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[color=blue]La secessione come facoltà prepolitica e diritto naturale
...In una situazione costituzionale di questo tipo, l’atto che porterà alla separazione territoriale si configurerà come fatto giuridico extralegale e politicamente sovvertitore dell’ordine costituito. Se proviamo a immaginare una Padania che lascia lo Stato Italiano, è difficile credere che ciò possa avvenire in forza di una semplice modifica costituzionale.
Tale ipotesi è poco probabile per il fatto che il desiderio autonomista padano è fortemente avversato da più della metà dei cittadini italiani. E dato che la Costituzione può essere modificata, per ora, solo dal centro, non è difficile credere che poche solo concessioni verranno fatte alla nostra terra. Con questo non intendiamo dire che la Padania debba arrivare allo scontro militare, ma è chiaro che la strada separatista molto probabilmente dovrebbe fondarsi sulla autoproclamazione di un Parlamento padano con funzione costituente. Un organo di tale genere potrebbe essere il punto di arrivo di strade diverse.
In un primo caso le regioni della valle del Po potrebbero unirsi attraverso la facoltà concessa dall’articolo 132 della Costituzione e quindi autoassegnarsi un compito costituente (questo secondo momento rappresenterebbe l’atto giuridico fuori dall’ordinamento italiano).
In un secondo caso i rappresentanti politici (deputati e senatori) padani potrebbero direttamente convocarsi in una Assemblea costituente cisalpina che porterebbe all’autoproclamazione di una repubblica indipendente e sovrana.
In ogni caso, nell’ambito delle Costituzioni che non riconoscono il diritto di secessione, questo atto non può trovare fondamento giuridico nell’ordinamento statuale da cui il gruppo separatista intende affrancarsi. La secessione acquista dunque una valenza rivoluzionaria, fondata su due fattori: il diritto naturale a stare con chi si vuole e la umana tensione a modificare la propria condizione.
Nell’affrontare il secondo tipo di costituzioni, quello cioè in cui la separazione di una comunità è legalmente riconosciuta, dobbiamo ritornare alla scuola neofederalista. Come detto in precedenza il “nuovo federalismo” si pone come obiettivo la tutela della diversità. In passato la federazione era vista come passaggio per raggiungere la completa unità, non come assetto costituzionale utile a garantire le differenze e il diritto di ciascuno di mantenere la propria individualità. È in quest’ottica che i neofederalisti affrontano lo studio dei modelli federali. Essi fondano queste costruzioni teoriche su un principio fondamentale: il contratto, come negozio giuridico bilaterale e paritario, soggetto a negoziazione e a risoluzione.
Lo Stato non è più ente supremo e indissolubile, ma patto fra libere comunità, quindi fra liberi uomini. In una Costituzione basata sul principio contrattualistico non può che essere accettato e tutelato il diritto di secedere. Un assetto statuale così strutturato è una federazione. “Una Costituzione che escluda (in modo esplicito o implicito) il diritto di secessione, non è mai una Costituzione federale” (4), “Oggi corriamo un serio rischio. Quello che il federalismo dimezzato e depotenziato dei partiti italiani faccia passare l’idea che ci possa essere un federalismo che avversa il localismo e nega il diritto di autodeterminazione dei popoli, tanto da mettere in discussione lo stesso diritto di secessione” (5).
A conclusione del nostro excursus diamo quindi una definizione più completa del diritto di secessione. Esso costituisce un diritto naturale e una facoltà prepolitica. Negli ordinamenti fondati sul potere assoluto dello Stato esso non gode di un riconoscimento e di una tutela giuridica, e in quanto tale si configura, in relazione alla Costituzione vigente, come fatto extralegale e rivoluzionario.
Al contrario, negli ordinamenti federali di stampo contrattualistico, il diritto di secedere è riconosciuto e si pone come atto legale riconducibile alla sfera dell’autonomia dei singoli gruppi politici che compongono l’unione.
(di Alessandro Storti, estratto da 'Quaderni Padani', Anno 2 - N. 3 - Gennaio-Febbraio 1996)
(4) Dalla prefazione di Gianfranco Miglio al volume di Gianfranco
Morra, Breve storia del pensiero federalista, Milano,
Mondadori, 1993, pp. 5-6
(5) Giulio Arrighini, deputato della Lega Nord, “L’Italia esiste
solo per chi ci crede”, su L’Indipendente, 11 dicembre 1995...[/color]