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 Oggetto del messaggio: Re: ILVA e l'incuria nel Golfo di Taranto
MessaggioInviato: 30/08/2017, 18:24 
«3x8 Cambioturno», docufilm sull’Ilva e Taranto in onda mercoledì su Rai Uno

Autore del lavoro è il tarantino Angelo Mellone, che si definisce «figlio e orfano dell’acciaio». Suo padre, infatti, era un dirigente Italsider morto di una malattia contratta sul lavoro



di Michele De Feudis


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La storia dell’acciaio a Taranto attraverso immagini, luci, fuoco, colori e storie. Le tute blu prendono forma e danno anima a 3x8 Cambioturno, documentario realizzato nel 2016 con testimonianze e video raccolti all’interno dell’Ilva, a trent’anni dall’ultimo ingresso delle telecamere nel siderurgico. L’opera, in onda mercoledì su Rai Uno (ore 23.25) è realizzata dal regista Gian Marco Mori, nasce da un’idea di Angelo Mellone e Pietro Raschillà. La vita cadenzata dai turni nell’acciaieria, infatti, consente di cogliere tutte le contraddizioni dell’insediamento industriale ionico: è insieme speranza di sviluppo, fonte di stabilità occupazionale, ventilatore e diffusore di veleni. Il tutto corroborato da un fatalismo meridionale che si incrocia con la profezia sulla tecnica dello scrittore tedesco Ernst Junger nell’Operaio: «Il nostro compito di giocatori non è quello di fare le puntate come avversari del tempo, bensì quello di puntare sul banco di cui il tempo è croupier». I dialoghi e i lampi di fuoco del procedimento di lavorazione si accompagnano a testimonianze di vita industriale. «Mio padre, pensionato Ilva, mi diceva: lì dentro c’è l’inferno. Ma la sicurezza dell’Ilva non la dà nessuno a Taranto»: l’opportunità di avere un posto fisso è più forte di ogni precauzione salutista.

La città dell’acciaio

La pellicola restituisce in pieno l’immensità delle dimensioni dello stabilimento, sintetizzati dai 15 milioni di metri quadri di estensione, da 200 km di rete ferroviaria interna, da 50 km di strade. «La missione di questo racconto? Una familiare, perché sono figlio e orfano dell’acciaio, e una storico-culturale. I miei genitori - spiega Angelo Mellone, dirigente Rai e autore del documentario - si sono conosciuti dentro quello stabilimento. Ho perso mio padre, dirigente Italsider, nel 1986 per una malattia non estranea a cause di lavoro. Sono rientrato nell’Ilva 30 anni dopo il funerale operaio che fu dedicato al mio genitore nel tubificio. Il punto di vista che emerge dal documentario è quello degli operai: è la voce di chi lavora, dall’interno, che descrive la fabbrica. Senza negare alcuna critica emersa anche dalle vicende recenti giudiziarie».

Le parole degli operai

Chi maneggia l’acciaio non minimizza i rischi, anche per la propria vita, ma anestetizza le paura con tornei di calcetto dedicati ai colleghi scomparsi e con la consapevolezza di produrre qualcosa di unico e indispensabile, «viti e tondini, sportelli e forchette». «Ha avvelenato parecchio, ma prima inquinava più di oggi»: l’operaio è sincero e constata che la bocca del drago, l’Afo1, è migliorata grazie all’ambientalizzazione. Ma questo non basta. La coscienza ecologista e l’attenzione per la salute, puntualizza Biagio De Marzo, si risvegliano «per un dossier inquinamento di Alessandro Marescotti». Prima nessuno conosceva la potenza del veleno-diossina e men che meno delle polveri di benzopirene. L’inchiesta giudiziaria «Ambiente svenduto» e i decreti Salva-Ilva sono fulmini che illuminano di speranza o paura il futuro di chi vive a pane e acciaio. Fabio, capo forno convertitore, rivela la magia che sedusse perfino Marinetti: «Sono lo chef dell’acciaio, realizzo quel che serve. Come un cuoco assaggio e rendo la minestra più buona». E così si può perdere un genitore per la mannaia del cancro, ma resta la consapevolezza di essere parte di una fabbrica di interesse strategico nazionale. Lo scrittore Cosimo Argentina: «La fabbrica scandiva le nostre giornate». La fabbrica mamma, a volte matrigna, si staglia in Cambioturno, tra le parole di Giovanni Paolo II nel 1989 in visita nell’Italsider e il sogno tramontato per Taranto di diventare capitale europea dell’acciaio. Che, ricordano le tute blu, porta potenza e rischio. Perché «non si lavora, l’acciaio, con uno spremiagrumi».
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MessaggioInviato: 04/09/2017, 16:30 
Taranto, dopo la pioggia a Tamburi le pozzanghere rosso… Ilva


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Piove sul bagnato. Piove sullo sporco, piove sulle strade imbrattate di polvere rossa. Anche una semplice pioggia di fine estate, attesa e invocata, dopo un lungo periodo di siccità, a Taranto può diventare un evento, un fatto anomalo. Qualcosa da denunciare e su cui riflettere. Quelle che vi mostriamo sono alcune foto di una gallery pubblicata da Sabrina Corisi sulla sua pagina Facebook. Sabrina abita al rione Tamburi, in pratica sotto le “colline ecologiche” un cumulo di terra e vegetazione posto tra il parco minerali dell’Ilva e le prime case del quartiere.

Oggi pomeriggio, dopo la pioggia, sulle strade del rione Tamburi sono comparse pozzanghere rosse. “Rosso ruggine” le definisce Sabrina e il pensiero corre allo stabilimento siderurgico che dista poche centinaia di metri, alle polveri che si spargono sui balconi, sulle strade, sulle tombe del cimitero. Non pioveva da mesi e, probabilmente, la pioggia ha portato con sè tutti i residui accumulatisi in questo tempo.

Il padre di Sabrina, Peppino, fece erigere la targa in cui i cittadini della zona maledicono chi può intervenire a tutela della salute pubblica e non fa niente. Fino a poco prima di morire, stroncato dal cancro, ha lottato contro l’inquinamento e i veleni. Le pozzanghere rosso… Ilva, sono solo una delle controindicazioni dell’epopea dell’acciaio narrata recentemente sulla rete ammiraglia della Rai. Un segnale, un simbolo. Forse una metafora: le lacrime sporche di sangue di tante vittime inascoltate.


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MessaggioInviato: 29/09/2017, 01:01 
Rifiuti, sequestrate centrale Enel di Cerano, Cementir di Taranto e parte di Ilva: “Sostanze pericolose nel cemento”


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Trentuno gli indagati. Secondo gli investigatori le ceneri leggere vendute al cementificio sono state prodotte utilizzando anche gasolio, olio combustibile denso e carbone. Al gruppo dell'energia elettrica sequestrati per equivalente oltre 500 milioni di "ingiusto profitto": ha "trasformato una voce di costo legata allo smaltimento di rifiuti in una fonte di introiti"
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Quelle ceneri avrebbero dovuto essere qualificate come pericolose e quindi smaltite, invece venivano mescolate con altre polveri residuo della combustione del carbone e vendute alla Cementir che le utilizzava per la produzione del cemento. Nonostante contenessero nichel, vanadio, mercurio e ammoniaca. Quello che per l’Enel avrebbe dovuto essere un costo, secondo la procura di Lecce, è divenuto invece un guadagno pari ad oltre mezzo miliardo di euro tra il settembre 2011 e lo stesso mese del 2016. E qualcosa di simile avveniva con la loppa, uno scarto di produzione, dell’Ilva di Taranto, pure questa ceduta allo stabilimento Cementir del capoluogo jonico.

Per questo i pm Alessio Coccioli della Dda salentina e Lanfranco Mazzaria della procura di Taranto hanno chiesto (e ottenuto dal gip Antonia Martalò) il sequestro della centrale Enel di Cerano, alle porte di Brindisi, della Cementir e di una piccola area dell’Ilva in amministrazione straordinaria. Le tre società avranno sessanta giorni per mettersi in regola e nel frattempo potranno continuare a produrre. In tutto sono 31 i manager e i dirigenti indagati. Tra di loro ci sono anche l’ex proprietario del sidergurico Nicola Riva, l’ex commissario Enrico Bondi, l’ex custode dello stabilimento ed ex prefetto di Milano Bruno Ferrante e gli attuali commissari Enrico Laghi, Corrado Carruba e Piero Gnudi. Le accuse per tutti sono di traffico illecito di rifiuti e attività di gestione di rifiuti non autorizzata, mentre gli illeciti amministrativi vengono contestati a tutte e tre le società.

La situazione più delicata è quella dei vertici dello stabilimento di Enel, che nella centrale brindisina ha uno dei centri di produzione di energia elettrica più grandi d’Europa e si è più volte ritrovata al centro di indagini sia per vicende legate alla dispersione del carbone sui campi dei contadini vicini all’impianto che per questioni inerenti gli appalti all’interno della centrale.

La società – che “confida di poter dimostrare la correttezza dei propri processi produttivi” e sottolinea che il sequestro “non pregiudica la corretta operatività della centrale” – aveva classificato le ceneri, residuo dalla combustione di Odc e gasolio, sostiene l’accusa, “come provenienti tutte dalla sola combustione di carbone, e classificate come rifiuto speciale non pericoloso”. Si tratta di oltre 2,5 milioni di tonnellate di polveri “contaminate da sostanze pericolose”. Nichel, mercurio, vanadio e ammoniaca, secondo quanto ha ricostruito il consulente tecnico della procura di Lecce, Marco Sanna.

Una gestione “promiscua”, la definiscono i magistrati, che aveva portato un “oggettivo vantaggio patrimoniale” derivante dal “risparmio dei costi correlati alla separazione” delle ceneri pericolose e non, oltre che dallo smaltimento dei rifiuti. Un comportamento ritenuto “particolarmente grave” perché, affermano i pm, “presso la centrale sono presenti impianti che avrebbero consentito lo stoccaggio e la separazione delle ceneri” ma che “non sono mai stati utilizzati” nel periodo delle indagini. E alcuni dirigenti – tra i quali risultano indagati Antonino Ascione, Luciano Mirko Pistillo e Fausto Bassi – erano “perfettamente a conoscenza” che le ceneri fossero pericolose. Tanto che, secondo gli uomini della Guardia di finanza, nelle intercettazioni telefoniche fanno riferimento “alla necessità di confondere gli inquirenti presentando dati alterati e non veritieri” oltre ad “evitare di comunicare con l’Arpa”. E uno di loro definisce “farabutto” il consulente tecnico della procura.

Evitando di smaltire Enel avrebbe avuto un “ingiusto profitto” pari a oltre 523 milioni di euro, oggetto di sequestro preventivo su conti correnti, quote e partecipazioni azionarie, depositi, crediti e beni immobili. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, Ilva invece avrebbe venduto la loppa d’altoforno a Cementir nonostante presentasse “criticità” perché mescolata con “scarti” e “rifiuti” come scaglie di ghisa, materiale lapideo, profilati ferrosi, pietrisco e loppa di sopravaglio. E quando quella loppa arrivava nel cementificio la separazione delle parti inutilizzabili avveniva “parzialmente ed in maniera insufficiente”, senza tra l’altro che la Cementir avesse le “specifiche autorizzazioni” al trattamento di quel rifiuto. Che invece è stato impastato con altri materiali e commercializzato.
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MessaggioInviato: 01/10/2017, 18:02 
Taranto, le mail all'Ilva che inguaiano Cementir

Per gli inquirenti i manager sapevano della loppa contaminata


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TARANTO - Sono le mail inviate all’Ilva che inguaiano i dirigenti di Cementir Italia e per gli inquirenti dimostrano che i vertici dell’azienda, all’epoca di proprietà del gruppo Caltagirone, erano pienamente consapevoli della contaminazione della loppa con altri corpi estranei. Missive nelle quali i vertici del cementificio di Taranto lamentano una massiccia presenza di impurità nella loppa.

Nelle tre comunicazioni, inviate nei primi mesi del 2014, i dirigenti di Cementir affermano che la pessima qualità della loppa avrebbe persino danneggiato alcune parti dell’impianto e interrotto il ciclo produttivo. Ai vertici dell’Ilva chiedono di risolvere la questione, ma la fornitura di loppa non si interrompe. Anche questo, per i pubblici ministeri Alessio Coccioli e Lanfranco Marazia, certifica la consapevolezza dei dirigenti di Cementir: l’acquisto di loppa a un costo irrisorio rispetto alle quotazioni del mercato.

Differente, invece, è la questione riguardante la fornitura di ceneri leggere dalla centrale elettrica «Federico II» di Brindisi.
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 Oggetto del messaggio: Re: ILVA e l'incuria nel Golfo di Taranto
MessaggioInviato: 01/10/2017, 19:10 
La cosa che nessuno ha detto è dove sia andato a finire questo cemento contaminato.
Ma è possibile che in ItaGlia, chi gioca con la salute pubblica debba sempre farla franca??



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 Oggetto del messaggio: Re: ILVA e l'incuria nel Golfo di Taranto
MessaggioInviato: 01/10/2017, 19:52 
Thethirdeye ha scritto:
La cosa che nessuno ha detto è dove sia andato a finire questo cemento contaminato.
Ma è possibile che in ItaGlia, chi gioca con la salute pubblica debba sempre farla franca??

Altrimenti non la chiameremo ItaGlia.



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 Oggetto del messaggio: Re: ILVA e l'incuria nel Golfo di Taranto
MessaggioInviato: 07/10/2017, 15:02 
Esuberi Ilva, Bonelli (Verdi) teme l’apertura di un conflitto sociale a Taranto


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Autore: admin 6 ottobre 2017
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“Il Piano industriale presentato da Am InvestCo ovvero la cordata Arcelor Mittal e Marcegaglia, come abbiamo sempre detto, aprirà a Taranto un conflitto sociale che si andrà ad aggiungere alla emergenza sanitaria e ambientale che la città drammaticamente vive”. Ne è convinto il coordinatore nazionale dei Verdi Angelo Bonelli.

“Il piano di tagli occupazionali annunciato oggi era assolutamente prevedibile – spiega Bonelli – come è inaccettabile il piano ambientale che prevede una riduzione di una già depotenziata Autorizzazione Integrata Ambientale ridotta ad una groviera dalle numerose deroghe che il Governo ha consentito in questi ultimi 5 anni. Con i vari decreti chiamati ‘Salva-Ilva’ che hanno sospeso i diritti costituzionali e della tutela della salute di cittadine e cittadini tarantini.

Il Piano Mittal è per alcuni un problema sociale, per noi è un problema sociale e sanitario. Non abbiamo visto in questi anni mobilitazioni o forti proteste quando il governo ha garantito per decreto l’immunità penale degli acquirenti Ilva in caso di violazione delle leggi ambientali e sanitarie. Noi lo dicevamo da tempo che queste norme palesemente contro la costituzione servivano per preparare la strada ad una deregulation non solo sul piano ambientale e sanitario ma anche ai diritti dei lavoratori. C’è una responsabilità della politica e anche di parte dei sindacati che non hanno voluto affrontare il tema della conversione ecologica di questo importante asset industriale prendendo a modello quanto accaduto in altre parti di Europa e del mondo come Pittsburgh, il bacino carbonifero della Ruhr e a Bilbao”.
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MessaggioInviato: 08/10/2017, 11:54 
“La Procura indaghi su alcune bonifiche di Tamburi”. Terreni analizzati, D’Amato presenta denuncia in Questura


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Risultato delle analisi alla mano, dopo la segnalazione dei consiglieri comunali Cinque Stelle e le reiterate segnalazioni di alcuni cittadini, ecco l’esposto alla Procura della Repubblica. Quegli odori insopportabili forse hanno una causa precisa.

Stamattina, l’eurodeputata tarantina, Rosa D’Amato, ha consegnato al questore di Taranto una denuncia chiedendo che “si faccia luce su alcuni lavori di bonifica in corso al quartiere Tamburi. Lo scorso agosto – ha detto la D’Amato nella successiva conferenza stampa – ci furono segnalazioni di cittadini e portavode M5s di Taranto. Comune e Arpa tranquizzarono la popolazione ma le lagnanze dei cittadini sono proseguite. Abbiamo così commissionato delle analisi sui terreni e i risultati avallano i nostri dubbi: pensiamo sia fuori norma la concentrazione di stagno, ad esempio. Abbiamo studiato la destinazione d’uso di quel terreno, abbiamo studiato il bando.. crediamo che vada fatta piena luce su quella operazione di bonifica in corso. E siamo qui per segalare alle autorità competenti questa esigenza. Gli odori forti hanno una chiara origine? Si indaghi sulle procedure, norme alla mano”.

Quanto all’annuncio degli esuberi e al piano occupazionale di Ilva, e quello di ricollocazione conseguente annunciato dal Governo, la D’Amato è perentoria: “Nessuno scenda dal pero, oggi. Sapevamo dove ci stesse portando il Governo, e da sempre diciamo NO. La chiusura dell’Ilva è l’ìunica strada per bonifiche serie e vere, per non far perdere posti di lavoro, per ricolocare a lungo termine con politiche serie e finanziabili di riconversione del territorio adesso inquinato. Il resto è bassa politica di un sistema che si avvita”.


Guarda su youtube.com

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MessaggioInviato: 08/10/2017, 16:21 
Ilva, un film già visto


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di MoVimento 5 Stelle
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Quello che da mesi viene sussurrato, poi detto senza peli sulla lingua, quindi smentito poi ancora confermato, sembra che ora diventi realtà: il gruppo Ilva è pronto a procedere con i 4mila esuberi che già a luglio furono oggetto di un'interrogazione del Movimento 5 Stelle a prima firma Davide Crippa.

Come dicemmo allora, confermiamo oggi: è il solito fallimentare modello di good e bad company. Mancavano i dettagli, che ora sono stati svelati. Parliamo di circa 25 milioni l'anno di cassa integrazione straordinaria che moltiplicato per i 6 anni fa circa 150 milioni.

Allora come oggi è un mistero di cosa accadrà per quelle aree che non saranno oggetto della transizione al nuovo investitore ma rimarranno anch'esse in capo all'amministrazione straordinarie. Parliamo di aree non produttive come le discariche. Quale sarà il loro destino? L'unica certezza è che a pagare saremo noi, mentre ad arricchirsi saranno loro, gli investitori mentre in mezzo come al solito ci saranno i cittadini e i lavoratori.

Risulta che il 20 luglio ci sia stato un tavolo delle istituzioni con i sindacati, proprio quei sindacati che lunedì minacciano di bloccare Genova e Taranto. Avranno discusso in quella sede il tema degli esuberi? E perchè arrivare oggi con la protesta?

L’impressione è quello di un film già visto, un vestito cucito sulle forme dell'acquirente favorito e lo si va attuando step by step fino ad arrivare alla soluzione concordata in origine: non ci stupirebbe vedere a breve una trattativa che riconsidera nell'immediato il numero degli esuberi e spalmandoli su un maggior orizzonte temporale (in ogni caso restano a carico dell'amministrazione straordinaria e non dell'acquirente), poi un nuovo ricatto salute/lavoro e magari una riconsiderazione del piano ambientale per carenza di risorse oppure, se un domani ritenuto troppo oneroso per l'aggiudicatario, la richiesta di ridiscussione. Tutte cose già viste con il placet delle Organizzazioni sindacali che ora giocano la carta della piazza dopo aver contribuito negli anni a determinare questa situazione negli anni. Non saremo accanto a coloro che riteniamo corresponsabili di queste tragedie, individuali e collettive. Non faremo sfilate. Ma saremo al fianco dei lavoratori concretamente, tutti i giorni, come lo siamo stati fino ad oggi.
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MessaggioInviato: 21/11/2017, 15:06 
Ilva, Antitrust Ue: “Marcegaglia deve uscire dalla cordata. E ArcelorMittal venda il laminatoio di Piombino”


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Le condizioni della Commissione europea per dare il via libera all'acquisto del siderurgico da parte della cordata AmInvestco
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L’uscita del gruppo Marcegaglia dalla cordata con ArcelorMittal a cui il governo ha deciso di cedere l’Ilva di Taranto. E la cessione dell’impianto di Piombino da parte della stessa ArcelorMittal. Sono, secondo quanto riporta l’Ansa, le richieste dell’Antitrust europeo per superare le preoccupazioni che l’operazione ha sollevato sul fronte della concorrenza. Lo scorso 8 novembre la Commissione Ue ha aperto un’indagine approfondita sul piano per verificare se la cordata AmInvestco, a valle dell’acquisizione, avrà una quota del mercato europeo superiore al 40%. Il gruppo franco indiano si era detto pronto a cedere asset in altri Paesi europei per ridurre il proprio potere di mercato.

Bruxelles, tramite una lunga nota firmata dalla commissaria alla concorrenza, Margrethe Vestager, aveva parlato di una “prima fase dell’indagine” che “ha messo in luce vari aspetti problematici”. Il timore principale è legato a una riduzione della concorrenza e un aumento dei prezzi per i prodotti piani di acciaio al carbonio laminati a caldo, a freddo e zincati utilizzati dalle imprese in vari settori, dall’edilizia all’auto. La preoccupazione è che la restrizione della concorrenza possa portare, soprattutto per le piccole e medie imprese dell’Europa meridionale, un aumento dei prezzi. Bruxelles intende valutare anche se ci possano essere effetti su offerta e prezzi di altri prodotti come l’acciaio a rivestimento metallico utilizzato per gli imballaggi.

Oltre al capitolo industriale, il confronto tra Ilva e Commissione resta aperto anche sul fronte ambientale. Mentre potrebbe essere preso chiusa la procedura che riguarda i fondi messi a disposizione dalla Stato per il risanamento dell’area, nuove perplessità sarebbero sorte a Bruxelles riguardo al piano di bonifica presentato dalla cordata guidata da ArcelorMittal. Piano che verrebbe applicato su un arco di cinque anni, un periodo troppo esteso per porre fine a una situazione ritenuta critica non solo dagli ambientalisti e dai cittadini di Taranto.

Il piano di Arcelor, illustrato la settimana scorsa ai sindacati, prevede investimenti per 1,15 miliardi, di cui circa 750 milioni nei primi tre anni e il resto nei tre anni successivi, per il risanamento ambientale dell’impianto siderurgico tarantino. Circa 300 milioni saranno destinati alla copertura dei parchi minerali. “Ci siamo impegnati a terminare questa opera entro massimo 36 mesi dalla firma del contratto di acquisto”, aveva fatto sapere la società, “e stiamo discutendo con i commissari di Ilva in relazione all’eventualità di iniziare il progetto prima della formalizzazione dell’acquisto”. La parte più significativa degli interventi ambientali dovrebbe essere ultimata solo nel 2021.
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Ilva Taranto, stipendi a rischio nell’appalto. “E lo stabilimento cade a pezzi”


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La situazione delle aziende appalto Ilva è sempre più drammatica. Rischiano di saltare stipendi e tredicesime. “Si sono accumulati debiti per milioni di euro con diverse società e non pagano più gli stipendi – spiega Francesco Rizzo coordinatore provinciale USB Taranto – visto che non ci sono soldi si vocifera del possibile avviamento di procedura di licenziamento collettivo”.

Il sindacalista ricorda di aver “fatto più volte richiesta al governo e commissari di un Tavolo specifico, ma a tutt’oggi non si è fatto nulla. Il problema È stato anche portato a Mittal che però ci ignora. Se non ci saranno delle risposte a breve metteremo in campo azioni pesanti. Inoltre l’azienda in tutto questo, continua a cadere a pezzi”.

L’Usb, infatti, denuncia la caduta di un piastrone dell’acciaieria uno. “Siamo subito intervenuti facendo transennare la zona ma è evidente che ci sono sintomi di mancata manutenzione. Una situazione che perdura da anni. Si continua ad andare avanti senza rispettare la sicurezza dei lavoratori. L’Ilva ci sta accadendo letteralmente addosso: la manutenzione è necessaria”
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Ilva, lo scatto d’orgoglio del sindaco di Taranto


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La vicenda Ilva fa segnare un altro conflitto istituzionale. Nell’estate del 2012 le posizioni della Procura di Taranto e quelle del Governo non sempre convergevano nella stessa direzione. Nell’autunno del 2017, siamo ancora a discutere di copertura dei parchi minerali e prescrizioni Aia non ancora attuate. Tarantini sempre più avvelenati, in tutti i sensi; Palazzo Chigi, indipendentemente da chi vi alloggia, sempre impegnato a mettere d’avanti a tutto le ragioni della produzione. Riecheggiano frasi che abbiamo già sentito e anche le tesi sono sempre le stesse. Fa rabbia ascoltarle cinque anni dopo, da protagonisti diversi, con la consapevolezza che tutto quello che era stato promesso non è stato fatto e che si chiedono, almeno, altri cinque anni di tempo.

Il conflitto, ora ha come bersagli Palazzo di città e il palazzo della Regione Puglia, i due enti che hanno deciso di impugnare l’ultimo decreto del Governo (29 settembre 2017) che sposta al 2023 il termine ultimo (salvo imprevisti) per la realizzazione degli interventi in materia ambientale nello stabilimento siderurgico di Taranto. Comune di Taranto e Regione ritengono questo provvedimento lesivo della comunità ionica e lo hanno impugnato dinanzi al Tar. La decisione ha mandato su tutte le furie il ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda. Nell’immediato il sindaco di Taranto ha replicato con un tweet: “Caro ministro io rispondo alla mia coscienza e ai tarantini, non al portafogli di qualche lobbista. Se l’acquisizione non rispetta l’ambiente e le nostre priorità è un problema di chi la ha permessa. Taranto non si fa violentare più, i ricatti non ci spaventano”. Sostegno via Twitter è arrivato dallo scrittore Erri De Luca: “Governo permette a ILVA Taranto di proseguire fino a 2023 a spargere veleni. Regione Puglia e sindaco impugnano decreto: buon segno di vita”. In tarda serata Rinaldo Melucci ha espresso il suo pensiero in un intervento ben più articolato. Eccolo.

“Leggo le dichiarazioni che provengono dal Mise e ci sarebbe da prenderla a sorridere per quanto risultano ancora una volta scomposte e scarsamente istituzionali, se non fosse che toccano corde troppo delicate per poter lasciare spazio all’ilarità in questo giorno in cui Taranto urla basta. Basta coi trucchi, basta con i numeri al lotto, basta con gli sgarbi politici ed amministrativi, basta con la flagellazione sistematica di un intero territorio, basta con il furto del futuro dei nostri bambini: si va al TAR, se in questo Paese esistono ancora dei valori non negoziabili dinnanzi al mercato, e magari ora non ci si ferma nemmeno alla giurisprudenza nazionale.

Avevo allertato ministri e viceministri, anche quelli pronti a ricandidarsi a marzo in Puglia, che con Taranto non si poteva scherzare più. Ma nulla, abituati come sono a parlare per slogan e a non dare seguito formale alle parole, mi hanno considerato loro simile. Eppure ero stato chiaro. Avevo chiesto un tavolo esclusivo per Taranto e mi hanno invitato insieme a una quarantina di altri enti. E ho educatamente declinato l’invito. Non disertato. Con una lettera inequivocabile e sentita dall’intera comunità che mi onoro di guidare: le parole sono importanti per chi, come me, dà ad esse ancora un significato di verità e valore. Prendo atto che questo governo a scadenza non dimostra di tenere ad intessere rapporti costruttivi con Taranto. Sanno evidentemente che a breve non ricopriranno più quei ruoli e si prendono delle libertà che altrimenti non si prenderebbero. Nessun governo della civile Europa si permetterebbe di rivolgersi così al sindaco di una città martoriata, di mettere le questioni economico-occupazionali dinnanzi a quelle della salute e dell’ambiente. Mi rammarica constatare solo che si tratti di un governo di centrosinistra, del mio partito. Quanto questo governo abbia ormai tradito gli ideali del centrosinistra lo lascio giudicare ai politologi e ai cittadini.

Spiacente, queste sono battaglie che non possono tenere conto di una corrente o di una tessera di partito. Anche di un certo modo di fare sindacato. Taranto non si fa ricattare più. Impugnare un Dpcm immorale mette a rischio la vendita di Ilva? Pazienza. Benvenuti in Europa, terzo millennio. Vuol dire che l’acquirente non era così convinto della più impegnativa operazione di riqualificazione industriale della storia del nostro Paese. Vuol dire che il fragile piano industriale non conteneva una grande prospettiva temporale. Vuol dire che occorreva soltanto un pretesto a tutti per sfuggire da una pessima procedura. Cosa meglio di un capro espiatorio tarantino? Film già visto, governo poco creativo.

Se al contrario, come io credo ancora, l’investitore è serio e deciderà di puntare comunque su Taranto, senza farsi condurre fuori strada da governo e commissari, si comprenderà che è la città di Taranto il principale interlocutore, l’unico che può a ragione porre la parola fine alla vicenda, in un modo o nell’altro, e senza che vengano tralasciate alcune delle variabili poste oggi dai tarantini.

Venga a Taranto a parlare di miliardi di progetti, il ministro Calenda. Venga qui il viceministro Bellanova a dirlo alle associazioni di cittadini e genitori tarantini che devono attendere il 2023 prima che si valuti quanto e come si ammalano irrimediabilmente. Vengano i commissari a spiegare in piazza alle nostre imprese che in quei miliardi non si trova il becco di un quattrino per l’indotto, mentre imprese lombarde e liguri ancora lucrano in questo momento in uno stabilimento moribondo.

Che guardino negli occhi orfani, malati e lavoratori tarantini e dicano che l’acquisizione è a rischio, se per caso il sindaco o il governatore si azzardano a scandalizzarsi davanti ai fiumi rossi della città nei giorni di pioggia. No, nessun ministro verrà qui a fare questo. Io i miei concittadini voglio incontrarli per le vie e voglio poterli abbracciare senza vergogna, per questo vado avanti, in tutte le sedi opportune. Lo scorso 29 giugno ho giurato sulla costituzione, per difendere diritti inalienabili, non devo fedeltà cieca a nessun partito. Rispondo ai cittadini, e ripeto: nessuno può ricattare me e Taranto. Nessuno”.
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MessaggioInviato: 11/01/2018, 07:16 
Decreto salva-ILVA incostituzionale. Depositato un esposto


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di Rosa D'Amato, EFDD - M5S Europa
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Abbiamo depositato un esposto per chiedere alla Procura di Taranto di sollevare l'incostituzionalità dei decreti salva-Ilva che hanno riesaminato l'Autorizzazione integrata ambientale. Crediamo che, innanzitutto, la sentenza della Corte Costituzionale dell'aprile 2013 sia stata elusa. Quel pronunciamento stabiliva che lavoro e salute sono pari, ma nel rispetto delle prescrizioni ambientali ottemperate che andavano ultimate entro 36 mesi. Quel periodo è abbondantemente scaduto e, quindi, riteniamo che vada ripristinato il sequestro senza facoltà d'uso, disposto nel luglio 2012 dal gip Todisco.

Questo significa andare alla base del problema e sradicarlo completamente. Il che vuol dire stabilire finalmente che quello stabilimento è incompatibile con la vita e con le altre economie del territorio e che quindi chiudere, smantellare, bonificare, riqualificando i lavoratori dentro e fuori la fabbrica, vuol dire offrire un futuro diverso alla città di Taranto. Abbiamo ravvisato irregolarità anche nei decreti successivi, perché l'azienda non ha ottemperato alle prescrizioni. E l'Arpa, nel 2013, con la Valutazione del danno sanitario introdotto dalla legge regionale, evidenziò un rischio cancerogeno non accettabile anche in caso di rispetto di tutti gli interventi previsti dall'Aia.

Tra promesse, proroghe e decreti del governo, lo stabilimento continua a generare perdite e soprattutto a inquinare. Tra le prescrizioni non attuate mancano ancora le più importanti per la salute. Cumuli di minerali di ferro e carbone si alzano col vento e si disperdono nell'ambiente, fino a ricoprire di rosso tutte le strade nei pressi dello stabilimento per poi arrivare nelle case dei tarantini e nei loro polmoni.

L'Europa che vogliamo dialoga, si confronta e risponde ai problemi dei cittadini. Chiediamo la riconversione industriale delle aree e tutele per la salute dei cittadini. Bisogna ricollocare i lavoratori anche nelle bonifiche e la formazione. I fondi europei ci sono e servono proprio a questo. Chiediamo di abbandonare il modello industriale inquinante e quello energetico del fossile verso una riconversione dell'area che guardi a un futuro sostenibile e resiliente, alle vocazioni del territorio, al turismo e all'agroalimentare. Vogliamo sostenere l'imprenditorialità creativa e l'economia sociale, che metta al centro le energie rinnovabili e l'economia circolare. Noi ci siamo. Abbiamo le idee chiare. E non lasceremo mai soli i cittadini!
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 Oggetto del messaggio: Re: ILVA e l'incuria nel Golfo di Taranto
MessaggioInviato: 11/01/2018, 16:20 
‘Ndrangheta, le mani dei boss sui rifiuti dell’Ilva: “Abbiamo preso lo smaltimento del limo. Ci sono dieci viaggi al giorno”


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Le conversazioni sono contenute nel fascicolo dell'indagine Stige, che martedì ha portato all'arresto di 170 persone ritenute affiliate o contigue alle cosche calabresi. Secondo il gip, un imprenditore "a disposizione" dei clan aveva vinto un appalto per lo smaltimento "di scarti industriali e rifiuti tossici" provenienti dal siderurgico e il materiale "sarebbe stato poi scaricato in territorio calabrese”
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“Stanno facendo lo smaltimento dell’Ilva (…) a Taranto e abbiamo preso tutto il trasporto del limo, del materiale… con i camion e deve venire qua questo materiale, ci sono dieci, dodici viaggi al giorno“. Ci sono due intercettazioni in cui il boss Francesco Tallarico, componente del direttorio della cosca Farao-Mariconcola e responsabile del locale di Casabona, tira in ballo i rifiuti tossici e gli scarti industriali dello stabilimento siderurgico pugliese arrivati in Calabria grazie a un’impresa vicina al clan. Le conversazioni sono state ascoltate dai carabinieri del Ros e inserite nel fascicolo dell’indagine Stige, che martedì ha portato all’arresto di 170 persone ritenute affiliate o contigue alla ‘ndrangheta.

Saranno le indagini del procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri e degli altri sostituti procuratori della Dda a verificare se i rifiuti speciali dell’Ilva di Taranto siano finiti in Calabria grazie a un imprenditore arrestato nell’inchiesta perché ritenuto vicino ai clan del crotonese. Quello che è certo al momento è che di rifiuti dell’Ilva parlavano, i capi delle cosche. In particolare, gli investigatori sono riusciti a registrare una conversazione in cui Tallarico dialoga con un altro boss, Giovanni Trapasso. I due discutono dell’imprenditore Giuseppe Clarà e di un appalto al quale quest’ultimo aveva partecipato.

Nel descrivere l’imprenditore, Tallarico ha ricordato le intimidazioni subìte da Clarà: “Tre o quattro anni fa tutti quei camion bruciati”. Avvertimenti che alle cosche del luogo sono ritornati utili perché da quel momento – è scritto nell’ordinanza – Clarà “era divenuto un imprenditore a disposizione delle loro organizzazioni criminali”. Lo dice lo stesso Talarico: “È normale, no, con noi… dove è andato andato in tutti questi paesi, quello che gli ho detto ha fatto non ha mai sgarrato una volta”. Ed è proprio il profilo di Clarà tracciato dai due boss che spinge gli investigatori a ritenere il seguito della conversazione “un’importante rivelazione” sulla quale sono stati disposti degli accertamenti.

Tallarico, infatti, – è scritto nell’ordinanza di custodia cautelare – “sosteneva che, attraverso una delle imprese di Clarà Giuseppe, si era accaparrato alcuni lavori di smaltimento di scarti industriali e rifiuti tossici provenienti dall’Ilva di Taranto, avendo la possibilità di effettuare circa dieci o dodici viaggi giornalieri, con il materiale che sarebbe stato poi scaricato in territorio calabrese”. Un lavoro per il quale Clarà doveva chiedere il “permesso” a Giuseppe Sestito.

Quest’ultimo, conosciuto da tutti come “compare Pino”, è il responsabile locale di Cirò Superiore e questo potrebbe far pensare che i rifiuti dell’Ilva siano arrivati, o quantomeno transitati, dal territorio in cui opera la cosca dei “cirotani”. Non si spiegherebbe altrimenti il perché l’imprenditore Clarà avesse bisogno del “placet di compare Pino” e dell’intermediazione del boss di Casabona per un affare in cui le cosche di Cirò non fossero coinvolte. “Noi – sono le parole di Tallarico – abbiamo preso, stanno facendo lo smaltimento dell’Ilva … omissis… a Taranto e abbiamo preso tutto il trasporto del limo, del materiale… con i camion e deve venire qua questo materiale, ci sono dieci, dodici viaggi al giorno e ho chiamato a lui l’ho fatto parlare pure con il compare Pino …”.

L’affare dei rifiuti dell’Ilva spunta anche in un’altra intercettazione in cui, sempre Francesco Tallarico parla con un uomo non identificato e si lamenta delle continue raccomandazioni di suo padre Carlo Mario Tallarico che lo invitava a stare attento: “Poi mi rompe i ******** che non devo parlare né con quello e né con quell’altro ….. ‘gli altri sono tutti in galera e tu ancora stai girando’ … ho capito che sono tutti in galera e io sto girando …. però che ti fai un anno di galera o due anni o cinque anni che cavolo te ne frega”. Il carcere è un rischio che il boss ha messo in conto e la conversazione si conclude con il riferimento alla “possibilità di gestire – scrive il gip nell’ordinanza – un non meglio precisato lavoro presso lo stabilimento siderurgico Ilva di Taranto”. “Ora lo sai che ti dice: – racconta Talarico al suo interlocutore – ‘‘Ilva a Taranto te la intesto a te”.

Non è la prima volta che i rifiuti dello stabilimento pugliese finiscono nelle carte di un’inchiesta antimafia. Nel marzo scorso, infatti, la Dda di Catania aveva sequestrato la Cisma Ambiente Srl,titolare della discarica di Melilli, in provincia di Siracusa, dove erano finite 40mila tonnellate di polverino d’altoforno dell’Ilva di Taranto. Per gli inquirenti, gli imprenditori Antonino Paratore e il figlio Carmelo sarebbero stati le “teste di legno” del boss ergastolano Maurizio Zuccaro, nipote di Nitto Santapaola.

Tornando all’operazione “Stige”, oltre ai 170 arresti eseguiti ieri, su richiesta dei pm i carabinieri hanno sequestrato beni per circa 50 milioni di euro nelle provincie di Crotone, Cosenza e Catanzaro. Ma anche a Roma, Milano, Torino, Bologna, Modena, Parma, Cremona, Carrara, Chioggia, Lurago d’Erba e Robecco d’Oglio. Complessivamente i sigilli sono stati applicati a 57 società, 73 immobili tra ville, appartamenti, terreni e magazzini e 420 autovetture. È l’impero dei Farao-Marincola che adesso rischia di sgretolarsi per diventare patrimonio dello Stato.
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 Oggetto del messaggio: Re: ILVA e l'incuria nel Golfo di Taranto
MessaggioInviato: 30/01/2018, 06:29 
Ilva Taranto, ricorso straordinario al Presidente Mattarella


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Nella vicenda Ilva fa irruzione un nuovo elemento. Si tratta di un’iniziativa assunta da alcune associazioni e movimenti che si sono rivolti al Capo dello Stato. A darne notizia è Giustizia per Taranto che “annuncia con orgoglio di aver partecipato al Ricorso Straordinario al Presidente della Repubblica contro il dpcm del 29 settembre 2017 (meglio conosciuto come dodicesima legge salva ilva) con richiesta di sospensiva”.

“È stata un’azione congiunta – si legge nel documento – con altre associazioni firmatarie, quali Fondo Antidiossina onlus e Peacelink. Il Dpcm ha valore di nuova Aia all’Ilva fino al 2023, non potendo intervenire in caso di reiterazione di reati, a causa dell’immunità penale concessa ai nuovi acquirenti. Negli ultimi anni abbiamo partecipato a varie azioni di protesta, cortei, manifestazioni, assemblee in piazza, informazione nelle scuole. Oggi appoggiamo questo Ricorso pretendendo il fermo degli impianti inquinanti per i suoi abitanti e per i lavoratori”.
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