La città libica nelle mani
dei fedelissimi dell’ex regime
GIOVANNI CERRUTI
INVIATO A MISURATA
Come un anno fa, proprio lo stesso giorno. Come se Bani Walid fosse ancora la penultima ridotta del Colonnello Gheddafi. «Abbiamo conquistato tutte le posizioni sulle colline, sono circondati, aspettiamo l’ordine da Tripoli», dice Mohammed Abdullah al Ganduz, 36 anni, la divisa mimetica addosso e le ciabatte ai piedi, l’ufficiale che a sera rientra dal fronte. È lontana 140 chilometri la Bani Walid dei «gheddafiani» che ancora esistono e resistono. «Abbiamo registrato le loro telefonate – racconta il militare con i capelli rasati e un filo di barba –. Quelli sono armati, organizzati, pronti a tutto.
Quelli vogliono approfittare della giornata di sabato...». È il 20 ottobre, sabato. Il primo anniversario della cattura e dell’uccisione di Muhammar Gheddafi: i «gheddafiani» cercano vendette, la Libia le teme. Non bastano due ore di macchina per avvicinarsi a Bani Walid, e dal check- point all’uscita di Misurata si passa solo con la scorta armata e il permesso ben in vista, appiccicato al parabrezza. È davvero come un anno fa, il 18 ottobre, quando Bani Walid è stata liberata dai «tuwar», i ribelli delle Brigate. Un via vai di urla, raffiche, pick up carichi di kalashnikov e casse di munizioni, mitragliatrici lucide di grasso, le ambulanze e i medici della Mezzaluna Rossa al seguito.
Un anno fa il Colonnello aveva appena lasciato Bani Walid. Era deserta, quella mattina: spariti i 70 mila abitanti della città dei «Warfalla», la tribù dei 52 clan, un milione di libici, tra i migliori alleati di Gheddafi. Solo «tuwar» arrivati da Misurata, da Bengasi, da Tripoli, i berberi di Jebel Nafusa. Ballavano davanti alla moschea, e di Bani Walid c’era appena Alì, 77 anni, il vecchietto sdentato, vestito solo con un cappottone di lana, che cantava canzoni napoletane imparate a scuola. Ora ne sono tornati 20 mila. Gheddafiani, nostalgici, disperati, mercenari neri rientrati in Libia con falsi permessi di lavoro.
Città simbolo, come un anno fa. Dicevano «Se cade Bani Walid al Colonnello non resta che Sirte ed è in trappola», e così è andata. «Siamo divisi in quattro zone, 6 mila “tuwar” ognuna – spiega Mohammed al Ganduz –. Dobbiamo intervenire al più presto, è stata un’altra giornata di morti, almeno venti, anche una bambina di 4 anni. Bisogna entrare, evitare che da qui o a Sirte passino all’ azione nella giornata di sabato». Sarà per questo, o anche per questo, ma alle sei del pomeriggio arriva l’ordine da Yusuf Magush, il capo di stato maggiore dell’esercito: «Il controllo dello Stato non permette eccezioni, da questo momento può cominciare l’avanzata». E da Tripoli stanno arrivando rinforzi.
Sono almeno 400 i «gheddafiani» di Bani Walid. E tra loro ci sarebbe chi a luglio ha sequestrato e torturato Omran Shaban, il ribelle della brigata «Al Riran» di Misurata, uno dei ragazzi che hanno catturato Gheddafi, nascosto nella periferia di Sirte in un tunnel di cemento. È morto il 25 settembre a Parigi, Omran Shaban. E da quel giorno è cominciato l’assedio a Bani Walid, con tanto di ordini di cattura per «i sospettati della sua morte e di altri crimini di guerra». Ma sono ben armati, i 400 di Bani Walid. Chi è tornato in città è diventato ostaggio. E chi riesce a fuggire si ritrova con la casa bruciata e i parenti arrestati.
Era caduta dopo tre mesi, Bani Walid un anno fa. Allora, che Gheddafi si nascondesse qui, sembrava una leggenda: era vero. E adesso un’altra leggenda vorrebbe qui, protetto dai mercenari e dalle colline, Khamis Gheddafi, uno dei figli, il più temuto, il più violento, il comandante della terribile 32ª Brigata. Sarebbe morto il 29 agosto 2011, sulla strada che scende da Tarhuna, centrato da un bombardamento Nato. «Non abbiamo la prova che sia lì – dice Mohammed al Ganduz –, ma sospetti ne abbiamo. Nelle intercettazioni si parla di un personaggio importante, lo chiamano “07”. E potrebbe, dico potrebbe, essere lui: Khamis».
Da Bani Walid trasmette la tv satellitare «Dardari», che vuol dire Dardanelli. E da Misurata non si perdono un’immagine, una voce: «Mandano messaggi ai “gheddafiani” che stanno fuori, usano un loro codice». Oppure sequenze di bambini uccisi dai tuwar delle Brigate. «Ma abbiamo scoperto che erano video siriani, ripresi da internet». Propaganda, insomma. O dirette dalla piazza della Moschea, dove vecchi, bimbi e mogli, reclamano la libertà dei parenti arrestati e portati in carcere qui a Misurata. «Non hanno fatto niente, restituiteli alla famiglia». Alle otto di sera ecco l’allarme: «Questa notte vogliono occupare le nostre case! Ecco cosa è diventata la nostra Libia!».
Forse è stata davvero l’ultima notte di Bani Walid occupata dai «gheddafiani». Una mediazione l’aveva meditata Mohammed Magarief, il presidente dell’Assemblea Nazionale, il parlamento della Nuova Libia. Era in partenza per Bani Walid, ieri pomeriggio, il convoglio già pronto, le tv allertate «per un importante discorso in serata». E invece niente. Contrordine. A Est della città scontri tra tuwar e «gheddafiani» che volevano entrare a Bani Walid, con venti pick-up carichi di armi e viveri. Un anno fa i vecchi capi della tribù Warfalla li avevano convinti a lasciare la città. Almeno fino a ieri sera no. E allora: «Avanzate».
L’ufficiale con la mimetica addosso e le ciabatte ai piedi ascolta la comunicazione dalla radiolina. È arrivato l’ordine, sta scendendo il buio, deve tornare al fronte, è tornato a Misurata «come portavoce». Prima di andarsene si fa ancora più serio: «Stiamo sventando un colpo di Stato. Quelli si sono infiltrati dappertutto, anche nel governo. Controllano ancora gli investimenti del vecchio regime, mandano armi e soldi dall’Algeria e dall’Egitto. Vogliono dimostrare che la Libia non è sicura, destabilizzare, provocare. E possono ancora contare sui soldati che hanno combattuto contro di noi...».
E domani è sabato, il 20 ottobre. Nessuna celebrazione è prevista. E nemmeno per il martedì 23, primo anniversario della nascita della Nuova Libia. I ribelli di Al Riran non torneranno al tunnel di Sirte, non festeggeranno la cattura, gli insulti, l’uccisione, gli oltraggi al raìs. «Sono tutti al fronte, a cercare gli assassini di Omran». Mohammed al Ganduz dice che è meglio star lontani da Sirte. «Non possiamo garantire nulla, e lo diremo anche in tv. Sappiamo che i “gheddafiani” vogliono mandare dei cecchini attorno a quel tunnel. Per dare la colpa a noi, alla Nuova Libia». Che un anno dopo non ha ancora un governo. E non riesce a liberarsi del fantasma di Gheddafi.
http://www.lastampa.it/2012/10/19/ester ... agina.htmlma non dicevamo che la pace e la democrazia regnava sovrana in quel della libia?purtroppo non ea vero,e sempre purtroppo ora nulla trapela su questa situazione come il fatto che nonostante sia trascorso un anno,la libia non abbia ancora un governo e ogni fazione abbia un proprio territorio cui badare..................................
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