27/05/2019, 21:32
28/05/2019, 12:36
TheApologist ha scritto:Adesso c'è Amazon, quella si azienda americana al 100%, che ha asfaltato tutti, nordici e sudisti... Perché si trova proprio di tutto. A minor prezzo. Dato che risparmiano sul personale, trattandoli come automi.
Anche se le opinioni al riguardo sono ondivaghe, c'è chi dice che "si trova bene", ma bisogna vedere... Se lo dice un "millennial" è logico che si trovi bene, non ha visto com'era l'Italia PRIMA.
Si spende ancora meno sugli store cinesi.
Ma del resto è normale che la gente cerchi di spendere il meno possibile, con questo stramaledetto euro in tasca che non dura niente. Per cui le multinazionali vanno dove possono fare profitto... Euro, speculatori e classe politica demente/mangiona, hanno prodotto lo schifo che vediamo oggi.
In pratica ci è rimasto solo l'alimentare, teniamocelo stretto...
28/05/2019, 12:44
MaxpoweR ha scritto:TheApologist ha scritto:Adesso c'è Amazon, quella si azienda americana al 100%, che ha asfaltato tutti, nordici e sudisti... Perché si trova proprio di tutto. A minor prezzo. Dato che risparmiano sul personale, trattandoli come automi.
Anche se le opinioni al riguardo sono ondivaghe, c'è chi dice che "si trova bene", ma bisogna vedere... Se lo dice un "millennial" è logico che si trovi bene, non ha visto com'era l'Italia PRIMA.
Si spende ancora meno sugli store cinesi.
Ma del resto è normale che la gente cerchi di spendere il meno possibile, con questo stramaledetto euro in tasca che non dura niente. Per cui le multinazionali vanno dove possono fare profitto... Euro, speculatori e classe politica demente/mangiona, hanno prodotto lo schifo che vediamo oggi.
In pratica ci è rimasto solo l'alimentare, teniamocelo stretto...
Giusto così, se devo spendere 10€ per una presa elettrica da un ******** italiano che magari vota PD la voglio comprare su Amazon, la pago 3€ compresa la spedizione, e se non funziona o se c'è un minimo problema vengo trattato come un pascià tra restituzione, sostituzione rimborso e via dicendo, rispetto al servizio da terzo mondo che offrono i commercianti al dettaglio. Che fallisca no tutti
io mi trovo benissimo, ed ho 35 anni, miei amici da quando ho cominciato a spronarli ad usare questo metodo di acquieto si sono trovati bene, una mia amica si è del tutto liberata degli odiosi fornitori che le facevano pagare i macchinari IL TRIPLO se li ordina lei stessa dal sito i millennial non ne parliamo e da quando ho insegnato ai miei ad usarlo si trovano decisamente meglio pure i miei che hanno 70 anni.
E' il mercato no, ad 1\4 degli italiani sta bene ed a 1\3 sta bene purché a fallire siano prima gli italiani; di che vi lamentate.
Tra l'altro a breve anche gli operai verranno sostituiti da automi, così smetteranno pure di lamentarsi e di scassare le scatole, poi vediamo di cosa camperanno senza un sostegno al reddito ed alla disoccupazione. Vedremo di cosa camperà il 70% della popolazione tra 15 anni. Va voi continuate ad aver paura dei necriiiiiiiiiiiiiidei comunustihhhhhh la secessionahhhhhh votando gente col cervello indietro di 30 anni.
30/05/2019, 01:02
31/05/2019, 17:47
Whirlpool cede sito di Napoli, sindacati sul piede di guerra
Incontro ad alta tensione quello a Roma tra Whirlpool, Fim, Fiom e Uilm per fare il punto sull’accordo dello scorso ottobre. A scatenare le ire dei sindacati l’annuncio inaspettato della chiusura dello stabilimento di Napoli che profila per i 430 lavoratori un futuro incerto. Immediata la solidarietà del sito di Varese che ha annunciato lo sciopero spontaneo per solidarietà. I sindacati criticano duramente il gruppo, ricordando come l’accordo dello scorso anno prevedesse la garanzia di investimenti mirati per tutti i siti Whirlpool per tre anni fino al 2021, e sono sul piede di guerra. Whirlpool Emea fa sapere in un comunicato che "intende procedere con la riconversione del sito e la cessione del ramo d’azienda a una società terza in grado di garantire la continuità industriale allo stabilimento e massimi livelli occupazionali, al fine di creare le condizioni per un futuro sostenibile del sito napoletano". Nei prossimi giorni, Whirlpool "lavorerà con le organizzazioni sindacali, le istituzioni locali e nazionali per definire tutti i dettagli e le tempistiche della riconversione, che saranno resi noti non appena possibile".
Il Ministero dello Sviluppo Economico ha convocato il tavolo di crisi il 4 giugno prossimo. All’incontro "diamo per scontato che il Governo chieda a Whirlpool di rispettare l’accordo sottoscritto il 25 ottobre 2018 in sede istituzionale, non solo per elementari esigenze di tutela dei lavoratori, ma anche perché di quell’accordo fu sottoscrittore anche lo stesso Ministro" sottolineano Fim, Fiom e Uilm in una nota congiunta. "Subito dopo l’annuncio da parte di Whirlpool della decisione di chiudere Napoli, una delegazione sindacale si è recata al Mise, per chiarire la gravità della situazione e ottenere la convocazione del tavolo. Assemblee e scioperi sono stati indetti in tutti gli stabilimenti del gruppo. Qualsiasi ipotesi di modifica del piano e di chiusura di stabilimenti è per noi inaccettabile", concludono Fim, Fiom e Uilm. Anche l’Ugl Metalmeccanici, riferisce in una nota il segretario generale Antonio Spera, "unitariamente alle altre sigle sindacali proclama lo stato di agitazione dei lavoratori in tutti gli stabilimenti del Gruppo".
"Napoli tradita da Whirlpool" è l'accusa della Fiom-Cgil in una nota. "Noi non ci stiamo ai licenziamenti per delocalizzazione, dal momento che, tra l'altro, l'azienda usufruisce di tutto il sostegno possibile attraverso gli ammortizzatori sociali per la riorganizzazione dopo l’acquisizione di Indesit. Ora basta!", scandisce Francesca Re David, segretaria generale Fiom-Cgil. L’annuncio di Whirlpool "una cosa gravissima", "una scelta inaccettabile" commenta il leader Cgil, Maurizio Landini. "Serve risposta immediata, Napoli e il Mezzogiorno - sottolinea - hanno già pagato abbastanza ed è necessario che governo intervenga per far cambiare idea alla multinazionale e far rispettare gli accordi".
Whirlpool, rende noto il gruppo in un comunicato, nell'incontro di oggi a Roma con i rappresentanti delle organizzazioni sindacali per un aggiornamento sul Piano industriale Italia 2019-2021 ha ribadito "la strategicità dell’Italia all’interno della regione Emea da un punto di vista industriale e commerciale e ha confermato le direttrici strategiche del Piano Industriale firmato lo scorso 25 ottobre presso il ministero dello Sviluppo economico; in particolare gli investimenti pari a 250 milioni di euro per il triennio 2019-2021 in attività di innovazione, prodotto, processo e ricerca e sviluppo nei suoi siti industriali in Italia. Nei primi mesi del 2019 sono già stati allocati oltre 80 milioni di euro".
Inoltre, rileva Whirlpool, "sono stati riconfermati per i siti di Cassinetta di Biandronno - Va (polo Emea per i prodotti da incasso per le categorie freddo e cottura), Melano - An (hub regionale per i piani cottura ad alta gamma) e Siena (dedicato alla produzione di congelatori orizzontali) la specializzazione in atto e i volumi produttivi e occupazionali previsti dal Piano Industriale firmato lo scorso ottobre. Il trasferimento a Comunanza (Ap) della produzione delle lavatrici e lavasciuga da incasso dalla Polonia è stato altresì confermato. Il sito beneficerà quindi di un incremento dei volumi che porterà la produzione totale a oltre 800mila unità".
21/07/2019, 15:09
Crollo consumi, chiusi 14 negozi ogni giorno
La crisi del commercio non accenna a finire: dopo la debole 'ripresina' degli anni scorsi, infatti, è tornata a frenare la spesa delle famiglie. Se non ci saranno inversioni di tendenza, il 2019 si chiuderà con una flessione del -0,4% delle vendite, per oltre 1 mld di euro in meno sul 2018: il risultato peggiore degli ultimi 4 anni. A stimarlo è una nota di Confesercenti che calcola come già siano 32mila i negozi in meno rispetto al 2011. Una "emorragia che ha bruciato almeno 3 miliardi di euro di investimenti delle imprese" mentre nel 2019 si apprestano a sparire altre 5mila attività commerciali, al ritmo di 14 al giorno.
A pesare, si legge nel Report Confesercenti, è sopratutto il mancato recupero della spesa delle famiglie italiane, che sono oggi costrette a spendere annualmente 2.530 euro in meno del 2011. Una sofferenza questa non limitata alle sole aree più povere del paese: le famiglie lombarde infatti hanno ridotto i loro consumi del 3,5%, quelle venete del 4,4%, poco meno di quanto avvenuto in Calabria, dove la contrazione è stata del 4,8%.
Lo stop della spesa ha inoltre portato ad riorientamento delle scelte di consumo verso quei canali, dice ancora Confcommercio, "dove più esasperata è la concorrenza di prezzo, come web e outlet. L'impatto sul commercio è stato devastante. Ormai quasi un'attività commerciale indipendente su due chiude i battenti entro i tre anni di vita", annota ancora. ''Le difficoltà del commercio, in particolare dei piccoli, sembrano ormai strutturali. C'è bisogno di un intervento urgente per fronteggiarla: chiederemo al governo di aprire un tavolo di crisi'', spiega Patrizia De Luise, presidente di Confesercenti. ''Se si pensa che, in media, ogni piccolo negozio che chiude crea due disoccupati, è chiaro che ci troviamo di fronte ad una crisi aziendale gravissima, anche se nessuno sembra accorgersene. Persino il commercio su aree pubbliche è in difficoltà, messo a terra da un caos normativo che ha accelerato la marginalizzazione dei mercati e il dilagare dell'abusivismo". E non è un problema dei soli commercianti: "gli effetti collaterali della crisi del settore si estendono anche alla dimensione sociale e urbana. La tradizionale rete di vendita aiuta a dare identità ad un luogo e rende maggiormente attrattive le aree urbane. Per le quali il commercio è un settore economicamente significativo, che contribuisce a produrre reddito locale ed occupazione'', aggiunge. ''È necessaria un'azione organica, ad ampio spettro, per restituire capacità di spesa alle famiglie e per accompagnare la rete commerciale nella transizione al digitale, creando le condizioni per una leale competizione con il canale Web'', continua De Luise.
''Serve formazione continua per gli imprenditori, ma anche sostegno agli investimenti innovativi ed un riequilibrio fiscale che consenta una concorrenza alla pari tra offline e online. Apprezziamo le iniziative di confronto con le parti sociali annunciate dal governo: siamo pronti a fornire il nostro contributo sotto il profilo dell'analisi e dei possibili interventi", prosegue De Luise. Per questo, chiede Confesercenti, siamo in attesa degli incontri con le parti sociali proposti dal Governo, che riteniamo "positivi ed utili": l'auspicio, però, conclude il presidente di Confesercenti, "è che si tratti di incontri sostanziali e non formali. Le nostre emergenze sono concrete e ci attendiamo risposte concrete''.
17/08/2019, 14:45
Artigiani chiudono bottega, -6.500 imprese in sei mesi
Nonostante nel secondo trimestre si sia verificata una leggera ripresa, permane il cattivo stato di salute dell’artigianato in Italia. Lo rileva la Cgia. Nei primi 6 mesi di quest’anno lo stock delle imprese artigiane è diminuito di 6.564 unità. Al 30 giugno scorso, il numero complessivo si è attestato a quota 1.299.549.
Ad eccezione del Trentino Alto Adige, in tutte le altre regioni italiane il saldo del primo semestre è stato negativo. I risultati più preoccupanti si sono registrati in Emilia Romagna (-761), in Sicilia (-700) e in Veneto (-629). A dirlo è l’Ufficio studi della Cgia. Una moria, quella delle aziende artigiane, che dura ormai da 10 anni. Tra il 2009 e il 2018, infatti, il numero complessivo è sceso di quasi 165.600 unità.
“La crisi, il calo dei consumi, le tasse, la mancanza di credito e l’impennata degli affitti - afferma il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo - sono le cause che hanno costretto molti artigiani a cessare l’attività. E per rilanciare questo settore è necessario, oltre ad abbassare le imposte e ad alleggerire il peso della burocrazia, rivalutare il lavoro manuale. Negli ultimi 40 anni c’è stata una svalutazione culturale che è stata spaventosa".
"L’artigianato è stato dipinto come un mondo residuale, destinato al declino e per riguadagnare il ruolo che gli compete ha bisogno di robusti investimenti nell’orientamento scolastico e nell’alternanza tra la scuola e il lavoro, rimettendo al centro del progetto formativo gli istituti professionali che in passato sono stati determinanti nel favorire lo sviluppo economico del Paese", spiega Zabeo.
Oggi, "invece, sono percepiti dall’opinione pubblica come scuole di serie b. Per alcuni, infatti, rappresentano una soluzione per parcheggiare per qualche anno quei ragazzi che non hanno una grande predisposizione allo studio. Per altri costituiscono l’ultima chance per consentire a quegli alunni che provengono da insuccessi scolastici, maturati nei licei o nelle scuole tecniche, di conseguire un diploma di scuola media superiore”, aggiunge.
“E nonostante la crisi e i problemi generali che assillano l’artigianato - prosegue il segretario Renato Mason - non sono pochi gli imprenditori di questo settore che segnalano la difficoltà a trovare personale disposto ad avvicinarsi a questo mondo. Soprattutto al Nord, si fatica a reperire nel mercato del lavoro giovani disposti a fare gli autisti di mezzi pesanti, i conduttori di macchine a controllo numerico, i tornitori, i fresatori, i verniciatori e i battilamiera. Senza contare che nel mondo dell’edilizia è sempre più difficile reperire carpentieri, posatori e lattonieri”.
E un'ulteriore stangata al mondo dell’artigianato potrebbe arrivare il prossimo 1° gennaio. Se non si disinnescherà l’aumento dell’Iva, l’innalzamento di 3 punti percentuali sia dell’aliquota ordinaria che di quella ridotta rischia di provocare degli effetti molto negativi sul fatturato di queste attività che, ricorda la Cgia, vivono quasi esclusivamente dei consumi delle famiglie. E oltre agli effetti economici e occupazionali, la riduzione del numero delle attività artigiane e in generale dei negozi di vicinato ha provocato delle ricadute sociali altrettanto significative.
18/08/2019, 12:41
Thethirdeye ha scritto:Eh.... così pare.
Volevo solo sapere se questa è anche la vostra percezione
e in che misura registrate il fenomeno nelle vostre regioni, città o paesi.
Grazie
31/08/2019, 18:05
Porti chiusi al Made in Italy nel mondo: rischio di malattie e parassiti soprattutto da pomodori e riso
Export di prodotti italiani bloccato: il mondo teme il Made in Italy per rischio di malattie e parassiti delle piante
Dazi e stop al made in Italy a tavola nel mondo, soprattutto per via delle barriere sanitarie e burocratiche erette strumentalmente nei confronti dei prodotti agroalimentari nazionali, dal pomodoro ciliegino bloccato alle frontiere con il Canada ai porti chiusi al riso tricolore in Cina, che costano almeno mezzo miliardo all’export nazionale. E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti sul dossier realizzato dal ministero delle Politiche Agricole sugli ostacoli che in molti Paesi impediscono l’accesso alle esportazioni di cibi e bevande. “Si tratta – sottolinea la Coldiretti – di blocchi alle esportazioni e misure restrittive giustificati ufficialmente dal rischio della diffusione di malattie e parassiti delle piante ma che non trovano spesso riscontro nella realtà e coprono invece politiche protezionistiche. Un freno all’export agroalimentare nazionale che è in aumento del 6,7% nei primi cinque mesi del 2019 dopo aver raggiunto 2018 il valore record di 41,8 miliardi di euro secondo una analisi della Coldiretti su dati Istat. Una vera e propria guerra commerciale sommersa che nasconde spesso la volontà di difendere degli interessi locali per aggirare anche accordi internazionali sul libero scambio“.
Nonostante il Ceta, l’accordo di libero scambio tra Unione europea e Canada, il pomodoro ciliegino, che era ben posizionato su quel mercato, è stato bloccato dalla richiesta delle autorità canadesi di importare pomodori senza parti verdi mentre in Cina, anche dopo l’accordo sulla Via della Seta, resta fermo il protocollo d’intesa per autorizzare l’esportazione di riso da risotto con la richiesta di ulteriori informazioni da parte del governo di Pechino su quantità, superfici investite a riso in Italia, volumi importati ed esportati e una scheda sui trattamenti. Sull’impiego di particolari prodotti fitosanitari è poi incagliata la trattativa per consentire l’arrivo del riso tricolore anche in India.
Vita dura – continua la Coldiretti – anche per i kiwi con l’Italia che è il secondo produttore mondiale ma non puo’ esportarli in Colombia ed in Giappone che frena anche sulle arance tarocco Made in Italy. L’Italia resta in attesa di indicazioni da parte delle autorità della Corea del Sud per aprire le porte agli agrumi. Porte chiuse alle mele nazionali in molti Paesi asiatici come la Tailandia, il Vietnam e Taiwan ma i nostri produttori sono in attesa di riscontri anche per l’atteso via libera alle pere e alle mele in Sud Africa ed anche in Cina che frappone ostacoli per motivi fitosanitari e chiede assicurazioni sulla assenza di patogeni della frutta (insetti o malattie) non presenti sul proprio territorio con estenuanti negoziati e dossier che durano anni e che affrontano un prodotto alla volta.
varietà di riso“L’aspetto paradossale di questa vicenda è che mentre i prodotti italiani sono bloccati, – sottolinea Coldiretti – non solo la Cina può esportare nella Penisola pere e mele, ma in Italia si è anche verificata una vera invasione di pericolosi insetti alieni dannosi alle coltivazioni di provenienza, più o meno diretta, dalla Cina come la cimice asiatica (Halyomorpha halys) che, distruggendo i raccolti nei frutteti e negli orti con danni stimati quest’anno in 250 milioni di euro, per la mancanza di nemici naturali“.
Mentre il presidente degli Stati Uniti Donald Trump minaccia dazi sul 50% delle esportazioni agroalimentari italiane in Usa, le frontiere americane – denuncia la Coldiretti – sono da tempo chiuse per la vendita di sementi di grano e carciofo fresco. E sempre nel nuovo continente in Brasile servono ancora riscontri per l’autorizzazione all’esportazione di susine provenienti dall’Italia nonostante l’Unione Europea abbia appena siglato l’accordo di libero scambio con tutta l’area Mercosur di cui fanno parte Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay.
carne rossaLa maggior parte delle limitazioni riguarda la produzione ortofrutticola nazionale che nonostante un valore delle esportazioni di 4,9 miliardi di euro risente pesantemente di questi limiti come dimostra il fatto che nel 2018 si è verificato un crollo nell’ortofrutta fresca esportata dell’11% in quantità e del 7% in valore, rispetto all’anno precedente, secondo un analisi della Coldiretti. Ma difficoltà – continua la Coldiretti – ci sono anche per altri prodotti come la carne bovine nazionale che è bloccata dalla Cina o per la gran parte dei prodotti della salumeria, anche cotti, che non possono essere esportati in Australia per pretesti burocratici ed amministrativi. “A livello nazionale serve un task-force che permetta di rimuovere con maggiore velocità le barriere non tariffarie che troppo spesso bloccano le nostre esportazioni” ha affermato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini.
09/11/2019, 17:05
Spariti 200 mila negozi in dieci anni
Rispetto al 2007, anno che precede la drammatica crisi economica, le famiglie italiane hanno 'tagliato' consumi per un importo pari a 21,5 miliardi di euro. A farne le spese soprattutto le piccole botteghe artigiane ed i negozi che dal 2009 ad oggi, in meno di 10 anni, sono diminuite del 12,1%, circa 178.500 unità, mentre lo stock dei piccoli negozi è sceso di quasi 29.500 unità, -3,8%. Una perdita che complessivamente registra la 'sparizione' di quasi 200 mila negozi di vicinato in 10 anni". A fare il punto sulla situazione post-crisi economica è uno studio della Cgia.
La spesa complessiva dei nuclei familiari, che anche lo scorso anno ha registrato una frenata ed è ammontata a poco più di 1.000 miliardi di euro, resta la componente più importante del Pil, il 60,3 per cento del totale. A registrare il calo più importante nei consumi è il Sud: dal 2007 al 2018 le famiglie meridionali hanno “tagliato” la spesa mensile media di 131 euro (mediamente di 1.572 euro all’anno), quelle del Nord di 78 euro (936 euro all’anno) e quelle del Centro di 31 euro (372 euro all’anno).
A livello regionale, invece, in termini assoluti ed espressi in valore nominali medi è l'Umbria (- 443 euro al mese) a tirare maggiormente la cinghia; segue il Veneto (-378 euro) e la Sardegna (-324 euro). In contro tendenza, invece, i risultati ottenuti in Liguria (+333 euro al mese), in Valle d’Aosta (+188 euro) e in Basilicata (+133 euro). La situazione di difficoltà è proseguita anche nell’ultimo anno, in particolar modo al Nord: in Lombardia, in Trentino Alto Adige, in Emilia Romagna, in Piemonte, in Veneto e in Friuli Venezia Giulia la spesa mensile media delle famiglie nel 2018 è stata inferiore a quella relativa al 2017.
Sotto il profilo della composizione della spesa, sempre tra il 2007 e il 2018, annota ancora la Cgia, la contrazione più importante ha riguardato l’acquisto dei beni (-10,3 per cento), mentre i servizi sono cresciuti del 7%. Nel dettaglio, i beni non durevoli (prodotti cura della persona, medicinali, detergenti per la casa, etc.) sono crollati del 13,6%, quelli semidurevoli ( abbigliamento calzature, libri, etc.) si sono ridotti del 4,5% e quelli durevoli ( auto, articoli di arredamento, elettrodomestici, etc.) del 2,8%.
In termini percentuali, invece, la regione più colpita dalla moria di aziende artigiane è stata la Sardegna che negli ultimi 10 anni ha visto scendere il numero del 19,1%. Seguono l’Abruzzo con il 18,3% e l’Umbria con il 16,6%. L’andamento delle imprese attive nel piccolo commercio, invece, ha subito la riduzione più significativa in Valle d’Aosta con il 18,8%, in Piemonte con il 14,2% e in Friuli Venezia Giulia con l’11,6%. Rispetto al trend negativo, risultano essere di segno opposto la Calabria (+3%), il Lazio (+3,3%) e la Campania (+4,6%).
La caduta dell’acquisto dei beni, prosegue il Report Cgia, è proseguita anche quest’anno: tra il primo semestre 2019 e lo stesso periodo del 2018 la contrazione è stata dello 0,4% con una punta del -1,1% dei beni non durevoli. Interessante, invece, l’esito dei beni durevoli: quest’anno la crescita è stata del 2,9%. Tra le voci di spesa più significative va segnalata quella dei trasporti (auto, carburanti, biglietti treni, bus, tram): tra il 2007 e il 2018 la caduta è stata addirittura del 16,8% ed è proseguita anche quest’anno con un preoccupante -1%. Diversamente, le telecomunicazioni (cellulari, tablet e servizi telefonici) hanno segnato degli 'score' straordinari: negli ultimi 10 anni +20,1% e nell’ultimo anno +7,7%.
Le vendite al dettaglio, che costituiscono il 70% circa del totale dei consumi delle famiglie, negli ultimi 11 anni sono scese del 5,2%. Tuttavia, quelle registrate presso la grande distribuzione sono aumentate del 6,4% mentre nella piccola distribuzione (botteghe artigiane e piccoli negozi) sono precipitate del 14,5%. Sebbene il gap si sia decisamente ridotto, anche in questi primi 9 mesi del 2019 i segni sono rimasti gli stessi: +1,2% nella grande e -0,5%nella piccola distribuzione.
23/05/2020, 17:35
22/02/2021, 17:21
02/07/2021, 18:42
10/07/2021, 17:58
10/07/2021, 18:48