Internet e la teoria del grande imbecille
Inviato: 10/05/2011, 10:00
Prendo spunto da questo articolo letto sul Corriere online per domandarmi e domandarvi due cose:
- l'anonimato è un comportamento eticamente corretto?
- scrivereste sul web (forum, blog, ecc.), se l'anonimato non fosse consentito?
Ho visto che alcuni utenti di questo forum usano il proprio nome e cognome senza problemi, altri, come il sottoscritto, utilizzano un nickname.
Internet e la teoria del grande imbecille di Daniela Monti
Ha ancora senso l’anonimato in Rete? Se ne discute da parecchio e un articolo di Farhad Manjoo di “Slate” – tradotto anche da “Internazionale” – ha rilanciato la questione. “A parte il caso estremo dei governi repressivi – scrive Manjoo – l’anonimato danneggia le comunità della Rete perché le persone si comportano peggio quando sanno che la loro identità è segreta”. E’ la teoria del Grande Imbecille: se garantisci a qualcuno l’anonimato e gli dai un pubblico lo trasformi, appunto, in un grande imbecille. Non so se voi siete d’accordo (io lo sono in parte), ma una cosa è certa: ogni volta che invio un post, ci metto la firma. Chi lo commenta, nella maggioranza dei casi, no. In definitiva, gli anonimi peccano di abuso di posizione dominante: tirano le frecce restando invisibili dentro il loro fortino. Allora la domanda centrale potrebbe essere questa: l’anonimato è un comportamento etico? Certo: nel 1670 Spinoza fece uscire ad Amsterdam, per precauzione anonimo, il Tractatus Politicus. Ma questo è un altro paio di maniche. Facebook sembra tuttavia la prova che l’anonimato non è più uno dei pilastri della Rete, si può (comodamente) stare online con la propria identità. Bluffare spacciandosi per qualcun altro, nel caso di Facebook, cancella tutto l’interesse e il divertimento. Il successo di Facebook mi pare allora un segnale incoraggiante: la Rete è cresciuta, la bambinaggine di nascondersi dietro un paravento non interessa più. Le chat vivono di anonimato, ma non mi sembrano un grande esempio di canale comunicativo da cui aspettarsi qualcosa di utile per il dibattito pubblico (e, in verità, neppure per la propria sfera privata). “Ma l’anonimato non è reticenza, a volte è solo timidezza”, dice qualcuno. Oppure: i blog servono anche per sfogarsi, se devi metterci la faccia non ti sfoghi più. Io credo che “la fatica di diventare adulti” – prendendo in prestito il titolo della riflessione che la filosofa Roberta De Monticelli terrà a Pistoia il prossimo 28 maggio – preveda di uscire dal fortino e mostrarsi, anche a viso aperto. 109Share ] Internet e la teoria del grande imbecille
di Daniela Monti
Tags: anonimato, De Monticelli, etica, internet, Slate, teoria del Grande imbecille
Ha ancora senso l’anonimato in Rete? Se ne discute da parecchio e un articolo di Farhad Manjoo di “Slate” – tradotto anche da “Internazionale” – ha rilanciato la questione. “A parte il caso estremo dei governi repressivi – scrive Manjoo – l’anonimato danneggia le comunità della Rete perché le persone si comportano peggio quando sanno che la loro identità è segreta”. E’ la teoria del Grande Imbecille: se garantisci a qualcuno l’anonimato e gli dai un pubblico lo trasformi, appunto, in un grande imbecille. Non so se voi siete d’accordo (io lo sono in parte), ma una cosa è certa: ogni volta che invio un post, ci metto la firma. Chi lo commenta, nella maggioranza dei casi, no. In definitiva, gli anonimi peccano di abuso di posizione dominante: tirano le frecce restando invisibili dentro il loro fortino.
Allora la domanda centrale potrebbe essere questa: l’anonimato è un comportamento etico? Certo: nel 1670 Spinoza fece uscire ad Amsterdam, per precauzione anonimo, il Tractatus Politicus. Ma questo è un altro paio di maniche.
Facebook sembra tuttavia la prova che l’anonimato non è più uno dei pilastri della Rete, si può (comodamente) stare online con la propria identità. Bluffare spacciandosi per qualcun altro, nel caso di Facebook, cancella tutto l’interesse e il divertimento.
Il successo di Facebook mi pare allora un segnale incoraggiante: la Rete è cresciuta, la bambinaggine di nascondersi dietro un paravento non interessa più. Le chat vivono di anonimato, ma non mi sembrano un grande esempio di canale comunicativo da cui aspettarsi qualcosa di utile per il dibattito pubblico (e, in verità, neppure per la propria sfera privata).
“Ma l’anonimato non è reticenza, a volte è solo timidezza”, dice qualcuno. Oppure: i blog servono anche per sfogarsi, se devi metterci la faccia non ti sfoghi più. Io credo che “la fatica di diventare adulti” – prendendo in prestito il titolo della riflessione che la filosofa Roberta De Monticelli terrà a Pistoia il prossimo 28 maggio – preveda di uscire dal fortino e mostrarsi, anche a viso aperto.
- l'anonimato è un comportamento eticamente corretto?
- scrivereste sul web (forum, blog, ecc.), se l'anonimato non fosse consentito?
Ho visto che alcuni utenti di questo forum usano il proprio nome e cognome senza problemi, altri, come il sottoscritto, utilizzano un nickname.
Internet e la teoria del grande imbecille di Daniela Monti
Ha ancora senso l’anonimato in Rete? Se ne discute da parecchio e un articolo di Farhad Manjoo di “Slate” – tradotto anche da “Internazionale” – ha rilanciato la questione. “A parte il caso estremo dei governi repressivi – scrive Manjoo – l’anonimato danneggia le comunità della Rete perché le persone si comportano peggio quando sanno che la loro identità è segreta”. E’ la teoria del Grande Imbecille: se garantisci a qualcuno l’anonimato e gli dai un pubblico lo trasformi, appunto, in un grande imbecille. Non so se voi siete d’accordo (io lo sono in parte), ma una cosa è certa: ogni volta che invio un post, ci metto la firma. Chi lo commenta, nella maggioranza dei casi, no. In definitiva, gli anonimi peccano di abuso di posizione dominante: tirano le frecce restando invisibili dentro il loro fortino. Allora la domanda centrale potrebbe essere questa: l’anonimato è un comportamento etico? Certo: nel 1670 Spinoza fece uscire ad Amsterdam, per precauzione anonimo, il Tractatus Politicus. Ma questo è un altro paio di maniche. Facebook sembra tuttavia la prova che l’anonimato non è più uno dei pilastri della Rete, si può (comodamente) stare online con la propria identità. Bluffare spacciandosi per qualcun altro, nel caso di Facebook, cancella tutto l’interesse e il divertimento. Il successo di Facebook mi pare allora un segnale incoraggiante: la Rete è cresciuta, la bambinaggine di nascondersi dietro un paravento non interessa più. Le chat vivono di anonimato, ma non mi sembrano un grande esempio di canale comunicativo da cui aspettarsi qualcosa di utile per il dibattito pubblico (e, in verità, neppure per la propria sfera privata). “Ma l’anonimato non è reticenza, a volte è solo timidezza”, dice qualcuno. Oppure: i blog servono anche per sfogarsi, se devi metterci la faccia non ti sfoghi più. Io credo che “la fatica di diventare adulti” – prendendo in prestito il titolo della riflessione che la filosofa Roberta De Monticelli terrà a Pistoia il prossimo 28 maggio – preveda di uscire dal fortino e mostrarsi, anche a viso aperto. 109Share ] Internet e la teoria del grande imbecille
di Daniela Monti
Tags: anonimato, De Monticelli, etica, internet, Slate, teoria del Grande imbecille
Ha ancora senso l’anonimato in Rete? Se ne discute da parecchio e un articolo di Farhad Manjoo di “Slate” – tradotto anche da “Internazionale” – ha rilanciato la questione. “A parte il caso estremo dei governi repressivi – scrive Manjoo – l’anonimato danneggia le comunità della Rete perché le persone si comportano peggio quando sanno che la loro identità è segreta”. E’ la teoria del Grande Imbecille: se garantisci a qualcuno l’anonimato e gli dai un pubblico lo trasformi, appunto, in un grande imbecille. Non so se voi siete d’accordo (io lo sono in parte), ma una cosa è certa: ogni volta che invio un post, ci metto la firma. Chi lo commenta, nella maggioranza dei casi, no. In definitiva, gli anonimi peccano di abuso di posizione dominante: tirano le frecce restando invisibili dentro il loro fortino.
Allora la domanda centrale potrebbe essere questa: l’anonimato è un comportamento etico? Certo: nel 1670 Spinoza fece uscire ad Amsterdam, per precauzione anonimo, il Tractatus Politicus. Ma questo è un altro paio di maniche.
Facebook sembra tuttavia la prova che l’anonimato non è più uno dei pilastri della Rete, si può (comodamente) stare online con la propria identità. Bluffare spacciandosi per qualcun altro, nel caso di Facebook, cancella tutto l’interesse e il divertimento.
Il successo di Facebook mi pare allora un segnale incoraggiante: la Rete è cresciuta, la bambinaggine di nascondersi dietro un paravento non interessa più. Le chat vivono di anonimato, ma non mi sembrano un grande esempio di canale comunicativo da cui aspettarsi qualcosa di utile per il dibattito pubblico (e, in verità, neppure per la propria sfera privata).
“Ma l’anonimato non è reticenza, a volte è solo timidezza”, dice qualcuno. Oppure: i blog servono anche per sfogarsi, se devi metterci la faccia non ti sfoghi più. Io credo che “la fatica di diventare adulti” – prendendo in prestito il titolo della riflessione che la filosofa Roberta De Monticelli terrà a Pistoia il prossimo 28 maggio – preveda di uscire dal fortino e mostrarsi, anche a viso aperto.