund di George Soros. Gonzalez ha chiesto di sapere come Soros possa fare profitti astronomici come quelli di settembre, quanto del suo capitale provenga dalle banche americane, in che misure le banche USA siano coinvolte nelle speculazioni di quel fondo, ed il ruolo specifico degli strumenti finanziari derivati nelle grandi manovre speculative di Soros. Questa è solo la superficie dei fatti.

Dietro le quinte infuria uno scontro tra le autorità bancarie europee e quelle americane. Le autorità d'oltre oceano sono radicali, ritengono che le banche statunitensi abbiano il diritto di non imporre alcuna restrizione alla finanza derivata. Ritengono infatti che questo sia il modo migliore di allentare la pressione sulle grandi banche USA, che disporrebbero in questo modo di maggiori capitali. Praticamente permettono che venga assicurato solo il margine netto di rischio, e non tutto il contratto. Le autorità di vigilanza europee non permettono una cosa del genere. Ritengono che sia dovere della banca assumersi al completo il rischio di un'insolvenza su tutto il valore nominale di un contratto.

Lo scorso ottobre il Congresso degli USA approvò la Futures Trading Practives Act of 1992, una legge che prevede che gli swap Over the Counter, cioè i contratti a pronti e termine di valuta o sui tassi di interesse che avvengono tra le due parti senza essere registrati, non rientrino più nella categoria dei "futures", dei contratti a termine, dando vita in tal modo ad una proliferazione cancerosa di carta finanziaria fuori dal controllo di qualsiasi autorità.

L'economista americano Lyndon LaRouche ha recentemente lanciato la proposta di imporre una tassa globale e ben coordinata su queste attività speculative, perché tassarle sarebbe il modo migliore di renderle meno attraenti per gli speculatori e quindi sgonfiare la pericolosa bolla. LaRouche ha proposto una tassa dello 0,1 % sul valore nominale, non sul valore "netto", di ciascuna transazione derivativa. "Questa è la bolla di John Law (nella Francia del 18mo secolo) all'ennesima potenza. La vulnerabilità di tutto il sistema finanziario, il caos e la distruzione delle strutture di produzione fisica sono potenzialmente incalcolabili, pertanto occorre mettere sotto controllo il fenomeno". La settimana scorsa intanto George Soros ha fatto sapere che tornerà alla carica. Questa volta è deciso a spezzare uno degli elementi portanti della coesione europea: il suo nuovo obiettivo è quello di spezzare il legame che unisce il marco tedesco al franco francese.

I protagonisti della destabilizzazione italiana

Discorso di Claudio Celani, italian desk dell'EIR di Wiesbaden.

All'inizio dei gennaio scorso, l'EIR pubblicò un documento intitolato "La strategia anglo-americana dietro le privatizzazioni italiane: il saccheggio di un'economia nazionale". In quello studio, inviato ad alcuni organi di stampa, alle forze politiche ed alle istituzioni, si delineava un quadro preoccupante di attacco all'economia italiana nel contesto della cosiddetta "globalizzazione dei mercati", cioè la realizzazione di un unico sistema economico mondiale in cui non vi sarebbe stato più alcun controllo sui movimenti e sulla creazione di capitali.

In quel documento si riferiva un episodio passato inosservato, e che invece rivestiva una grandissima importanza. II 2 giugno 1992, a pochi giorni dalla morte del giudice Falcone, si svolgeva una riunione semisegreta tra i principali esponenti della City, il mondo finanziario londinese, ed i manager pubblici italiani, rappresentanti del governo di allora e personaggi che poi sarebbero diventati ministri nel governo Amato. Oggetto di discussione: le privatizzazioni. La cosa più grave è che questa riunione si svolse sul panfilo Britannia, di proprietà della regina Elisabetta II, la quale fu presente ai colloqui. Il Britannia, dopo aver imbarcato gli ospiti italiani a Civitavecchia, prese il largo ed uscì dalle acque territoriali. Avvenne dunque che i potenziali venditori delle aziende da privatizzare (governo e manager pubblici) discussero di ciò con i potenziali acquirenti, i banchieri londinesi, a casa di questi ultimi. Non sappiamo che cosa si siano detti questi signori, sappiamo solo che il direttore del Tesoro Mario Draghi provò tale imbarazzo che chiese di poter leggere il suo discorso quando il panfilo era ancora in porto, per poter scendere subito ed evitare di rimanerci quando questo prese il largo.

Sappiamo dell'imbarazzo di Draghi perché un settimanale, L'Italia, riprese l'articolo dell'EIR, citando la fonte, ed un parlamentare missino, Antonio Parlato, che lo lesse, presentò un'interrogazione parlamentare, anzi, poté rivolgere una domanda allo stesso Draghi, che quel giorno riferiva su altre questioni in Commissione Bilancio. In seguito, la notizia fu ripresa da numerosi organi di stampa, anche grazie al fatto che l'ex segretario del PSI Bettino Craxi aveva diffuso il documento dell'EIR alla Camera. Ci furono quindi numerose interrogazioni parlamentari (a Parlato, che ne fece mi sembra tre, si aggiunsero l'on. Tiscar, qui presente, e gli on. Pillitteri e Bottini) e altre sollecitazioni ufficiali (la senatrice Edda Fagni citò questo fatto nel discorso al Senato il giorno del voto di fiducia al governo Ciampi), ma né il governo di allora, guidato da Giuliano Amato, né quello attuale si sono sentiti in obbligo di fornire un chiarimento all'opinione pubblica ed al Parlamento.

Insisto su questo fatto perché mi sembra emblematico del modo in cui vengono prese le decisioni che determinano il futuro del nostro paese, cioè di milioni di cittadini che lavorano e pagano le tasse, ed hanno bisogno di avere fiducia i


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MessaggioInviato: 19/09/2012, 18:54 
Brunetta ci azzecca sul Britannia, ma deve crescere

http://www.movisol.org/09news176.htm

23 settembre 2009 (MoviSol) - Nel corso della sua sfuriata al convegno del PdL di Cortina d'Ampezzo, il ministro Brunetta ad un certo punto ha interrogato il suo pubblico: "Ve lo ricordate il Britannia?".

"Ve lo ricordate il Britannia? Se non ve lo ricordate", dice Brunetta, "ve lo ricordo io. Il Britannia è una nave, appartenuta già alla casa reale inglese, che navigò davanti alle coste italiane [...], ospitando dentro banchieri, grand commis dello Stato, esponenti vari della burocrazia... in cui si svolse un lungo seminario, durato un paio di giorni, in cui si trassero le linee della svendita delle aziende di stato italiane".

Benché imperfetta, l'evocazione di quel complotto, denunciato dall'EIR nel 1993 (vedi la documentazione riepilogativa), riapre il sipario sul secolare tentativo di Londra di "scrivere il destino" dell'Italia (come di tanti altri Paesi).

In questa strategia imperiale, secolare e globale, trovano posto tutte le azioni che possano rivelarsi utili a ricondurre l'Italia ad uno stato di molto precedente quello del boom economico postbellico, di fatto preda del sistema imperiale della globalizzazione.

A questo riguardo, è più interessante guardare al timoniere, piuttosto che agli ospiti del Britannia. Se vogliamo dirla tutta, si tratta della stessa cricca che arma la mano degli "insorti" che hanno trucidato i sei soldati italiani in Afghanistan. Non vogliamo certamente dire che Draghi ordina ai Talebani di bombardare i nostri soldati ma, come abbiamo scritto, che "il tritolo che ha ucciso i soldati italiani è stato pagato con i soldi di Soros".

In altre parole, il pasticcio afghano in cui si è cacciata l'Italia a seguito degli Stati Uniti, è stato orchestrato dalle stesse forze del "nuovo impero britannico" che partorirono l'operazione Britannia. L'assalto contro l'Italia, che ebbe il culmine nell'anno del Britannia e che prosegue nella misura in cui dall'Italia si manifestano resistenze al nuovo impero della globalizzazione, al salvataggio delle banche ecc., va inquadrato nella strategia globale con cui si tenta di demolire gli stati nazionali per far posto alla Nuova Torre di Babele, come dice LaRouche. La guerra in Afghanistan fu escogitata per coinvolgere gli Stati Uniti in un disastro strategico e subire la stessa sorte che subì Atene con la Guerra del Peloponneso. A livello regionale, è la riedizione della strategia ottocentesca dell'Impero Britannico per il controllo dell'Asia meridionale.

Abbiamo più volte, in questo sito, documentato il ruolo degli inglesi nel "combattere e proteggere" i talebani, tanto da aver ottenuto per loro tramite un aumento della produzione dell'oppio. Dalle montagne afghane ai mercati della droga occidentali, riecheggia il nome di George Soros, paladino delle campagne per la liberalizzazione. Quel George Soros che l'Italia conobbe nella vicenda del Britannia e del successivo attacco alla lira che ci tramortì e ci fece accettare l'Euro senza batter ciglio.

Tuttavia – è bene ricordarlo - l'ossessione dei "Britannia Boys" non è l'Italia. Nel contesto della crisi globale, del collasso economico più grave della storia umana da noi conosciuta, l'oligarchia punta a rimuovere ogni paletto con cui la cospirazione repubblicana, che in America lottò in favore della "comunità di nazioni perfettamente sovrane" da contrapporre all'Impero Britannico, ha assestato i suoi successi storici.

Aver trascinato gli Stati Uniti, l'Italia e altri Paesi in Afghanistan, ovvero negli stessi luoghi in cui l'Impero Britannico sin dall'Ottocento non ebbe mai la meglio contro i "fanatici ribelli", è l'estremo tentativo (forse il più palese, oltre quello del salvataggio degli speculatori con emissioni di credito nazionale americano) di far affossare il sistema americano e ogni altra sua influenza nelle istituzioni di altre nazioni.

Chi dovrebbe sostituire gli Stati Uniti nella loro egemonia globale (non priva di macchie) è, nella mente dell'oligarchia, il governo mondiale attraverso "quel che è di Cesare", declinato nelle forme del "Financial Stability Board", o del Fondo Monetario Internazionale.

L'Italia, grazie all'azione di Tremonti che si oppone ai salvataggi indiscriminati delle banche, è un ostacolo da rimuovere su questa strada, specialmente in vista della prossima grave fase della crisi, in cui si chiederà agli Stati di dissanguarsi ulteriormente per gli speculatori. Non pretendiamo che Brunetta afferri tutto ciò, ma constatiamo che denunciando i "Britannia Boys", egli esprime un pensiero condiviso nel governo. Non basta per conquistare la fiducia del popolo italiano e di chi egli vorrebbe sganciare dalle "elites parassitarie". Occorre abbandonare il liberismo e sposare quelle tesi rooseveltiane e quella Nuova Bretton Woods di LaRouche che Brunetta ha finora osteggiato (vedi "Gli industriali bellunesi invitano i rappresentanti di LaRouche".).



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MessaggioInviato: 21/09/2012, 10:24 
Champagne e maschere greco-romane: «Pagò De Romanis»
Quelli della festa con le ancelle
«Non facciamo i puritani»
L'invitato con la testa di toro: [b]«Imbarazzo? Nessuno»[/b]
Fonte:http://www.corriere.it/politica/12_settembre_21/festa-ancelle-lazio-polverini_51cf6c64-03ae-11e2-a116-9748af084362.shtml

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Fonte:http://roma.corriere.it/gallery/roma/09-2012/polverinifesta/01/feste-pdl_7bf6967c-0253-11e2-9f2e-6124d1c3f844.shtml#8



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Franco Fiorito: 31mila euro al mese più di Napolitano e Monti

ROMA – Sono 8.100 euro di stipendio base, 4.190 di diaria, 3.000 per le spese del personale, 8.000 per la presidenza del gruppo regionale e 8.000 per la presidenza della Commissione Bilancio. Il totale mensile è di 31mila euro. Uno stipendio più alto di quello del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e del Presidente del Consiglio Mario Monti. Franco Fiorito, l’ex capogruppo Pdl alla Ragione Lazio, indagato per peculato, percepisce uno stipendio da mille euro al giorno. A spiegarlo, elencando i vari compensi, è lui stesso ai magistrati romani, tenendo a precisare che “è tutto legittimo”.

Dunque 31mila euro al mese. ”Netti?”, chiedono il procuratore aggiunto Alberto Caperna e il sostituto Alberto Pioletti. “Netti”, risponde Fiorito. Che aggiunge: “A questa somma che percepivo individualmente, nella mia veste di capogruppo, si aggiungevano 21 mila euro mensili per il funzionamento del gruppo stesso”. Ci sono poi quei centomila euro netti l’anno per ogni singolo consigliere della Regione, che si aggiungevano a una busta paga già assai importante da da 13 mila euro netti al mese.

Fiorito continua poi ad elencare le sue proprietà e la sua situazione bancaria: “Ho un conto storico con mia madre all’Unicredit, dai tempi in cui vivevo ad Anagni. Un secondo, sempre con Unicredit, all’Eur, su cui ho appoggiato 200 mila euro di mutuo per una casa che ho comprato in Ciociaria. Un conto Deutsche Bank in piazza Venezia, uno Mps in via del Corso, quattro in Spagna, a Tenerife, isole Canarie, di cui due a mio nome, su cui ho accreditato il mio stipendio, e altri due ereditati da mio padre insieme a due ville e un terreno con progetto approvato di edificazione per altre 3 case. Ho poi un conto presso la Banca Popolare del Lazio, su cui è addebitato un mutuo di 500 mila euro con cui ho acquistato la villa al Circeo”. Su quella compravendita, ammette, “ci fu una parte di nero. Ma irrisoria. E comunque il prezzo fu di 600 mila euro”.

http://www.blitzquotidiano.it/politica- ... o-1348414/


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MessaggioInviato: 21/09/2012, 13:10 
pensa un po mentre questi sperperano denaro pubblico in ostriche e menate varie,200.000 pensionati con la minima devono restituire la quattordicesima x errori,almeno dicono,ma rodendo lo sperpero della spesa delle regioni che viene valutata a 180.000.000.000 si potrebbero trovare facilmente 80.000.000 di euro dovuti all'errore [;)]


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MessaggioInviato: 21/09/2012, 14:47 
Una storia incredibile. Nella Milano della settimana della moda, dei manager, c'è una parte oscura, povera, tragica. Nella metropoli c'è chi vive con 200 euro al mese. Duecento. Non un euro in più. Difficile a credersi, sembrerebbe. Per questo il conduttore televisivo Roberto Poletti, dopo la chiamata - in diretta durante Forte e Chiaro, la sua trasmissione su Antenna 3 - della signora Paola, che si lamentava appunto di vivere con 200 euro al mese, ha deciso di andare a verificare di persona. Microfono e telecamere, è andato a trovarla nella sua casa.

"Qui non pago l'affitto ormai da mesi - spiega Paola - Mi dispiace per il padrone di casa, ma non so che cosa fare. Ho sempre curato mio padre, che qualche tempo fa è morto. Con la sua eredità ho pagato l'affitto ancora per qualche mese. Poi non ce l'ho fatta più. Ero in attesa per una casa popolare, ma con il suo decesso sono scivolata in giù nelle graduatorie". Le condizioni di vita di Paola sono disperate: "Io mi faccio la doccia con l'acqua fredda perché lo scaldabagni elettrico consuma troppo. Che cosa mangio? Praticamente solo latte e biscotti. Sono andata anche alla parrocchia per chiedere aiuto. Mi hanno dato da mangiare qualche volta". Ma la cosa più agghiacciante arriva quando cala la sera. Perché Paola non accende la luce. Usa le candele: "Ho un sussidio di 200 euro, non posso permettermi di pagare le bollette".

http://affaritaliani.libero.it/milano/l ... refresh_ce

veramente e' possibile,x chi sipendiato con migliaia di euro al mese, vedere la ripresa dentro di se,o al termine del tunnel,ma dovrebbe dirlo a queste persone che vivono nella piu' totale indigenza da paese di 4°mondo....e parlano di europa......[:(!]

cliccando sull'indirizzo si puo' ascoltare l'intervista


Ultima modifica di ubatuba il 21/09/2012, 15:06, modificato 1 volta in totale.

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Cita:
nemesis-gt ha scritto:

Franco Fiorito: 31mila euro al mese più di Napolitano e Monti


Rendiamoci conto signori....



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MessaggioInviato: 21/09/2012, 15:52 
La banca d'affari aspetta che una maggioranza
di centrosinistra segua la linea Monti


Tra gli scenari del report anche il ricorso del premier al fondo Efsm-Esm prima del voto per legare le mani al suo successore

Le polemiche saranno inevitabili. Per le prossime elezioni Goldman Sachs scommette sul Pd. Il colosso finanziario americano, a sette mesi dalle elezioni politiche italiane, ha pubblicato un report che farà rumore, nel quale si sostengono le chance di una maggioranza di centro sinistra incentrata sul Pd. E questa maggioranza molto probabilmente manterrebbe la linea Monti, anche se non è chiaro se riconfermerebbe Mario Monti a capo del governo. In ogni caso, secondo il report, difficilmente il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, porterà il Paese alle elezioni prima di aver risolto la questione della riforma elettorale. Goldman Sachs ritiene «probabile che vengano introdotte modifiche alla legge con l’idea di garantire una coalizione centrista a favore di una conferma di Monti».

Ora non si può dire che a Goldman Sachs non conoscano la politica e gli effetti che una dichiarazione del genere può scatenare. Se c’è una banca d’affari che con la politica e i governi, in patria e all’estero, ha avuto relazioni strettissime è proprio GS. In America hanno tirato in ballo le revolving doors (le porte girevoli) per definire il fenomeno tipico in Goldman di un dirigente di primo piano che lascia Lloyd Blankfein il suo incarico per passare al governo, e magari, finito il mandato, torna tranquillamente alla casa madre. Per limitarci all’Italia, Mario Draghi è stato vicepresidente di Goldman Sachs per l’Europa dal 2002 al 2005, ma tra i consulenti della banca d’affari ci sono stati anche Gianni Letta, Romano Prodi e Mario Monti.

Ebbene, ora gli analisti di Goldman Sachs, peraltro molto attiva nella vendita di Btp nei momenti in cui lo spread era salito alle stelle e grande sostenitrice di un governo Monti post-Berlusconi nelle fasi calde del novembre scorso, scrivono che il tempo del governo tecnico del loro autorevole ex collega, «sta per finire» e «l’Italia potrebbe risentire dell’incertezza politica collegata alle future elezioni politiche in agenda ad aprile 2013».

Il maggior rischio per il Paese, secondo la banca d’affari, verrebbe da una vittoria delle forze euroscettiche e tra queste colloca il Pdl di Silvio Berlusconi e il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo. Del resto, scrivono gli analisti, «le riforme impopolari del governo Monti, ad esempio l’Imu dal valore di 20 miliardi di euro all’anno, hanno favorito campagne politiche anti-europee e anti-euro di vari partiti». Non va nemmeno sottovalutato l’appeal politico di Grillo, perché «ha buone opportunità di guadagnare un gran numero di seggi in Parlamento, riflettendo la disaffezione degli italiani all’esistente establishment politico.»

GS rimane cauta, ma comunque «costruttiva», sulle dinamiche di mercato dei titoli di Stato italiani che potrebbero soffrire se la credibilità del nuovo programma di acquisto della Bce fosse messa in discussione, soprattutto in considerazione del debole scenario macroeconomico. Ma pesa anche l’incertezza sugli esiti delle prossime elezioni, tanto che gli analisti arrivano a delineare tre possibili scenari che potrebbero portare l’Italia a ricorrere al programma di aiuti Efsf/Esm, così ribattezzati: il vincolato, il tattico e il mani-legate». Nel primo scenario («il meno probabile») l’Italia potrebbe essere obbligata a ricorrere ai fondi per il riemergere «delle tensioni sull’obbligazionario» che potrebbero rendere «illiquido il mercato dei Btp»; un’ipotesi possibile con «una vittoria dei partiti anti-europei». Nel secondo scenario, il governo italiano potrebbe «tatticamente» vincolarsi al Fondo salva Stati prima delle elezioni, «senza in realtà averne bisogno», annullando il rischio contagio dalla Spagna.

Il terzo e ultimo scenario prevede che la richiesta di sostegno possa essere avanzata da Monti stesso, prima delle elezioni, per «legare le mani al suo successore».

Antonio Satta
Fonte: http://www.milanofinanza.it
21.09.2012
http://www.comedonchisciotte.org/site/m ... &sid=10843


tanto cercavano di possedere una banka,ora non avranno di che lamentarsi [;)]

quello che piu' preoccupa e' il terzo scenario,da incubo......


Ultima modifica di ubatuba il 21/09/2012, 15:53, modificato 1 volta in totale.

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Cita:
ubatuba ha scritto:

La banca d'affari aspetta che una maggioranza di centrosinistra segua la linea Monti
Tra gli scenari del report anche il ricorso del premier al fondo Efsm-Esm prima del voto per legare le mani al suo successore

Le polemiche saranno inevitabili. Per le prossime elezioni Goldman Sachs scommette sul Pd. Il colosso finanziario americano, a sette mesi dalle elezioni politiche italiane, ha pubblicato un report che farà rumore, nel quale si sostengono le chance di una maggioranza di centro sinistra incentrata sul Pd. E questa maggioranza molto probabilmente manterrebbe la linea Monti, anche se non è chiaro se riconfermerebbe Mario Monti a capo del governo.


Ma tu guarda che novità!

Lo stiamo dicendo in questo Forum dal lontano Agosto 2011!!! [:D]



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Cita:
Atlanticus81 ha scritto:

Chissà sezione cosa ne pensa... [8]
Gli fa gola una di quelle poltrone ecco che pensa [;)]


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Forse per quello che non si sente: l'ha già occupata! [:D]



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MessaggioInviato: 21/09/2012, 19:42 
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Ufologo 555 ha scritto:

Forse per quello che non si sente: l'ha già occupata! [:D]


Naa.... secondo me, non di affaccia perchè ci dovrebbe dare TROPPE spiegazioni.... [:246]



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"…stanno uscendo allo scoperto ora, amano annunciare cosa stanno per fare, adorano la paura che esso può creare. E’ come la bassa modulazione nel ruggito di una tigre che paralizza la vittima prima del colpo. Inoltre, la paura nei cuori delle masse risuona come un dolce inno per il loro signore". (Capire la propaganda, R. Winfield)

"Onesto è colui che cambia il proprio pensiero per accordarlo alla verità. Disonesto è colui che cambia la verità per accordarla al proprio pensiero". Proverbio Arabo

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