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MessaggioInviato: 07/07/2013, 13:10 
Penso del tutto neutrale; non gli conviene, specialmente ad Israele.



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MessaggioInviato: 07/07/2013, 15:09 
Ho dato un'occhiata alle forze armate egiziane:mica male!Potrebbero essere una spina nel fianco per America ed Israele.



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MessaggioInviato: 07/07/2013, 16:52 
Per forza, erano alleati degli USA! Hanno tutte armi americane, elmetti compresi. (Hanno fatto molte esercitazioni congiunte quando c'era Mubarak) [;)]



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MessaggioInviato: 07/07/2013, 20:23 
Cita:
ATTENTATO CONTRO UN GASDOTTO NEL SINAI
Egitto, sale la tensione in piazza Tahrir
Irruzione nella redazione di Al Jazeera
Manifestazioni di sostenitori e oppositori di Morsi
http://www.corriere.it/esteri/13_luglio ... 2195.shtml



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MessaggioInviato: 10/07/2013, 20:03 
Fonte: http://www.nigrizia.it/notizia/libia-qu ... zione/blog

di Mostafa El Ayoubi

GIOVEDÌ 13 GIUGNO 2013

Pochi mesi fa è stato celebrato in sordina il secondo anniversario della “rivoluzione” del 17 febbraio che ha provocato la caduta del regime di Gheddafi. E poco meno di un anno fa sono state indette le prime elezioni “libere” in Libia. Oggi, da come viene trattata la questione libica nei media mainstream, si potrebbe pensare che il paese sia entrato nella “normalità” e che i vari episodi di violenza siano effetti collaterali della fase di transizione verso la democrazia.
In realtà, questa “normalità” è un po’ simile a quella dell’Iraq, che sta durando da 10 anni, dove regna il caos totale e dove si continua a morire nell’indifferenza della “comunità internazionale”. Il paese è devastato dai jihadisti e gli attentati mortali vengono registrati dai media come fatti di cronaca. Ed è questa la “normalità” drammatica nella quale si trova la Libia.

Prima della cosiddetta “rivoluzione”, in Libia vivevano 6,5 milioni di persone, di cui più di 2 milioni erano immigrati (lavoratori con famiglie). Oggi quasi tutti gli immigrati e più di un milione di libici ha lasciato il paese. La guerra della Nato del 2011 ha distrutto gran parte delle infrastrutture, l’economia è regredita drasticamente ed ecco povertà e disoccupazione in un paese che fino a ieri era il più ricco dell’Africa.

Le tribù, armate fino ai denti, si ammazzano tra di loro per accaparrarsi “l’appalto” per la protezione di pozzi di petrolio e di gas naturale e cercano di imporre il pizzo al “governo” libico e alle multinazionali. Qualche mese fa ci fu uno scontro mortale a Zintan e Zuara per aggiudicarsi la “protezione” dell’impianto di petrolio e gas di proprietà della Mallitah, una joint-venture tra la National Oil Company libica e l’Eni.

La Libia è diventata un grande bazar mondiale per lo smercio di armi: utilizzate all’interno del paese da milizie, bande criminali e jihadisti; altre trasportate all’estero per armare i mercenari e i jihadisti impegnati nella destabilizzazione di altri paesi, come la Siria.

L’International Crisis Group ha pubblicato il 17 aprile un rapporto sulla Libia in cui si parla di uno stato di insicurezza generale. Il sistema giudiziario è paralizzato. Brigate armate, la cui creazione è stata approvata a suo tempo dal Consiglio nazionale di transizione, gestiscono numerose prigioni dove impongono la loro giustizia sommaria fatta di torture e omicidi.

A marzo, Human Rights Watch ha pubblicato un rapporto in cui denuncia la pulizia etnica a Tawergha, da dove 40mila libici (in maggioranza neri) sono stati costretti a fuggire. Tawergha è diventata una città fantasma e molti dei suoi abitanti sono stati detenuti arbitrariamente, torturati e assassinati. La vasta rappresaglia contro la popolazione nera, accusata di essere stata complice di Gheddafi, è avvenuta dopo l’assassinio di quest’ultimo il 20 ottobre 2011.

E le cose vanno peggiorando. Ad aprile gruppi armati hanno invaso la sede del parlamento e quella di diversi ministeri. Milizie che dettano oggi le regole. E gli sponsor della guerra contro la Libia sembrano perdere il controllo del gioco. L’attentato contro l’ambasciata francese il 23 aprile scorso e la riduzione del personale dell’ambasciata britannica a maggio per motivi di sicurezza, sono ulteriori prove della gravissima instabilità causata dall’intervento Nato in Libia. Il 17 febbraio 2011 i francesi e i britannici erano a Bengasi a sostenere gli insorti – o, meglio, a impartire ordini – oggi invece la loro presenza non sembra gradita dai gruppi armati, anzi sono diventati anche loro potenziali vittime del terrorismo che hanno utilizzato per distruggere la Libia.

E il prezzo più alto lo stanno pagando gli Usa. Il 12 settembre 2012 l’ambasciatore americano Stevens ha perso la vita in un attentato a Bengasi. La reazione ambigua di Washington ha suscitato interrogativi ad oggi ancora irrisolti. È più che legittimo chiedersi come mai dopo quasi un anno gli Usa non hanno fatto nulla riguardo a quell’attentato. Cosa c’è dietro questa faccenda?

Stando alle recenti audizioni del Congresso Usa, sembrerebbe che ci sia stata un’operazione di insabbiamento riguardante la ricostruzione della dinamica dell’attacco. Secondo l’ex vice ambasciatore Gregory Hicks, le forze speciali americane sarebbero potute intervenire ma avrebbero avuto l’ordine di non muoversi. Inoltre, il generale David Petraeus si sarebbe opposto alla decisione di escludere dalla dichiarazione ufficiale il fatto che pochi giorni prima c’era stato un allarme attentato contro l’ambasciata. Due mesi dopo Petraeus ha dovuto dimettersi dal posto di direttore della Cia (a causa di una relazione extraconiugale)…

La versione della protesta contro il video amatoriale a danno del profeta Mohammed sembra una cartina fumogena per sviare l’attenzione su una faccenda poco chiara, di cui forse un giorno la storia ci rivelerà i contorni.


http://www.stampalibera.com/?p=64815


chissa x quale motivo la grande informazione non tratta piu'la questione
libica,come se tutto evolvesse x il meglio,mentre in realta' la situazione socio economica sta regredendo,quasi collassando,e come non realizzare che sembra di essere nella medesima situazione in cui si trova attualmente l'iraq..............[;)]


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MessaggioInviato: 16/07/2013, 08:53 
Così l'Egitto sconvolge il Medio Oriente

L'addio forzato di Morsi al potere assesta un duro colpo all'ambizioso Qatar e rilancia Arabia ed Emirati


Abbiamo esaurito le esclamazioni di stupore. Quello che (a quanto sembra) è successo il 5 luglio, quando notizie non confermate ci dicono che Israele abbia attaccato un deposito siriano di armi, trascende le sorprese cui ormai il Medio Oriente ci ha abituato.

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Non solo Israele avrebbe eliminato a Latakia, sulla costa siriana, missili Yakhont di fabbricazione russa che, se in mano di Assad o degli Hezbollah, cambierebbero l'equilibrio strategico della zona. Il fatto è che, secondo il Sunday Times, gli aerei israeliani, e qui possiamo spalancare la bocca, sarebbero decollati da una base turca.

Questo significherebbe che l'inimicizia della Turchia verso la Siria e anche il suo distacco dalla Russia, sono più forti dello scontro micidiale con Israele di cui Erdogan ha fatto una bandiera. La Turchia nega e Netanyahu, come sempre gli israeliani, non parla: questo non cambia l'impressione che un Medio Oriente davvero nuovo e contrario a ogni aspettativa stia emergendo con la guerra siriana e la rivoluzione egiziana. La mappa oggi ci mostra un Medio Oriente fatto di vincitori e vinti tutti nuovi, e persino la consueta divisione tra sunniti e sciiti non funziona più. La danza è aperta.

L'ex presidente egiziano Morsi tentò un'alleanza inusitata con l'Iran, visitò Teheran nell'agosto 2012, e Ahmadinejad lo ricambiò nel febbraio successivo, la prima volta dal 1979, anno della pace con Israele e della rivoluzione iraniana. Ma la grande avventura era destinata a una rapida conclusione. L'Iran ha condannato la cacciata di Morsi, e ha suggerito che sia frutto di «mani straniere»; ma il nuovo Egitto gli ha espresso «estremo disappunto.. che dimostrano la mancanza di conoscenza precisa» degli eventi. Eguali rimbrotti ha ricevuto la Turchia per la disapprovazione espressa dal governo per la soppressione del potere costituito. Altra alleanza svanita, dopo che Erdogan si è fatto sostenitore aperto dei Fratelli Musulmani.

I Sauditi, dopo un periodo di gelo, riformano il famoso «blocco pragmatico»: il Golfo, con l'Egitto, torna a far fronte, spiega Mazel, contro l'Iran. I sauditi adesso sono i maggiori sponsor. La settimana scorsa hanno concesso al Paese del Nilo un finanziamento di 8 miliardi di dollari. Risvegliati alla consueta lotta del loro reame per l'egemonia del mondo arabo, sono certo contenti della grande novità: la messa fuori giuoco del Qatar, che ha sostenuto con grandi somme e con il trapano ideologico di Al Jazeera tutte le rivoluzioni di cui i Fratelli Musulmani hanno portato la bandiera. Il Qatar è stato in questi anni rivoluzionari il bambino prodigio, lo spirito moderno dell'islamismo smart. Ha travestito l'islamismo da rivoluzione democratica. Un genio dei media a galla su un mare di petrolio. L'Arabia Saudita non l'ha presa bene, Al Jazeera ha reso sexy la Fratellanza musulmana in Tunisia, in Libia, in Egitto e anche in situazioni più periferiche.

Il Qatar ha finanziato con 7 miliardi anche Hamas, ma l'investimento non funziona più: l'organizzazione di Gaza subisce i colpi del nuovo governo militare egiziano che gli dà la caccia nel Sinai, che non gli consente più di esportare armi e uomini in Egitto. Hamas, membro dei Fratelli, ha perso il fratellone egiziano, e il Qatar non si sente tanto bene. Anche Hezbollah non è più l'asso pigliatutto in Libano: avendo combattuto con migliaia di uomini a fianco di Assad, di fatto ha creato disgusto all'interno del Libano. I ribelli siriani raggiungono con attentati la Milizia Sciita amica di Assad fino a Beirut, e si ricompongono vecchie amicizie sunnite-cristiane anti Hezbollah e Siria. Per Assad vedremo. Ogni giorno una sorpresa nuova.

http://www.ilgiornale.it/news/esteri/co ... 36096.html



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MessaggioInviato: 16/07/2013, 09:42 
le relazione isrealo turca,sono sempre state a corrente alternata,in base alle convenienze politiche del momento(sopratutto turca)magari ora che hanno interessi comuni di carattere strategico militare si saranno nuovamente rinsaldate,senza contare l'interesse comune che hanno verso le risorse petrolifere al largo di cipro,che cercheranno in tutti i modi di evitare che ne possano cedere in mano ad altri governi interessati......[;)]


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MessaggioInviato: 26/07/2013, 22:44 
venerdì 26 luglio 2013

Lo stato della Grecia si sfalda: decine di sindaci danno le dimissioni: sempre piu’ forti voci di rivolta popolare

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ATENE – In segno di protesta contro i licenziamenti dei dipendenti delle amministrazioni comunali che rientrano nell’ambito della drastica riforma del settore pubblico varata dal governo per risanare il bilancio dello Stato, 25 dei 38 sindaci della regione della Macedonia (Grecia settentrionale) si sono dimessi.

I primi cittadini hanno rassegnato le dimissioni con una lettera firmata congiuntamente ed inviata al premier Antonis Samaras, al vicepremier Evanghelos Venizelos e ai ministri competenti, come estrema espressione di salvaguardia delle Autonomie locali.

crisi greca

Nella missiva, tra l’altro, si legge: “Le Autonomie locali, per mezzo di una serie di ordinamenti contrari alla Costituzione, all’istituzione delle Autonomie locali e ai principi dell’Unione europea, subiscono dei colpi umilianti che le portano direttamente alla distruzione”.

Secondo il presidente dell’Unione dei Sindaci della Macedonia centrale, Simos Daniilidis, presto seguiranno le dimissioni di altri sindaci che vogliono esprimere cosi’ la loro contrarieta’ ai tagli dei fondi e agli accorpamenti dei comuni decisi dal governo. Da parte loro, i sindaci di 21 isole greche hanno scritto al parlamento chiedendo ai deputati di non votare a favore di un disegno di legge teso a rendere piu’ facili gli insediamenti turistici e che danneggerebbero irrimediabilmente il paesaggio.

Fonte: http://www.ilnord.it/c-1178_LO_STATO_DELLA_GRECIA_SI_SFALDA_DECINE_DI_SINDACI_DANNO_LE_DIMISSIONI_SEMPRE_P

[align=right]Source: TERRA REAL TIME: Lo stato dell...forti voci di rivolta popolare [/align]



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MessaggioInviato: 27/07/2013, 15:30 
Caos in Egitto
“Stiamo insegnando al mondo che cos’è la democrazia”

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Giuseppe Acconcia

Quasi 80 morti. Atmosfera surreale al Cairo, tra musica shaabi pop a tutto volume e scontri armati


IL CAIRO – L’esercito controlla piazza Tahrir. Anche il 29 gennaio 2011, i manifestanti festeggiavano l’ingresso dei carri armati nella piazza simbolo della rivolta del 25 gennaio, porgendo rose e frutta ai militari. Ieri è successo lo stesso: i bambini si arrampicavano sui carri armati e intere famiglie scattavano foto al fianco di poliziotti e militari. Ma i Fratelli musulmani non vogliono arrendersi. Non solo, in assenza di protezione della polizia sono estremamente fragili: lo dimostra l’alto numero di vittime della notte a Rabaa al Adaweya, sul ponte 6 ottobre e ad Alessandria. E così il braccio di ferro continua e tiene in sospeso da quasi un mese un intero paese.

In piazza Tahrir: la festa con i militari
Le morti dell’alba tra gli islamisti stridono con l’immensa folla notturna di piazza Tahrir. Le nuove canzoni dei cantanti shaabi pop (genere di moda già negli anni Settanta e il più amato nelle feste di matrimonio), come Oka w Ortega, riempiono le strade del centro del Cairo: è in corso una grande festa. Decine di marce seguite da casse e camion si dirigono verso via Talaat Harb e Sherif: tutte le strade sono ricolme di gente. Poco più avanti un’immensa folla occupa per tutta la notte piazza Tahrir. Nonostante l’invito del predicatore Yussef Al Qaradawi, che ha chiesto a tutti gli egiziani di non scendere in piazza, centinaia di migliaia di persone hanno accolto il richiamo dei militari ad invadere Tahrir.

Teslam el Ayadi (Sia benedetta la tua mano) è la canzone pro-esercito che inonda l’etere egiziano. I cantanti Samir Iskanderani, Mustafa Kamel e Khaled Haggag tessono l’elogio di Sisi e dell’esercito: della funzione essenziale che ha avuto per le famiglie e il popolo egiziano. È vero che in queste ore il seguito dei militari cresce, perché raccoglie il sostegno degli accoliti del Partito nazionale democratico. In altre parole, con la fine di Morsi si prepara il ritorno del nazionalismo alla Mubarak. «Ci sono due forze che si combattono in questo momento: il Partito nazionale democratico e i Fratelli musulmani. Insieme al primo ci sono la polizia, i Servizi segreti e la sicurezza di Stato. Ma finché non sono certo che tutto si trasformi in un governo militare, scendo in piazza con l’esercito», è il racconto di Mahmoud, che rimprovera ai Fratelli musulmani di non aver cominciato dal basso: dai problemi delle periferie urbane.

Quando a Tahrir passano gli aerei militari a bassa quota, li accoglie una ola infinita. E all’apparire dei velivoli militari, centinaia di giovani dirigono i loro laser psichedelici verso gli aerei, costruendo una nuvola di luci fluorescenti. Sulle mura del palazzo del Mogamma (centro dell’amministrazione pubblica) vengono proiettate scritte che inneggiano al capo delle Forze armate Abdel Fattah Sisi. Alcuni distribuiscono fogli di raccolta firme contro gli aiuti militari degli Stati Uniti. Mona, giovane studentessa, odia gli islamisti: «Sono loro ad aver fatto arrivare qui una quantità incredibile di siriani e palestinesi».

Karam, editrice e affiliata del partito liberale di Mohammed El-Baradei, ci spiega perché è scesa in piazza: «Stiamo insegnando al mondo che cos’è la democrazia. Questo è un laboratorio democratico. L’esercito sta dalla nostra parte perché ora abbiamo un peso e non può permettersi di lasciare il paese in mano a degli incompetenti. A questo punto ci aspettiamo un presidente che sia un impiegato: al servizio del popolo». Alla domanda sulla sorte di Morsi e ai motivi che hanno spinto Sisi a chiedere alla gente di scendere in piazza, l’attivista non ha dubbi: «Sisi ha chiesto al popolo di mostrarsi solidale con l’esercito per dimostrare agli Stati Uniti che non si tratta di un colpo di stato. Nel caso di Morsi, credo sia un criminale e meriti di stare in prigione come Mubarak, non importa il numero delle persone che si è ordinato di uccidere, si è comunque assassini», conclude Karam. Mentre una lunghissima serie di sedie tra piazza Tahrir e il ponte Qasr el-Nil, a due passi dalla Lega araba, aspetta la folla dell’iftar (la cena dopo il digiuno di Ramadan). Si inizia con un dattero e poi si passa al pasto, portato da casa o regalato dai contestatori che placano per pochi minuti i loro animi, quando ormai è sopraggiunto il crepuscolo.

Eppure la levata di scudi di Sisi non è stata apprezzata da tutti e molti giovani dei movimenti hanno deciso di non scendere in piazza ieri. Tra loro Ahmed Maher di 6 Aprile: «Non confidiamo in quest’accordo tra militari e liberali, agiscono come nelle fasi successive alle rivolte del 2011, non possiamo cadere nella stessa trappola». I carri armati chiudono piazza Talaat Harb e la via limitrofa. Decine di venditori espongono tavole di legno coperte di poster di Sisi. Frotte di manifestanti arrivano ripetutamente a Tahrir da 50 punti diversi della città. Tutti i negozi sono chiusi per il Ramadan, spiccano le scritte contestatarie sulle saracinesche di un antico Centro commerciale abbandonato della catena Omar Effendi. Le immagini di Nasser e Sadat vanno a ruba, mentre alcuni giovani tengono tra le mani l’evocativo poster di Morsi e Mubarak: entrambi dietro le sbarre.

È una prova di forza dell’esercito, che ha trovato il sostegno dei ribelli della campagna Tamarrod, che di fatto non esiste più, ma continua ad apparire in momenti critici come questo. Tanto da arrivare a chiedere, per bocca di Mohammed Abdel Aziz, l’espulsione dell’ambasciatore degli Stati Uniti in Egitto Anne Patterson. Ma Washington sta di nuovo ridimensionando la sua presa di posizione di qualche giorno fa che aveva ritardato la consegna di F-16 all’Egitto. Sembra che la confusione sulla definizione di questo golpe non abbia fine e che nessun paese voglia prendersi la responsabilità di dare un’altra chance agli islamisti. Centinaia di bambini corrono con cappelli e trombe, altri sventolano bandiere in cima a vecchi semafori spenti.

La soluzione della crisi non è arrivata con la notte. I sostenitori dei due pilastri dello stato, militari e Fratelli musulmani, si sono contati e scontrati. Ma il precario equilibrio che separa Tahrir dalla «Repubblica islamica di Rabaa al Adaweya» è stato presto interrotto e il sangue è tornato a scorrere in Egitto.

[BBvideo]o2tuK8PEQps#at=429[/BBvideo]

La canzone per l’esercito che trasmettono tutti i canali televisivi e radiofonici

[align=right]Source: “Stiamo insegnando al mondo ...a democrazia” | Linkiesta.it [/align]


Ultima modifica di Wolframio il 27/07/2013, 15:35, modificato 1 volta in totale.


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sabato 27 luglio 2013

L’assedio al parlamento bulgaro

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Da una parte la Ue finge tanta democrazia chiedendo ai partiti di "collaborare" per venire incontro alle istanze dei cittadini (?) che però protestano contro i tagli e le vessazioni imposte dalla stessa troika.
Non ho capito una cosa: c'era il governo in carica del centro-destra, prono ai diktat della troika che fu cacciato a pedate dalla gente. Così almeno raccontano i media mainstream. Ora c'è l'assedio al suo degno compare di centro-sinistra, riuscirà la gente a cacciarlo come il predecessore? O come in Grecia, sia che governi l'uno o l'altro, nonostante ben PIU' DI 8mila manifestazioni e parlamento assediato numerose volte, gli eurocamerieri dell'euro regime non sono stati spodestati?
E come mai i media mainstream, quasi entusiasti per cacciata dello sgherro del centro destra non mostrano entusiasmo per la stessa rabbia dei cittadini bulgari contro quello di
centro-sinistra che attua sempre le riforme assassinapopoli della troika?
Barbara

L’assedio al parlamento bulgaro

Le proteste contro il governo e la corruzione vanno avanti da 40 giorni, ieri un centinaio di politici e giornalisti sono rimasti bloccati per otto ore dentro il parlamento

24 luglio 2013

Nella notte tra martedì 23 e mercoledì 24 luglio, più di cento persone, tra cui una trentina di deputati, i ministri dell’Economia Dragomir Stoinev, delle Finanze Petar Tchobanov e del Lavoro Hassan Ademov, alcuni giornalisti e altri funzionari sono rimasti bloccati per circa otto ore all’interno del parlamento bulgaro, a Sofia, per le proteste anti-governative che proseguono ormai da 40 giorni nelle principali città del paese.

Circa duemila persone hanno circondato il parlamento, dove erano riunite tre Commissioni per discutere del bilancio dello Stato. Intorno alle 3.30 della notte ora locale, le 2.30 in Italia, la polizia è riuscita a forzare una barriera eretta con bidoni della spazzatura, cartelli stradali e pietre per consentire il passaggio di alcune camionette delle forze dell’ordine e di un autobus per evacuare le persone bloccate nell’edificio. L’operazione si è conclusa intorno alle cinque del mattino. Ci sono stati degli scontri tra manifestanti e polizia in tenuta antisommossa e circa venti persone, tra cui tre poliziotti, sono rimaste ferite. Il Ministero dell’Interno non ha ancora dato notizie ufficiali né sui feriti né sui manifestanti che potrebbero essere stati arrestati.

Le proteste in Bulgaria sono iniziate a metà giugno dopo che in soli quindici minuti, e senza alcun dibattito, il parlamento bulgaro ha nominato a capo della sicurezza nazionale Delyan Peevski, trentaduenne proprietario di un grande impero mediatico e commerciale, più volte accusato di corruzione. Nonostante Peevski si sia dimesso e il primo ministro socialista Plamen Oresharski – in carica da sette settimane – si sia scusato pubblicamente, le proteste non si sono fermate e si sono anzi rafforzate, a causa del malcontento diffuso dovuto a una crisi economica sempre più pesante.

Migliaia di manifestanti si riuniscono quotidianamente a Sofia, nella capitale, e nelle altre cttà del paese per denunciare la corruzione della politica, la diffusione nel paese della criminalità organizzata, la gestione non trasparente dei servizi pubblici e l’alto tasso di disoccupazione, soprattutto giovanile: chiedono le dimissioni del governo e nuove elezioni. I cortei e le manifestazioni sono sempre state pacifiche, almeno fino a ieri.

Due giorni fa la vicepresidente della Commissione europea Viviane Reding, in visita a Sofia, si è schierata pubblicamente a favore dei manifestanti e ha dichiarato: «Bruxelles rispetta il diritto degli Stati membri di risolvere autonomamente le questioni interne, ma ci sono delle situazioni che si riflettono sull’Unione: è giunto il momento in cui, se uno Stato avesse dei problemi da affrontare con urgenza, i partiti politici dovrebbero mettere a parte le controversie e rispettare i doveri, richiesti dagli elettori». Secondo uno degli ultimi sondaggi condotto tra i cittadini bulgari, circa il 60 per cento di loro disapprova il governo del primo ministro Plamen Oresharski, economista e candidato premier dei socialisti.

Oresharski ha ottenuto a giugno di quest’anno la fiducia per un governo sostenuto dai socialisti e dal partito della minoranza turca (il Movimento Diritti e libertà, DSP), grazie all’astensione decisiva della formazione ultranazionalista ATAKA. Il governo di Oresharski sta però operando in continuità con il precedente, obbedendo alle richieste delle autorità europee e internazionali con una serie di politiche di austerità e tagli al welfare. Sono quindi in molti, visto anche la dimensione delle proteste, ad aspettarsi che questo esecutivo non arrivi alla fine del mandato.

[align=right]Source: DIETRO IL SIPARIO: L’assedio al parlamento bulgaro [/align]


Ultima modifica di Wolframio il 27/07/2013, 15:42, modificato 1 volta in totale.


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Queste ragazze hanno tra i 12 e i 16 anni, sono vergini e apprezzate dai militari per la loro purezza. A 15 anni, questa ragazzina senza dubbio avrà il suo primo rapporto sessuale con violenza senza precedenti. Di seguito ed a turni per diverse ore, sarà violentata da questi uomini armati. Fatta prigioniera, le faranno fare un difficile viaggio nella foresta fino al punto dove un’altra ragazza la sostituirà . Con un po’ di fortuna andranno alla sua ricerca i suoi genitori con conseguenze irreversibili, perché troveranno il suo corpo nella foresta. È la vita quotidiana delle donne nella Repubblica democratica del Congo.

Cinquanta donne vengono violentate letteralmente ogni ora, è questo tasso per cui si diffondono malattie gravi, senza possibilità di accesso agli ospedali, perché il paese è in guerra con 4 000 000 di morti da 13 anni.
Questo sta accadendo in un silenzio internazionale da cimitero. Ma c’è bisogno di farlo sapere!

il 17 Dicembre 2011, la Francia ha detto “prendiamo atto” della vittoria dell’uscente presidente Joseph Kabila con più del 48%. La constatazione è preoccupante, i congolesi dal Congo hanno votato massicciamente per continuità, la guerra, lo stupro, la divisione del paese.
Le proteste che seguiranno nel mondo è non avranno alcun risultaot, la Francia e gli altri paesi occidentali non hanno cambiato posizione. Kabila aveva vinto un’elezione con ben note irregolarità,e rimarrà lì per anni a venire con la benedizione della FRANCEAFRIQUE.

Fonte: Omar Ba e http://mygab.tv/profiles/blogs/cette-je ... quietez-pa




La Repubblica democratica del Congo (RDC) è uno dei paesi più ricco di coltan, il minerale essenziale per i telefoni mobili, le macchine fotografiche, i computer, la Play Station,i missili e satelliti. I Bambini lavorano in dure nelle condizioni di vita nelle miniere della RDC affinché altri, in Occidente, possano divertirsi sulla loro console. Nel 2001, le Nazioni Unite hanno dichiarato un embargo su coltan della Repubblica democratica del Congo perché i suoi proventi servivano per finanziare la guerra. Patrick Forestier ha ripercorso canali minerari di coltan per accettarsi se i produttori di apparecchi elettronici occidentali hanno veramente smesso do comprare il coltan che fa spargere sangue. La sua indagine inizia presso i covi dei signori della guerra e con coloro che portano il minerale sulla schiena per rivenderlo a intermediari africani. Il coltan è negoziato poi ad un costo dieci volte maggiore con i commercianti europei, prima di essere esportato verso le fabbriche cinesi che producono la metà dei nostri telefoni cellulari occidentali. La sua indagine ha mostrato che qualsiasi forma di controllo resta illusoria, la maggior parte delle aree di estrazione essendo fuori controllo delle autorità congolesi e delle forze di pace delle Nazioni Unite la più parte delle zone di estrazione.



Allego anche quest’articolo del 2009 che chiarisce la situazione delle donne e dei minori abusati in Congo

Donne e bambini vengono violentati ogni giorno in Congo nell’indifferenza generale del mondo. Un’ONG, Heal Africa, gestita da numerosi medici, ha fatto un enorme lavoro per aiutare le vittime di questa terribile guerra civile.

Oggi, in questo 09\/09\/2009, data simbolica di coloro che difendono il bene contro tutto ciò che è male. Il male inteso come, guerra, violenza, abuso e abusi sui bambini, l’inquinamento dei mari, terre e oceani, la contaminazione dell’aria, il capitalismo quando cancella e riceve benefici da coloro che hanno niente, o quasi nulla, da cui riceve un profitto realizzato su una base di un misto d’ingenuità, d’odio, di razzismo, di nazismo, di potere sulla coscienza e controllo delle altre menti schiavizzate da un dogma estremista, di farmaci e sostanze che distruggono e rendono dipendenti, del fatto di vendere droga e distribuirla, dell fatto di deportare persone contro la loro volontà, mentre essi non hanno una famiglia nel paese in cui lavorano, del fatto di separare i bambini dai loro genitori o di impedire che un padre possa assistere alla nascita di suo figlio in questo momento in un altro paese.

In questo giorno, vi parlerò soprattutto del Congo. Laggiù la guerra si fa sul ventre delle donne… che vengono violentate ogni giorno, quotidianamente. La maggior parte hanno tra i 18 ed i 20 anni. Ma il 10% di queste vittime stuprate sono anche giovani ragazzi di 10-20 anni, anche se i medici hanno visto pure dei bambini di 2 anni essere abusati sessualmente in maniera grave. Succedono in questo paese cose atroci, nell’indifferenza generale del mondo.

Questo dura da diversi anni, questo incubo delle donne di cui si prende il corpo in nome di una terribile guerra civile. Gli uomini si appropriano del loro sesso, sia che siano bambine o adulte, a volte davanti ai loro figli. Molto spesso i loro ma abbandonano dopo lo stupro,per disgusto e per paura dell’AIDS.

Una donna aveva un bambino neonato. I combattenti ribelli in uniforme sono entrati a casa sua e hanno minacciato di uccidere suo figlio se lei non si fosse lasciata violentare. Il marito l’ha poi curata ed è rimasto vicino a lei.

Questi uomini mostruosi utilizzano più oggetti contro donne e ragazze per compiere questi stupri , come coltelli, pistole, spighe di mais, introdotte nella vagina.

Un giorno,saranno giudicati come criminali di guerra. Se non è su questa terra, sarà in cielo.

Non si è fatto nulla per fermare questo disastro, perché il Congo ha risorse naturali, come oro, minerali quali il coltan utilizzato nei telefoni cellulari, e le miniere di diamanti. Il beneficio del profitto vale sicuramente più che la vita delle donne.

IL PROFITTO È MEGLIO DELLA VITA DELLE DONNE!


Ma noi possiamo contribuire a queste donne, questi bambini.

C’è un’ONG locale. Si chiama HEAL AFRICA.

Dispone di un ospedale a Goma, creato per accogliere tutte le vittime di stupro.

Sono specializzati in chirurgia ricostruttiva pelvica.

Possiamo contribuire contattando il loro sito: http://www.healafrica.org

Invio tutti i miei pensieri fraterni a queste donne e bambini, a questi uomini che vivono l’inferno e abbraccio soprattutto i medici Rosette e Bienvenu, due dei trenta medici congolesi, che aiutano tutte queste persone. E’ il Dr. Jo Lusi, che ha fondato questa ONG con Lyn, sua moglie. Una dozzina di medici supporta il Dr. Lusi in questo immenso opera di aiuto alle persone violentate.

Possano dunque proseguire l’opera e disporre di fondi sufficienti per continuare il loro lavoro essenziale.

Chloé LAROCHE

Il controllo delle riserve favolose della RD del CONGO di coltan, un minerale altamente ambito che si disputano le maggiori potenze industriali.

Da questo minerale, una volta raffinato, si produce un metallo il tantalio, ampiamente utilizzato nelle tecnologie avanzate, specialmente nella produzione di telefoni cellulari, videogiochi, computer portatili e reattori nucleari.

http://sosmaman.20minutes-blogs.fr/arch ... ngo-d.html

http://www.informarexresistere.fr/2012/ ... -generale/


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Guerra nelle piazze, al Cairo è una strage

Immagine

di Danila Clegg

http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche ... 80313.html

Un bagno di sangue nella notte tra venerdì e sabato - il secondo in venti giorni - con l'acuirsi degli scontri fra sostenitori dell'ex presidente deposto Mohamed Morsi e le forze dell'ordine precipita sempre piu' l'Egitto in una spirale di violenze e ritorsioni. La guerra è per strada, è nelle dichiarazioni dei fronti contrapposti e anche nei numeri delle vittime: 66 secondo il ministero della Sanita', oltre 120 secondo la Fratellanza, che ha accusato forze dell'ordine e cecchini di aver volutamente sparato sui manifestanti per uccidere. Accusa respinta dal ministro dell'Interno Mohamed Ibrahim e dal procuratore generale, che a loro volta hanno addossato ai pro Morsi la responsabilità di aver sparato per primi sulla polizia. Nonostante l'ultimatum dei militari scadesse oggi, il ministro ha riferito che la data di uno sgombero della grande piazza davanti alla moschea di Rabaa el Adaweya non e' stata decisa e che la speranza e' che i militanti islamici l'abbandonino di loro volonta' per evitare altri spargimenti di sangue. Speranza pressochè vana, visto che gi esponenti dei Fratelli musulmani hanno ribadito che rimarranno li' dove sono. Gli scontri sono cominciati in nottata e il bilancio ha continuato ad aggravarsi per tutta la giornata. Il portavoce della Fratellanza, Ahmed Aref, in una conferenza stampa a Rabaa el Adaweya, dove nella morgue man mano venivano allineati per terra i corpi avvolti in teli bianchi, ha detto che finora i morti sono 66, e 61 sono le persone clinicamente morte, mentre i feriti, tutti per arma da fuoco, sono 4500. "E' un massacro frutto del mandato dato ad el Sissi per la lotta contro il terrorismo", ha detto Aref, riferendosi alle mega manifestazioni che ieri hanno risposto all'appello del capo dei militari e ministro della Difesa a dare il sostegno popolare all'azione dell'esercito contro violenze e terrorismo. "Resteremo qui fino alla fine" e quanto avvenuto nella notte "supera anche i crimini commessi da Mubarak", ha detto Mohamed el Khatib dalla piazza islamica, dove in serata si sono nuovamente raccolte migliaia di persone. Nella sua conferenza stampa, il ministro ha assicurato che un'eventuale operazione di sgombero della piazza sara' fatta in un quadro di legalita' e che verra' decisa dopo avere conosciuto la valutazione della procura. L'esito delle prime indagini condotte si e' fatto attendere e il procuratore generale ha attribuito ai sostenitori di Morsi l'intera responsabilita' delle violenze e dell'uso di armi da fuoco. Rivolte, ha detto, contro le forze dell'ordine che tentavano di impedire ai manifestanti di bloccare un dei principali ponti della citta', quello del 6 ottobre. Versioni nettamente contrapposte che non lasciano nessuno spazio alla mediazione e al compromesso, come ha invece nuovamente invocato il vicepresidente e a lungo leader dell'opposizione Mohamed el Baradei, condannando "l'uso eccessivo della forza" assieme a Ue e Usa. E assieme al gran imam della moschea di Al-Azhar, Ahmed al-Tayeb. Segnali importanti da parte di due personalità che hanno sostenuto il colpo di mano dell'esercito contro Morsi. Nella drammaticita' della giornata solo qualche notizia e' filtrata sulla sorte di Morsi, dal 3 luglio tenuto in una localita' segreta dai militari. Il ministro dell'Interno ha fatto capire che con molta probabilita' verra' trasferito alla prigione di Tora, dove ad attenderlo potrebbe trovare il rais che lui stesso spodesto' un anno fa, Hosni Mubarak. Morsi, ha detto una ong egiziana che si e' recata nella localita' dove e' detenuto con alcuni suoi consiglieri, gode di buona salute. Probabilmente non sa quanto sta succedendo sulla 'sua' piazza. E quanto ancora puo' succedere nella notte. Ma oltre i confini egiziani è tutta la regione a ribollire. La Tunisia, dove continuano le proteste, è ancora sotto shock per l'assassinio nei giorni scorsi dell'oppositore Mohamed Brahmi per mano dei salafiti, con migliaia di persone che oggi hanno affollato in un clima di altissima tensione i funerali del nuovo "martire" della democrazia tunisina. Mentre la Libia ha chiuso le frontiere con l'Egitto, ufficialmente per impedire di lasciare il Paese ai responsabili dell'uccisione, ieri, dell'avvocato e militante politico ostile ai Fratelli Musulmani, Abdessalem al-Mesmari, a Bengasi, dove oggi più di mille detenuti sono riusciti a fuggire da un carcere.




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MessaggioInviato: 14/08/2013, 15:35 
Egitto, iniziato lo sgombero: oltre 100 morti
Le forze di sicurezza sparano sulla folla


Repressione dell’esercito. Per Al Jazeera le vittime sono 300 I Fratelli Musulmani incendiano 3 chiese. Scontri anche a Sud Uccisi 2 gionalisti: cameraman di SkyNews e reporter di GulfNews

http://www.corriere.it/esteri/13_agosto ... 9335.shtml


L'ANSA invece parla di più di 2000 vittime....
I manifestanti pro-Morsi dichiarano che nello sgombero dei loro presidi
al Cairo sono rimaste uccise oltre 2200 persone e che i feriti sono 10 mila.
Lo riferisce l'Afp. E' impossibile verificare queste cifre in modo indipendente.

http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche ... 55537.html

[BBvideo]http://www.youtube.com/watch?v=gW9IEUGVRB4[/BBvideo]



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...questo e' il risultato di quelle pseudo rivoluzioni,caldeggiate ed appoggiate da quel "genio" di obama......[:(!]...........[:I]


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Non ne ha azzeccato mai UNA! Dovrebbero dargli un altro nobel: quello della stupidità ...! (Ah! vecchio Regan ...) [8D]



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