Pansa e i violenti No Tav: "Sono i nuovi terroristi"
Santoro in tv li definisce partigiani. Ma attenzione: in Val di Susa tra no global, antagonisti e ribelli sta crescendo il blocco eversivo.
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24,9 KB Non poteva mancare il teletribuno Michele Santoro nella settimana della violenza No Tav. E così, il suo Servizio Pubblico andato in onda giovedì sera, è stato un panegirico delle lotte di questi giorni in Valsusa. In una delle puntate più faziose condotte da Santoro che si possano ricordare (e già questo di per sé è un record), i manifestanti No Tav sono diventati "pecorelle" e i poliziotti "criminali". Secondo il teletribuno Santoro, quella in Valsusa, non è guerriglia, ma resistenza: i No Tav come modelli partigiani, impegnati nella battaglia per la difesa del territorio. Nell'accorata difesa dei violenti condotta dal teletribuno, hanno parlato anche Alberto Perino - leader dei No Tav - e Marco Bruno, il manifestante diventato famoso per il filmato in cui insultava il poliziotto, impassibile, dandogli della "pecorella", del "malato", del "pezzo di m...". In un'intervista grottesca, da brividi, Bruno ha spiegato di aver insultato il poliziotto perché aveva paura, perché "mangio pane e No Tav da quando sono nato", "per dafrmi la forza". Il provocatore ha anche avuto il coraggio di paragonarsi a Peppino Impastato, il giovane siciliano ucciso negli anni '80 dalla mafia per la sua lotta contro i clan. Troppo. Decisamente troppo anche per Servizio Pubblico e per il braccio destro di Santoro, Sandro Ruotolo, che ha ricordato al No Tav quanto il caso di Impastato fosse differente dal suo. Ma il tema che farà discutere della trasmissione di giovedì sera resta la presa di posizione di Santoro, che ha magnificato i violenti con l'etichetta di "resistenti". Secondo Giampaolo Pansa sono tutt'altro che "resistenti": in Val di Susa "stanno nascendo i nuovi terroristi".
Di seguito l'articolo di Giampaolo Pansa
Era possibile prevederlo, ma nessuno l’ha previsto, né tanto meno si è preparato. Parlo di quanto sta accadendo in val di Susa, attorno alla spinosa questione dell’Alta velocità. Giorno dopo giorno, emerge una verità molto pericolosa. Testimoniata dall’arrivo in valle di una quantità di gruppi estremisti che, prima di oggi, non si erano mai trovati fianco a fianco.
Un censimento alla buona rivela che sul campo sono schierate forze in teoria assai diverse tra loro. Prima di tutto, gli oppositori locali della Tav, compresi molti sindaci e una parte degli abitanti nella valle. Poi squadre di antagonisti arrivati soprattutto da Torino. Quindi militanti di centri sociali, attivisti no global, occupanti di case, frange lunatiche violente, nuclei ribellisti, singoli individui pronti a infrangere la legge per noia del tran tran quotidiano o per una scelta politica anticapitalista.
Un esemplare di questi cani sciolti è il personaggio di Marco Bruno, il giovanotto con la barbetta che ha insultato a lungo un carabiniere, cercando di provocarne la reazione. Ma costui è un casinaro che non conta nulla. Molto più allarmante è che su questo caos s’imponga la presenza decisiva degli anarco insurrezionalisti. Sono loro che stanno prevalendo e guidano la rivolta. Sotto lo sguardo ammirato di qualche eccellenza della sinistra storica, come Giorgio Cremaschi, dirigente Fiom, il capo della minoranza in Cgil. Forse attratto, come tanti, dall’orgasmo di partecipare alla madre di tutte le battaglie antagoniste. È un assemblaggio che sino a oggi nessuno si è incaricato di analizzare e descrivere. Con tre connotati sempre più evidenti. Il primo è che in val di Susa siamo di fronte a un avversario molto numeroso, di certo un migliaio di persone impegnate nel lavoro di arroventare i disordini. Il secondo è la decisione dichiarata di non mettere uno stop a questa attitudine rischiosa, per ricominciare ogni sera la guerriglia.
Il terzo è il fanatismo irrazionale messo in mostra. Mi ha colpito vedere in una delle riprese televisive una signora di mezza età, molto agitata. Gridava che la polizia aveva tentato di uccidere l’attivista Luca Abbà, rimasto folgorato sul traliccio. Il video che lo riguarda testimonia una verità opposta. Abbà ha fatto tutto da solo, convinto di non rischiare nulla. Si è persino collegato con una radio locale e infine ha irriso i poliziotti salutandoli con il pugno chiuso. Eppure quella signora era convinta che l’attivista NoTav fosse una vittima delle forze dell’ordine, incaricate di assassinarlo.
Occupazioni simultanee
Bastano queste poche constatazioni per confermarci che siamo in presenza di un pericolo nuovo, non limitato soltanto alla val di Susa. È la nascita di un blocco eversivo esteso anche in altre aree del paese. Ne sono una prova le occupazioni simultanee delle stazione ferroviarie di Roma, Pisa, Firenze, Bologna, Genova. Condotte da squadre decise a scontrarsi con la polizia. E l’invasione della sede del Partito democratico a Roma, attuata ieri inneggiando al compagno Abbà. A mio parere, non è la crisi economica a moltiplicare questi gruppi eversivi e le loro azioni ben coordinate. L’impoverimento di una parte della società è soltanto il pretesto per un disegno ribellistico che ha un obiettivo politico preciso. È quello di mettere sotto scacco il maledetto “sistema”, ossia la democrazia italiana, la sua reputazione, la sua credibilità. Sia pure senza avere una strategia che preveda uno sbocco diverso, per esempio l’affermazione di un potere alternativo. Sta accadendo di nuovo quello che è già avvenuto in altre epoche. La memoria di un cronista anziano corre subito a quanto si era visto dopo il Sessantotto, dopo l’autunno caldo e dopo le convulsioni del cosiddetto Movimento all’inizio degli anni Settanta. Allora le fiammate eversive erano all’ordine del giorno in molte città. Cortei a non finire, scontri con le poche destre sul campo, battaglie con la polizia e i carabinieri, infine più di un morto. Ma è proprio quanto successe in quel tempo che deve metterci in guardia nei confronti di ciò che può accadere oggi. Dalla nebulosa movimentista emerse un grumo di violenza armata che nessuno si aspettava: il terrorismo delle Brigate rosse. È una legge quasi fatale. Quando si muovono masse imponenti di giovani, prima o poi viene a galla un minoranza pronta a tutto. Dapprima ad azioni dimostrative, poi alle rapine e ai sequestri lampo, infine agli omicidi. Il fanatismo degli anti Tav produrrà gli stessi effetti? Mi auguro di no. Però confesso di essere pessimista. Anche perché la protesta violenta contro l’Alta velocità non è stata disinnescata per tempo. Gli ultimi governi, di centrosinistra e di centrodestra, l’hanno giudicata una questione locale che si sarebbe risolta da sola, con l’inizio dei lavori. Non è stato così. Per questo mi sembra privo di senso tirare in ballo la responsabilità del governo tecnico guidato da Mario Monti.
Gli errori del passato - È sbagliato definire da pecorelle o da pecoroni l’esecutivo dei Professori. Sono soltanto gli eredi di una serie di errori compiuti da altri, come accade per tanti altri problemi che Monti e i suoi ministri stanno affrontando. È certo tuttavia che l’eredità di difendere la Tav è molto pesante. Le vie d’uscita sono assai poche e tutte difficili da percorrere. Una prima strada potrebbe essere quella di dividere il ribellismo in val di Susa, aiutando il nascere di un’opposizione alle violenze già accadute e che accadranno. Ma si tratta di una via impervia. Ha come premessa che una parte degli abitanti della valle rompano con chi sta giocando alla guerra. Esiste questa possibilità? Oggi temo di no.
Pure chi vuole il ritorno alla normalità è prigioniero dei violenti che si battono contro le forze dell’ordine. Nella valle c’è molta paura delle loro rappresaglie. Chiedere atti di eroismo da parte di sindaci e di cittadini indifesi è una pia illusione. L’eversione è in grado di allargare all’infinito l’elenco dei propri nemici. Come dimostra l’attacco al procuratore capo di Torino, Gian Carlo Caselli, sino a ieri molto amato a sinistra.
Repressione? - La seconda strada è accentuare la repressione del ribellismo. Sino a fare terra bruciata intorno ai tanti gruppi rivoltosi. È possibile? E a quale prezzo? Non so rispondere. Sarebbe necessario un intervento a più fasi. Da un lavoro di intelligence sino a manovre sul campo ogni volta più ampie e dure. Mi auguro di sbagliarmi per un eccesso di pessimismo. Però non mi sembra che lo Stato sia in grado di muoversi con il cinismo e l’asprezza necessari.
Esiste infine una terza via. È quella invocata dal leghista Roberto Maroni, già ministro dell’Interno nell’ultimo governo Berlusconi. Lui chiede l’intervento dell’esercito. Ma per fare cosa? Maroni non mi pare l’abbia spiegato. Per presidiare molto a lungo nel tempo i lavori appena iniziati? Come deterrente per scoraggiare le iniziative degli anti Tav? La verità è che siamo tutti alla ricerca di soluzioni difficili da individuare.
Qualcuno sostiene che l’isteria messa in mostra dai capipopolo della val di Susa sia il segno che loro autorità si va riducendo. Lo stesso significato avrebbero le aggressioni ai giornalisti che documentano quanto accade. Anch’io vorrei pensarla così. Ma temo che sia troppo presto per dirlo.
Per questo immagino che andremo incontro a giorni sempre più difficili. Resta soltanto la speranza che il ribellismo non vada alla ricerca di un morto ammazzato. Un cadavere, soprattutto tra le sue fila, gli risulterebbe molto comodo. Cerchiamo di non fargli questo regalo.
di Giampaolo Pansa
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