L'asse Putin-Erdogan-Rohani si rafforza contro le "ingerenze" di Trump
Un asse che unisce Mosca e Teheran, Ankara e Islamabad contro le ingerenze di Washington. Dall'incandescente scenario iraniano a quello non meno problematico che investe le relazioni tra Usa e Turchia, per non parlare del Gigante nucleare pachistano. Al centro della scena c'è sempre l'inquilino della Casa Bianca: Donald Trump.
Il regime teocratico-militare iraniano se la prende con i tweet "sparati" giornalmente da The Donald definendoli una "ingerenza" negli affari interni della Repubblica islamica. Al Palazzo di Vetro, dove in nottata si riunisce il Consiglio di Sicurezza in sessione d'emergenza per discutere delle proteste in Iran, la Russia è pronta ad esercitare il diritto di veto per bloccare il tentativo, Mosca dixit, degli Usa di interferire negli affari interni dell'Iran.
L'interferenza come elemento cardine dell'"America first", il fortunato slogan della campagna elettorale di Trump divenuto, dopo la sua vittoria, uno dei cardini della sua azione presidenziale in politica estera. Più "interferisce", più rinsalda l'asse Mosca-Turchia-Iran. Cambia la lingua con cui lo si denuncia, ma il concetto resta sempre lo stesso: Trump entra a gamba tesa in affari che, sostengono i suoi interessati accusatori, che non gli competono.
Uno dei più bellicosi sostenitori di questa battaglia è Tayyp Recep Erdogan. Nel giorno in cui fa visita al suo omologo francese, Emmanuel Macron, il presidente turco denuncia "una serie di gravi complotti" contro Ankara, fomentati dagli Stati Uniti, dopo la condanna di un banchiere turco mercoledì a New York nel contesto di un processo per elusione delle sanzioni contro l'Iran. "Gli Stati Uniti stanno attualmente portando avanti una serie di complotti gravi, non solo giudiziari ma anche economici", ha tuonato Erdogan in conferenza stampa. "Se questo è il modo di intendere la giustizia da parte degli Stati Uniti, allora il mondo è condannato: non può esserci una tale comprensione della giustizia", ha detto in aeroporto, in attesa di imbarcarsi per Parigi, dopo la condanna di Mehmet Hakan Atilla, 47 anni, ex vice-direttore generale della banca turca Halkbank. "Il tribunale americano si è immischiato negli affari interni della Turchia in modo che non ha precedenti", ha denunciato il ministero degli Esteri turco.
La condanna si basa su "sedicenti prove che sono false e passibili di utilizzo politico". Il caso si regge sulla testimonianza dell'uomo d'affari turco-iraniano Reza Zarrab, che sta collaborando con le autorità contro Atilla. L'uomo ha confessato alla corte di aver aiutato l'Iran a utilizzare i fondi depositati nella banca pubblica turca Halkbank per comprare oro. Durante una deposizione Zarrab ha anche riferito di aver appreso che il presidente Erdogan e l'allora ministro del tesoro, Ali Babacan, avevano autorizzato due istituti bancari turchi a trasferire fondi a favore dell'Iran.
Altro giro, che però ha sempre al centro l'Iran, e altra accusa d'interferenza indirizzata contro il presidente Usa: "Gli Stati Uniti continuano la loro politica d'interferire in modo aperto o nascosto negli affari di altri stati: con l'apparente preoccupazione per i diritti umani e la democrazia, attaccano spudoratamente la sovranità di altre nazioni" afferma il vice ministro degli Esteri russo Sergey Ryabkov all'agenzia Interfax. "È in questa luce che vediamo l'iniziativa americana di convocare una riunione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu su un problema di stretta natura interna".
Dello stesso tenore le accuse che provengono dai palazzi del potere iraniani. Ryabkov ha aggiunto che "il nostro vicino, Paese per noi amico (l'Iran), saprà superare le attuali difficoltà ed emergere come uno Stato più forte e partner ancor più affidabile nella risoluzione dei vari problemi, compresi quelli relativi all'attuazione dell'accordo congiunto sul nucleare". Ieri, Teheran aveva accusato Trump e il vicepresidente Usa Mike Pence di interferenze "grottesche" nei suoi affari interni e di "incitare" le proteste antigovernative attraverso una serie di "tweet assurdi". L'accusa è contenuta in una lettera dell'inviato iraniano all'Onu, Gholamali Khoshroo, al segretario generale delle Nazioni Unite. L'amministrazione Usa, si dice nella lettera, "ha superato ogni limite nel violare le regole e i principi della legge internazionale che governa la condotta civile delle relazioni internazionali".
Qualche giorno prima, il 31 dicembre, a tuonare contro Trump era stato il "moderato" Rohani, che aveva attaccato Trump per le sue "dichiarazione che interferiscono con l'attività delle autorità dell'Iran", rincarando poi la dose: "Qualcuno che ha definito l'Iran un Paese terrorista – aveva puntualizzato Rohani riferendosi al suo omologo americano - – non ha diritto di dire che 'simpatizza' per gli iraniani.
Toni analoghi anche da Islamabad. Il Pakistan è andato su tutte le furie per le gravi accuse rivoltegli via twitter da Trump che nei giorni scorsi attraverso Nikki Haley, l'ambasciatrice statunitense al Palazzo di Vetro ha annunciato lo stop a 255 milioni di dollari in aiuti. Islamabad ha promesso, per bocca del ministro degli Esteri Khawaja Asif, di rispondere presto per far "conoscere al mondo la verità e la differenza fra i fatti e la fiction". Intanto ha convocato l'ambasciatore americano David Hale manifestando "il malessere del governo" pachistano per l'accaduto ed ha riunito d'emergenza il Comitato per la sicurezza nazionale. Negli ultimi mesi si erano intensificate, segno del nervosismo di Washington, le visite ad Islamabad dei membri del governo statunitense (fra cui i responsabili degli Esteri, Tillerson e della Difesa Mattis) ma nessuno si attendeva una "esternazione" di Trump così radicale e lontana dal fair play diplomatico. Con uno dei suoi tradizionali tweet il capo della Casa Bianca ha scelto il primo gennaio per dichiarare che "gli Usa hanno scioccamente dato al Pakistan più di 33 miliardi di dollari in aiuti negli ultimi 15 anni, e loro non ci hanno dato altro che menzogne. Procurano un rifugio sicuro ai terroristi che noi combattiamo in Afghanistan, con poco aiuto. Mai più!".
L'accusa del governo pachistano è identica a quelle lanciate da Mosca, da Teheran, da Ankara: basta con le ingerenze americane! E un'interferenza pesantissima, al punto da aver "assassinato" il negoziato di pace, è stata quella di Trump in Terrasanta. A denunciarlo, stavolta, è la dirigenza palestinese. "Non è solo al Pakistan –aveva 'cinguettato' Trump in un doppio tweet - che paghiamo miliardi di dollari per nulla, ma anche a molti altri Paesi. Ad esempio, paghiamo ai palestinesi centinaia di milioni di dollari all'anno e non otteniamo alcun apprezzamento o rispetto. Non vogliono neppure negoziare un trattato di pace con Israele necessario da molto tempo". "Noi abbiamo tolto dal tavolo Gerusalemme, la parte più dura del negoziato, ma Israele, per questo, avrebbe dovuto pagare di più. Ma con i palestinesi non più desiderosi di colloqui di pace, perché dovremmo fare loro uno qualsiasi di quei massicci pagamenti futuri?". L'allontanamento dei palestinesi dal negoziato segue la decisione degli Stati Uniti di spostare l'ambasciata Usa a Gerusalemme riconoscendola di fatto come capitale dello Stato ebraico. Un atto che è stato condannato dalla stragrande maggioranza dei Paesi Onu con una risoluzione dell'Assemblea generale. "Gerusalemme non è in vendita e il presidente Usa ha interferito in maniera devastante sul negoziato di pace, venendo meno al suo proclamato ruolo di 'facilitatore' per sposare totalmente le posizioni d'Israele", aveva dichiarato Nabil Abu Rudeina, il portavoce della presidenza palestinese.
Una cosa è certa: Donald Trump, il presidente americano che aveva annunciato che l'America sarebbe rimasta fuori dai Paesi in cui non aveva interessi specifici e non intendeva più fare il poliziotto del mondo si è trasformato, nel giro di tre mesi, nel "Grande Interferente". Non si tratta di esercitare il ruolo di presidente di quella che resta l'iper potenza mondiale, questo sta nelle cose, ma del modo in cui The Donald interpreta questo ruolo: prendendo di petto il "Nemico", in particolare l'Iran degli Ayatollah e dei Pasdaran, e considerando chiunque non in linea con questa dottrina, un ostacolo alla pace, se non peggio. In questo esercizio si è cimentato nei giorni scorsi il vicepresidente Usa Mike Pence che in un articolo scritto per il Washington Post, guardando alle vicende iraniane aveva ammonito l'Europa a uscire da ogni (presunta) ambiguità e di scegliere da che parte stare: con i manifestanti anti-regime o con i loro repressori.
A Trump l'Europa, intesa come Ue, non piace neanche un po'. Se fosse per lui, la strada che tutti i Paesi dell'Unione dovrebbero seguire è quella della "Brexit". Lo pensa e lo dice pubblicamente. E non solo "cinguettando". "Brexit sarà un successo, presto altri paesi europei seguiranno questa scelta e abbandoneranno l'Unione Europea", aveva profetizzato Trump all'inizio del suo mandato, suscitando reazioni non certo soddisfatte dalle più importanti cancellerie europee, in primis da quella tedesca. Anche in questo caso, da più parte si disse e scrisse che con queste uscite, il presidente americano interferiva negli affari interni non solo di Bruxelles ma anche nelle vicende politico-elettorali dei singoli Stati membri perché le sue proposte e le sue argomentazioni finivano per alimentare partiti e movimenti populisti nel Vecchio Continente.
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L'interferenza come parte fondamentale di quel "sovranismo globalista" teorizzato prima e ora praticato da Trump e dai suoi più ascoltati consiglieri. E a sancirlo senza giri di parole è l'uomo che si sosteneva essere il "grande amico" di Trump: Vladimir Putin. Nel corso di una lunga intervista rilasciata nel giugno scorso alla Nbc, il presidente russo , un po' spazientito dalle accuse rivoltegli di aver "pilotato" le elezioni americane per danneggiare Hillary Clinton, se ne esce così, rivolto al suo intervistatore: "Punti un dito su una mappa e provi a indicarmi un Paese nelle cui elezioni gli Stati Uniti non sono sospettati di aver interferito con le elezioni". Interferire: è la mission di The Donald.
https://www.msn.com/it-it/notizie/mondo ... spartanntpBASTA IL FATTO CHE SIETE FILO-AMERICANI PER CAPIRE COME LA PENSATE SU TUTTO,ECCO UN ESEMPIO SOPRA.
![Davvero Felice [:D]](./images/smilies/UF/icon_smile_big.gif)