Visioni alternative di finanza - Se conoscete S.Agostino scoprirete che non è tanto diverso da quello che andava dicendo lui secoli fa.
D'altronde, se è vero, la, chiamiamola "fonte di ispirazione", per entrambe queste religioni è la medesima...
Il sistema bancario islamico: sharia e secolarizzazione La larga diffusione delle banche islamiche e la conseguente creazione di un sistema operante in conformità con la sharia, e parallelo a quello occidentale, ha caratterizzato gli ultimi decenni del '900. Tale struttura è da considerarsi un'eredità del passato islamista sperimentato dalla maggioranza dei paesi arabi. Un'eredità che ha dovuto fare i conti con una progressiva emancipazione economica della società ed una sua interazione con la sfera occidentale, che ne hanno causato il distaccamento dagli istituti giuridici tipo della legge islamica. Il confronto tra l'operatività delle banche e i precetti shariatici in continua evoluzione provoca, quindi, un conflitto tra il mondo finanziario dell'Islam e la legge coranica suscettibile di determinare, nel lungo periodo, una secolarizzazione economica.
Nascita della banche islamiche
Lo sviluppo economico che la maggioranza dei paesi islamici ha conosciuto durante tutto il novecento, in maniera alternata e differente a seconda dei casi, grazie principalmente alle ricchezze del sottosuolo e al compimento del processo di decolonizzazione, ha fisiologicamente causato la nascita di un sistema bancario nazionale.
I primi esempi di tale struttura si sono avuti in Malaysia e in Pakistan, tra gli anni '40 e '50, con il sorgere di gruppi bancari di piccole dimensioni che assolvevano esclusivamente le loro funzioni primarie: raccolta del risparmio e finanziamento di piccoli progetti locali. Nei suddetti casi, quindi, si è avuta la prima applicazione pratica su larga scala dei due più importanti concetti microeconomici contenuti nel Corano: il divieto di praticare un interesse e l'obbligo di condividere rischi e profitti degli investimenti effettuati. Non si ebbe, però, una profonda e totale commistione dei precetti coranici con l'ambito economico e normativo che regolamentava gli istituti di credito tale da poterli considerare vere e proprie "banche islamiche".
Tale processo si innescò, invece, a partire dagli anni '60 con il fallimento dell'esperimento socialista nei paesi arabi e la crescente ostilità verso l'occidente. Principalmente per queste due ragioni si è assistito, quindi, alla nascita di un islamismo di massa capace di determinare tutti gli aspetti della comunità statale con il solo obbiettivo di espellere ciò che non fosse prettamente islamico.
Il primo grande esperimento di successo di banca islamica iniziò in Egitto nel 1963 con la creazione, ad opera di Ahmad al-Najjar, della prima banca commerciale nella città di Mit Ghamr che nel 1971 divenne la Banca Sociale di Nasir. Entrambi gli istituti di credito nel loro modus operadi obbedivano scrupolosamente ai precetti economici del Corano ma per non dare un'immagine estremista agli occhi dei paesi occidentali nel loro statuto non vi erano espliciti riferimenti al libro sacro.
Negli anni '70 gli abbondanti petroldollari che innaffiarono le casse dei paesi islamici innescarono un ampliamento delle possibilità economico finanziarie delle élites arabe che investirono molte delle loro sostanze nella nascita di nuovi istituti di credito prettamente commerciali, operanti sia nel settore privato sia in quello pubblico, sfruttando anche la possibilità di un rapporto privilegiato con le istituzioni statali.
Tra le motivazioni che portarono a tale orientamento, infatti, vi era senza dubbio un desiderio di riscatto, di sviluppo economico e di dimostrazione della bontà del proprio sistema che si incarnarono nella nascita della Banca Islamica per lo Sviluppo, inaugurata nel 1974 dall'Organizzazione dei Paesi Islamici, con lo scopo di finanziare i progetti delle nazioni aderenti operando in totale accordo con i principi della legge islamica.
Dal 1975 al 1979 assistiamo, inoltre, alla nascita della Banca Islamica del Dubai, della Banca Islamica Faisal del Sudan, della Banca Islamica Faisal dell'Egitto, della Banca Islamica del Bahrein e all'islamizzazione degli istituti di credito formatisi in Pakistan e in Iran. Nelle Filippine, come conseguenza della ribellione dei musulmani del sud, il Presidente firmò un decreto, nel 1973, che permetteva la formazione sul territorio nazionale di banche che nel loro statuto facessero esplicito riferimento alla Sharia e avallò, così, la formazione della Banca Amanah delle Filippine che provvedeva ai bisogni economico-finanziari della comunità musulmana. Il successo delle banche islamiche continuò con la formazione della Banca Islamica Berhad di Malaysia (1983) che nacque dalle ceneri della Compagnia Islamica per il Risparmio dei Pellegrini la quale finanziava i pellegrinaggi dei fedeli alla Mecca e a Medina (Hajj).
Grazie all'emigrazione araba di massa, registratasi negli ultimi decenni del 1900 verso i paesi dell'Europa e dell'America settentrionale, le banche islamiche sono riuscite ad insediarsi anche in stati dove la comunità musulmana è ben lontana da essere la maggioranza. Molte sono le filiali di istituti di credito operanti secondo i principi economici del Corano in Svizzera, in Lussemburgo, negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Australia e in Danimarca e che offrono i loro servizi alle comunità di immigrati forti anche della connessione con la loro terra di origine.
Ad oggi i più grandi gruppi bancari islamici sono due: il Gruppo DMI e il Gruppo Al Baraka.
La prima holding è stata creata nel 1981 e attualmente opera in 14 paesi nel campo delle banche, investimenti e assicurazioni islamiche. Il Gruppo Al Bakara, invece, nasce nel 1982 e ad oggi conta circa 12 società bancarie affiliate con sedi che spaziano dal Lussemburgo alla Thailandia passando per l'Arabia Saudita e la Turchia.
Altri significativi operatori del settore sono la Banca Islamica del Qatar, il Gruppo Finanziario del Kuwait, la Banca Islamica di Dubai e la Banca Islamica della Malaysia e del Bangladesh.
L'evoluzione delle banche islamiche ha percorso quindi una strada che ha visto la crescita dei piccoli gruppi nazionali fino a grandi holding capaci di muovere enormi capitali grazie principalmente al sostegno dei petroldollari, delle istituzioni statali e alle rimesse e al risparmio dei cittadini emigrati all'estero.
Sharia: principi e regole economico-giuridiche
Il sistema bancario islamico, parallelo a quello occidentale per principi, regole ed operatività, trova il fondamento delle sue peculiarità nel Corano.
Nel libro sacro per i musulmani, infatti, sono molteplici i versi nei quali si possono riscontrare precetti di carattere economico come:
- sura 2 Al-Baqara verso 275
"il commercio è come l'usura ma Allah ha permesso il commercio e proibito l'usura"
- sura 2 Al-Baqara verso 276
"Allah ha privato l'usura di ogni benedizione ma ingrandirà le azioni caritatevoli"
- sura 2 Al-Baqara verso 278
"abbiate paura di Allah e rinunciate a quello che rimane della vostra voglia di usura, se siete davvero credenti"
- sura 4 An-Nisa verso 161
"a coloro che praticano usura, [.] abbiamo preparato per quelli tra loro che hanno respinto la fede una dolorosa punizione"
- sura 30 Ar-Rum verso 39
"coloro che spendono per incrementare attraverso la proprietà delle altre persone, non avranno alcun beneficio da Allah ma coloro che spendono per la carità [.] questi avranno il loro compenso moltiplicato"
Dai riferimenti coranici si arriva all'elaborazione dei principi economici contenuti nella Sharia utilizzando, oltre alla fonte principale, le altre tre fonti più rilevanti: le tradizioni di Maometto e dei suoi seguaci (sahabah), i pareri esternati dai muftì attraverso le fatawà e quelli operati dai c.d. "dotti islamici" e, infine, le deduzioni per analogia elaborate dai fiqh in base a quei testi con valenza giuridica per l'Islam.
Attraverso tale processo i valori islamici si riflettono in sette principi economici fondamentali.
Il primo di questi impone che gli affari debbano essere condotti in maniera onesta escludendo, quindi, monopolizzazioni e abuso dell'ignoranza del partner. Inoltre vi è l'obbligo di incoraggiare la solidarietà e di assolvere al pagamento di una tassa sulla salute (zakat).
Il secondo principio trasla sul piano economico divieti già presenti e consolidati in altri campi. Non è consentito, infatti, compiere qualsiasi operazione economico-finanziaria che sia connessa o abbia per oggetto attività o settori interdetti ai musulmani: le bevande alcoliche, la pornografia, i suini e derivati, la prostituzione, il gioco d'azzardo e il tabacco (nonostante ve ne sia un consumo molto ampio la sua proliferazione eccessiva andrebbe contro il dovere del fedele di preservare la propria salute).
Il terzo principio è relativo all'acquisizione della proprietà. Se si tratta di un diritto esercitato per la prima volta esso è legale solo nel caso in cui sia creato attraverso la combinazione di lavoro (inteso anche come lavoro spirituale) e di risorse naturali. Se vi è un trasferimento di un vecchio diritto questo può essere compiuto soltanto in due modi: scambiandolo con una contropartita dello stesso valore oppure attraverso donazione o eredità volontaria. La Sharia, quindi, prevede implicitamente che l'interesse non possa essere considerato come forma legale di proprietà in quanto non rispettosa delle modalità elencate.
Secondo il quarto principio, inoltre, la proprietà e il reddito devono essere usati in modo responsabile, improduttività e accumulo fini a se stessi sono proibiti, e non contrario agli interessi della comunità.
La Sharia impone anche che il ricevimento di un vantaggio (monetario o meno) debba essere connesso con la cessione di una contropartita di eguale valore. L'Islam non si oppone comunque a profitti o a guadagni finanziari se vi è uno sforzo produttivo e onesto che li genera e se chi ne beneficia si accolla i rischi connessi a tale attività in proporzione alla sua partecipazione nella stessa; per le teorie economiche musulmane, infatti, il denaro è sterile se non combinato con il lavoro. In accordo con questo principio, dunque, il ricevimento di un interesse a favore di chi opera un risparmio non sarebbe legittimo in quanto posticipare il consumo non produce nessun valore aggiunto nel sistema economico e devia dalla funzione primaria del denaro che è quella di acquistare beni e servizi. In base allo stesso precetto chi offre denaro in prestito, anche se questo viene utilizzato in modo produttivo da parte di chi lo riceve, non avrebbe diritto di guadagnare, attraverso l'interesse, sulla commercializzazione di un bene in una forma e con un fine considerati prettamente improduttivi.
E' doveroso sottolineare, però, che l'Islam offre comunque la possibilità di trarre profitto dalla concessione di denaro in prestito incoraggiando il creditore a divenire parte attiva nell'utilizzazione del finanziamento, condividendo, quindi, con il debitore, in proporzione al lavoro (capitale) apportato, rischi e profitti dell'investimento.
Il sesto principio riguarda il rinvio dei debiti. La legge islamica prevede, infatti, che sia applicata una dilazione temporale della scadenza del credito, senza alcuna penalità, se il debitore non riesce a far fronte all'impegno preso nei tempi previsti. Tale benevolenza, però, per una parte della dottrina islamica, sarebbe d'obbligo soltanto per quanto riguarda la concessione di crediti propedeutici all'acquisto di beni da parte del debitore (in accordo anche con la suddetta visione del denaro). In ambito puramente finanziario, invece, sarebbe lecito applicare per ogni dilazione una maggiorazione sul valore attuale del debito alla scadenza.
Il settimo e ultimo principio riguarda la doppia concezione del rischio. Esso è visto, da un lato, come un normale aspetto di un'attività economica produttiva che legittima chi investe in tale direzione a trarre profitto dall'impiego di capitale e lavoro. D'altro canto la Sharia impone una limitazione nel perseguimento di attività e obbligazioni che abbiano rischi eccessivi. Per questo motivo, quindi, le norme islamiche relative alla stipulazione di contratti prevedono che l'oggetto sia conosciuto, esistente e accertato da tutte le parti coinvolte al momento della conclusione vietando, inoltre, la contrazione di quelle obbligazioni che si riferiscono ad un evento futuro e non certo.
Da questi sette principi fondamentali, attraverso l'opera dei fiqh e dei dotti islamici, si è arrivati alla formulazione di due regole principali che indirizzano il comportamento degli agenti economici. La prima è relativa alla proibizione dell'interesse in quanto considerato peccato principalmente in base ai numerosi ed espliciti riferimenti coranici al riguardo. Dobbiamo, però, distinguere al riguardo due visioni della dottrina islamica: quella più moderna e una più ortodossa.
L'accezione moderna si concentra sulla questione morale individuando la ragione della proibizione dell'interesse nella prevenzione dell'ingiustizia e dello sfruttamento del debole e privo di mezzi. In base a questa interpretazione, quindi, l'interesse viene distinto dall'usura ed è considerato lecito se applicato ad un tasso non troppo elevato e nei confronti di persone agiate che richiedono finanziamenti per concretizzare i propri piani di investimento (es. progetti industriali o finanziari). Sarebbe considerata comunque usura, invece, nel caso il debitore sia una persona con difficoltà economiche nella soddisfazione dei propri bisogni primari.
La visione ortodossa, quella maggiormente condivisa nel mondo islamico, si richiama all'aspetto letterale del divieto considerando usura l'applicazione dell'interesse in ogni caso. Tale strumento viene definito come un vantaggio monetario senza contropartita stipulato in favore di una delle due parti del contratto (Schacht 1964) e, quindi, contrario ai principi economici della Sharia. Tale accezione distingue due forme di interesse: l'interesse nelle vendite e l'interesse applicato ai debiti.
Nel primo ambito se ne considera lecita l'applicazione quando vengono scambiati due beni dello stesso genere ma di ammontare differente ("interesse per eccesso"). Lo scambio, però, deve essere limitato alle seguenti categorie di beni: cibo, metalli preziosi e moneta. La Sharia, inoltre, prevede anche l'applicazione dell'"interesse per ritardo" nel caso vi siano due beni dello stesso genere e di eguale quantità ma il conferimento della contropartita avvenga solo dopo lo scambio.
Per quanto riguarda l'interesse applicato ai debiti, invece, esso si identifica con il pagamento, volontario o meno sia in natura che in moneta, a titolo di compensazione per un credito ricevuto ed è considerato contrario ai principi shariatici in ogni caso.
La seconda regola, attinente alla concezione islamica del rischio (settimo principio), vieta il perseguimento e l'offerta di finanziamenti che abbiano una remunerazione futura fissata in precedenza. Tale precetto influenza enormemente l'atteggiamento degli istituti di credito islamici che si trovano obbligati a scegliere vie alternative a quelle tradizionali per offrire i loro prodotti sul mercato.
Alla luce dei principi e delle regole attraverso le quali la Sharia regolamenta il sistema bancario islamico è possibile, quindi, arrivare ad una definizione attinente alle pratiche che gli istituti di credito devono seguire nelle loro operazioni in campo economico-finanziario.
La banca islamica è, dunque, una banca che riguardo alla sua missione, ai suoi prodotti e alla sua organizzazione si attiene alle regole giuridiche dell'Islam rispettando come punto cardine nell'offerta delle risorse quello della condivisione dei rischi e dei profitti e dell'esclusione di finanziamenti con una predeterminata e fissa remunerazione (van Schaik 2001).
L'operatività concreta delle banche e la legge islamica
Il sistema bancario islamico nelle modalità di offerta dei propri servizi e prodotti opera quotidianamente un confronto tra principi e norme economiche shariatiche e i dettami del sistema bancario internazionale. Per offrire ai fedeli servizi e possibilità di finanziamenti efficaci e per far fronte alla concorrenza degli istituti di stampo occidentale, infatti, i dirigenti degli istituti di credito musulmani sono talvolta costretti a trovare soluzioni alternative che eludano, in alcuni casi raggirino, i precetti della Sharia suscettibili di impedire alle banche di offrire un servizio realmente efficiente e competitivo.
Per rendere possibile questo confronto rimanendo nella legalità islamica tutte le banche nella loro struttura organizzativa hanno un Consiglio Religioso con il compito di emanare pareri sulla conformità dei prodotti bancari con la Sharia. I membri di tale consiglio sono nominati direttamente dall'istituto di credito ma hanno l'obbligo di deferire ad organi clericali nazionali (il più delle volte essi si attivano autonomamente) le questioni che non riescono a risolvere o per le quali vi è la necessità di un parere più autorevole e largamente riconosciuto.
L'attrazione del risparmio
L'obbiettivo primario della banca, nonché propedeutico per la sua sopravvivenza, è la raccolta del risparmio. Già in questa fondamentale quanto elementare operazione i gruppi di credito islamici devono confrontarsi con molteplici dettami religiosi che limitano la loro libertà d'azione; primo tra tutti il divieto di praticare interesse parallelo al divieto per il fedele di accettarlo.
I conti correnti sono il metodo più facile per rastrellare risorse monetarie inattive ma, non potendo praticare interesse, molte sono le varianti che le banche islamiche adottano per invogliare il risparmiatore a fornire i propri fondi.
La più elementare è il "conto corrente senza interessi" (qadr hasan). Questo strumento è stato largamente adottato in Iran, durante la rivoluzione del 1979, quando tutti gli istituti di credito furono islamizzati e i fedeli furono chiamati a conferire le loro risorse per lo sviluppo del sistema islamista di allora. In questo caso il cliente sottoscrive presso la banca un conto corrente consapevole che non gli frutterà alcun guadagno futuro. La banca, dal canto suo, non è libera di utilizzare come crede il denaro del correntista ma deve indirizzare una parte delle risorse al finanziamento di opere sociali e caritatevoli.
Dei limiti maggiori sono imposti per le banche iraniane e pakistane a causa della loro tradizione ortodossa. I finanziamenti, infatti, devono essere compiuti in favore di piccoli imprenditori e dei meno abbienti astenendosi dall'imporre date precise per la restituzione delle risorse.
Possiamo evincere, quindi, che questo tipo di soluzione è privilegiata da coloro che sono mossi da un sentimento di benevolenza nei confronti dell'istituto di credito e verso ciò che esso rappresenta.
Un'ulteriore tipologia è il "conto fiduciario" (amnah). Tale pratica, particolarmente utilizzata dal gruppo Banca Islamica di Giordania, consente alla banca di utilizzare, a suo rischio e sotto la sua esclusiva responsabilità, il deposito monetario conferitogli dal correntista. Il cliente autorizza esplicitamente l'istituto ad effettuare operazioni con le proprie risorse rimanendo comunque libero da vincoli riguardo il prelevamento o il deposito.
Una terza opzione è il "conto corrente per il risparmio". Molte sono le forme in base alle quali viene proposto ma se ne possono individuare cinque principali.
La prima è offerta dalla Banca Islamica della Malaysia e prevede che il correntista, attraverso il deposito di denaro, partecipi a investimenti operati dalla banca e decisi di comune accordo con il cliente previa sua esplicita autorizzazione. Tutti i profitti e le perdite generate dall'impiego del denaro vengono condivise con il cliente, così come prescrivono i precetti islamici, che è comunque obbligato ad astenersi dal prelevamento nel periodo di impiego delle risorse. In questo caso, inoltre, il surplus che il correntista ottiene è giustificato, agli occhi della Sharia, in quanto proveniente da un impiego produttivo del denaro.
La seconda forma d'impiego, praticata dalla Banca Islamica del Bahrein, conferisce il diritto al cliente di prelevare parte del proprio denaro ma la porzione dei profitti spettante al correntista viene poi calcolata in base al saldo minimo mantenuto per un mese.
La Banca Islamica del Dubai, invece, si distingue in quanto esclude dal conteggio per la ripartizione dei profitti quei mesi dove si è registrato un prelevamento del cliente.
La seconda e la terza variante si distaccano maggiormente dal rispetto integrale del principio islamico, operato dal gruppo malese, in quanto gli istituti approssimano fortemente la partecipazione del cliente all'investimento sostenuto e quindi la remunerazione in suo favore.
La quarta variante proviene dall'Iran e dalla sua eredità islamista in campo bancario in quanto non prevede alcun compenso monetario per il cliente ma solo facilitazioni nell'utilizzo dei servizi bancari. Occorre sottolineare, però, che sia la remunerazione sia i vincoli ai quali il correntista si sottopone sono molto limitati.
La Banca Islamica Giordana, infine, considera il conto corrente per il risparmio al pari dei depositi di investimento.
Molto diffuso, infatti, è anche quest'ultimo strumento: il "deposito di investimento".
In questo caso la banca assume il ruolo di partner gestore delle risorse (managing partner) e il depositario diviene il partner finanziatore (financing partner). Il massimo rischio per il cliente è la somma da lui depositata.
Tali depositi si distinguono da quelli offerti dalle banche occidentali principalmente per tre caratteristiche: perché operanti in base alla regola della condivisione dei profitti e delle perdite (in sostituzione dell'interesse) e in quanto è assente un tasso di remunerazione fisso. E' noto soltanto il rapporto in base al quale avviene la ripartizione, tra i soggetti partecipanti, del risultato economico finale e, quindi, l'utile del cliente dipende dal successo degli investimenti effettuati e gli viene conferito periodicamente (generalmente su base annua). I depositi di stampo islamico, inoltre, sono classificati in base all'obbiettivo e al progetto al quale si riferiscono e non alla scadenza come avviene per quelli comuni. Questo metodo è giustificato sia dall'esigenza di non investire in settori proibiti ai fedeli sia di rispettare le regole e i principi shariatici legati alla concezione del rischio.
I musulmani, infatti, non possono acquistare titoli obbligazionari che abbiano, ad una scadenza futura, la possibilità di essere riscattati incassando un valore determinato in precedenza (es. futures, options e zero coupons).
In questo caso, inoltre, è interessante analizzare come il fenomeno inflazionistico pone in essere un contrasto tra il suddetto precetto e quello che vieta lo sfruttamento del meno abbiente. L'applicazione di un'indicizzazione all'inflazione per i titoli obbligazionari, infatti, è considerata, dai fiqh più ortodossi, come una garanzia di profitto posticipato (quindi illegale) ma viene anche vista dalle frange più moderne come un ottimo strumento per proteggere colui che è economicamente più debole da una riduzione eccessiva del valore del suo investimento.
Vi sono limitazioni anche in campo azionario. L'islam vede di buon occhio l'azionariato diffuso e la borsa ma non consente speculazioni, considerate come una sorta di gioco d'azzardo, e la compra vendita di durata giornaliera in quanto non qualificabile come un vero e proprio investimento produttivo.
E' vietata anche la sottoscrizione di assicurazioni commerciali perché è previsto un pagamento relazionato ad un evento futuro che può verificarsi o meno. Un'alternativa in questo senso è rappresentata dalle assicurazioni cooperative che vedono la partecipazione di più fedeli ad un fondo comune di investimento per poi ricevere i profitti a scadenze regolari.
Una forma particolare di deposito di investimento nasce quando il cliente richiede esplicitamente alla banca di concentrare le risorse in un particolare progetto. In questo caso, infatti, si instaura un "rapporto di agenzia" tra il depositario e l'istituto di credito. Tale relazione implica una riduzione nella ripartizione dell'utile in favore della banca, molte volte è richiesta solo una commissione sulle operazioni effettuate, ma al tempo stesso l'istituto non sosterrà alcuna perdita che non sia direttamente collegata con la sua negligenza o mala fede.
Il rapporto di agenzia è la base legale anche per molti altri servizi offerti dalle banche islamiche: pagamento di assegni, trasferimenti monetari, operazioni in valuta estera ecc. anche in questi casi la banca pretende una commissione per l'operazione da effettuare il cui ammontare deve essere indipendente dall'entità dell'operazione stessa.
Molte sono le offerte anche nel campo della carità e delle attività sociali. Le banche islamiche, infatti, hanno tra i loro obbiettivi anche quello di perseguire, oltre al profitto, un obbiettivo morale seguendo i principi coranici. La principale forma attraverso la quale si raccolgono risorse per la solidarietà è il pagamento dello zakat (tassa sulla salute) e le donazioni volontarie. A questo proposito molte banche propongono l'apertura di conti correnti che prevedono un interesse con la manifesta intenzione di spingere il fedele a donare tale ammontare alle organizzazioni islamiche caritatevoli. Questa pratica (sadaqah) è esplicitamente prevista dalla Sharia e considerata come una forma di purificazione in particolare quando non sia possibile per il fedele trovare degli istituti islamici o banche che non offrano un interesse.
Tecniche di finanziamento
L'altra funzione principale della banca è quella di concedere finanziamenti. Tale operazione, data la sua importanza per lo sviluppo del sistema economico, deve essere quanto più funzionale possibile ai bisogni dei soggetti richiedenti rimanendo oltretutto conforme alla Sharia.
La messa in opera dei principi della legge islamica da parte degli istituti di credito ha fatto nascere in questo campo due gruppi nei quali sono suddivisi i metodi principali per la concessione di risorse.
Il primo gruppo si distingue in quanto il tasso di remunerazione del finanziamento non è determinato antecedentemente, ma dipende dall'andamento dell'oggetto del finanziamento, il finanziatore, quindi, si accolla pienamente i rischi del caso; e, inoltre, perché i metodi che ne fanno parte si fondano sul principio di condivisione dei profitti e delle perdite. Nel secondo gruppo il tasso di remunerazione, attraverso espedienti formali per non incorrere nella violazione della sharia, è indicato prima dell'erogazione delle risorse.
I due principali strumenti del primo gruppo sono il mudarabah e lo shirkah.
Entrambi sono considerati come contratti fiduciari ('uqud al-amanah), quindi, secondo la letteratura fiqh, è assolutamente imperativo il rispetto dei principi di onestà e correttezza da parte dei soggetti contraenti.
Il mudarabah ha le caratteristiche di una collaborazione finanziaria tra due o più persone.
Una parte contraente, chiamata sahib al-mal, ricopre il ruolo di finanziatore (la banca) provvedendo a mettere a disposizione un'adeguata somma di capitale al partner contrattuale, il mudarib, che gestisce le risorse indirizzandole verso investimenti redditizi.
Il contratto può essere stipulato sia in forma scritta sia in forma orale ma per la legge islamica (riferimento coranico 2:282-3) sarebbe preferibile redigere l'obbligazione secondo il primo metodo per evitare future incomprensioni.
Il mudarabah può essere, inoltre, "limitato" o "illimitato". Nel caso sia illimitato non vi è specificato il periodo, il luogo e la strategia da seguire negli investimenti. In un contratto limitato, invece, è lo sahib al-mal che ha facoltà di imporre i suddetti termini e che si trova, dunque, in posizione dominante rispetto al mudarib. Questa soluzione è giustificata dal maggior rischio al quale il finanziatore è sottoposto in accordo con la concezione islamica di protezione dell'investitore per il beneficio che apporta al sistema economico. Lo sahib al-mal, infatti, rischia il capitale investito mentre il mudarib rischia soltanto il suo tempo e il suo impegno (a meno che non venga dimostrato che le perdite sono state registrate a causa della sua negligenza o colpa).
Il profitto deve essere diviso tra le parti contraenti secondo una ripartizione stabilita in precedenza ma non vi può essere una ripartizione degli utili se prima non si è fatto fronte alla copertura delle perdite. Questa regola nasce con lo scopo di restaurare il concetto di equità partecipativa tra le parti contraenti previsto dalla Sharia. I risultati economici negativi, infatti, minerebbero la posizione della parte finanziariamente più esposta: la banca.
Attraverso il mudarabah vi è la possibilità di modificare significativamente i rapporti tra le parti in base alle variazioni nella ripartizione del risultato economico.
Vi è, infatti, la possibilità di decidere che tutti i profitti vadano al gestore delle risorse. In questo caso il mudarib diviene responsabile anche per le perdite registrate ed è obbligato alla scadenza del finanziamento a restituire allo sahib al-mal l'importo concessogli inizialmente. Il finanziatore, in questo caso, non si accolla alcun rischio ma non può pretendere neppure una remunerazione sul capitale iniziale che sarebbe considerata come un mero interesse, pur ottenendo indietro l'ammontare intero del capitale concesso.
Nel caso in cui i proventi dell'investimento, invece, vengano conferiti interamente alla banca il mudarib ha diritto solo ad una remunerazione per il lavoro svolto (ajr al-mithl).
Vi è poi una terza opzione che vede la partecipazione del mudarib nell'apporto di capitale. In questo caso egli ha diritto anche ai profitti e l'obbligo di coprire le perdite in proporzione alla parte di risorse investite.
Il mudarabah si considera estinto alla scadenza del periodo, quando gli obbiettivi dell'investimento sono stati raggiunti, per morte di una delle due parti (o entrambi) oppure per intenzione dei soggetti di recedere il contratto.
Il secondo metodo è lo shirkah ( o musharaka) di cui possiamo distinguere la forma contrattuale e quella non contrattuale.
Lo shirkah al-milk (non contrattuale) nasce quando due o più parti decidono di legarsi in una multiproprietà senza che la loro relazione sia formalizzata da un accordo formale. Questa peculiarità, però, impedisce che il rapporto venga considerato una vera e propria partnership in quanto non si fonda su un accordo che prevede giuridicamente la condivisione dei profitti e delle perdite.
La versione contrattuale (shirkah al-'ukud), invece, è considerata giuridicamente vincolante data la manifesta volontà delle parti di stipulare reciproche obbligazioni contrattuali per operare investimenti in società e condividere il risultato economico.
Anche per questa tipologia di contratti è preferibile la stipulazione in forma scritta così come indicato nel Corano.
I profitti possono essere ripartiti, oltre che in base all'apporto di capitale, in parti uguali; mentre le perdite devono essere necessariamente suddivise in base alle risorse impiegate. Tale possibilità si rifà al principio dell'equità partecipativa ma al tempo stesso, per quanto riguarda gli esiti economici negativi, in accordo con le regole islamiche, vengono tutelati coloro finanziariamente più deboli.
I testi fiqh distinguono quattro generi di shirkah al-'uqud.
Il primo (al-mufawadah) si fonda sull'equità partecipativa. Questo, infatti, prevede che i sottoscrittori abbiano una eguale porzione di capitale versato e che possano agire in nome degli altri partecipando congiuntamente ai risultati fatti registrare dall'azione dei partner. Ciascun componente, inoltre, può divenire "agente" (wakil) degli gli altri partecipanti o essere scelto come garante (kafil).
La seconda variante è l' Al-Inan che si oppone alla forma precedente non ritenendo necessaria l'uguaglianza finanziaria e la solidarietà nel far fronte alle perdite. I soci, infatti, rispondono dell'esito economico solamente in proporzione al capitale apportato e nessun soggetto può assumere la parte del kafil.
La terza e la quarta tipologia, lo shirkah al-abdan e lo shirkah al-wujuh (raramente utilizzate dagli istituiti di credito), escludono la contribuzione monetaria prevedendo che le parti apportino solo l'abilità di gestione, le loro conoscenze e le loro capacità di credito.
Analizzando i metodi operativi delle banche islamiche, però, è evidente che, nonostante le dichiarazioni formali, gli istituti di credito non applicano gli strumenti tipo elencati in precedenza. Si preferisce, invece, offrire dei contratti ibridi tra il mudarabah e lo shirkah dove la banca contribuisce solo ed esclusivamente con l'apporto di capitale e gli altri soggetti si occupano della gestione. In caso di profitto la ripartizione delle risorse avviene anche in base al lavoro apportato dai manager.
La giurisprudenza islamica ha più volte dimostrato di tollerare questo atteggiamento imponendo, però, che nella suddivisione del risultato economico si tenga appunto conto di tutti i tipi di contribuzione all'investimento (es. capitale, gestione, contatti, capacità creditizia, tempo ecc.). onde rispettare il principio dell'equità partecipativa e legittimare la remunerazione ricevuta dalle parti al contratto.
Nel primo gruppo troviamo anche un terzo strumento, non previsto dalla letteratura fiqh, ma che è molto utilizzato dalle banche per concedere indirettamente crediti e inserirsi negli ambienti e nelle compagnie più fruttifere: l'ente morale.
Questo metodo è molto vicino alla società a responsabilità limitata occidentale ed offre molti vantaggi: rischio limitato per i partecipanti, divisibilità e facile trasferibilità della proprietà delle quote societarie, assenza del delectus personae tra gli azionisti (il diritto personale di scegliere senza autorizzazione degli altri partner un nuovo socio) ed, infine, entità legale della società separata da quella dei partecipanti.
Tali caratteristiche non violano i principi e le leggi della Sharia e rendono appetibile questa soluzione ai grandi gruppi bancari che desiderano limitare la loro esposizione sia economica sia giuridica. L'ente morale è la soluzione migliore anche per quegli imprenditori che necessitano grandi quantità di capitali che non potrebbero essere fornite dagli istituti di credito attraverso contratti restrittivi, per controllo e canalizzazione dell'investimento, come il mudarabah e lo shirkah.
L'evoluzione giuridica dei suddetti istituti islamici si è espressa, quindi, in una consuetudine che ha come obbiettivo la creazione di grandi holding capaci di concorrere a livello mondiale. Tale consuetudine non è prevista né dai codici shariatici né dalla letteratura fiqh ma è comunque largamente utilizzata dalle banche islamiche in assenza di regole o fatawà che la vietino espressamente.
Le società islamiche moderne, infatti, si fondano giuridicamente su di un contratto che è una combinazione tra il mudarabah e lo shirkah al-inan. I partecipanti alla società, inoltre, possono rivestire sia il ruolo del sahib al-mal sia quello del mudarib uscendo così dalle figure tipo disegnate dalla Sharia.
Del secondo gruppo di mezzi per la concessione di risorse fanno parte quegli strumenti funzionali per l'acquisto di beni durevoli (es. case) da parte dei piccoli e medi risparmiatori.
Tali metodi, nella loro moderna accezione, implicano la contrazione di un credito, da parte della banca- fornitore, nei confronti del cliente con un tasso di remunerazione accordato in precedenza e tale da garantire un profitto al finanziatore.
Questa caratteristica non si concilia con le regole islamiche ma le lobby economico-finanziarie sono riuscite a trovare una soluzione formale. La regola shariatica, infatti, è stata elusa grazie all'associazione tra la vendita di un bene e la concessione del finanziamento. In questo caso, infatti, quello che sostanzialmente è un interesse non sarebbe più distinguibile dal prezzo del bene o del servizio. I dotti islamici e i fiqh, però, hanno imposto delle condizioni per l'applicazione di questi istituti giuridici onde evitare che vi sia un pericoloso precedente di raggiro del principio che vieta il l'applicazione dell'interesse. L'obbiettivo era l'inserimento di una componente di rischio per legittimare il profitto del finanziatore e tutelare l'interesse del compratore, prevenendo, così, che le transazioni divenissero un mero strumento finanziario.
Una di queste condizioni prescrive che non è possibile vendere o concedere in affitto qualcosa che non è posseduta, dal venditore o dall'affittuario; inoltre egli deve essere in grado di consegnarla fisicamente al compratore. Una volta acquistata la proprietà del bene o del servizio in questione, il venditore o l'affittuario, se ne assumono tutti i rischi connessi.
La letteratura fiqh, nella sua accezione classica, prevede due istituti principali per il finanziamento atto all'acquisto di beni.
Il primo è il bay al-muajjal che consente la vendita di un bene in cambio di un pagamento differito. Nel caso di un pagamento posticipato non vi sono, però, espliciti riferimenti al margine di profitto che il fornitore potrebbe avere nonostante il pagamento non avvenga contemporaneamente allo scambio della merce. E' prevista anche la possibilità, attraverso il bay al-salam, di pagare immediatamente la merce per una consegna futura. Questo istituto, contrario alla legge islamica che impone di commercializzare solo con i beni di cui si è proprietari, è giustificato dal principio del consenso tra le parti (iima). Un'altra eccezione alla suddetta legge islamica è il bay al-istina che consente la commissione di un bene o servizio che viene consegnato in vari stadi al cliente il quale provvede al pagamento, secondo un importo fissato in precedenza, sia al momento dell'ordine che alla consegna. Entrambi i metodi sono molto utilizzati in campo agricolo e industriale.
Il secondo è il bay al-murabahah che si divide in tre tipologie principali.
Una delle varianti è il murabahah implicante una fornitura del bene in cambio del pagamento del costo dello stesso più un margine di profitto che viene concordato in precedenza tra le parti. I termini di pagamento, nella forma classica, non necessariamente devono implicare l'apertura di un credito.
La seconda variante è il tawliyah consistente nella vendita di un oggetto senza che vi sia alcun profitto per il venditore.
Il wadiah, infine, prevede perfino che la vendita avvenga facendo registrare una perdita per il fornitore.
Nella pratica moderna, però, come già accennato in precedenza, il bay al-muajjal implica un tasso di remunerazione per il fornitore-finanziatore e per il bay al-murabahah ci si richiama al murabahah.
La banca, infatti, compra sul mercato il bene richiesto dal cliente, principalmente perché questi si trova senza risorse monetarie per far fronte direttamente all'acquisto, e glielo vende ad un prezzo concordato in precedenza che include un margine di profitto.
Il finanziatore gioca, quindi, un ruolo di intermediario tra il primo venditore e il compratore finale.
Questi due metodi sono largamente utilizzati, rispetto a quelli del primo gruppo che si basavano sul principio di condivisione degli utili e delle perdite, essenzialmente per tre ragioni: i finanziamenti hanno un termine temporale di molto inferiore che consente una realizzazione del guadagno a breve termine, garantiscono generalmente un profitto alla banca e vi è un rischio complessivamente minore.
Il successo del murabahah e del bay al-muajjal è stato sancito, inoltre, anche dalla scelta della Banca Nazionale del Commercio (Arabia Saudita) che ha creato un Fondo Internazionale per il Commercio che opera secondo i principi del suddetto strumento. Il Fondo vende unità agli investitori rappresentanti una partecipazione agli investimenti effettuati. Le risorse del Fondo vengono impiegate per acquistare beni di ogni tipo e rivenderli ai potenziali compratori con modalità di pagamento differite. I profitti tratti da questa attività incrementano il valore delle unità del Fondo che fornisce, oltre a possibilità di guadagno, anche un valido stimolo all'ampliamento del commercio.
La conformazione di questi strumenti con la sharia implica, però, che la banca debba accollarsi tutti gli impegni, economici e legali, legati alla proprietà del bene in questione sino a quando questa non passerà al cliente. La giurisprudenza islamica, inoltre, mantiene il suo obbiettivo di aggravare le responsabilità e i rischi della banca per giustificare il surplus nel suo guadagno. A questo proposito molti fiqh si sono espressi per la validità del diritto di opzione (khiyar), in favore del cliente, fino a quando il bene non è stato fisicamente consegnato nelle sue mani. Tale orientamento, quindi, consente al cliente di recedere dalle sue intenzioni di comprare la merce fino all'ultimo momento. Appare dunque evidente che questa visione espone a maggiore incertezza l'azione della banca e l'ottenimento del profitto in misura tale da spingere gli istituti a stipulare un duplice contratto: uno con il fornitore del bene e l'altro con il futuro compratore, onde ridurre al minimo i rischi
legati all'inadempienza dei due soggetti.
Molti enti finanziatori, per la stessa ragione, hanno anche fatto lievitare il costo di questo servizio.
In questo ambito, inoltre, le banche islamiche si trovano a doversi confrontare con un altro grande problema suscettibile di mettere a rischio la loro solidità finanziaria: il ritardo nei pagamenti.
Contrariamente a quanto espresso dalla visione classica delle regole shariatiche (in accordo con il sesto principio) non è possibile per gli istituti di credito concedere dilazioni di pagamento senza sollecitare il debitore a far fronte ai suoi impegni attraverso il pagamento di una penale (interesse). Se così non fosse non vi sarebbero certezze per le banche di recuperare entro i tempi previsti le risorse concesse compromettendo, così, la loro attività economico-finanziaria e la fiducia nelle possibilità di sviluppo del sistema economico.
Una possibile soluzione, che richiama la visione islamica di immoralità per l'inadempienza agli impegni presi, è quella di prevedere una condanna penale (carcerazione compresa) per coloro che senza motivo apparente hanno un comportamento negligente in questo senso. Tale orientamento è appoggiato anche dalle frange ortodosse che escludono categoricamente l'applicazione di penalità monetarie per il timore che vengano intese come una forma d'interesse.
Una visione più liberale propone la possibilità di sanzioni pecuniarie ma solo dopo la decisione di una corte giudiziaria. Anche in questo caso, però, si hanno visioni differenti. Vi sono personalità le quali ritengono che la corte debba considerare e determinare sia la compensazione dovuta per il ritardo del pagamento sia quella per tutti i danni registrati dall'istituto di credito. Altri preferiscono limitare il risarcimento al solo ritardo del pagamento e, infine, per altri ancora sarebbe opportuno che il denaro non sia restituito alla banca ma devoluto in beneficenza.
L'inefficienza dei tribunali nei paesi islamici ha scoraggiato l'applicazione di questa soluzione anche se in alcuni paesi, Pakistan e Malaysia, sono state create delle corti apposite con giurisdizione su questi casi.
La Banca Al-bakara del Sudan, inoltre, ha già da tempo inserito nei contratti di questo tipo che prevedono una dilazione nel pagamento la possibilità di rivolgersi, nel caso di dispute, ad una commissione arbitrale islamica (che si basa sulle leggi shariatiche) composta da tre membri. Ciascuna parte nomina il proprio e vi deve essere poi un accordo per la nomina del presidente.
Del secondo gruppo fanno parte anche i leasing (Ijarah).
Gli strumenti definiti come "leasing operativi" prevedono la partecipazione di due soggetti: il locatore (mu'jjir) che permette al conduttore (musta'jir) di utilizzare il bene in questione in cambio di una remunerazione.
La sharia permette il ricorso a questo metodo ma lo subordina al rispetto di alcune regole.
Che il locatore rimanga il proprietario del bene in questione e si assuma tutti i costi e i rischi connessi al suo mantenimento, onde legittimare l'utile che riceve, ad eccezione degli interventi giornalieri e di ordinaria manutenzione che devono essere assolti dal conduttore.
Quest'ultimo, inoltre, non potrà usufruire del bene per tutta la sua vita produttiva ma soltanto per un limitato periodo che potrà essere rinnovato con l'accordo di entrambi i soggetti.
L'altra tipologia di leasing è quella del "leasing finanziario" (ijarah wa iqtina).
In questo caso la banca provvede a fornire un bene al conduttore che lo utilizza in cambio del pagamento di un affitto periodico. La differenza, rispetto alla forma precedente, risiede nella possibilità, per il locatario, di acquistare il bene in questione al termine del periodo di affitto attraverso il pagamento di un valore di riscatto (determinato rispetto al valore di mercato del prodotto). La Banca Islamica di Malaysia, per esempio, considera parte del valore di riscatto anche le rate dell'affitto pagate sino a quel momento dal conduttore.
Da sottolineare anche i differenti modi operativi delle banche iraniane e pakistane. Per la Banca Islamica dell'Iran, infatti, non è possibile concedere leasing finanziari con una durata superiore alla vita produttiva del bene, determinata per legge dalla Banca Centrale, e per quei beni la cui vita produttiva è inferiore ai due anni. I gruppi pakistani, al momento della richiesta da parte del cliente, aprono un conto in passivo a suo nome pari alla somma di tutte le rate che egli dovrà pagare e al margine di profitto in favore dell'istituto di credito.
In ogni caso non è possibile per il conduttore compiere operazioni fondandole sulla futura proprietà del bene in quanto violerebbe le leggi islamiche che vietano la vendita di titoli monetari di credito/debito e che impongono di avere la proprietà del bene di riferimento.
Molti fiqh hanno sollevato dubbi sulla legalità anche di questo strumento ponendo poi in essere una serie di regole giurisprudenziali che limitano la libertà di stipulazione.
La prima discordanza con la sharia riguardava la lunga durata del leasing finanziario e la difficoltà di recessione che potevano comportare uno svantaggio per il conduttore, il più debole economicamente, se si fosse verificato un crollo del valore del bene sul mercato (es. perché considerato obsoleto) ed egli si fosse trovato comunque costretto a pagare il valore di riscatto fissato in precedenza.
Per questo motivo, quindi, la sharia obbliga ad una stipulazione separata del contratto di leasing da quello di riscatto. Il valore, inoltre, deve essere fissato in base al prezzo di mercato attuale e non al momento della sottoscrizione del primo contratto. A tal proposito molte banche preferiscono, con grande rammarico dei giuristi più ortodossi, fissare in precedenza un valore nominale per il riscatto per poi confrontarlo con quello attuale e devolvere, quindi, l'eventuale differenza pagata al cliente stesso.
E' illegale anche il ricorso ai contratti di leasing finanziario nei quali la banca ha il ruolo di semplice intermediario tra il fornitore e il conduttore, ponendosi, così, come finanziatore che utilizza la proprietà del bene come strumento legale per garantirsi la restituzione del debito e tutela in caso di inadempimento.
L'altro precetto prevede, inoltre, che il pagamento del locatario debba necessariamente aver luogo solo quando egli ha concreta possessione del bene ed esso non è utilizzabile che da lui solo.
Evoluzione o secolarizzazione?
Dopo la rapida crescita degli anni '70 e l'espansione degli anni '80 e '90 le banche islamiche giocano ad oggi un importante ruolo nel sistema bancario internazionale.
Il legame con il mondo islamico ha per certi aspetti favorito il loro sviluppo e per altri posto del limiti alle loro potenzialità.
Tra i benefici apportati dall'Islam vi è lo stretto legame instauratosi tra gli istituti di credito e le istituzioni statali e religiose. La religione musulmana, infatti, nel periodo di proliferazione delle banche era fortemente presente sia nel tessuto sociale sia negli organi decisionali dei paesi arabi e questo ha fatto si che si creasse una forte connessione tra i tre sistemi.
Grazie al legame con il clero gli istituti di credito hanno potuto contare su un supporto continuo e radicato territorialmente, attraverso gli enti islamici, che invitavano i fedeli, sia coloro che rimanevano in patria sia gli emigranti, a depositare i loro risparmi e richiedere finanziamenti secondo i dettami della sharia.
Il legame con il mondo politico e i petroldollari, invece, hanno fornito appoggio e fondi importanti per lo sviluppo del sistema e la sua solidità.
Per quanto riguarda le limitazioni, invece, esse possono essere riscontrate principalmente nei limiti operativi ai quali devono sottostare le banche.
Se in passato il legame privilegiato con le comunità islamiche, dovuto principalmente a motivazioni religiose, faceva si che non vi fossero preoccupazioni per la raccolta del risparmio e la concessione di finanziamenti nei confronti di tale corpo sociale tali limitazioni, invece, non consentirebbero oggi agli istituti di credito di compiere operazioni economico-finanziarie di espansione per poter concorrere al pieno delle loro possibilità con i gruppi occidentali.
Il processo di secolarizzazione, seppur lieve e spesso limitato alle sole istituzioni statali ed alcune élite, combinato con l'emancipazione economica delle società islamiche, hanno spinto ad una sempre più rapida evoluzione delle pratiche bancarie per far fronte ai suddetti cambiamenti e alle conseguenti richieste della clientela.
La questione è stata recentemente affrontata alla "Conferenza sull'Economia Islamica e Bancaria durante il ventunesimo secolo" tenutasi a Giacarta in agosto. I vari interventi hanno sottolineato come il sistema bancario islamico sia ancora oggi un sistema fragile non sotto il profilo economico, di risorse e solidità, ma per quanto riguarda l'aspetto operativo e il suo continuo confronto e adattamento con la sharia.
L'esigenza di un cambiamento è stata riconosciuta da più parti.
Le problematiche più rilevanti riguardano l'impopolarità dei finanziamenti basati sul principio di condivisione dei profitti e delle perdite. Dal punto di vista delle banche, infatti, vi sono difficoltà nel trovare progetti redditizi con un tasso di rischio accettabile. I clienti, invece, non desiderano condividere troppe informazioni e profitto con gli istituti di credito.
Il risultato di questa tendenza fa sì che tali formule attraggano solo progetti con basse potenzialità di utile anche a causa di un atteggiamento non cooperativo dei partecipanti.
Tali metodi, inoltre, non sono funzionali per finanziamenti a breve termine e applicazioni nel settore non-profit.
Le banche islamiche hanno anche delle difficoltà nell'ottimizzazione dei rischi, nel determinare della remunerazione e liquidità, principalmente a causa della visione che la sharia ha delle dilazioni di pagamento effettuate dal debitore e dell'impossibilità di determinare a priori un tasso di remunerazione per le operazioni finanziarie.
Questa situazione implica una notevole prudenza da parte degli istituti di credito nel contrarre obbligazioni sul mercato dei capitali che si riflette in un rallentamento della crescita del gruppo bancario. Il deficit di liquidità, in particolare, limita la funzione di creazione di moneta nel sistema economico (attraverso la concessione di finanziamenti con detenzione di riserve inferiori al 100%) a causa dell'incertezza nel determinare le riserve disponibili e quindi la quantità di risorse cedibili.
Una possibile soluzione è stata attuata in Malaysia, già nel 1994, con la creazione del Mercato Islamico Interbancario della Moneta. Questo sistema fornisce risorse, in accordo con le leggi islamiche, per investimenti a breve termine in favore di quelle banche che si trovano in una situazione deficitaria sul piano della liquidità.
I partecipanti all'IIMM (Islamic Inter-bank Money Market) non sono solo banche islamiche ma anche banche commerciali, istituti di sconto e compagnie finanziarie. Per limitare le incertezze sul tasso di remunerazione nella cessione delle risorse e per invogliare una maggiore partecipazione il governo malese impone alle banche di garantire un tasso di riferimento che può variare al massimo nella misura dello 0.5% e che, poi, viene cristallizzato al termine dell'investimento quando è noto il risultato economico.
Come è intuibile questa scelta non è stata condivisa dalle frange di giuristi islamici ortodossi.
Durante la conferenza, inoltre, sono state sollevate questioni relative alla riduzione dei costi connessi con la burocrazia causata dai farraginosi meccanismi contrattuali previsti dalla sharia e al miglioramento, quindi, dell'organizzazione interna e della trasparenza amministrativa.
A complicare il quadro vi è anche l'atteggiamento diffidente che le istituzioni occidentali hanno nei confronti dei gruppi bancari islamici dopo l'11 settembre, a causa del forte legame finanziario con le organizzazioni caritatevoli islamiche sospettate di finanziare il terrorismo internazionale.
La storia delle banche islamiche mostra come il loro destino sia intimamente connesso con l'evoluzione dell'Islam, delle sue leggi e del loro radicamento nella società.
Il lento ma significativo processo di distaccamento dai precetti di stampo più ortodosso denota un forte consenso attorno alla necessità di cambiamento per far si che le banche islamiche, e la compagine sociale che rappresentano, non perdano il loro ruolo nel sistema economico mondiale.
Lo sviluppo economico e la globalizzazione finanziaria si pongono, quindi, come principali promotori di una secolarizzazione economica per molti aspetti dettata dall'interazione con l'Occidente.
Alessio Orlando
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