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 Oggetto del messaggio: Germania: locomotiva d' Europa?
MessaggioInviato: 05/04/2012, 13:20 
LA GERMANIA NON E’ MAI STATA LA LOCOMOTIVA DELL’EUROPA, MA IL RIMORCHIO
http://vocidallestero.blogspot.it/2012/ ... ta-la.html
L'amico Piero Valerio del blog La Tempesta Perfetta, ha riassunto in un quadro generale - grazie, va detto, alla efficacissima divulgazione di Goofynomics - l'analisi sugli squilibri interni all'eurozona: il lato oscuro dell'euro e della sua crisi.


L’affermazione che la Germania sia la locomotiva dell’eurozona è uno dei luoghi comuni più superficiali e falsi che viene ancora sostenuto con forza dai politici, economisti e giornalisti di regime (sia di destra che di sinistra), che cercano di convincere e illudere i propri adepti e lettori a seguire i passi del miracolo tedesco per ottenere una pronta ripresa dell’economia italiana. L’attenta analisi dei dati e delle variabili economiche dice invece una verità ben diversa: la Germania è stato il rimorchio dell’eurozona, perché senza il traino e le massicce importazioni di prodotti tedeschi da parte dei paesi della periferia il miracolo tedesco non sarebbe mai avvenuto.

Questo articolo prende spunto dalle interessanti e condivisibili analisi del professore di economia Alberto Bagnai espresse sul suo ottimo blog Goofynomics, in cui il professore non senza ironia prende in giro tutti coloro che ancora si ostinano a non volere capire cosa è accaduto nei 17 paesi dell’eurozona negli ultimi 10 anni. Tralascerò volutamente alcuni dettagli tecnici (che possono essere ritrovati sui vari post di Bagnai dedicati all’argomento, che fra l’altro consiglio a tutti di leggere perché spassosissimi e pieni di citazioni dotte e letterarie) e mi concentrerò invece su quello che mi preme di più evidenziare: la logica ferrea delle argomentazioni messe in campo, che partendo da precisi eventi storici hanno poi trovato conferma nei dati dell’economia. Ovviamente le considerazioni del professore Bagnai sono soltanto un fondamentale punto di partenza, mentre tutto il resto è farina del mio sacco.



Dopo aver visto in un precedente articolo il sistema di regolamento e compensazione dei pagamenti TARGET2, che è lo strumento che ha consentito nella pratica quotidiana la nascita e la proliferazione di squilibri macroeconomici nell’area dell’eurozona, mi sembrava opportuno comprendere il motivo per cui questi sbilanciamenti dei saldi commerciali hanno potuto avvantaggiare soltanto una parte dell’eurozona (la Germania), a danno di tutti gli altri paesi PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna): i dati di oggi confermano che la Germania ha reso molto più efficiente la sua macchina bellica industriale, ma analizzando bene la storia vedremo che in qualche maniera i tedeschi hanno giocato sporco nei confronti dei loro stessi alleati europei, puntando in anticipo rispetto a tutti gli altri su una politica di bassa inflazione e liberalizzazione sfrenata del mercato del lavoro (la Germania è stata la vera Cina dell’eurozona, ma al contrario della Cina non ha consentito ai paesi limitrofi di sviluppare le loro economie locali). Ma andiamo per passi e cerchiamo di ricostruire gli eventi, ritornando al momento in cui tutto ebbe inizio.

Il 9 novembre 1989 cade il muro di Berlino e il potente cancelliere tedesco Helmut Kohl si trova ad affrontare un difficile e costoso processo di riunificazione fra la più moderna Germania Federale e l’arretrata Germania Democratica. Gli squilibri fra questi due paesi sono enormi: basta citare un solo dato per avere un’idea, la disoccupazione nella DDR è al 20% e la sua industria è praticamente ferma in termini di sviluppo e innovazione ai primi anni del dopoguerra. Ci sono città intere da ricostruire da zero come la stessa Berlino Est, Dresda, Lipsia. Secondo alcune stime recenti i costi totali della riunificazione tedesca sono stati circa 1.500 miliardi di euro. Un’enormità.

La Germania Federale può contare su un ottimo tessuto industriale, basato sulla chimica, l’industria pesante, l’automotive, ma malgrado l’indubbia caratteristica di affidabilità e resistenza i prodotti tedeschi risultano ancora molto costosi rispetto ad analoghi prodotti delle industrie italiane, francesi, spagnole, che potendo appoggiare le vendite su una moneta più debole del marco, sono sicuramente più avvantaggiate nelle esportazioni. Italia e Spagna soprattutto, considerati dai tedeschi dei veri e propri stati canaglia per la loro aggressività competitiva, hanno ancora una loro piena sovranità monetaria e possono agire liberamente (tramite il supporto tecnico della propria banca centrale di emissione) sulla leva delle svalutazioni competitive esterne della moneta nei confronti del marco per migliorare il livello delle esportazioni e riequilibrare eventuali squilibri della bilancia dei pagamenti.

Per fare un po’ di cassa al cancelliere Kohl non resta che puntare tutto sul processo di unificazione economica e monetaria della comunità europea, già avviato per altri motivi in quegli stessi anni dalla Francia del presidente Francois Mitterand e del primo commissario europeo Jacques Delors, a cui era stato affidato il compito di studiare un programma e un piano di progressiva unificazione delle monete nazionali in un’unica moneta: l’euro. Dopo un’iniziale accoglienza tiepida di questo progetto, la Germania di Kohl diventa improvvisamente un fautore entusiasta della nascente Unione Monetaria Europea (che a quel tempo contava solo 11 stati rispetto ai 17 attuali: Germania, Francia, Italia, Spagna, Belgio, Olanda, Irlanda, Finlandia, Portogallo, Austria e Lussemburgo).

Il cancelliere Kohl stringe un patto di ferro con il presidente francese Mitterand e il processo di unificazione monetaria europea subisce un’accelerazione impressionante: già nel 1992 vengono firmati a Maastricht i Trattati di Funzionamento dell’Unione Europea. Il proposito del cancelliere Kohl è abbastanza chiaro a chiunque tranne che ai governanti dei paesi coinvolti nell’accordo (per l’Italia in particolare Prodi, Monti, Padoa Schioppa, Draghi, Amato, Ciampi, Dini, tutti uomini appoggiati con ambigua convinzione politica dalla sinistra, ma che in realtà erano ex-banchieri o ex-membri del vecchio regime socialista e democristiano): spalmare gli enormi costi dell’unificazione tedesca sui paesi della periferia dell’Europa, che a causa delle loro beghe interne politiche (ingovernabilità, corruzione) e di bilancio (elevati debiti pubblici) o per paura di rimanere isolati sono costretti loro malgrado o per interessi particolari ad aderire al progetto franco-tedesco di unificazione monetaria. Paesi più stabili economicamente e politicamente come Gran Bretagna, Svezia e Norvegia non pensano neanche per un attimo ad unirsi a questa grande ammucchiata, in cui era molto prevedibile che prima o dopo la grande Germania avrebbe fatto un massacro.

Nel 1998 vengono fissati rigidamente i tassi di cambio fra le monete degli 11 paesi: la lira italiana viene ancorata al marco tedesco con un rapporto di cambio di 990 lire per un marco, in previsione del successivo e definitivo ingresso dell’euro. E’ un tasso di cambio ancora favorevole per le imprese italiane e infatti le esportazioni verso la Germania sono abbastanza sostenute. Intanto, nello stesso anno, in Germania il cancelliere Kohl viene sostituito dal socialdemocratico Gerhard Schroeder, che nonostante sia un oppositore politico, continua pedissequamente il progetto del predecessore: bisogna mettere la Germania in una posizione di vantaggio rispetto ai concorrenti europei (non alleati, beninteso, perché i tedeschi non hanno mai ragionato in questi termini) così non appena verrà introdotta la moneta unica e nessun paese dell’eurozona potrà più agevolarsi di svalutazioni competitive sul tasso di cambio, la grande Germania potrà accumulare enormi surplus di ricchezza con le sue esportazioni.

Dato che non si potranno più utilizzare svalutazioni esterne, bisogna agire sui metodi di svalutazione competitiva interna del lavoro e della produzione per rendere più apprezzabili e convenienti i prodotti tedeschi e la Germania fa proprio questo. Dal 1997 al 2009 il governo Schroeder abbassa progressivamente l’aliquota massima d’imposta per i privati cittadini dal 53% al 42%, mentre per le imprese viene quasi dimezzata arrivando al 29,4%: i margini di profitto delle aziende tedesche possono quindi essere rimodulati su prezzi inferiori. Ma non solo, sfruttando gli alti livelli di disoccupazione (8%-10%) e la minaccia di licenziamenti e delocalizzazione delle imprese, il governo mette a punto un piano di liberalizzazione sfrenata dei contratti di lavoro e riduzione delle tutele sindacali: dal 2003 al 2009 i salari reali dei lavoratori tedeschi corretti all’andamento dell’inflazione e al costo medio della vita scendono del -6% (guarda grafico sotto, dove i salari italiani rimangano stabili mentre quelli tedeschi scendono proprio in concomitanza con l’introduzione dell’euro nel 2002).


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Nel 1998 viene inaugurata la Banca Centrale Europea BCE che, su indicazione della banca centrale tedesca Bundesbank che è il maggiore azionista, avrà come scopo principale il controllo dell’inflazione: l’obiettivo della BCE è quello di mantenere l’inflazione annua intorno al 2% per tutti i paesi dell’eurozona, ignorando tutte le differenze produttive, economiche e di spesa che esistono già fra i vari stati. I paesi dell’eurozona si adeguano, tutti tranne la Germania che dal 2000 al 2007 mantiene un’inflazione media più bassa dell’obiettivo della BCE (1,6%), senza che quest’ultima faccia mai notare ai proprietari tedeschi che avere un’inflazione più bassa del target fissato in un contesto di unificazione monetaria può creare scompensi macroeconomici immensi e risulta un comportamento scorretto nei confronti dei paesi alleati. Nello stesso periodo infatti l’inflazione media dell’Irlanda (3,4%), Grecia (3,2%), Spagna (3,1%), Portogallo (2,9%) risulta più alta. L’Italia (2,1%) si mantiene invece abbastanza aderente al vincolo europeo, ma questa costante divaricazione dell’andamento dei prezzi al consumo fra la Germania e i paesi PIIGS sarà fondamentale per la nascita di quegli squilibri macroeconomici che stanno portando al collasso l’intero sistema dell’eurozona.

Nel 2002 viene introdotto l’euro e la Germania entra a piedi uniti nel mercato unico, avendo già attuato in pratica una politica di svalutazione competitiva interna sui prezzi e sul lavoro (precarizzazione del lavoro, riduzione dei salari, minaccia di disoccupazione, aumento delle disuguaglianze sociali) che la mette in una posizione di netto vantaggio rispetto agli altri paesi (alla faccia dei sani principi comunitari di sussidiarietà e collaborazione). La forbice dei prezzi continua ad aumentare e questo rende più agevoli e convenienti le esportazioni tedesche nei paesi PIIGS, ma allo stesso tempo rende più complicato esportare in Germania per i paesi della periferia perché i prezzi dei loro prodotti risultano abbastanza alti e impraticabili per i consumatori tedeschi. Come si vede nel grafico sotto i paesi che hanno un differenziale dei prezzi maggiore con la Germania sono anche gli stessi che tendono ad indebitarsi più velocemente, perché importano molto dalla Germania ed esportano poco ai tedeschi.


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Le banche tedesche che hanno accumulato un surplus di riserve, tramite le esportazioni del settore imprenditoriale, investono nei paesi e nelle banche dei PIIGS per sostenere i consumi e accelerare i processi di indebitamento privato. A differenza di quello che molti continuano ancora a ripetere il problema del debito non riguarda tanto la parte pubblica e il contenimento delle spese governative (ricordiamo per esempio che la Spagna è stata per molto tempo l’unico paese che rientrava nei parametri del Patto di Stabilità europeo del 3% del deficit/PIL e del 60% del debito pubblico/PIL), ma l’indebitamento privato, perché un sistema illogico dei pagamenti fra i paesi dell’eurozona come TARGET2 non metteva praticamente limiti all’indebitamento dei residenti dei vari stati dell’unione e alla possibilità delle banche locali di concedere prestiti, anzi questi venivano incentivati tramite l’afflusso di nuovi capitali dalla Germania e dal regime sorprendentemente basso e indifferenziato dei tassi di interesse. Nel grafico sotto, vediamo appunto che fra il 2000 e il 2007 l’incremento di indebitamento è soprattutto nel settore privato e non pubblico (anzi paesi come Irlanda, Italia e Spagna hanno addirittura ridotto i margini di debito pubblico accumulato).


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La storia dei “paesi spendaccioni” quindi è falsa e infondata, perché i dati dicono esattamente un’altra cosa: quasi tutti gli stati PIIGS hanno adottato politiche di spesa pubblica virtuosa, mentre il vero problema è stato il credito privato gonfiato artificialmente dalle banche locali sostenute da lontano dai colossi tedeschi della finanza (Deutsche Bank e Commerzbank). Il sistema macroeconomico sbilanciato dell’eurozona è stato quindi corrotto sia in modo strutturale che finanziario dall’atteggiamento competitivo e aggressivo della Germania e ora la stessa Germania chiede agli stati di fare quei sacrifici di austerità che in verità sono già stati fatti durante questi lunghi 10 anni: mentre niente dice la Germania sul vero dilemma dell’eurozona, costituito dagli squilibri commerciali degli scambi, dai differenziali del regime dei prezzi, dalla diversa competitività produttiva, perché questo metterebbe in discussione proprio il modo in cui si sono formati gli alti volumi delle esportazioni tedesche.
Ovviamente esistono anche casi limite, come quello del governo greco che nel 2009 truccò i dati del bilancio pubblico per rientrare nei parametri richiesti dall’Unione Europea, ma questo stratagemma fu applicato grazie al supporto di uno dei grandi creditori internazionali del debito pubblico greco come Goldman Sachs, con la tacita approvazione a distanza sia della BCE che delle istituzioni europee, che pur sapendo bene quello che stava accadendo in Grecia, non avevano alcuna intenzione di interrompere il carosello impazzito dei flussi finanziari e commerciali nell’eurozona, tanto cari alla Germania. Tutti hanno cercato di nascondere sotto il tappeto la polvere, convinti che quella stessa polvere non sarebbe mai uscita allo scoperto. Anche perché, quando il marcio ritorna a galla, la soluzione viene sempre trovata rapidamente dai tecnocrati e dagli operatori finanziari che sono stati i veri artefici del disastro: scaricare a valle sul popolo tutti gli errori e le inefficienze che sono state create a monte del sistema. La colpa è del popolo spendaccione e non del banchiere o governante che ha consentito ai cittadini di indebitarsi oltre i limiti della decenza e della logica. E il popolo intero deve ripagare centesimo dopo centesimo, con tasse e tagli allo stato sociale, i debiti contratti da una parte minima dei suoi stessi concittadini.

Ma torniamo di nuovo ai dati, ai fatti, che erano noti da tempo e sotto gli occhi di tutti. Se indichiamo con il termine produttività totale dei fattori il rapporto tra il valore di mercato di ciò che si produce e il valore di mercato dei fattori produttivi impiegati, ossia capitale umano, capitale fisico (ammortamenti e nuovi investimenti), energia, materie prime e intermedie, importazioni, vediamo ancora una volta che i differenziali di prezzi e salari prima descritti hanno creato uno squilibrio sempre più marcato fra paesi della periferia come Spagna e Italia e i paesi del centro come la Francia e la Germania (guarda grafico sotto, dove la forbice inizia come sempre ad allargarsi dopo il 1997), senza che nessuno nelle varie commissioni o vertici europei abbia mai alzato un dito o detto una parola per ripristinare un contesto più equilibrato delle efficienze produttive e delle condizioni di lavoro nei vari stati dell’eurozona. Perché esisteva il veto proprio di Germania e Francia su qualsiasi proposta di modifica dei trattati europei, che potesse rendere minimamente più credibile e omogenea l’impalcatura fragile dell’unificazione monetaria, che senza una precedente unificazione delle politiche economiche e fiscali dell’intera eurozona sarebbe stato sempre un processo incompleto e difettoso. Ai tedeschi e francesi andava bene così e fosse stato per loro il gioco poteva andare avanti all’infinito.


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Ma un’altra stupidaggine che viene spesso ripetuta da politici ed economisti di regime (ribadiamo sia di destra che di sinistra che di centro, per par conditio) è che la Germania ha potuto creare questi enormi surplus delle esportazioni perché è riuscita a penetrare nei mercati dei paesi emergenti BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) e in Cina in particolare. Ma se esaminiamo la tabella sotto vediamo che la situazione è ben diversa da ciò che ci raccontano: dal 1999 al 2007 il maggiore incremento delle esportazioni di beni è avvenuto verso i paesi europei (66%, di cui il 32% solo nei paesi PIIGS), mentre il saldo fra esportazioni e importazioni nei paesi BRICS è diminuito del -2% (di cui il -8% per la Cina, che esporta in Germania più di quello che importa).


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Nel grafico sotto vediamo ancora meglio e in modo immediato come la crescita dei saldi commerciali netti (esportazioni meno importazioni di beni) della Germania sia sempre stata superiore nei paesi dell’eurozona rispetto a tutti gli altri paesi del mondo (BRICS, Unione Europea non euro, Stati Uniti e altro). Ciò significa evidentemente che i saldi commerciali tedeschi verso i paesi dell’eurozona negli ultimi 10 anni sono stati sempre maggiori del 50% rispetto al totale.


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Nello specifico, il confronto bilaterale fra i bilanci commerciali di Germania e Cina vede sempre i tedeschi in deficit rispetto ai cinesi, perché se è vero che i volumi di esportazioni sono aumentati nel tempo, è anche vero che le importazioni dalla Cina hanno avuto un tasso di crescita maggiore: come ripete spesso il professore Bagnai, in una verifica seria i flussi della bilancia dei pagamenti vanno visti sempre esaminando i dati nel complesso e non prendendo soltanto un valore di flusso come riferimento (ovvero dire che le esportazioni tedesche verso la Cina sono cresciute non significa niente, se non guardiamo pure nello stesso periodo cosa è accaduto alle importazioni di prodotti cinesi in Germania, perchè è dal saldo finanziario fra entrate e uscite monetarie che si può capire la reale efficacia e convenienza di una certa scelta commerciale o strategia economica).


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Se entriamo ancora di più nel dettaglio (vedi tabella sotto), notiamo che anno dopo anno il saldo commerciale della Germania verso i paesi dell’area euro è stato superiore rispetto al resto del mondo (non euro area), per un semplice motivo: la Germania esportava molto nei paesi PIIGS ma importava poco i loro prodotti (per la già citata forbice dei prezzi, che rendeva poco appetibili e molto costosi per i consumatori tedeschi i prodotti di paesi in cui l’inflazione era considerevolmente più alta). Se esaminiamo soltanto la colonna delle esportazioni, vedremo che verso il resto del mondo le esportazioni tedesche sono state sempre maggiori in valori assoluti rispetto alle esportazioni nell’eurozona, ma se verifichiamo la colonna delle importazioni vedremo nei dati quello che sappiamo già nei fatti: la Germania importava dal resto del mondo molto di più in proporzione di quello che importava dai paesi dell’eurozona, quindi la parte maggiore del suo surplus commerciale si formava sempre a danno degli altri stati dell’area euro.


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A questo punto risulta abbastanza chiaro il motivo per cui la Germania non è mai stato la locomotiva dell’eurozona, ma si è sempre configurata come un pesante rimorchio per tutti i paesi PIIGS, dato che è riuscita ad espandere la sua economia soprattutto grazie ai surplus accumulati in Europa, mentre nel resto del mondo i suoi dati di performance sono stati molto modesti. A differenza invece della Cina, che è una vera locomotiva per la sua area perché risulta quasi sempre in deficit commerciale con i paesi limitrofi e accumula i suoi enormi surplus con il resto del mondo, facendo da volano per un intero continente: quindi paragonare la Germania alla Cina è fuorviante e sbagliato, perchè la Cina consente lo sviluppo delle economie dei paesi confinanti e non li soffoca o li indebita come ha fatto la Germania in tutti questi anni con i paesi della periferia europea.
Dopo questa analisi, unita alla descrizione del meccanismo di funzionamento del sistema di regolamento dei pagamenti TARGET2, diventa ancora più evidente il modo in cui la Germania è riuscita ad imporre il suo disegno e a perseguire i suoi interessi a danno di tutti gli altri presunti alleati europei: vantaggio competitivo sleale sui prezzi e i salari, banca centrale BCE compiacente, istituzioni europee assenti, subdolo incoraggiamento ad utilizzare lo strumento del debito illimitato per acquistare prodotti tedeschi. E ora che questo sistema perverso è andato in frantumi, la Germania reclama l’austerità e il rigore nella gestione dei bilanci pubblici (vedi assurda imposizione dell’accordo intergovernativo Fiscal Compact) come unica via di uscita dal disastro, deviando l’attenzione dal vero nocciolo duro della questione europea che come invece abbiamo già visto è lo squilibrio e lo sbilanciamento macroeconomico. Ma come? Verrebbe da chiedersi, prima i tedeschi consentono a italiani, portoghesi, irlandesi, spagnoli e greci di indebitarsi, invitandoli palesemente a sfruttare la convenienza del regime dei bassi interessi che regnava nell’area dell’eurozona, e ora chiedono a quegli stessi popoli di svenarsi per ripagare un debito che è stato contratto in modo illecito e truffaldino? Questo sarebbe un atteggiamento corretto e solidale da parte di un paese alleato? Questa sarebbe l’Europa della libertà e della democrazia che qualcuno ha cercato di venderci?
In conclusione, è utile ricordare come promemoria per comprendere ancora meglio come funziona il meccanismo contorto dell’economia europea, cioè che è accaduto lo scorso anno durante gli accordi di salvataggio della Grecia: la Germania e la Francia hanno imposto alla Grecia di acquistare armamenti tedeschi e francesi per centinaia di milioni di euro nonostante i greci siano costretti – sempre dagli stessi – a imporre feroci tagli di spesa su salari, pensioni, sanità. Berlino e Parigi hanno preteso l'acquisto di armamenti (carri armati, sottomarini, cannoni) come condizione per approvare il primo piano di salvataggio della Grecia da 110 miliardi di euro. Il governo greco ha provato a negoziare ma alla fine, nel 2011, ha dovuto tirare fuori 1,3 miliardi di euro per due sommergibili tedeschi (inizialmente erano addirittura 4), 403 milioni di euro per i carri armati Leopard, mentre la Francia ha imposto l'acquisto di 6 fregate, 15 elicotteri e motovedette francesi per una spesa di 4,4 miliardi di euro. Questa insomma sarebbe l’Europa della collaborazione, della cooperazione e della fraterna amicizia fra paesi alleati.
Con il suo incredibile rapporto fra spese militari e PIL nazionale del 7%, la Grecia si piazza al 5° posto nel mondo fra i paesi più guerrafondai che investono maggiori fondi pubblici per l’acquisto di armamenti militari: ma come mai? Contro chi dovrà muovere guerra la Grecia con tutti questi armamenti? Quali nemici al confine costituiscono una minaccia così incombente per Atene? Vuoi vedere che alla fine i greci insorgeranno contro i loro stessi dittatori europei che sono arroccati a Berlino, Bruxelles, Francoforte? Chissà. Per adesso non ci rimane che inviare un caloroso invito a resistere e a combattere ai fratelli greci, consapevoli che fra poco arriverà anche il turno degli italiani di scegliere se lasciarsi spolpare vivi sulla gogna degli aguzzini o scendere nell’arena della resistenza comune europea. La guerra è appena iniziata e il nemico purtroppo non fa prigionieri.


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Se l'Italia avesse un minimo di dignita', ... un po' di orgoglio ed impegno da parte di tutti, potremmo essere noi a fare da battistrada ...


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negli ultimi 100 anni ogni volta che la Germania si è risollevata economicamente, pochi anni dopo, è stata fautrice dello scoppio di guerre mondiali.. speriamo bene


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Cita:
Sirius ha scritto:

negli ultimi 100 anni ogni volta che la Germania si è risollevata economicamente, pochi anni dopo, è stata fautrice dello scoppio di guerre mondiali.. speriamo bene


Esatto.
La Germania dovrebbe capire che fa parte di una alleanza, di una comunità (detta appunto Europea), di un "gruppo" di nazioni che si sono accordate per fare fronte "INSIEME", a problemi all'epoca inevitabili.
Non perché ora stanno meglio di noi devono credere che vada sempre così.
Hai ragione Sirius, la storia dovrebbe insegnare, invece ...

Comunque non è questo il modo di comportarsi e rapportarsi con ... altri!


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Bagnai: politiche sbagliate spacciate col "grembiule rosa"
di Alberto Bagnai http://www.ilmanifesto.it/archivi/comme ... colo/5225/

L’uscita dall’euro prossima ventura
Un anno fa, discorrendo con Aristide, chiedevo come mai la sinistra italiana rivendicasse con tanto orgoglio la paternità dell’euro: non vedeva quanto esso fosse opposto agli interessi del suo elettorato? Una domanda simile a quella di Rossanda. Aristide, economista di sinistra, mi raggelò: “caro Alberto, i costi dell’euro, come dici, sono noti, tutti i manuali li illustrano. Li vedevano anche i nostri politici, ma non potevano spiegarli ai loro elettori: se questi avessero potuto confrontare costi e benefici non avrebbero mai accettato l’euro.
Tenendo gli elettori all’oscuro abbiamo potuto agire, mettendoli in una impasse dalla quale non potranno uscire che decidendo di fare la cosa giusta, cioè di andare avanti verso la totale unione, fiscale e politica, dell’Europa.” Insomma: “il popolo non sa quale sia il suo interesse: per fortuna a sinistra lo sappiamo e lo faremo contro la sua volontà”. Ovvero: so che non sai nuotare e che se ti getto in piscina affogherai, a meno che tu non “decida liberamente” di fare la cosa giusta: imparare a nuotare. Decisione che prenderai dopo un leale dibattito, basato sul fatto che ti arrivo alle spalle e ti spingo in acqua. Bella democrazia in un intellettuale di sinistra! Questo agghiacciante paternalismo può sembrare più fisiologico in un democristiano, ma non dovrebbe esserlo. “Bello è di un regno come che sia l’acquisto”, dice re Desiderio. Il cattolico Prodi l’Adelchi l’ha letto solo fino a qui. Proseguendo, avrebbe visto che per il cattolico Manzoni la Realpolitik finisce in tragedia: il fine non giustifica i mezzi. La nemesi è nella convinzione che “più Europa” risolva i problemi: un argomento la cui futilità non può essere apprezzata se prima non si analizza la reale natura delle tensioni attuali.

Il debito pubblico non c’entra.
Sgomenta l’unanimità con la quale destra e sinistra continuano a concentrarsi sul debito pubblico. Che lo faccia la destra non è strano: il contrattacco ideologico all’intervento dello Stato nell’economia è il fulcro della “controriforma” seguita al crollo del muro. Questo a Rossanda è chiaro. Le ricordo che nessun economista ha mai asserito, primadel trattato di Maastricht, che la sostenibilità di un’unione monetaria richieda il rispetto di soglie sul debito pubblico (il 60% di cui parla lei). Il dibattito sulla “convergenza fiscale” è nato dopo Maastricht, ribadendo il fatto che queste soglie sono insensate. Maastricht è un manifesto ideologico: meno Stato (ergo più mercato). Ma perché qui (cioè a sinistra?) nessuno mette Maastricht in discussione? Questo Rossanda non lo nota e non se lo chiede. Se il problema fosse il debito pubblico, dal 2008 la crisi avrebbe colpito prima la Grecia (debito al 110% del Pil), e poi Italia (106%), Belgio (89%), Francia (67%) e Germania (66%). Gli altri paesi dell’eurozona avevano debiti pubblici inferiori. Ma la crisi è esplosa prima in Irlanda (debito pubblico al 44% del Pil), Spagna (40%), Portogallo (65%), e solo dopo Grecia e Italia. Cosa accomuna questi paesi? Non il debito pubblico (minimo nei primi paesi colpiti, altissimo negli ultimi), ma l’inflazione. Già nel 2006 la Bce indicava che in Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna l’inflazione non stava convergendo verso quella dei paesi “virtuosi”. I Pigs erano un club a parte, distinto dal club del marco (Germania, Francia, Belgio, ecc.), e questo sì che era un problema: gli economisti sanno da tempo che tassi di inflazione non uniformi in un’unione monetaria conducono a crisi didebito estero (prevalentemente privato).

Inflazione e debito estero.
Se in X i prezzi crescono più in fretta che nei suoi partner, X esporta sempre meno, e importa sempre più, andando in deficit di bilancia dei pagamenti. La valuta di X, necessaria per acquistare i beni di X, è meno richiesta e il suo prezzo scende, cioè X svaluta: in questo modo i suoi beni ridiventano convenienti, e lo squilibrio si allevia. Effetti uguali e contrari si producono nei paesi in surplus, la cui valuta diventa scarsa e si apprezza. Ma se X è legato ai suoi partner da un’unione monetaria, il prezzo della valuta non può ristabilire l’equilibrio esterno, e quindi le soluzioni sono due: o X deflaziona, o i suoi partner in surplus inflazionano. Nella visione keynesiana i due meccanismi sono complementari: ci si deve venire incontro, perché surplus e deficit sono due facce della stessa medaglia (non puoi essere in surplus se nessuno è in deficit). Ai tagli nel paese in deficit deve accompagnarsi un’espansione della domanda nei paesi in surplus. Ma la visione prevalente è asimmetrica: l’unica inflazione buona è quella nulla, i paesi in surplus sono “buoni”, e sono i “cattivi” in deficit a dover deflazionare, convergendo verso i buoni. E se, come i Pigs, non ci riescono? Le entrate da esportazioni diminuiscono e ci si deve indebitare con l’estero per finanziare le proprie importazioni. I paesi a inflazione più alta sono anche quelli che hanno accumulato più debito estero dal 1999 al 2007: Grecia (+78 punti di Pil), Portogallo (+67), Irlanda (+65) e Spagna (+62). Con il debito crescono gli interessi, e si entra nella spirale: ci si indebita con l’estero per pagare gli interessi all’estero, aumenta lo spread e scatta la crisi.

Lo spettro del 1992.
E l’Italia? Dice Rossanda: “il nostro indebitamento è soprattutto all’interno”. Non è più vero. Pensate veramente che ai mercati interessi con chi va a letto Berlusconi? Pensate che si preoccupino perché il debito pubblico è “alto”? Ma il nostro debito pubblico è sopra il 100% da 20 anni, e i nostri governi, anche se meno folcloristici, sono stati spesso più instabili. Non è questo che preoccupa i mercati: quello che li preoccupa è che oggi, come nel 1992, il nostro indebitamento con l’estero sta aumentando, e che questo aumento, come nel 1992, è guidato dall’aumento dei pagamenti di interessi sul debito estero, che è in massima parte debito privato, contratto da famiglie e imprese (il 65% delle passività sull’estero dell’Italia sono di origine privata).

Cui Prodest?
Calata nell’asimmetria ideologica mercantilista (i “buoni” non devono cooperare) e monetarista (inflazione zero) la scelta politica di privarsi dello strumento del cambio diventa strumento di lotta di classe. Se il cambio è fisso, il peso dell’aggiustamento si scarica sui prezzi dei beni, che possono diminuire o riducendo i costi (quello del lavoro, visto che quello delle materie prime non dipende da noi) o aumentando la produttività. Precarietà e riduzioni dei salari sono dietro l’angolo. La sinistra che vuole l’euro ma non vuole Marchionne mi fa un po’ pena. Chi non deflaziona accumula debito estero, fino alla crisi, in seguito alla quale lo Stato, per evitare il collasso delle banche, si accolla i debiti dovuti agli squilibri esterni, trasformandoli in debiti pubblici. Alla privatizzazione dei profitti segue la socializzazione delle perdite, con il vantaggio di poter incolpare a posteriori i bilanci pubblici. La scelta non è se deflazionare o meno, ma se farlo subito o meno. Una scelta ristretta, ma solo perché l’ottusità ideologica impone di concentrarsi sul sintomo (lo squilibrio pubblico, che può essere corretto solo tagliando), anziché sulla causa (lo squilibrio esterno, che potrebbe essere corretto cooperando). Alla domanda di Rossanda “non c’è stato qualche errore?” la risposta è quella che dà lei stessa: no, non c’è stato nessun errore. Lo scopo che si voleva raggiungere, cioè la “disciplina” dei lavoratori, è stato raggiunto: non sarà “di sinistra”, ma se volete continuare a chiamare “sinistra” dei governi “tecnici” a guida democristiana accomodatevi. Lo dice il manuale di Acocella: il “cambio forte” serve a disciplinare i sindacati.

Più Europa?
Secondo la teoria economica un’unione monetaria può reggere senza tensioni sui salari se i paesi sono fiscalmente integrati, poiché ciò facilita il trasferimento di risorse da quelli in espansione a quelli in recessione. Una “soluzione” che interviene a valle, cioè allevia i sintomi, senza curare la causa (gli squilibri esterni). È il famoso “più Europa”. Un esempio: festeggiamo quest’anno il 150° anniversario dell’unione monetaria, fiscale e politica del nostro paese. “Più Italia” l’abbiamo avuta, non vi pare? Ma 150 anni dopo la convergenza dei prezzi fra le varie regioni non è completa, e il Sud ha un indebitamento estero strutturale superiore al 15% del proprio Pil, cioè sopravvive importando capitali dal resto del mondo (ma in effetti dal resto d’Italia). Dopo cinquanta anni di integrazione fiscale nell’Italia (monetariamente) unita abbiamo le camicie verdi in Padania: basterebbero dieci anni di integrazione fiscale nell’area euro, magari a colpi di Eurobond, per riavere le camicie brune in Germania. L’integrazione fiscale non è politicamente sostenibile perché nessuno vuole pagare per gli altri, soprattutto quando i media, schiavi dell’asimmetria ideologica, bombardano con il messaggio che gli altri sono pigri, poco produttivi, che “è colpa loro”. Siano greci, turchi, o ebrei, sappiamo come va a finire quando la colpa è degli altri.

Deutschland über alles.
Le soluzioni “a valle” dello squilibrio esterno sono politicamente insostenibili, ma lo sono anche quelle “a monte”. La convivenza con l’euro richiederebbe l’uscita dall’asimmetria ideologica mercantilista. Bisognerebbe prevedere simmetrici incentivi al rientro per chi si scostasse in alto o in basso da un obiettivo di inflazione. Il coordinamento del quale Rossanda parla andrebbe costruito attorno a questo obiettivo. Ma il peso dei paesi “virtuosi” lo impedirà. Perché l’euro è l’esito di due processi storici. Rossanda vede il primo (il contrattacco del capitale per recuperare l’arretramento determinato dal new deal post-bellico), ma non il secondo: la lotta secolare della Germania per dotarsi di un mercato di sbocco. Ci si estasia (a destra e a sinistra) per il successo della Germania, la “locomotiva” d’Europa, che cresce intercettando la domanda dei paesi emergenti. Ma i dati che dicono? Dal 1999 al 2007 il surplus tedesco è aumentato di 239 miliardi di dollari, di cui 156 realizzati in Europa, mentre il saldo commerciale verso la Cina èpeggiorato di 20 miliardi (da un deficit di -4 a uno di -24). I giornali dicono che la Germania esporta in Oriente e così facendo ci sostiene con la sua crescita. I dati dicono il contrario. La domanda dei paesi europei, drogata dal cambio fisso, sostiene la crescita tedesca. E la Germania non rinuncerà a un’asimmetria sulla quale si sta ingrassando. Ma perché i governi “periferici” si sono fatti abbindolare dalla Germania? Lo dice il manuale di Gandolfo: la moneta unica favorisce una “illusione della politica economica” che permette ai governi di perseguire obiettivi politicamente improponibili, cavandosela col dire che sono imposti da istanze sopraordinate (quante volte ci siamo sentiti dire “l’Europa ci chiede...”?). Il fine (della lotta di classe al contrario) giustificava il mezzo (l’ancoraggio alla Germania).

La svalutazione rende ciechi.
È un film già visto. Ricordate lo Sme “credibile”? Dal 1987 al 1991 i cambi europei rimasero fissi. In Italia l’inflazione salì dal 4.7% al 6.2%, con il prezzo del petrolio in calo (ma i cambi fissi non domavano l’inflazione?). La Germania viaggiava su una media del 2%. La competitività italiana diminuiva, l’indebitamento estero aumentava, e dopo la recessione Usa del 1991 l’Italia dovette svalutare. Svalutazione! Provate a dire questa parola a un intellettuale di sinistra. Arrossirà di sdegnato pudore virginale. Non è colpa sua. Da decenni lo bombardano con il messaggio che la svalutazione è una di quelle cosacce che provocano uno sterile sollievo temporaneo e orrendi danni di lungo periodo. Non è strano che un sistema a guida tedesca sia retto dal principio di Goebbels: basta ripetere abbastanza una bugia perché diventi una verità. Ma cosa accadde dopo il 1992? L’inflazione scese di mezzo punto nel ’93 e di un altro mezzo nel ’94. Il rapporto debito estero/Pil si dimezzò in cinque anni (da -12 a -6 punti di Pil). La bolletta energetica migliorò (da -1.1 a -1.0 punti). Dopo uno shock iniziale, l’Italia crebbe a una media del 2% dal 1994 al 2001. La lezioncina sui danni della svalutazione (genera inflazione, procura un sollievo solo temporaneo, non ce la possiamo permettere perché importiamo il petrolio) è falsa.

Irreversibile?
Si dice che la svalutazione non sarebbe risolutiva, e che le procedure di uscita non sono previste, quindi... Quindi cosa? Chi è così ingenuo da non vedere che la mancanza di procedure di uscita è solo un espediente retorico, il cui scopo è quello di radicare nel pubblico l’idea di una “naturale” o “tecnica” irreversibilità di quella che in fondo è una scelta umana e politica (e come tale reversibile)? Certo, la svalutazione renderebbe più oneroso il debito definito in valuta estera. Ma porterebbe da una situazione di indebitamento estero a una di accreditamento estero, producendo risorse sufficienti a ripagare i debiti, come nel 1992. Se non lo fossero, rimarrebbe la possibilità del default. Prodi vuol far sostenere una parte del conto ai “grossi investitori istituzionali”? Bene: il modo più diretto per farlo non è emettere Eurobond “socializzando” le perdite a beneficio della Germania (col rischio camicie brune), ma dichiarare, se sarà necessario, il default, come hanno già fatto tanti paesi che non sono stati cancellati dalla geografia economica per questo. È già successo e succederà. “I mercati ci puniranno, finiremo stritolati!”. Altra idiozia. Per decenni l’Italia è cresciuta senza ricorrere al risparmio estero. È l’euro che, stritolando i redditi e quindi i risparmi delle famiglie, ha costretto il paese a indebitarsi con l’estero. Il risparmio nazionale lordo, stabile attorno al 21% dal 1980 al 1999, è sceso costantemente da allora fino a toccare il 16% del reddito. Nello stesso periodo le passività finanziarie delle famiglie sono raddoppiate, dal 40% all’80%. Rimuoviamo l’euro, e l’Italia avrà meno bisogno dei mercati, mentre i mercati continueranno ad avere bisogno dei 60 milioni di consumatori italiani.

Non faccia la sinistra ciò che fa la destra.
Dall’euro usciremo, perché alla fine la Germania segherà il ramo su cui è seduta. Sta alla sinistra rendersene conto e gestire questo processo, anziché finire sbriciolata. Non sto parlando delle prossime elezioni. Berlusconi se ne andrà: dieci anni di euro hanno creato tensioni tali per cui la macelleria sociale deve ora lavorare a pieno regime. E gli schizzi di sangue stonano meno sul grembiule rosso. Sarà ancora una volta concesso alla sinistra della Realpolitik di gestire la situazione, perché esiste un’altra illusione della politica economica, quella che rende più accettabili politiche di destra se chi le attua dice di essere di sinistra. Ma gli elettori cominciano a intuire che la macelleria sociale si può chiudere uscendo dall’euro. Cara Rossanda, gli operai non sono “scombussolati”, come dice lei: stanno solo capendo. “Peccato e vergogna non restano nascosti”, dice lo spirito maligno a Gretchen. Così, dopo vent’anni di Realpolitik, ad annaspare dove non si tocca si ritrovano i politici di sinistra, stretti fra la necessità di ossequiare la finanza, e quella di giustificare al loro elettorato una scelta fascista non tanto per le sue conseguenze di classe, quanto per il paternalismo con il quale è stata imposta. Si espongono così alle incursioni delle varie Marine Le Pen che si stanno affacciando in paesi di democrazia più compiuta, e presto anche da noi. Perché le politiche di destra, nel lungo periodo, avvantaggiano solo la destra. Ma mi rendo conto che in un paese nel quale basta una legislatura per meritarsi una pensione d’oro, il lungo periodo possa non essere un problema dei politici di destra e di sinistra. Questo spiega tanta unanimità di vedute.



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MessaggioInviato: 11/04/2012, 14:26 
Non so se il topic è quello giusto... nel caso lo sposto.
Tuttavia una forte denuncia, relativamente alle politiche tedesce,
alla questione euro e alla dittatura di Bruxelles, è in atto.....




Dr. Rath appello a Berlino 13-3-2012 (DA ASCOLTARE E DIFFONDERE)




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MessaggioInviato: 11/04/2012, 17:29 
...E poi si scagliavano contro l' Inghilterra perchè era "euroscettica"... a ragione veduta.

Da leggere con calma. [:50]

Grazie TTE.



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MessaggioInviato: 18/04/2012, 17:24 
Cosa sapete della slealtà?
http://goofynomics.blogspot.it/2012/03/ ... ealta.html

Il post precedente ha avuto molto successo: si sono complimentati lettori (in pubblico) e colleghi (in privato) e non s’è vista nemmeno l’ombra di un troll (ormai non mi nominano più nemmeno quando sono in fondo alle loro tane, hanno troppa paura di farmi pubblicità. Fabio, Fabiuccio! Stava nascendo un’amicizia! Ma dove sei scomparso? Te l'hanno detto i tuoi amichetti: "non ti ci appiccicare a Bagnai, che quello fa vedere i dati, e poi siamo rovinati!").

Questo successo però, dal mio punto di vista, è solo parziale, perché mi rendo conto di non essere riuscito a far capire a molti una cosa importante.


Permettetemi, da fiorentino, e quindi, vi piaccia o no, da persona etnicamente autorizzata a farlo, di aggiungere una piccola chiosa al vostro vocabolario della lingua italiana, che non è il mio. E no che non lo è, perché nel vostro dizionario esiste una parola che nel mio non esiste: “svalutazionecompetitiva”. Io sfoglio il mio vocabolario, e trovo: “competitivo, agg. 1) che consente di competere; 2) che è animato da spirito di competizione”. Poi vado pazientemente un po’ più giù, e trovo: “svalutazione, s.f., diminuzione del valore o del prezzo di qualcosa”. A questo punto, per cercare di capire quale sia quella che voi vi ostinate a chiamare la “vostra” idea, ma che non è vostra neanche un po’, seguendo l’ordine alfabetico, scendo lungo la pagina, aspettando di trovare subito dopo “svalutazionecompetitiva”. Ma... mistero! Questa parola nei miei dizionari non la trovo. Errore del tipografo? Dopo aver visto tante bibliografie di tesi cominciare dalla lettera Z (quella di Zorro, ovviamente, non quella di Zamagni) per finire con la lettera H (avete presente un’estrazione bernoulliana?), penso: “magari il tipografo è un laureato triennale, quindi potrebbe non avere molta più relazione con l’ordine alfabetico di quanta Webern ne abbia con la tonalità. Fammi dare un’occhiata in giro...”. E allora risalgo, verso “scemenza”... poi riscendo, verso “svilire”... niente... questa parola, che è l’unica che alcuni lettori sanno di economia, “svalutazionecompetitiva”, insomma, sul dizionario non c’è. Più facile far abboccare un salmerino che trovare questa parola che a voi dice molto, direi quasi tutto, e a me, invece, non dice proprio niente.

Come la mettiamo?

Vi faccio una domanda.


Cosa sapete voi della slealtà?

La Fig. 1 mostra la variazione del debito pubblico nei paesi dell’Eurozona dal 2000 al 2005. E visto che vengo esortato al buonismo, ve lo commenterò non con il mio solito empito omerico (nel senso, beninteso, di Homer Simpson), ma mi “flanderizzerò” (conoscerete Ned Flanders, no? Non ditemi che state tutto il giorno a leggere i Vangeli gnostici in edizione anastatica con apparato critico in tedesco, come Marco Basilisco). Così il buonismo è assicurato.

Immagine


“Sorpresa sorpresina! Cosa succede? Vuoi forse dirmi che dal 2000 al 2005 i paesi virtuosi, quelli dell’asse (di equilibrio) franco-tedesco hanno aumentato il loro debito pubblico, mentre i porci porcellini lo stavano diminuendo? Cosa? Il Portogallo? Ma amico, guarda la tabella tabellina che segue, tesoro caro.”

Immagine

"Vedi, il Portogallo sì, ha avuto una performance non ottima, ha aumentato il suo debito debitino di 14 punti di Pil, ma lui all’inizio era ben dentro i parametri di Maastricht: il suo debito debitino era al 48.5% all’inizio del periodo, per trovarsi poi al 62.8% nel 2005, cioè quasi sei punti sotto i primi primini della classe, i nostri amici diversamente europei”.

Alla televisione francese, che è molto interessante, ho visto come si preparano le meduse per farci l’insalata (in Tailandia pare vada molto). E ho pensato: guarda un po’, è esattamente quello che hanno fatto col cervello di certi italiani.

Ma io ci riprovo. Lo volete capire sì o no quello che è successo? Guardate, a titolo di esempio, il tracciato del debito italiano e tedesco nel periodo in questione:

Immagine

Cosa vedete? Ditelo con parole vostre. No, anzi, meglio non fidarsi di persone dal vocabolario così strano. Ve lo dico io con le parole dei dati. Mentre il debito pubblico italiano è avviato su una traiettoria di risanamento (debole, imperfetta, non vigorosa, quello che volete, ma di risanamento, e c'era Belzebù al governo), il debito alamanno cosa fa? Prima staziona, poi decolla dal 2003. E cosa è successo nel 2003? Le famose riforme del mercato del lavoro, o sbaglio? Sapete, io non me ne intendo, non sono un economista del lavoro, sono solo un umile macroeconomista (come dico ai miei colleghi francesi, un “maquereau économiste”, e chi ha orecchie per intendere intenda. Del resto, ci pagano poco...).

E allora non ditemi di andare a leggere l’infinita aneddotica di queste belle riforme, i perché e i percome, quante ore, quanti soldi, quanti contratti. Quello lo fanno gli economisti del lavoro o i giuslavoristi. Io, da macroeconomista, registro solo:

1) che l’aumento del debito è il risultato di un aumento del deficit pubblico tedesco di quasi 5 punti di Pil nel periodo in questione (da un surplus di 1.3 nel 2000 a un deficit di -3.4 nel 2005), partendo da una situazione nella quale la Germania era già sul filo del parametro di Maastricht in termini di debito pubblico (60.2%);

2) che questo aumento è dovuto a maggiori spese (da 923 a 1043 miliardi di euro), non a minori entrate (passate da 946 a 969 miliardi);

3) che queste maggiori spese per circa 120 miliardi sono spiegate per più di due terzi da sostegno all’economia attraverso sussidi alle imprese e politiche “attive” del mercato del lavoro (per circa 90 miliardi complessivi), mentre, ad esempio, le spese per l’istruzione sono aumentate di 8 miliardi e quelle per l’edilizia popolare di 3 miliardi.

E allora? E allora secondo me, e credo anche secondo i dati (ma aspetto riverente le smentite degli esperti) è successo questo: che la Germania, mentre predicava il rigore fiscale agli altri, praticava una svalutazione reale attraverso un massiccio programma di sussidi diretti e indiretti al proprio sistema produttivo, via una riforma del lavoro che, come dire, se da un lato “flessibilizzava”, dall’altro doveva “sicurizzare” i poveracci che perdevano il post (sì, la famosa flexicurity, sapete, quella cosa tanto moderna...). In pratica, lo Stato tedesco ha sussidiato l'abbassamento dei costi di produzione del sistema produttivo nazionale, facendosi carico delle varie "mancette" da elargire alle vittime delle riforme Hartz.


Del resto, lo avevamo visto che nell'età dell'euro l'economia tedesca era sostenuta dai consumi collettivi, mentre quelli privati e gli investimenti calavano, e il tutto era evidentemente funzionale a uno sbilanciamento della crescita verso la domanda estera, le esportazioni. Capite? E questo è stato fatto mentre si impediva agli altri di fare altrettanto, abbaiando ogni volta che qualcuno sforava quei parametri in termini di deficit (3% del Pil) che il governo tedesco è stato il primo a sforare.

Certo che poi, dopo il 2005, le finanze tedesche sono migliorate! Ci mancherebbe! Una volta che con sussidi slealmente competitivi hai messo la tua economia su un sentiero di crescita export led (guidato dalle esportazioni) vedi che poi le cose vanno (forse) a posto. Lo diceva Domar: il problema del debito pubblico è un problema di crescita del reddito nazionale. Piccolo inconveniente: quando tutto stava andando a posto (per lei) sulle finanze della Germania, fragilizzate da questa strategia spregiudicata e sleale, si è abbattuta la crisi finanziaria, e quindi, come abbiamo ricordato, son sorte delle piccole spesucce extra per salvare qualche banca banchina...

E ora come la mettiamo? Male per lei, e male per noi. Ma voi volete ora cancellare la parola svalutazionecompetitiva dal vostro vocabolario, e volete capire che la competizione sleale non si annida nel mercato valutario, che è quello che avete in mente quando pronunciate questa inesistente parola, ma in meccanismi ben altrimenti efficaci? Volete capirlo che la famosa “svalutazione della liretta”, finché era possibile, era un semplice meccanismo difensivo contro aggressioni di questa natura? Si fa presto ad estasiarsi per il meraviglioso Stato sociale del Nord. Quando poi si va a vedere chi paga, si scopre che magari paghiamo noi. Certo, non è tutto qui. Ci sono le differenze culturali, sociali, antropologiche. Bene: se siamo così diversi, forse meglio che ognuno stia a casa sua, no? Io a casa mia ci sto ma di molto bene...

In testa non vi ci entra proprio, vero? Be’, ricordatevi del trotzkista... (che è appena passato a salutarmi: è molto fiero di essere parte di questa bella comunità).



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MessaggioInviato: 19/04/2012, 13:00 
http://www.ufoforum.it/topic.asp?whichp ... _ID=222466



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Crisi: Soros, in autunno arrivera' anche in Germania

(ASCA) - Trento, 2 giu - ''I paesi creditori dell'Unione europea, Germania in testa, hanno costruito un sistema bacato, e ne stanno scaricando i costi sulle 'periferie', Grecia in testa''. Lo ha detto al Festival dell'economia di Trento George Soros, noto finanziere, sottolineando che la responsabilita' della crisi e' in primo luogo della politica, non dei mercati finanziari e che la salvezza dell'Europa passa dunque necessariamente per una piu' piena assunzione di responsabilita' politica, in particolare da parte della Germania. ''Ma abbiamo solo tre mesi per farlo, prima che la situazione precipiti'', ha aggiunto.

Secondo Sors, la crisi dell'euro minaccia di distruggere l'Unione europea. ''Ma la stessa Unione e' una bolla, un oggetto irreale. E' nata inizialmente per iniziativa di un piccolo numero di statisti, che hanno scelto la politica dei piccoli passi, ben sapendo che una volta che il processo fosse giunto a maturazione essa si sarebbe rivelata insufficiente''. Le autorita', soprattutto la Germania, possono ancora modificare il proprio comportamento, secondo Soros, e i greci probabilmente daranno fiducia ad una coalizione che sia disposta ad accettare le condizioni imposte dalla Ue. ''Ma in autunno la crisi arrivera' anche in Germania. Servirebbero politiche straordinarie per dare respiro ai mercati finanziari.

Esse dovranno affrontare il problema bancario e il problema dell'eccessivo indebitamento. Le banche hanno bisogno di un sistema di garanzia dei depositi a livello europeo. I paesi gravemente indebitati hanno bisogno di respiro. E' indispensabile il sostegno del governo tedesco e della Bundesbank''.

Comunque andranno le cose da qui a ottobre, e' probabile che l'euro sopravviva. Altrimenti gli stessi paesi creditori, Germania in testa, si troverebbero con una montagna di crediti inesigibili. ''La Germania quindi probabilmente fara' il possibile per salvare l'euro, ma nulla di piu'. La periferia probabilmente diventerebbe una zona perennemente depressa, cosa che renderebbe la Ue una cosa ben diversa rispetto a quella sognaata in origine. Del resto i tedeschi non capiscono perche' una ricetta che ha funzionato per loro, basata sull'autorita', oggi non funzioni su scala europea. Dobbiamo fare il possibile per convincere la Germania ad assumersi interamente il ruolo di leadership che le spetta, e abbiamo solo pochi mesi per farlo''

http://www.asca.it/news-Crisi__Soros__i ... 9-ECO.html


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MessaggioInviato: 03/06/2012, 19:20 
Cita:
la responsabilita' della crisi e' in primo luogo della politica, non dei mercati finanziari e che la salvezza dell'Europa passa dunque necessariamente per una piu' piena assunzione di responsabilita' politica


Detto da un finanziere c'è da crederci..ma mi faccia il piacere!!! [V]

Comunque ha ragione che la responsabiltà della crisi e' in primo luogo della politica, i golosoni si sono lasciati corrompere dai mercati finanziari e non hanno pensato che un giorno si sarebbe arrivati alla resa dei conti.

Ha ragione anche qui: che la salvezza dell'Europa passa dunque necessariamente per una piu' piena assunzione di responsabilita' politica.
Ma nel senso che la politica debba riprendere in mano le redini del paese e non lasciarle in mano agli strozzini dei consigli di amministrazione di banche e multinazionali.

Ma naturalmente Soros non intendeva dire questo [:p]


Ultima modifica di Wolframio il 03/06/2012, 19:22, modificato 1 volta in totale.


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Schäuble e il dossier di Berlino: «Se crolla l’euro l’economia tedesca cadrà del 10%»
Il ministro tedesco dell' Economia: «No alla disintegrazione, ci saranno 5 milioni di disoccupati A rischio anche viaggiare»
Il ministero delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble (Epa/Langsdon)Il ministero delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble (Epa/Langsdon)

BERLINO — È un vero incubo il futuro economico della Germania, e con lei di tutta l’eurozona, se la moneta unica dovesse crollare. A tracciare i dettagli di questo scenario pauroso è uno studio dei tecnici del ministero delle Finanze tedesco, il gigantesco palazzo della Wilhelmstrasse, già quartier generale di Hermann Göring e dell’amministrazione militare sovietica, dove ora regna Wolfgang Schäuble, uno dei protagonisti dell’europeismo tedesco. Il rapporto è stato rivelato, nei punti fondamentali, dal settimanale «Der Spiegel», che ha citato un funzionario del ministero, secondo il quale «di fronte a queste prospettive, anche un salvataggio dell’euro a caro prezzo appare come il minore dei mali».

IL DOCUMENTO - L’articolo dello «Spiegel», intitolato «Uno sguardo sull'abisso », è corredato da una serie di dati che confermano indicazioni «molto tetre» per tutti i Paesi dell’eurozona. In un grafico, una freccia nera indica l’aumento della disoccupazione nel primo dei due anni successivi alla eventuale fine della moneta unica, mentre una freccia rossa indica la contrazione dell’economia. E molti di questi valori percentuali, nei vari Stati, superano la doppia cifra, in particolare per quanto riguarda le nazioni più esposte, come per esempio l’Italia, dove il tasso di disoccupazione salirebbe al 12,3 per cento. Ma anche la locomotiva tedesca, e questo è il vero punto critico dello studio degli uomini di Schäuble, verrebbe pesantemente danneggiata. L’economia della Germania subirebbe una caduta del 9,2 per cento mentre il numero dei disoccupati salirebbe al 9,3 per cento.

DISOCCUPAZIONE - I senza lavoro supererebbero i 5 milioni, una cifra quasi doppia rispetto a quella attuale Il ministero della Finanze tedesco non ha smentito né confermato le rivelazioni dello «Spiegel », secondo cui il documento è stato tenuto fino a oggi riservato nel timore che i costi delle iniziative per salvare l’euro uscissero fuori da ogni controllo. «Non prenderemo parte a speculazioni su presunti rapporti segreti», ha detto una portavoce. Ma a fianco dell’articolo del settimanale di Amburgo, in una lunga intervista, è lo stesso Schäuble ad avvertire che una disintegrazione «sarebbe assurda» e che l’unione monetaria, non solo non è stato assolutamente un errore, come gli era stato chiesto, ma è stata la «logica conseguenza» dell’integrazione comunitaria. Il ministro, esponente di punta del partito cristiano democratico che fu di Helmut Kohl, avverte inoltre che una rottura della zona euro rimetterebbe in questione conquiste che sono ormai entrate nel patrimonio acquisito di tutti i cittadini, come il mercato unico e la libera circolazione.

PAREGGIO DI BILANCIO - Le rivelazioni sui calcoli che si sono fatti a Berlino sulle conseguenze di un collasso della moneta unica arrivano proprio in una settimana decisiva per il futuro europeo, con il vertice dei Ventisette che sarà chiamato il 28 e 29 giugno a trovare delle ricette in grado di contribuire a superare la crisi. In realtà, la linea cauta di Angela Merkel—convinta della necessità di non distaccarsi da un rigido controllo delle discipline di bilancio, contraria alla condivisione dei debiti con i Paesi meno virtuosi dell’eurozona, indisponibile a provvedimenti per stimolare la crescita che si traducano in nuove spese—è sempre partita dalla premessa, almeno a parole, di un impegno prioritario per la difesa della moneta unica. «La fine dell’euro — è stata una delle frasi più frequenti della cancelliera — sarebbe la fine dell’Europa». Intanto, sempre questa settimana, alla vigilia del summit di Bruxelles, Schäuble presenterà la nuova legge finanziaria che prevede nel 2013 il pareggio di bilancio. Questo dato era stato anticipato da alcuni istituti di ricerca, che avevano avvertito però nello stesso tempo delle pesanti conseguenze per i conti pubblici tedeschi di una escalation della crisi europea. In tutti i casi, insomma, la Germania non può dormire sonni tranquilli.

http://www.corriere.it/economia/12_giug ... 523f.shtml


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MessaggioInviato: 03/07/2012, 18:04 
per non aprire un nuovo topic la posto qui.

Gli inglesi onorano giustamente i loro caduti ma di riflesso anche le loro inutili e stragiste rappresaglie contro i civili tedeschi e le loro splendide città (dresda, amburgo, colonia, berlino...)..certo non potevano trovare un momento migliore per questa caduta di stile, alla vigilia dei giochi olimpici.

Cita:
http://www.corriere.it/esteri/12_luglio_02/monumento-a-Londra-ai-bombardiei-della-Raf_dba4216e-c45c-11e1-8a5a-a551a87e60ad.shtml

[color=navy]MEMORIAL NEL GREEN PARK DI LONDRA
Battaglie aeree e bombe sulla Germania
La Gran Bretagna onora i suoi caduti
Monumento ai caduti dell'aviazione da bombardamento.
Superata la vergogna per il massacro dei civili tedeschi
[/color]


Ultima modifica di rmnd il 03/07/2012, 18:05, modificato 1 volta in totale.


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[^]The best quote ever (2013 Nonsense Award Winner):
«Way hay and up she rises, Way hay and up she rises, Way hay and up she rises, Early in the morning!»
© Anonymous/The Irish Rovers
http://tuttiicriminidegliimmigrati.com/
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MessaggioInviato: 03/07/2012, 18:28 
Come volevasi dimostrare, l' economia non è mai reale ma fatta solo di parole che inevitabilmente ingannano.
Le aziende chiudono a causa dell' euro e della politica cieca e di parte dell' unione.



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MessaggioInviato: 12/09/2012, 13:19 
La Cannibalizzazione della Produzione Industriale della Germania
sul resto d’Europa e della Lombardia sul resto d’Italia.....


http://www.rischiocalcolato.it/2012/09/ ... talia.html



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"…stanno uscendo allo scoperto ora, amano annunciare cosa stanno per fare, adorano la paura che esso può creare. E’ come la bassa modulazione nel ruggito di una tigre che paralizza la vittima prima del colpo. Inoltre, la paura nei cuori delle masse risuona come un dolce inno per il loro signore". (Capire la propaganda, R. Winfield)

"Onesto è colui che cambia il proprio pensiero per accordarlo alla verità. Disonesto è colui che cambia la verità per accordarla al proprio pensiero". Proverbio Arabo

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