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«La Costituzione è il mio faro». Il premier-avvocato del popolo ha cercato nel fondamento delle istituzioni e nel suo Garante, Sergio Mattarella, il punto di forza nel momento di massima debolezza, sua e del governo. È così che, ieri, Giuseppe Conte ha provato a uscire dall' angolo. Conscio che nemmeno gli ultimatum, in questa situazione, possono risolvere il problema.
La solennità del momento si vede fin dalla sala scelta per le comunicazioni «importanti»: non quella dove in genere si fanno le conferenze stampa, ma la prestigiosa sala dei Gonfaloni, al secondo piano di Palazzo Chigi. «Non mi presterò a vivacchiare o galleggiare», scandisce Conte a metà del suo discorso, arrivando al punto. «Se non ci fosse una chiara assunzione di responsabilità e se i comportamenti non fossero conseguenti, molto semplicemente rimetterò il mio mandato nelle mani del presidente della Repubblica che ringrazio per consigli che mi ha sempre dato». Ai due vicepremier chiede una «risposta inequivoca e rapida». Volete continuare o no? Anche se, concede, bisogna dar tempo a ciascuno - il riferimento è al M5S - di vivere anche i propri «travagli interni».
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Il premier senza un proprio partito cerca altrove la legittimazione. Nell' unico luogo estraneo allo scontro totale di queste settimane: il Colle più alto. Non a caso, fin dall' inizio delle sue attese comunicazioni, si rivolge al presidente della Repubblica, esprimendo «stima» nei suoi confronti e ringraziandolo «per il sostegno e i consigli del quale mi ha voluto onorare». E cita l' intera formula con cui, diventando premier, ha giurato nelle mani di Mattarella. «Pur consapevole di esser privo di una mia forza politica», ha detto, «ho ritenuto di poter attingere la mia forza dall' articolo 95 della Costituzione». Quello che indica funzioni e poteri del presidente del Consiglio. Una scelta, quella di affidarsi alla Costituzione, maturata anche negli incontri dei giorni scorsi con Mattarella.
Dal Quirinale si sta attenti a non far passare l' idea che il Colle abbia ispirato o anche solo condiviso le parole di Conte. Non è così e non potrebbe esserlo, vista la distinzione dei ruoli. Ci si limita osservare, ma non è poco, che il discorso del premier era annunciato.
Prima di entrare nel vivo dei problemi, ricorda come è nato un anno fa questo governo. Il contratto, l'«entusiasmo» delle persone, lo «scetticismo» dei commentatori. Poi è arrivato «un ciclo quasi ininterrotto» di tornate elettorali che lui stesso, ammette, ha «sottovalutato» e di cui «ha risentito la coesione del governo». Ma non c' è stato «stallo». Riepiloga i provvedimenti fatti e quelli da fare. Tra questi, anche l' autonomia, ma «senza provocare un divario tra Nord e Sud». Quanto alla flat tax, non la cita, dice però che serve una «una più organica riforma del fisco, non limitata alle aliquote». Ma senza infrangere quelle «regole europee» che «rimangono in vigore finché non sono cambiate». Del resto, «l' equilibrio dei conti» non ci viene imposto «solo da regole europee» ma anche dal fatto che «siamo costretti a finanziare il nostro debito sul mercato». Non risparmia stoccate alla «sovra-eccitazione» seguita alle Europee che, ammette, hanno cambiato gli equilibri. Ma i provvedimenti che il governo deve mettere in campo «richiedono visione, coraggio, tempo, impongono di uscire dalla dimensione della campagna elettorale e entrare in una visione strategica e lungimirante, diversa dal collezionare like».
E ancora: «Se continuiamo nelle provocazioni per mezzo di veline quotidiane, nelle freddure a mezzo social, non possiamo lavorare. I perenni costanti conflitti comunicativi pregiudicano la concentrazione sul lavoro».
Fatta la ramanzina, chiede ai due vicepremier di rispondere. «Resto disponibile a lavorare nella massima determinazione. Ma non posso compiere questa scelta da solo. Le due forze politiche devono essere consapevoli del loro compito». In caso contrario, «non mi presterò a vivacchiare. Molto semplicemente rimetterò il mio mandato». Se vogliono continuare, «serve un clima di cooperazione e forte condivisione», serve «leale collaborazione». E fa l' elenco di cosa significhi, descrivendo l' opposto dei comportamenti tenuti in queste settimane: vuole dire «che ciascun ministro si concentra sulla propria materia senza prevaricare su scelte che non gli competono», che si rispetta «la grammatica delle istituzioni» per cui se qualcosa non va la si dice al premier, non sui giornali. Per il resto, ha confermato che la Tav, per lui, non va fatta, ha ammesso che la prossima manovra si annuncia «complicata» e «delicata», ma che deve mantenere «in equilibrio i conti». Nel finale, arriva sugli smartphone la risposta di Salvini, che ribadisce l' elenco dei provvedimenti che gli interessano. Il viso di Conte tradisce un' ombra di irritazione. «Allora possiamo vederci», dice, infilando l' uscita.
di Elisa Calessi
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