Hasta la Revolucion
Inviato: 23/05/2011, 09:51
Hasta la Revolucion
http://santaruina.splinder.com/post/245 ... revolucion
Da diversi giorni ormai decine di migliaia di giovani spagnoli stanno affollando le piazze iberiche in segno di protesta, come se la grande onda delle rivoluzioni arabe avesse infine raggiunto anche i paesi europei.
E così come accadde nelle nazioni africane, c’è chi si chiede quanto tali movimenti siano spontanei e quanto risultino manovrati.
Occorre prima di tutto ricordare che una possibilità non esclude l’altra.
Il malcontento che origina questi moti di protesta è sicuramente reale, così come le persone scese in piazza in maggioranza sono sincere nelle loro rivendicazioni, convinte di lottare per i loro diritti e per un mondo migliore; ma questo non significa che non vi siano persone con un certo potere pronte ad approfittare della situazione, abili nel proporsi nel momento giusto come “il nuovo” per catalizzare su di sé i favori dei manifestanti.
Emblematico, in tal senso, il caso dell’Egitto, dove in seguito a violenti proteste e feroci scontri seguiti ad una vera e propria insurrezione di massa, quello che i “rivoluzionari” hanno ottenuto è stato un governo militare in cui ad un vecchio dittatore si sono semplicemente sostituiti dei nuovi colonnelli.
C’era una volta un leone, che venne catturato e rinchiuso in una grande gabbia: con sua grande sorpresa, trovò dei leoni che vi erano rinchiusi da anni, alcuni persino da tutta la vita, essendo nati e cresciuti là dentro.
Presto imparò a conoscere le attività sociali che si svolgevano all’interno del recinto.
I leoni si riunivano in gruppi.[…]
Ogni tanto scoppiava una rivoluzione, un gruppo veniva sopraffatto da un altro, oppure venivano uccise tutte le guardie e poi sostituite da altre.
In fin dei conti, il ricordo delle “rivoluzioni colorate” del decennio scorso, abilmente pilotate dalle forze occidentali, è ancora troppo vivido per poter cedere a facili entusiasmi nei confronti di questi nuovi moti.
Ma, come si diceva, questi movimenti nascono comunque da delle rivendicazioni sentite e sincere, ed in molti casi il livello di disagio raggiunto dalle popolazioni è così elevato da rendere la protesta inevitabile.
Proprio questo fatto rende la situazione ancora più delicata: chiunque studi la storia sa con certezza che tutte le grandi rivoluzioni del passato si sono sviluppate in momenti in cui la sofferenza della popolazione aveva superato i limiti della sopportazione, ed in tutti i casi vi è sempre stato un gruppo organizzato di persone che ha saputo approfittare degli sconvolgimenti sociali per rovesciare i governanti del momento ed assumere il loro posto.
Si pensi ad esempio alla rivoluzione francese, in cui i ricchi borghesi hanno spodestato la casta dei nobili nullafacenti, oppure alla rivoluzione d’Ottobre russa, in cui i membri del partito comunista instaurarono una dittatura dopo aver eliminato la famiglia reale degli zar.
In entrambi i casi il popolo dei rivoltosi servì da carne da macello al servizio dei futuri padroni.
Nel corso della storia a noi nota non vi è mai stata alcuna rivoluzione che abbia portato al potere i “rivoltosi”, dal momento che il potere per definizione è elitario.
Ha senso quindi scendere in strada e protestare?
In linea generale, muoversi dalla propria apatia ed avere la forza di esprimere il proprio malcontento oppure il proprio desiderio per una realtà migliore è sempre un gesto degno del massimo rispetto.
Gridare ai governanti che sono dei ladri, esigere maggiore libertà per sé e per i propri simili, avere il coraggio di guardare negli occhi con atteggiamento di sfida l’autorità sono tutte azioni degne e meritevoli.
Ma, ancora una volta, occorre quando si scende a protestare portare sempre con sé anche il proprio buon senso.
Fare la cosa giusta quando è tempo di farlo è doveroso, ma quando si compie un’azione bisogna pensare anche alle conseguenze.
Cosa accadrà dopo?
E soprattutto, cosa realmente si desidera?
Perché, alla fine della fiera, la vera domanda che occorre porsi è la seguente: per cosa realmente si manifesta?
Un anno fa, commentando i moti di protesta che animavano la Grecia, ci si trovava di fronte alla medesima domanda, oggi più che mai attuale:
Presupposto per il successo di una qualsiasi lotta è il sapere il motivo per cui ci si sta battendo, così come il conoscere bene il nemico da sconfiggere.
L’ondata di proteste che ha travolto la Grecia non possiede nessuna di queste caratteristiche, e per questo motivo essa non potrà generare nulla di positivo.
[…]
Come un animale feroce ed affamato dentro una gabbia, il popolo greco, così come ogni popolo d’Europa, sbatte con violenza contro le sbarre, dimenticandosi il modo in cui dentro quella gabbia è stato condotto.
Perché non sono stati usati dei bastoni per condurre il gregge nel recinto, ma carote, una pioggia di carote.
E’ giusto e sacrosanto essere indignati nei confronti dei corrotti e dei ladri, è naturale provare rabbia dinanzi alle macchinazioni finanziarie dei giganti economici, ma per onestà bisognerebbe anche comprendere che questa è solo la conclusione di un processo, un processo che la maggioranza aveva accettato ed alimentato con entusiasmo.
Perché in pochi si erano chiesti come fosse possibile che da un giorno all’altro le strade del paese si fossero intasate di automobili comprate a rate, di come magicamente anche un impiegato comunale potesse farsi una vacanza alle maldive (pagata a rate), di come le vie del centro si fossero riempite di negozi che vendevano abiti italiani firmati e all’ultima moda.
Tutto così semplice, tutto così in fretta.
[…]
Così come la maggioranza di coloro che oggi protestano lo fa in verità per riavere tutte queste carote, perché una volta che ci si abitua non si torna più indietro.
Ma se protesta ci deve essere, questa non deve avere come scopo la pretesa di quel falso benessere materiale, non compatibile con i propri mezzi: sarebbe una lotta assurda quella di chi scende in piazza per poter continuare a guardare i reality sul suo schermo piatto da 42 pollici (comprato a rate).
Non bisogna fare la fine delle bestie feroci che nella gabbia gridano e ruggiscono per poter avere una doppia razione di bistecche.
Perché la vera questione, il vero problema, è la gabbia stessa.
Una gabbia fatta di un benessere comprato a debito, condito con una ipnosi di massa fatta di pessima televisione e infimi spettacoli circensi messi in piedi a beneficio della plebe.
La vera protesta dovrebbe avere un’altra direzione.
Non sono le carote quelle che occorre rivendicare, non sono le ballerine del circo; qui occorre riprendesi l’anima, quell’anima che la gente ha venduto a rate.
Mi pare che il discorso che all’epoca si faceva per la Grecia si possa applicare alla perfezione anche ai movimenti di protesta che iniziano ad animare oggi le altre piazze europee.
Cosa si chiede, realmente?
Se queste manifestazioni fossero davvero un sincero moto di rifiuto nei confronti di un sistema economico marcio ed una protesta rivolta a dei governanti indegni, allora questi moti avrebbero dovuto nascere molti anni fa.
E’ facile infatti lamentarsi ora che il giochino si è rotto, mentre per decenni si è goduto in maniera spensierata di tutti i privilegi che questo sistema corrotto offriva.
L’impressione è che qui, ancora una volta, il popolo chieda indietro le sue carote, in attesa di qualche benefattore che, giunto al momento opportuno, gliene prometta a volontà.
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Da diversi giorni ormai decine di migliaia di giovani spagnoli stanno affollando le piazze iberiche in segno di protesta, come se la grande onda delle rivoluzioni arabe avesse infine raggiunto anche i paesi europei.
E così come accadde nelle nazioni africane, c’è chi si chiede quanto tali movimenti siano spontanei e quanto risultino manovrati.
Occorre prima di tutto ricordare che una possibilità non esclude l’altra.
Il malcontento che origina questi moti di protesta è sicuramente reale, così come le persone scese in piazza in maggioranza sono sincere nelle loro rivendicazioni, convinte di lottare per i loro diritti e per un mondo migliore; ma questo non significa che non vi siano persone con un certo potere pronte ad approfittare della situazione, abili nel proporsi nel momento giusto come “il nuovo” per catalizzare su di sé i favori dei manifestanti.
Emblematico, in tal senso, il caso dell’Egitto, dove in seguito a violenti proteste e feroci scontri seguiti ad una vera e propria insurrezione di massa, quello che i “rivoluzionari” hanno ottenuto è stato un governo militare in cui ad un vecchio dittatore si sono semplicemente sostituiti dei nuovi colonnelli.
Presto imparò a conoscere le attività sociali che si svolgevano all’interno del recinto.
I leoni si riunivano in gruppi.[…]
Ogni tanto scoppiava una rivoluzione, un gruppo veniva sopraffatto da un altro, oppure venivano uccise tutte le guardie e poi sostituite da altre.
In fin dei conti, il ricordo delle “rivoluzioni colorate” del decennio scorso, abilmente pilotate dalle forze occidentali, è ancora troppo vivido per poter cedere a facili entusiasmi nei confronti di questi nuovi moti.
Ma, come si diceva, questi movimenti nascono comunque da delle rivendicazioni sentite e sincere, ed in molti casi il livello di disagio raggiunto dalle popolazioni è così elevato da rendere la protesta inevitabile.
Proprio questo fatto rende la situazione ancora più delicata: chiunque studi la storia sa con certezza che tutte le grandi rivoluzioni del passato si sono sviluppate in momenti in cui la sofferenza della popolazione aveva superato i limiti della sopportazione, ed in tutti i casi vi è sempre stato un gruppo organizzato di persone che ha saputo approfittare degli sconvolgimenti sociali per rovesciare i governanti del momento ed assumere il loro posto.
Si pensi ad esempio alla rivoluzione francese, in cui i ricchi borghesi hanno spodestato la casta dei nobili nullafacenti, oppure alla rivoluzione d’Ottobre russa, in cui i membri del partito comunista instaurarono una dittatura dopo aver eliminato la famiglia reale degli zar.
In entrambi i casi il popolo dei rivoltosi servì da carne da macello al servizio dei futuri padroni.
Nel corso della storia a noi nota non vi è mai stata alcuna rivoluzione che abbia portato al potere i “rivoltosi”, dal momento che il potere per definizione è elitario.
Ha senso quindi scendere in strada e protestare?
In linea generale, muoversi dalla propria apatia ed avere la forza di esprimere il proprio malcontento oppure il proprio desiderio per una realtà migliore è sempre un gesto degno del massimo rispetto.
Gridare ai governanti che sono dei ladri, esigere maggiore libertà per sé e per i propri simili, avere il coraggio di guardare negli occhi con atteggiamento di sfida l’autorità sono tutte azioni degne e meritevoli.
Ma, ancora una volta, occorre quando si scende a protestare portare sempre con sé anche il proprio buon senso.
Fare la cosa giusta quando è tempo di farlo è doveroso, ma quando si compie un’azione bisogna pensare anche alle conseguenze.
Cosa accadrà dopo?
E soprattutto, cosa realmente si desidera?
Perché, alla fine della fiera, la vera domanda che occorre porsi è la seguente: per cosa realmente si manifesta?
Un anno fa, commentando i moti di protesta che animavano la Grecia, ci si trovava di fronte alla medesima domanda, oggi più che mai attuale:
L’ondata di proteste che ha travolto la Grecia non possiede nessuna di queste caratteristiche, e per questo motivo essa non potrà generare nulla di positivo.
[…]
Come un animale feroce ed affamato dentro una gabbia, il popolo greco, così come ogni popolo d’Europa, sbatte con violenza contro le sbarre, dimenticandosi il modo in cui dentro quella gabbia è stato condotto.
Perché non sono stati usati dei bastoni per condurre il gregge nel recinto, ma carote, una pioggia di carote.
E’ giusto e sacrosanto essere indignati nei confronti dei corrotti e dei ladri, è naturale provare rabbia dinanzi alle macchinazioni finanziarie dei giganti economici, ma per onestà bisognerebbe anche comprendere che questa è solo la conclusione di un processo, un processo che la maggioranza aveva accettato ed alimentato con entusiasmo.
Perché in pochi si erano chiesti come fosse possibile che da un giorno all’altro le strade del paese si fossero intasate di automobili comprate a rate, di come magicamente anche un impiegato comunale potesse farsi una vacanza alle maldive (pagata a rate), di come le vie del centro si fossero riempite di negozi che vendevano abiti italiani firmati e all’ultima moda.
Tutto così semplice, tutto così in fretta.
[…]
Così come la maggioranza di coloro che oggi protestano lo fa in verità per riavere tutte queste carote, perché una volta che ci si abitua non si torna più indietro.
Ma se protesta ci deve essere, questa non deve avere come scopo la pretesa di quel falso benessere materiale, non compatibile con i propri mezzi: sarebbe una lotta assurda quella di chi scende in piazza per poter continuare a guardare i reality sul suo schermo piatto da 42 pollici (comprato a rate).
Non bisogna fare la fine delle bestie feroci che nella gabbia gridano e ruggiscono per poter avere una doppia razione di bistecche.
Perché la vera questione, il vero problema, è la gabbia stessa.
Una gabbia fatta di un benessere comprato a debito, condito con una ipnosi di massa fatta di pessima televisione e infimi spettacoli circensi messi in piedi a beneficio della plebe.
La vera protesta dovrebbe avere un’altra direzione.
Non sono le carote quelle che occorre rivendicare, non sono le ballerine del circo; qui occorre riprendesi l’anima, quell’anima che la gente ha venduto a rate.
Mi pare che il discorso che all’epoca si faceva per la Grecia si possa applicare alla perfezione anche ai movimenti di protesta che iniziano ad animare oggi le altre piazze europee.
Cosa si chiede, realmente?
Se queste manifestazioni fossero davvero un sincero moto di rifiuto nei confronti di un sistema economico marcio ed una protesta rivolta a dei governanti indegni, allora questi moti avrebbero dovuto nascere molti anni fa.
E’ facile infatti lamentarsi ora che il giochino si è rotto, mentre per decenni si è goduto in maniera spensierata di tutti i privilegi che questo sistema corrotto offriva.
L’impressione è che qui, ancora una volta, il popolo chieda indietro le sue carote, in attesa di qualche benefattore che, giunto al momento opportuno, gliene prometta a volontà.
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