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Grigio
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 Oggetto del messaggio: Meritocrazia? Una bella favola!
MessaggioInviato: 14/07/2011, 20:05 
Favola di una notte di mezza estate



Un giorno nel Paese Senzacaponécoda i governanti decisero di introdurre la meritocrazia. Ne avevano sentito parlare dal vicino paese di Ognidove ma poiché ignoravano in cosa consistesse non sapevano come fare.

All'inizio ci provò un alto dignitario, nominato per l'occorrenza. In realtà, non distingueva un bastone da una carota e ne venne fuori un gran pateracchio anche perché si scoprì che il dignitario era un gran raccomandato e voleva tutti i meriti per sé.

Cercarono altri dignitari ma ogni volta questi si mettevano a litigare su chi dovesse essere scelto, finché con grande stupore (da parte loro) i governanti decisero di nominare un giudice proprio dal vicino Paese di Ognidove. Ben presto si comprese che ai governanti della meritocrazia non fregava un bel niente ma almeno con questa trovata avevano l'opportunità di accusare il giudice con le calunnie più infamanti.

Il giudice la sapeva lunga e non si preoccupava più di tanto, anzi li lasciava fare.

Ad un certo punto, per metterlo in difficoltà, gli proposero una sfida: aveva carta bianca e poteva scegliere i due candidati dell'anno alla meritocrazia, stabilire le regole, i criteri ed i premi, fissando così gli standard per poter valutare la meritocrazia di tutti.

Dopo aver riflettuto per qualche giorno, il giudice rese pubblici i nomi dei due candidati ed i premi.

Il primo candidato era un uomo d'affari, plurinquisito e pluripregiudicato che era entrato in politica per sfuggire alle accuse. Il secondo candidato era un ricercatore precario che aveva studiato per tutta la sua vita facendo grossi sacrifici e che a stento sbarcava il lunario.

Il giudice li convocò e si intrattenne separatamente con ciascuno di loro.

Il politico fece di tutto per corrompere il giudice, offrendogli la possibilità di avere donne, ville, auto se fosse stato scelto lui.

Il ricercatore temeva di confrontarsi con quell'uomo tanto potente. Se pure avesse vinto, si sarebbe trovato contro una buona parte del paese e poi chi ci credeva più nella meritocrazia, dopo tante delusioni.

I premi consistevano in una quantità d'oro pari a 500 kg ed in una quantità di piume d'oca sufficiente a coprire un letto a due piazze. In più il giudice decise che entrambi i partecipanti avrebbero dovuto superare una prova comune per vincere il titolo dopo l’assegnazione dei premi.

Che gara era mai questa? Prima si assegnavano i premi e poi si proclamava il vincitore?!

Il giudice affermò che il valore dei premi al momento della consegna era lo stesso e quale dei due partecipanti avesse dimostrato in maniera oggettiva il maggior valore del proprio premio, sarebbe risultato il vincitore del titolo della meritocrazia.

È vero che si trattava del paese Senzacaponécoda ma una cosa così non si era mai udita. Che sciocchezza! Meritocrazia significa produttività, efficienza e, quindi, maggior ricchezza.

Non c’era nessun dubbio: colui che avesse ricevuto come premio i 500 kg d’oro sarebbe risultato senz’altro vincitore. A che scopo fare tutta questa messinscena con una prova finale? E poi chi se ne fregava del titolo, una volta preso il malloppo. Erano questi i commenti tra la gente comune e ognuno voleva essere al posto di quello che avrebbe ricevuto l’oro. Il resto erano solo chiacchiere.

Con grande sorpresa, il premio consistente nei cinquecento chilogrammi d’oro fu assegnato al politico, il quale pensò di essere riuscito a corrompere il giudice e così cominciò ad inviargli regali costosi che vennero puntualmente restituiti.

Quando andò a ritirare il premio era tutto tronfio, pregustando l'effetto positivo che tale evento avrebbe avuto sulla sua immagine. I fotografi sembravano impazziti nel ritrarre il famoso politico insieme ad un sacco d'oro.

Il ricercatore, deluso, andò a ritirare il suo premio e si sentì preso in giro per l'ennesima volta. Il giudice pronunciò un discorso incomprensibile alla maggior parte dei presenti e comunicò la prova che i partecipanti avrebbero dovuto superare.

Entrambi non potevano tirarsi indietro, visto che avevano espressamente sottoscritto di accettare tutte le clausole e le prove stabilite dal giudice. La prova consisteva nel dover fare un viaggio intorno al mondo e di portare con loro una parte del premio che avevano vinto e dimostrare quale dei due premi avesse maggior valore.

Ormai, nel paese non si parlava d'altro ed anche le persone più tranquille criticavano la bizzarria del giudice, delle prove scelte ed anche il risultato del concorso.

Il povero ricercatore si sentiva due volte beffato ma poiché era un uomo di parola, si sentì in dovere di mantenere l'impegno e partì con l'ingombrante sacco di piume d'oca.

Anche l'uomo politico partì con un trolley carico d’oro, lasciando il resto in un posto sicuro, e non gli sembrava vero.

Finalmente, la sua immagine sembrava ripulita, stando un po' lontano dal suo paese, ben presto le critiche del passato sarebbero state dimenticate e quella quantità d'oro valeva ogni giorno di più, visto che la quotazione raggiungeva ogni settimana un nuovo record. Per cui, a questo punto, poter vincere anche il titolo sarebbe stato un gioco da ragazzi.

Il viaggio prevedeva diverse tappe e i due uomini si trovarono spesso soli a parlare del più e del meno. Ogni tanto i giornali o qualche corrispondente televisivo aggiornava sulla situazione e si interrogava su come si sarebbe conclusa la gara.

Dopo circa un mese, quando il viaggio stava ormai per terminare, i due uomini stavano attraversando un fiume in un paese sperduto del Sud del mondo, a bordo di una primitiva imbarcazione guidata da due marinai, altrettanto primitivi.

Forse fu per uno scoglio o per una mossa imprevista di uno dei due marinai, che aveva intuito il contenuto prezioso del bagaglio del politico, visto che non se ne separava mai, e in una frazione di secondi successe l'imprevisto.

L'imbarcazione si ribaltò e finirono tutti e quattro in acqua: l'uomo politico,il ricercatore e i due marinai. Scoppiò subito una rissa tra i due marinai e l'uomo politico che non aveva nessuna intenzione di separarsi dal prezioso bagaglio. Nel parapiglia che ne seguì, si vide il bagliore di un coltello, si udirono delle grida, dopodiché non si vide più nulla.

Il ricercatore era caduto dall'altro lato della barca, che era rimasta per qualche minuto ancora a galla, mentre il borsone con le piume si era sfasciato e ora queste galleggiavano spandendosi tutt'intorno. Il ricercatore da giovane aveva fatto parte della squadra di nuoto del CUS (Centro Universitario Sportivo) per cui non gli fu difficile mantenersi a galla ma la corrente era fortissima, si intravvedevano delle rapide e le forze stavano per abbandonarlo.

Ad un certo punto perse i sensi ed ebbe la netta sensazione che la sua vita sarebbe finita in quel momento in maniera tragica ma anche ridicola. Mannaggia a lui e a quando aveva accettato di partecipare a quello stupido concorso.

Dovettero passare diversi giorni e diverse notti, e il ricercatore si trovò in un luogo illuminato da una luce tenue e con una musica sconosciuta come sottofondo. “Beh non avevo mai immaginato l’aldilà ma mi aspettavo qualcosa di meglio”, pensò tra sé e sé ma si vede che anche qui la meritocrazia è quella che è.

Mentre provava a metter insieme in maniera confusa questi pensieri, una fitta alle gambe aumentò la delusione. “Almeno pensavo che una volta morti non si soffrisse più, a meno che … non si tratti dell’inferno”.

Un brontolio allo stomaco gli diede la certezza che si trovava ancora tra i vivi.

Provò ad aprire gli occhi definitivamente e a questo punto nuovi interrogativi si affacciavano nella sua mente. Dove si trovava? Come ci era arrivato? E quegli strani indumenti che indossava? E quei disegni sulle pareti?

Provava a ricostruire gli ultimi ricordi: il marinaio che fissava il trolley con l’oro, poi qualche movimento di troppo, la caduta in acqua, il coltello, le urla poi tre persone che erano sparite tra le onde insieme all’oro.

Il tentativo di giungere a riva, la corrente e poi il buio fino al risveglio in questo posto sconosciuto. Provò a muoversi e di nuovo sentì una fitta insopportabile alle gambe ed anche le costole erano doloranti al punto che gli mancava il respiro.

Mentre gli interrogativi si ingigantivano e l’angoscia aumentata, una giovane donna si avvicinò a quel giaciglio rudimentale.

Era una presenza gradevole e rassicurante per quanto sembrasse assolutamente estranea e distante. Aveva con sé un vassoio con della frutta e delle bende e gli si avvicinò lentamente. Gli porse il vassoio e fece come uno strano inchino, seguito da parole in una lingua incomprensibile ed ancora un inchino.

Al ricercatore cominciò a palesarsi una situazione paradossale. Guardò meglio il suo abbigliamento e gli fu chiaro che era stato vestito di tutto punto anche se la foggia non era abituale. E poi ancora piume dappertutto: copricapo, pettorale, cavigliere, dovunque si toccasse, trovava piume.

Tanto valeva mangiare, il brontolio dello stomaco si era fatto più urgente, mettendo in secondo piano le domande. Aveva appena terminato e le forze sembravano ritornare, quando entrò un altro personaggio, il cui abbigliamento non dava adito a dubbi.

Era un sacerdote di chissà quale divinità e che lo guardava con profonda reverenza, anzi si direbbe con devozione. Devozione? Quando il sacerdote si inginocchiò tre volte davanti a lui, con gli occhi fissi, non ebbe dubbi.

Era proprio lui l’oggetto di tanta devozione. Ridicolo! Si trovava lì, rivestito di piume come una divinità azteca, riverito e ... divinizzato. Tutta questa storia assurda sin dal primo momento, stava assumendo connotati surreali.

Lui che era ricercatore specializzato in antropologia, che studiava i fenomeni religiosi quali manifestazioni del condizionamento culturale nelle società primordiali, si trovava ad essere oggetto di culto!

La prospettiva era interessante: da ricercatore precario a divinità sconosciuta. Bel salto di qualità.

Passò un altro giorno e tra vassoi di frutta, nenie ritmiche, le forze stavano ritornando.

Alle prime luci del giorno seguente, il sacerdote sempre più spiritato, entrò nella capanna con il solito triplo inchino poi con un battito di mani fece entrare due giovani uomini che trasportavano una sorta di seggio papale sui generis. L’appoggiarono sul pavimento, si avvicinarono, fecero anche loro un bell’inchino e con molta delicatezza sollevarono il nostro amico per accomodarlo sul seggio e seguiti dal sacerdote, lo portarono fuori fino ad una caverna, mentre al suo passaggio, tutti, piccoli e grandi, facevano grandi inchini e gli lanciavano fiori.

Entrato nella caverna, una sorta di tempio, illuminata da una serie di torce, il sacerdote gli mostrò una serie di pitture stilizzate che descrivevano la storia della divinità.

In uno dei quadri, si vedeva l’immagine del dio che scendeva dal cielo, spargendo le piume del suo copricapo sulle acque.

A questo punto, era tutto chiaro: gli abitanti di questo villaggio adoravano una divinità rivestita di piume che cadendo nell’acqua la fertilizzava e la purificava, quale segno di unione tra il cielo e il fiume.

Forse un’antica leggenda o una profezia che queste persone avevano ritenuta adempiuta nel momento in cui avevano ritrovato il nostro uomo immerso nell’acqua e circondato da una miriade di piume bianche.

Non poteva trattarsi che della misteriosa divinità discesa dal cielo, anzi caduta dal cielo in maniera un po’ brusca.

In fondo, in fondo la cosa cominciava a piacergli ma si chiedeva anche cosa sarebbe successo nel momento in cui avessero scoperto la verità.

All’improvviso un rumore sopra le loro teste seminò panico ed agitazione tra gli abitanti. Era un elicottero che sorvolava il villaggio.

Il nostro amico cominciò ad alzare le braccia e a far cenni ed invitò gli altri a calmarsi. Forse per timore, forse per rispetto, non si udì voce umana per un bel po’, rendendo il rumore delle pale dell’elicottero più assordante man mano che scendeva cercando un punto per atterrare.

Fu questione di pochi minuti, due uomini a grandi passi sembrarono sbucare da dietro un cespuglio. L’elicottero atterrò su una mezza collinetta spianata mentre le pale erano ancora in movimento.

I due uomini si avvicinarono al nostro concorrente, ricercatore, precario, divinità, disperso e ritrovato e gli dissero in inglese che da diversi giorni non si avevano più notizie sue e del politico e che le strumentazioni satellitari che portavano con sé non davano più segnali dopo l’ultima comunicazione del giorno precedente la traversata del fiume.

Così erano partite le ricerche che sembravano senza esito finché dall’alto non fu avvistata una strana macchia bianca, grande quanto un letto a due piazze, che poi si rivelò essere formata da piume bianche galleggianti.

A quel punto avevano seguito la corrente del fiume e dopo un po’ avevano avvistato il villaggio ed erano atterrati. Gli chiesero cosa ne fosse stato dell’altro compagno di viaggio. Il ricercatore si rabbuiò in viso e raccontò quello che era successo ma il fatto che non fosse stato trovato il cadavere faceva ben sperare: forse il politico era naufragato su un’altra isola. Chissà.

Non ci furono tante cerimonie per i saluti, il nostro ricercatore smise i panni della divinità per ritornare nel suo mondo e fu accompagnato all’elicottero dai due uomini che lo sorressero, visto che le gambe presentavano vistose ferite e, forse, qualche frattura.

Il sacerdote, la ragazza e tutti gli abitanti del villaggio rimasero a lungo con il naso all’insù mentre l’elicottero si allontanava. Si sa la permanenza delle divinità sulla terra non può durare a lungo.

Curato, rimesso in forze, il nostro ricercatore precario tornò nel Paese Senzacaponécoda dove fu accolto con tutti gli onori: prime pagine, interviste, foto, servizi vari per far conoscere la sua storia.

Ormai nessuno più si ricordava della premiazione tranne il giudice che lo convocò. Il ricercatore voleva sottrarsi anche perché dell’altro concorrente non si erano avute più notizie ed i suoi avvocati erano già alle prese con gli aspiranti eredi.

Il giudice fu inflessibile: gli accordi erano accordi ed erano vincolanti. Non ci fu bisogno di molte spiegazioni. La storia del ricercatore aveva dimostrato in maniera inequivocabile ed oggettiva che una certa quantità di piume si era rivelata di valore inestimabile, consentendo di salvare la vita di un essere umano, di farlo trattare da dio e di farlo ritrovare nonostante fosse stato dato per disperso. Mentre dell’oro e del suo vincitore si era persa ogni traccia.

Nel Paese Senzacaponécoda si parlò a lungo di questa storia e fu deciso che la meritocrazia non si poteva imporre trattando le persone duramente e colpevolizzandole ma occorreva un po’ di leggerezza…

Da quell’anno in poi sarebbe stato considerato meritevole chiunque avesse dimostrato il valore del lavoro dei propri dipendenti non in base alle assenze per malattia o ai ritardi ma al numero di sorrisi che venivano registrati durante le ore di lavoro. Perché in fondo in fondo: non sta scritto da nessuna parte che siamo nati per soffrire.

Inoltre, il termine lavoratore precario fu abolito e sostituito con quello di lavoratore preclare.

E, come nelle favole che si rispettino, vissero tutti felici e contenti, anzi quasi tutti.



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MessaggioInviato: 14/07/2011, 20:17 
"Meritocrazia? Bella favola!"

Specialmente in Italia ...[8)]



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Ufologo 555 ha scritto:

"Meritocrazia? Bella favola!"

Specialmente in Italia ... [8)]


Stavolta siamo del tutto d'accordo [:)]



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MessaggioInviato: 14/07/2011, 21:13 

ufffffffff ....


Anna , il post è bello, ma illeggibile : ti impongo di ripostarlo tutto in tal guisa :



Favola di una notte di mezza estate





Un giorno nel Paese Senzacaponécoda i governanti decisero di introdurre la meritocrazia. Ne avevano sentito parlare dal vicino paese di Ognidove ma poiché ignoravano in cosa consistesse non sapevano come fare.

All'inizio ci provò un alto dignitario, nominato per l'occorrenza. In realtà, non distingueva un bastone da una carota e ne venne fuori un gran pateracchio anche perché si scoprì che il dignitario era un gran raccomandato e voleva tutti i meriti per sé.


Cercarono altri dignitari ma ogni volta questi si mettevano a litigare su chi dovesse essere scelto, finché con grande stupore (da parte loro)i governanti decisero di nominare un giudice proprio dal vicino Paese di Ognidove.

Ben presto si comprese che ai governanti della meritocrazia non fregava un bel niente ma almeno con questa trovata avevano l'opportunità di accusare il giudice con le accuse più infamanti. Il giudice la sapeva lunga e non si preoccupava più di tanto, anzi li lasciava fare.


Ad un certo punto, per metterlo in difficoltà, gli proposero una sfida: aveva carta bianca e poteva scegliere i due candidati dell'anno alla meritocrazia, stabilire le regole, i criteri ed i premi, fissando così gli standard per poter valutare la meritocrazia di tutti.


Dopo aver riflettuto per qualche giorno, il giudice rese pubblici i nomi dei due candidati ed i premi. Il primo candidato era un uomo d'affari, plurinquisito e pluripregiudicato che era entrato in politica per sfuggire alle accuse. Il secondo candidato era un ricercatore precario che aveva studiato per tutta la sua vita facendo grossi sacrifici e che a stento sbarcava il lunario.

Il giudice li convocò e si intrattenne separatamente con ciascuno di loro. Il politico fece di tutto per corrompere il giudice, offrendogli la possibilità di avere donne, ville, auto se fosse stato scelto lui.

Il ricercatore temeva di confrontarsi con quell'uomo tanto potente. Se pure avesse vinto, si sarebbe trovato contro una buona parte del paese e poi chi ci credeva più nella meritocrazia, dopo tante delusioni.


I premi consistevano in una quantità d'oro pari a 500 kg ed in una quantità di piume d'oca sufficiente a coprire un letto a due piazze. In più il giudice decise che entrambi i partecipanti avrebbero dovuto superare una prova comune per vincere il titolo dopo l’assegnazione dei premi.


Che gara era mai questa? Prima si assegnavano i premi e poi si proclamava il vincitore?!


Il giudice affermò che il valore dei premi al momento della consegna era lo stesso e quale dei due partecipanti avesse dimostrato in maniera oggettiva il maggior valore del proprio premio, sarebbe risultato il vincitore del titolo della meritocrazia.

È vero che si trattava del paese Senzacaponécoda ma una cosa così non si era mai udita. Che sciocchezza! Meritocrazia significa produttività, efficienza e, quindi, maggior ricchezza. Non c’era nessun dubbio: colui che avesse ricevuto come premio i 500 kg d’oro sarebbe risultato senz’altro vincitore.

A che scopo fare tutta questa messinscena con una prova finale? E poi chi se ne fregava del titolo, una volta preso il malloppo. Erano questi i commenti tra la gente comune e ognuno voleva essere al posto di quello che avrebbe ricevuto l’oro. Il resto erano solo chiacchiere.



...... dai, lo spazio non manca !

zio ot [;)]

Edit da Law: Ho modificato il post di Anna come da lei specificato.


Ultima modifica di Lawliet il 14/07/2011, 23:17, modificato 1 volta in totale.


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MessaggioInviato: 14/07/2011, 21:26 
ok, zio ot lo divido in paragrafi, hai perfettamente ragione, si accavallano le pupille...[:I]



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