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shighella ha scritto: Cita:
bleffort ha scritto: Cita:
MaxpoweR ha scritto: Ci ha messo 20 anni per fallire ma nel frattempo ha fatto qualcosa di buono e di perfettibile; la vostra SOLUZIONE è fallita dopo 20 giorni, senza partorire nulla ma causando il ferimento di 2 poliziotti nel frattempo a causa dell'odio ideologico seminato. Con questi presupposti mai fallimento fu più salutare per il paese, BRAVI!
Potevate fare di più, però bravi l'importante è provarci

Come vi permettete a incolpare il M5S,quando avete delle colpe immani per istigazione al suicidio di molti cittadini con le vostre politiche Fascistoidi e poi non vedo chiaro l'attentato ai Carabinieri,credo che sia tutto un depistaggio,su questo la Destra è maestra ed ha fatto scuola.
Concordo pienamente sull'attentanto..Chi ha qualche anno come me sa che è la solita vecchia storia che si perpetua grazie alla cecità di chi nn vuol vedere:-(
http://www.ilfoglio.it/soloqui/18035Cita:
L'Italia cretina
[color=blue]Preiti “perdente radicale”, l’espulsione di Mastrangeli, er Bilde’beeerg
Uno (Luigi Preiti) prende un treno in Calabria (armato), va a Roma, va in albergo, dorme, si mette l’abito scuro per sembrare un addetto ai lavori e va davanti a Palazzo Chigi per “sparare ai politici” (in mancanza, spara a bruciapelo a due carabinieri, ferendone uno gravemente); poi, fermato, confessa, piange, appare colpito da “grave depressione”, dice che non può mantenere il figlio, che è separato e disoccupato (intanto, da alcune interviste a parenti e amici, esce un quadro più in chiaroscuro: “Ottimo piastrellista”, separato ma senza animosità, colpito dalla crisi, disoccupato saltuario, “qualche lavoretto”, il biliardo, forse le slot). Viene poi fuori (sempre da interviste al fratello, agli amici, ai parenti) che Preiti era “triste”, sì, ma che “non si era mai saputo di problemi gravi”; che al bar parlava male dei politici, ma che forse era pure preoccupato per un’assicurazione non pagata di una macchina nuova ma forse non sua; che tornava spesso al nord a trovare il figlio ma che purtroppo, nessuno capisce perché, neanche il pensiero del figlio l’ha fermato dal gesto inspiegabile (alcuni amici, però, come fosse normale, dicono: “Se avesse aspettato mezz’ora…”, se avesse “aspettato il politico”, mentre il deputato a Cinque stelle Andrea Cecconi, intervistato dal Secolo XIX, dice, sempre come fosse normale, che, ferma restando la condanna della violenza, se Preiti avesse “sparato a un’auto blu”, lui, Cecconi, avrebbe “capito il senso o il significato: sparare a un carabiniere è deprecabile, sparare a un politico è una cosa diversa”). Un delirio di commenti comprensivi (l’ideologo dei Cinque stelle, Paolo Becchi, non si meravigliava della rivoluzione “con le armi”) e una realtà: Preiti mostra di essere non un “pazzo” in senso tecnico né quella specie di eroe-vittima della crisi dipinto da molti commentatori estemporanei sul Web e non solo sul Web. La sua, purtroppo, è la storia, a questo punto tragica, di un pessimo italiano (non si vede come altro chiamarlo: il disagio e il male della vita non sono giustificazioni). Ma capita che il principio di realtà diventi carta straccia, e che la storia di uno che sale su un treno per andare a “sparare ai politici” diventi il canovaccio perfetto per una trasformazione in “povero disperato” affondato dal sistema e colpito dalla crisi, uno che non aveva altro modo per farsi ascoltare. E capita che sul Manifesto appaia un articolo in cui il gesto di Preiti è chiamato addirittura “gesto politico di un perdente radicale”. Scrive Annamaria Rivera, anche autrice di un libro sui suicidi di protesta per fuoco (“Torce umane dal Maghreb all’Europa”, Dedalo edizioni) che Preiti, “umiliato” dal ritorno in Calabria dopo il fallimento “del progetto migratorio” in Piemonte, “privato di ogni dignità” (viene da dire: chi se non lui stesso poteva provare a ridarsela in altro modo, specie davanti a un figlio che guarda?), compie “quell’assurdo attentato, da vero perdente radicale: un atto singolare, in tutti i sensi, il quale tuttavia, per quanto criminale ed esecrabile, è sintomo di una disperazione e depressione di massa ormai insostenibili”. Come le “casalinghe indigenti” che fanno “timide rapine”, come i “suicidi economici”, scrive Rivera. Tutti nella stessa barca, tutte vittime dello stesso “disagio sociale” che neanche i 5 stelle riescono a “rappresentare interamente”. Mah.
Intanto i Cinque stelle, alla prova dell’opposizione e con l’angoscia dell’irrilevanza (scongelarsi o scongelarsi solo a metà?, questo è il problema) si autolodano sul blog di Grillo per gli interventi in Aula contro “gli inciuciatori ventennali”, fanno passare come fossero normali le suddette parole di Andrea Cecconi su Preiti e mettono in scena l’ultimo atto del tragicomico “processo” a Marino Mastrangeli, il senatore reo di aver partecipato a troppe trasmissioni tv, seppure sotto forma di intervista singola (il divieto erano solo i “talk-show”, dice lui; “hai trasgredito comunque”, dicono gli altri). Dopo dibattimento in assemblea congiunta deputati-senatori, qualche giorno fa, con citazioni di Rudolf Steiner (l’alunno indisciplinato va inglobato nel gruppo) e stroncature (ci fai fare figuracce), Mastrangeli era stato dato in pasto alla rete. Ieri la votazione online, corredata di commenti-linciaggio contro il “doppiogiochista” (ma anche contro le strane “votazioni a tempo” e in orario d’ufficio). Il risultato – stavolta subito comunicato e senza incursioni hacker – è netto: dei 19.341, l’88,8 per cento ha votato per l’espulsione. Lui, Mastrangeli, al grido di “Come in Corea del nord”, minaccia inamovibilità (“dovranno rimuovermi fisicamente”) e promette di passare al gruppo misto in quota “minoranza a Cinque stelle”. Sottobanco, resta la questione economica: ora Mastrangeli si terrà tutti i soldi, dicono alcuni colleghi; non vorremmo restituire troppo del nostro stipendio, dicono altri, mentre dalla Casaleggio Associati giungono suggerimenti (dare il surplus ad associazioni di volontariato?). E c’è anche chi invoca la clausola “di coscienza” (pur sempre di mobilia si tratta).
Er Bilde’beeerg. “Quello è del Bilderberg!”. “Siete tutti del Bilderberg!”. Insulto definitivo da gettare contro l’avversario, arma da brandeggiare in una discussione politica per azzerare in un lampo le fazioni rivali, la frequentazione del club Bilderberg, un austero e un po’ palloso cenacolo di economisti, da noi ha preso contorni fantastici. Per trovarne l’equivalente bisogna andare con la memoria alla Mano nera, misteriosa organizzazione di killer che appariva negli albi a fumetti di Tex Willer. Il problema, con il complottismo di marca bilderberghiana – che comprende anche Trilaterale e Aspen – è che chi lancia l’accusa di solito ha la trave nell’occhio. Grillo scrive che Enrico Letta è il premier del Bilderberg, ma dimentica che nella rosa dei dieci candidati a presidenti della Repubblica scelti dal 5 stelle almeno due, Prodi e Bonino, sono ugualmente del Bilderberg. E che il magnifico oppositore Stefano Rodotà è invischiato con la Trilaterale. E pure Giorgia Meloni, che bilderbergheggia in Parlamento, scorda di essere stata fino a ieri al governo con parecchi uomini del club. O il club è una cosa teribbile, o non lo è. Decidersi. O almeno chiedere a Gran Supremo Bilderberg.
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