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MessaggioInviato: 29/07/2012, 17:22 
Stato-mafia, parla il pentito Mutolo
E conferma: "Trattativa? Certo che c'è"

L'autista di Riina: 'A casa sua dopo l'arresto furono trovate cose che inguaiavano i politici. Si fece
finta di nulla'. Attentato a Falcone: 'Santapaola mandò un lanciamissili, poi si cambiò programma'
Ingroia in Guatemala? 'E' meglio così, lo sa'. Dc e Berlusconi? 'Senza di noi non ci sarebbero stati'

Il nome di un morto e la sua strada, “tutt’assieme” come direbbe lui. Gaspare Mutolo, pentito di mafia, ha una personale mappa di Palermo: è un cimitero senza pace. Oggi la città dell’odio la dipinge ad olio, ed è soprattutto mare. In mezzo vent’anni di collaborazione con le istituzioni: il salto nel vuoto, dall’altra di una barricata con pochissimi eroi e troppi farabutti (tanti travestiti da uomini dello Stato), l’ha fatta con e per Giovanni Falcone. È lui il pentito che Borsellino stava interrogando nei dintorni di Roma, quando ricevette la famosa convocazione dal ministro

http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/07 ... to/309643/


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MessaggioInviato: 12/08/2012, 21:16 
Trattativa, Manfredi Borsellino:
“Le istituzioni non si faranno processare”


Immagine

http://www.informarexresistere.fr/2012/ ... z23MRQqTP7

Il figlio di Paolo, Manfredi Borsellino, e Nando dalla Chiesa, i magistrati di Caltanissetta Nico Gozzo e Nicolò Marino e il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia: sono alcune delle voci più autorevoli per raccontare i diversi punti di vista sulla trattativa Stato-mafia. La rivista trimestrale “Antimafia Duemila” li ha intervistati e ha raccolto i loro racconti nel prossimo numero. Abbiamo scelto alcuni dei passaggi più significativi.

Il depistaggio, così come pure la trattativa, sono stati resi possibili da un concorso di fattorie di poteri istituzionali, ovverosia né l’uno né l’altra sarebbero potuti andare a buon fine se non facevano la loro parte investigatori, magistrati, ministri, alti burocrati e rappresentanti delle istituzioni con vari livelli di responsabilità. Il perché poi si sono depistate le indagini sulla morte di mio padre e in favore di chi è la domanda alla cui risposta per certi versi tengo di più; forse oggi è maggiormente possibile conoscere le ragioni del depistaggio e a che cosa era finalizzato piuttosto che scoprire tutti gli effettivi responsabili della strage in cui persero la vita mio padre e cinque dei suoi sei agenti di scorta.(…)

Mio padre non era ingenuo ma era circondato, soprattutto negli ultimi giorni di vita, da persone non del tutto affidabili delle quali tuttavia forse non poteva fare a meno di fidarsi. Dopo la sua morte ci lasciò senza parole un magistrato, allora credo applicato alla Procura di Caltanissetta per seguire insieme ad altri colleghi le prime indagini successive alla strage, tale Pietro Vaccaro, che improvvisamente ci disse che nostro padre probabilmente aveva parlato troppo e si era lasciato andare a qualche confidenza con persone evidentemente sbagliate; forse il dott. Vaccaro aveva le sue buone ragioni per sostenere ciò ma non fu certo elegante in quei momenti, a cadavere ancora caldo, nel pronunciare quelle sue considerazioni.

(…) Sulla possibilità di un Paese libero dal ricatto mafioso la penso come mio zio Salvatore: difficilmente si potranno acquisire alcune verità giudiziarie, in quanto ciò presupporrebbe che lo Stato processi se stesso. E questo, obiettivamente, lo credo quasi impossibile.


di Manfredi Borsellino

http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/08 ... re/322988/




Salvatore Borsellino: ‘Grave fuga di notizie
sulle visite di Sonia Alfano e Beppe Lumia ai detenuti’


http://www.informarexresistere.fr/2012/ ... z23MSFv800

di Salvatore Borsellino

Reputiamo gravissima la fuga di notizie sul Corriere della Sera del 9 agosto sulle visite in carcere ai detenutiBernardo Provenzano ed Antonino Cinà da parte dei parlamentari Sonia Alfano e Beppe Lumia. La divulgazione dei contenuti di questi colloqui ha raggiunto due effetti estremamente deleteri: da un lato si è resa più improbabile la possibile collaborazione dei due boss di Cosa Nostra con la Giustizia, dall’altro è stata offerta l’esca ad un battente fuoco di sbarramento contro l’iniziativa di Alfano e Lumia definita ‘sconcertante’ da parte di alcuni parlamentari come l’on. Gaetano Quagliarello. Perfino il ministro della Giustizia Paola Severino si è sentito in dovere di richiamare il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ad ‘una puntuale osservanza dell’articolo 67 dell’ordinamento penitenziario’ che regola le visite dei parlamentari ai detenuti.

Di ‘sconcertante’ in questa vicenda c’è un solo fatto: la fuga di notizie sull’iniziativa assolutamente lecita e rispettosa delle procedure formali degli onorevoli Alfano e Lumia e la totale ostilità da parte di un ampio schieramento istituzionale e di una grossa parte del mondo dell’informazione verso quei politici (una rarità) e giornalisti (altrettanto rari) che non si rassegnano a tacere sui rapporti tuttora in corso tra pezzi delle Istituzioni e la criminalità organizzata di stampo mafioso.
In questo momento particolarmente delicato per lo sviluppo delle inchieste sulle stragi degli anni ’92-93 esprimiamo pertanto la nostra più sentita vicinanza a Sonia Alfano, Beppe Lumia, a tutti rappresentanti istituzionali e del mondo dell’informazione che non sono disposti a tacere di fronte al ricatto incrociato della criminalità organizzata e dei pezzi degli apparati statali con essa compromessi.

Invitiamo tutti i cittadini a schierarsi al fianco di chi, con il proprio agire quotidiano, rifiuta testardamente il ‘puzzo del compromesso morale che si oppone al fresco profumo di libertà’ e non vuole dimenticare il sangue ed i volti delle Vittime delle stragi mafiose degli anni ’92-93.


Salvatore Borsellino ed il Movimento Agende Rosse

http://www.19luglio1992.com/index.php?o ... &Itemid=42



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"…stanno uscendo allo scoperto ora, amano annunciare cosa stanno per fare, adorano la paura che esso può creare. E’ come la bassa modulazione nel ruggito di una tigre che paralizza la vittima prima del colpo. Inoltre, la paura nei cuori delle masse risuona come un dolce inno per il loro signore". (Capire la propaganda, R. Winfield)

"Onesto è colui che cambia il proprio pensiero per accordarlo alla verità. Disonesto è colui che cambia la verità per accordarla al proprio pensiero". Proverbio Arabo

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MessaggioInviato: 31/08/2012, 14:29 
Cosa c’è nelle telefonate di Napolitano?

Immagine

Sulle intercettazioni tra il Presidente della Repubblica e Nicola Mancino i quotidiani italiani si dividono nettamente

http://magazine.liquida.it/2012/08/31/c ... napolitan/

Le intercettazioni di Napolitano e Mancino tengono banco, oggi, su tutti i principali quotidiani italiani, dopo la ricostruzione pubblicata da Panorama, che parlava di “Ricatto al Presidente” e il comunicato di ieri della Presidenza della Repubblica che liquidava il tutto come “autentici falsi”.

Gli schieramenti contrapposti sono piuttosto ben delineati: da un lato quelli che difendono il Presidente Napolitano, vittima di una “torbida manovra”; dall’altro invece il nutrito gruppo che a questa manovra non crede, e che si richiama alla libertà di informazione.

La Repubblica, ad esempio, appartiene al primo gruppo: l’editoriale di Ezio Mauro, intitolato “Verità e demagogia”, è una dura accusa a Panorama e agli altri giornali che hanno cavalcato “questa manovra spacciata per notizia, pur essendo evidente l’inconsistenza”. “L’obiettivo è comunque raggiunto: scrivere che Napolitano deve “mostrare le carte”, rendendo noto il testo di quelle telefonate, anzi “mostrandole al popolo”. Solo così, si fa capire, finirà questa stagione di veleni, di ricatti e misteri”.

Mauro però ricorda che Napolitano quelle carte non le ha, “perché i magistrati le tengono riservate”, e accusa i giornali “avversari” di “aprire la strada al ribellismo populista”. Il quotidiano lascia poi ampio spazio alla risposta del Quirinale, e a un’intervista ad Antonio Ingroia, il quale accusa Panorama di aver costruito un falso e di ricattare il Presidente.


LEGGI ANCHE: Le intercettazioni di Napolitano (quasi) pubblicate da Panorama
http://magazine.liquida.it/2012/08/30/l ... -panorama/

Simile l’atteggiamento del Corriere della Sera: in prima pagina Antonio Polito pone un doppio problema: “Se infatti è falso il contenuto di quelle telefonate definito autentico da Panorama, siamo di fronte al grave tentativo di gettare discredito sul presidente usando un gossip privo di fonti; se invece è autentico il contenuto, è falsa la garanzia di riservatezza che aveva fornito la Procura di Palermo, e siamo di fronte al grave tentativo di gettare discredito sul presidente usando atti giudiziari”.

Nell’altro schieramento, invece, si trovano Libero e il Giornale. Il primo titola, in maniera tradizionalmente esplicita, “Fuori le telefonate del Presidente”. Maurizio Belpietro spiega: “Se vuole evitare che il clima di veleni e di sospetto si diffonda, non servono le veline, rilanciate dalla stampa e dai partiti amici: è sufficiente che Napolitano parli e racconti di che cosa ha discusso con Mancino”. E accusa “l’apparato politico-mediatico tanto caro alla sinistra”, che “si dà da fare per squalificare l’informazione”.

Concorda il direttore del Giornale, Alessandro Sallusti: “Per ridurre al silenzio i giornali non serve la legge sulle intercettazioni. Perché i giornali, all’occorrenza, il bavaglio se lo mettono da soli”. E li accusa di ipocrisia: “Giornali che non hanno avuto alcuna remora a sbattere in prima pagina indiscrezioni sulle intercettazioni - altrettanto illegali – di Silvio Berlusconi (famosa quella sulla Merkel culona, mai allegata a un atto giudiziario), ora fanno quelli con la puzza sotto il naso e si stringono a difesa della vittima di turno. Ci risiamo con la macchina del fango a senso unico”.

Il Fatto Quotidiano cerca invece una posizione diversa: da un lato difende l’uso delle intercettazioni, come implicato dall’editoriale di Marco Travaglio: “Per fortuna, almeno formalmente, l’Italia è ancora una democrazia e non si può vietare ai giornali di fare domande”. “Il Fatto aveva suggerito al Colle di disinnescarli subito divulgando il contenuto delle telefonate con Mancino e attivandosi con i legali di quest’ultimo o con l’Avvocatura dello Stato per farne pubblicare i testi (altro che “impotenza” e “mani legate”). Invece Napolitano ha fatto, legittimamente ma temerariamente, l’opposto”.

Dall’altro lato il quotidiano sottolinea le responsabilità di Panorama e dei giornali di centrodestra nell’approfittare della situazione per dimostrare la presunta necessità della legge bavaglio sulle intercettazioni; a spiegarlo è anche stavolta, in un’intervista il pm Antonio Ingroia, che a proposito di Panorama dice: “Ho colto il sapore di una manovra proveniente dalle fonti”. “Sto pensando a una campagna di stampa orientata a gettare discredito su molte istituzioni”.





Intercettazioni, il Quirinale risponde a Panorama

In un comunicato la Presidenza della Repubblica bolla le ricostruzioni dei periodici come autentici falsi

http://magazine.liquida.it/2012/08/30/i ... -panorama/

Non si è fatta attendere, dopo la pubblicazione da parte di Panorama di una ricostruzione del contenuto delle intercettazioni tra Giorgio Napolitano e Nicola Mancino, la reazione del Quirinale.

In un comunicato, il Quirinale denuncia il raggiungimento di “un nuovo apice” nella “campagna di insinuazioni e sospetti nei confronti del Presidente della Repubblica”, e bolla quelli di Panorama (non citato esplicitamente) come “autentici falsi”.

Difendendo “l’assoluta obbiettività e correttezza della scelta compiuta dal Presidente della Repubblica di ricorrere alla Corte costituzionale”, il comunicato conclude: “A chiunque abbia a cuore la difesa del corretto svolgimento della vita democratica spetta respingere ogni torbida manovra destabilizzante”.



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MessaggioInviato: 12/09/2012, 01:14 
Stato-mafia, Taormina chiama in causa Napolitano: interferì sui pm

Ex parlamentare Pdl: comitato verifichi se vere le notizie di stampa

12 settembre, 00:26

http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche ... 61897.html

ROMA - Nel giorno in cui l'ex ministro della Giustizia Claudio Martelli torna ad insistere sul capitolo della trattativa Stato-mafia che vuole coinvolto l'ex presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro davanti alla Commissione Antimafia, l'ex parlamentare di Forza Italia, il penalista Carlo Taormina chiama in causa Giorgio Napolitano con un esposto-denuncia accusandolo di aver interferito sull'attivita' della Procura di Palermo. Taormina, presentando la denuncia che dovra' essere esaminata dal Comitato per i procedimenti d'accusa presieduto da Marco Follini, chiede ''che si proceda a tutti gli accertamenti necessari'' sulle circostanze da lui esposte ''tratte da fonti giornalistiche da verificare'' e, ''in caso di esito positivo, si azionino le procedure per l'incriminazione del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per il delitto di attentato alla Costituzione a norma dell'articolo 90''.

Nell'esposto di sei pagine depositato da Carlo Taormina si chiama in causa anche ''il defunto Loris D'Ambrosio che - si legge - mai si sarebbe mosso senza l'ordine di Napolitano''. Nella ricostruzione che il penalista fornisce dei fatti, l'ex consigliere giuridico del Quirinale ''sarebbe intervenuto sul procuratore generale della Corte di Cassazione Vitaliano Esposito chiedendogli di intervenire sui pm siciliani affinche' non avvenisse il noto confronto con Nicola Mancino''. Circostanza questa, ricorda Taormina, ''mai di fatto smentita''. Tale ''richiesta quirinalizia'' costituirebbe, secondo quanto si legge nell'esposto, ''la prova di un chiaro intento boicottatore degli sforzi dei magistrati per accertare la verita' fino a poterne determinare l'insabbiamento''. Ma Taormina nelle sue premesse dice di piu' e cioe' che Napolitano e D'Ambrosio ''forse morto per la vergogna di aver eseguito un ordine illecito, forse il primo della sua vita'', non potevano non sapere ''che non esiste rapporto di gerarchia tra la Procura generale della Cassazione e gli altri uffici del pm presso i Giudici di merito''. Cio', secondo l'ex deputato, potrebbe significare che Napolitano ''poteva volere, interferendo nella funzione giudiziaria, due cose ugualmente illecite penalmente: (1) l'imposizione arrogante di Vitaliano Esposito nei confronti dei magistrati palermitani, violatrice comunque del principio di separatezza tra le funzioni del pg della Cassazione e i pm di merito''. (2) ''L'intrapresa o la minaccia di intrapresa di azioni disciplinari nei confronti dei magistrati palermitani con riferimento alle iniziative giudiziarie in corso sulle trattative 'Stato-mafia'''. Una minaccia che, secondo Carlo Taormina, e' ''penalmente rilevante anche quando sia implicita o larvata''. Ma Taormina difende anche ''la perfetta legalita''' delle intercettazioni che sia Napolitano, sia D'Ambrosio ''non potevano ignorare'' visto che manca ''una previsione normativa che le impedisca''. La decisione, pertanto, di sollevare il conflitto di attribuzione, si legge ancora nella denuncia, ''svela l'obiettivo di persistere nell'opera di intimidazione e, al tempo stesso, di rappresaglia contro i magistrati palermitani''. Secondo l'avvocato penalista ''non e' dubbio'' che ''guardando distintamente ai due comportamenti illeciti di Napolitano'', ciascuno di essi ''integri fattispecie penali''. Secondo Taormina, insomma, secondo la ricostruzione fatta dai giornali che lui riporta nel suo esposto, ci sarebbe stato un tentativo, da parte del Colle, ''di sviare il corso delle indagini inibendo il confronto in cui era coinvolto l'ex senatore Mancino''. Simile comportamento, sempre secondo l'ex esponente di FI, sarebbe da inquadrare dunque ''nell'abuso di ufficio a norma dell'art.323 c.p. stante l'intenzionale volonta' di arrecare danno allo Stato''. Nella denuncia si parla anche di ''un oggettivo, quand'anche non voluto vantaggio patrimoniale per la mafia'' visto che, secondo Taormina, avrebbe potuto proseguire nelle sue attivita' illecite. Carlo Taormina, insomma, chiede che venga accertata la circostanza secondo la quale Napolitano avrebbe ''violato'' due principi: quello dell'indipendenza e dell'autonomia della magistratura.



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MessaggioInviato: 12/09/2012, 18:16 
Martelli: “Fu di Scalfaro la regia della trattativa Stato-mafia”



L'ex Guardasigilli in un'audizione davanti alla commissione Antimafia parla della presunta trattativa tra Stato e Cosa Nostra "nel tentativo di fermare le stragi" e attacca l'ex Presidente della Repubblica: "Di sicuro ci fu un cedimento dello Stato. E in quel cedimento Scalfaro ebbe un ruolo. Non era isolato, aveva intorno a sé uomini devoti"



-Redazione- 12 settembre 2012- L'ex ministro della Giustizia Claudio Martelli torna ad attaccare l'ex presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, scomparso alla fine di gennaio, per il suo ruolo nella sostituzione degli "uomini chiave della lotta alla mafia" durante la stagione delle stragi ordinate dalla Cupola, nei primi anni '90 retta dai Corleonesi di Totò Riina.

"Non ho mai parlato, in quegli anni, di 'trattativa – dice Martelli ai commissari antimafia – ma di sicuro ci fu un cedimento dello Stato, non una vera e propria trattativa. Un compromesso dello Stato nel tentativo di fermare le stragi". Cedimento che, afferma l'ex ministro e delfino di Bettino Craxi ai tempi d'oro del Psi del pretangentopoli, non costituisce un vero e proprio reato "ma un crimine politico.

In quel cedimento, afferma, ebbe ruolo di "dominus Scalfaro, che regnava, non era isolato, aveva intorno a sé uomini a lui devoti, che a lui dovevano il loro ruolo: Mancino, Giuliano Amato, capo della polizia Vincenzo Parisi, quello del Dap Adalberto Capriotti, da lui voluto al posto di 'quel dittatore di Niccolò Amato', come scrissero i familiari dei mafiosi al 41 bis".

Martelli cita ancora il giudice ucciso nella strage di Capaci e la sua celeberrima definizione di "menti raffinatissime" dietro le strategie di Cosa Nostra, circostanziando cosa intendesse dire Falcone: "L'area di contiguità tra la mafia che spara e il 'mondo delle professioni', l'area grigia di una certa Palermo, più qualcosa che non va nella polizia a Palermo e probabilmente nei servizi: magari non i professionisti dei servizi segreti ma uomini che svolgono quel tipo di lavoro nelle questure". "Non ho mai parlato, all'epoca, di trattativa, e ancora oggi sono circospetto nell'usare quella parola", dice sempre Martelli ricostruendo ad esempio il tentativo dei Ros di avvicinare Vito Ciancimino, che "sempre Falcone definì 'il più mafioso tra i politici e il più politico tra i mafiosi'. Riferii a Mancino – racconta Martelli – di un comportamento anomalo degli ufficiali dei Ros, in particolare del capitano Giuseppe De Donno. Mi dissero che avevano agganciato Ciancimino, allo scopo di evitare le stragi e coltivare piste per la cattura dei latitanti". Sempre dal capitano dei Ros, prosegue l'ex ministro, venne la richiesta di dotare Ciancimino di passaporto: "Io chiamai il procuratore generale Bruno Siclari, dicendogli che a mio parere eravamo fuori dal seminato. Siclari fece arrestare nuovamente Ciancimino".

E non, a parere dell'allora ministro, al presidente del Consiglio Giuliano Amato: "A me non parve questione tale – dice Martelli sempre riferendosi al nascente rapporto Ros-Ciancimino – da investire il presidente del Consiglio. Amato aveva detto più volte che la sua priorità era la crisi finanziaria, e la lotta alla mafia era delegata ai ministri competenti". Martelli riferisce inoltre, passando invece all'avvicendamento dei ministri nel governo Amato del '92 e ricollegandosi così con la sua tesi del cedimento statale, della sostituzione di Vincenzo Scotti con Nicola Mancino. "Chiamai Amato chiedendone ragione. Mi rispose 'me lo chiedono il presidente della Repubblica e il segretario della Dc'", all'epoca Arnaldo Forlani. "Ribattei 'ma tu sei il presidente incaricato, sei tu a scegliere'. Rispose 'non scherziamo, il governo non nascerebbe neanche'".


http://www.articolotre.com/2012/09/mart ... fia/108264

oramai siamo giunti al punto di conoscerre in modo completo,questa triste vicenda,senza nascondersi dietro al fatto istituzionale..........................e' necessario x cercare di dare un po di dignita'alle istituzioni.......................amato e' tirato direttamente in ballo sarebbe opportuno conoscere le sue ragioni....................


Ultima modifica di ubatuba il 12/09/2012, 18:17, modificato 1 volta in totale.

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Cita:
Thethirdeye ha scritto:


Stato-mafia, Taormina chiama in causa Napolitano: interferì sui pm

Ex parlamentare Pdl: comitato verifichi se vere le notizie di stampa

12 settembre, 00:26

http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche ... 61897.html

ROMA - Nel giorno in cui l'ex ministro della Giustizia Claudio Martelli torna ad insistere sul capitolo della trattativa Stato-mafia che vuole coinvolto l'ex presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro davanti alla Commissione Antimafia, l'ex parlamentare di Forza Italia, il penalista Carlo Taormina chiama in causa Giorgio Napolitano con un esposto-denuncia accusandolo di aver interferito sull'attivita' della Procura di Palermo. Taormina, presentando la denuncia che dovra' essere esaminata dal Comitato per i procedimenti d'accusa presieduto da Marco Follini, chiede ''che si proceda a tutti gli accertamenti necessari'' sulle circostanze da lui esposte ''tratte da fonti giornalistiche da verificare'' e, ''in caso di esito positivo, si azionino le procedure per l'incriminazione del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per il delitto di attentato alla Costituzione a norma dell'articolo 90''.

Nell'esposto di sei pagine depositato da Carlo Taormina si chiama in causa anche ''il defunto Loris D'Ambrosio che - si legge - mai si sarebbe mosso senza l'ordine di Napolitano''. Nella ricostruzione che il penalista fornisce dei fatti, l'ex consigliere giuridico del Quirinale ''sarebbe intervenuto sul procuratore generale della Corte di Cassazione Vitaliano Esposito chiedendogli di intervenire sui pm siciliani affinche' non avvenisse il noto confronto con Nicola Mancino''. Circostanza questa, ricorda Taormina, ''mai di fatto smentita''. Tale ''richiesta quirinalizia'' costituirebbe, secondo quanto si legge nell'esposto, ''la prova di un chiaro intento boicottatore degli sforzi dei magistrati per accertare la verita' fino a poterne determinare l'insabbiamento''. Ma Taormina nelle sue premesse dice di piu' e cioe' che Napolitano e D'Ambrosio ''forse morto per la vergogna di aver eseguito un ordine illecito, forse il primo della sua vita'', non potevano non sapere ''che non esiste rapporto di gerarchia tra la Procura generale della Cassazione e gli altri uffici del pm presso i Giudici di merito''. Cio', secondo l'ex deputato, potrebbe significare che Napolitano ''poteva volere, interferendo nella funzione giudiziaria, due cose ugualmente illecite penalmente: (1) l'imposizione arrogante di Vitaliano Esposito nei confronti dei magistrati palermitani, violatrice comunque del principio di separatezza tra le funzioni del pg della Cassazione e i pm di merito''. (2) ''L'intrapresa o la minaccia di intrapresa di azioni disciplinari nei confronti dei magistrati palermitani con riferimento alle iniziative giudiziarie in corso sulle trattative 'Stato-mafia'''. Una minaccia che, secondo Carlo Taormina, e' ''penalmente rilevante anche quando sia implicita o larvata''. Ma Taormina difende anche ''la perfetta legalita''' delle intercettazioni che sia Napolitano, sia D'Ambrosio ''non potevano ignorare'' visto che manca ''una previsione normativa che le impedisca''. La decisione, pertanto, di sollevare il conflitto di attribuzione, si legge ancora nella denuncia, ''svela l'obiettivo di persistere nell'opera di intimidazione e, al tempo stesso, di rappresaglia contro i magistrati palermitani''. Secondo l'avvocato penalista ''non e' dubbio'' che ''guardando distintamente ai due comportamenti illeciti di Napolitano'', ciascuno di essi ''integri fattispecie penali''. Secondo Taormina, insomma, secondo la ricostruzione fatta dai giornali che lui riporta nel suo esposto, ci sarebbe stato un tentativo, da parte del Colle, ''di sviare il corso delle indagini inibendo il confronto in cui era coinvolto l'ex senatore Mancino''. Simile comportamento, sempre secondo l'ex esponente di FI, sarebbe da inquadrare dunque ''nell'abuso di ufficio a norma dell'art.323 c.p. stante l'intenzionale volonta' di arrecare danno allo Stato''. Nella denuncia si parla anche di ''un oggettivo, quand'anche non voluto vantaggio patrimoniale per la mafia'' visto che, secondo Taormina, avrebbe potuto proseguire nelle sue attivita' illecite. Carlo Taormina, insomma, chiede che venga accertata la circostanza secondo la quale Napolitano avrebbe ''violato'' due principi: quello dell'indipendenza e dell'autonomia della magistratura.




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Intanto Falcone e Borsellino sono morti... Napolitano, Scalfaro, e soprattutto Giuliano Amato (che si prende 30.000 euro dei nostri al mese) e molti altri sono sempre lì... e alcuni di questi li votiamo ancora pure!!!

Davvero... W l'Italia...

[:(]



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DI FABRIZIO TRINGALI
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Eh già, grazie al peggior presidente della Repubblica della storia d'Italia, sta per ricoprirsi di ridicolo anche l'ultima Istituzione che poteva godere di un qualche rispetto.
Del resto lo avevamo già anticipato: pur sapendo l'ovvio, e cioè che, nella vicenda delle intercettazioni telefoniche della procura di Palermo, Napolitano ha torto marcio, l'Alta Corte troverà il modo di dargli ragione.


In questo modo l'orrendo figuro che occupa il Colle completa la distruzione della Costituzione Italiana. Proprio lui, che dovrebbe esserne custode, ed invece si è reso protagonista di una incredibile serie di attacchi alla Carta che ne hanno sostanzialmente smantellato i fondamenti.

Dapprima Napolitano ha infranto il principio di divisione dei poteri, quando ha svuotato i poteri del Parlamento minacciando più volte lo scioglimento delle Camere nonostante il governo in carica avesse sempre ottenuto la fiducia. Nulla, nemmeno il fatto che in carica vi fosse un esecutivo disgustoso, giustifica la violazione della Carta.

Poi ha consegnato il Paese al commissariamento da parte dei tecnocrati europei, nominando Monti senatore a vita e quindi capo del governo, e dichiarando più volte che l'euro e la UE sono scelte dalle quali non è possibile tornare indietro (un'ovvia menzogna).

Ora costringe la Corte Costituzionale a perdere ogni credibilità (gettando grave discredito anche sulla Magistratura).

Infine proverà, ancora, a fare in modo che venga approvata una legge elettorale tagliata sulle esigenze del ceto dirigente più forte della UE, e che richiede che l'Italia continui ad essere governata da esecutivi di larghe intese, in modo da proseguire l'opera di distruzione delle condizioni di vita della stragrande maggioranza della popolazione iniziata da Monti, Fornero e Passera, senza che una singola parte politica debba assumersi la responsabilità di dover fare i conti con il malcontento crescente. Del resto ormai, anche quel poco di democrazia che ci era rimasto, era diventato un fastidioso orpello, ostacolo alla realizzazione dei disegni dei governanti. Meglio, per loro, farne a meno. Non so quanto tempo occorrerà, ma prima o poi emergerà con drammatica chiarezza quanto grave sia ciò che sta accadendo.

Fabrizio Tringali
Fonte: http://www.main-stream.it/
20.09.2012

da come donchisciotte

come al solito le cose importanti italiane vengono chiuse in scatola,senza possibilita' di averne una spiegazione......[;)]


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Inchiesta

La trattativa Stato-mafia papello dopo papello


di Luca Rinaldi

Dopo il via libera della Consulta all’ammissibilità del conflitto sollevato dal Quirinale contro i pm di Palermo sulle intercettazioni che coinvolgono il Capo dello Stato, ripubblichiamo la nostra ricostruzione della trattativa Stato-mafia, di cui tanto si parla in questi giorni.

Fonte: http://www.linkiesta.it/trattativa-stat ... z27CjfYpJC

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13 settembre 2012 - 21:30

L’ESITO DEL MAXIPROCESSO E L’OMICIDIO LIMA – Il 9 agosto del 1991 l’alto magistrato Antonino Scopelliti viene freddato con due colpi di arma da fuoco a Campo Calabro, provincia di Reggio Calabria. Aveva 51 anni, e stava preparando il rigetto dei ricorsi per Cassazione fatti dalle difese di alcuni capimafia condannati nel corso del primo maxi processo a Cosa Nostra istruito da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Scopelliti è la prima vittima dell’assalto allo Stato di Cosa Nostra, che per far fuori il giudice si avvale anche della collaborazione della ‘ndrangheta calabrese. ‘Ndrangheta che nello stesso periodo risulta essere particolarmente interessata al muro contro muro con lo Stato e tramite di un traffico considerevole di armi e ordigni da guerra in Calabria.

Il maxiprocesso si conclude nel gennaio del 1992, l’impianto accusatorio viene confermato e Cosa Nostra si ritrova, oltre che riconosciuta come organizzazione criminale, falcidiata dagli ergastoli. Due mesi dopo arriva l’omicidio dell’europarlamentare Salvo Lima, fedelissimo di Andreotti, e già al centro delle vicende di mafia in precedenza, così come anche descritto da alcuni collaboratori di giustizia. Egli avrebbe dovuto intercedere per ‘aggiustare’ il maxiprocesso, ma il tentativo fallì e pagò con la vita in un agguato mafioso il 12 marzo del 1992.

Il messaggio di Cosa Nostra è lanciato: i vecchi referenti politici non sono più affidabili e in Sicilia bisogna decapitare il potere del grande vecchio della Democrazia Cristiana Giulio Andreotti. Nel quadro disegnato dalla procura di Palermo nella recente indagine in cui ha chiesto il rinvio a giudizio di 12 persone, la trattativa comincia proprio qui, con la pressione sul vecchio garante della mafia in politica, Giulio Andreotti.

COSA NOSTRA POTREBBE COLPIRE ALTRI POLITICI - Lima non è il solo nel mirino di Cosa Nostra. Questo risulta da una nota redatta dall’allora capo della Polizia, Parisi, con alcuni possibili bersagli politici che potrebbero essere colpiti da Cosa Nostra. La nota, datata 16 marzo 1992, cioè quattro giorni dopo l’omicidio Lima, indirizzata al Ministro dell’Interno Scotti, si intreccia, tra le altre cose, con una lettera arrivata all’ufficio istruzione della procura di Bologna il 4 marzo, otto giorni prima dell’omicidio Lima, che a sua volta confermerebbe, le informazioni raccolte dagli investigatori da fonti confidenziali.

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La lettera che arriva il 4 marzo alla magistratura bolognese è firmata da Elio Ciolini, personaggio tanto ambiguo quanto ‘border-line’: una vita passata tra servizi segreti, logge coperte ed estremismo nero, per poi rifarsi vivo nel 2001 parlando di un fantomatico attentato a Silvio Berlusconi, per poi venire arrestato nel 2008 mentre si fingeva un generale NATO e presidente di una inesistente associazione antiracket per andare a procacciare finanziamenti.

La lettera di Ciolini inizia con la dicitura «Nuova strategia tensione in Italia – Periodo marzo-luglio 1992», per poi proseguire descrivendo scenari non del tutto lontani dalla realtà come “esplosioni dinamitarde”, “eventuale omicidio di esponente politico Psi, Pci, Dc”, fino a un possibile “omicidio del futuro presidente della Repubblica”. Spiegherà inoltre che la strategia è stata decisa a Zagabria nel settembre del 1991, per un “nuovo assetto della destra europea”, per cercare un nuovo ordine sociale in Italia.

Il 17 marzo l’allora ministro dell’Interno Vincenzo Scotti, basandosi sulla nota del capo della polizia Parisi, lancia l’allarme alle prefetture su tutto il territorio nazionale paventando proprio un piano di destabilizzazione istituzionale, chiedendo maggiore attenzione su alcune personalità a rischio.

Nella nota di Parisi infatti si legge delle minacce rivolte al presidente del Consiglio in carica, Giulio Andreotti, al ministro Vizzini e al ministro Calogero Mannino. Proprio Mannino riferirà al figlio del maresciallo Guazzelli (maresciallo ucciso dalla mafia nell’aprile del 1992), sentito nel 1995, il quale dichiara che tra la sentenza del maxi-processo, nel gennaio del ’92, e l’omicidio Lima, il padre gli avrebbe riferito le parole di Mannino: «Ora o uccidono me o uccidono Lima». Stessa preoccupazione esprimerà anche a Subranni del ROS, a Contrada del Sisde e all’onorevole Mancino, allora capogruppo DC, ma non ancora ministro dell’Interno. La circostanza è stata recentemente ricordata dai magistrati di Palermo davanti alla Commissione Parlamentare Antimafia.

Scotti porterà la questione anche in sede istituzionale, prima in una seduta della Commissione Parlamentare Antimafia discutendo proprio degli omicidi Lima e Corrado (consigliere comunale del PDS di Castellamare di Stabia, freddato un giorno prima di Lima) e poi davanti alla Commissione Affari Costituzionali

(audizione_antimafia_scotti_17_marzo_1992.pdf)
http://www.linkiesta.it/sites/default/f ... o_1992.pdf

[AUDIO – Relazione Scotti 1992 OK]
http://www.linkiesta.it/sites/default/f ... 992_ok.mp3

Dopo l’allarme Scotti finisce del mirino: Andreotti considera l’Sos del ministro dell’Interno una “patacca”, come riportano anche i giornali dell’epoca.

la_stampa_allarme_scotti__patacca_21_marzo_1992.pdf
http://www.linkiesta.it/sites/default/f ... o_1992.pdf

la_stampa_cossiga_contro_scotti_20_marzo_1992.pdf
http://www.linkiesta.it/sites/default/f ... o_1992.pdf

È in questi momenti, secondo la ricostruzione della procura di Palermo, che Mannino, sentendosi in pericolo si attiva per mettersi al riparo dalle ritorsioni di Cosa Nostra. Come? Attraverso investigatori e personale dei servizi segreti cerca di trovare i giusti interlocutori per «aprire la trattativa e sollecitare gli uomini di Cosa Nostra».

A Milano intanto impazza Tangentopoli, mentre in Sicilia girano invece due versioni del rapporto “mafia-appalti”, di cui uno ripulito dai nomi di imprenditoria e politica nazionale. Falcone viene però a conoscenza del “tavolinu”, attorno a cui mafiosi e imprenditori, anche del nord banchettano insieme: nel ’92 al Collegio Ghisleri di Pavia durante un intervento spiega ai presenti che Cosa Nostra è entrata in borsa, stessa espressione che aveva utilizzato nel 1984 quando Nino Buscemi, inseguito da un mandato di cattura aveva ceduto la Calcestruzzi Palermo Spa a Calcestruzzi Spa così da sottrarla alla confisca ai sensi della Legge La Torre. E’ la primavera del 1992, per Cosa Nostra Falcone è un morto che cammina

LA STRAGE DI CAPACI - E’ il 23 maggio del 1992 muoiono Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli uomini della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Stefano Montinaro. Saltano in aria: una bomba ha sventrato l’autostrada fra Trapani e Palermo, nella zona di Capaci. In quel periodo Falcone, tra mille polemiche, lavora al Ministero di Grazia e Giustizia a Roma, un’altra mossa che non è andata giù ai mafiosi che vogliono smarcarsi da Andreotti.

A quel punto lo Stato non può stare a guardare, ma è proprio qui iniziano le nebbie più fitte su quella trattativa. Trattativa che, secondo la recente sentenza del tribunale di Firenze riguardante il boss Tagliavia, condannato per la strage di via dei Georgofili, «indubbiamente ci fu e venne, quantomeno inizialmente, impostata su un 'do ut des'. L'iniziativa fu assunta da rappresentanti delle istituzioni e non dagli uomini di mafia» e «l'obiettivo che ci si prefiggeva, quantomeno al suo avvio, era di trovare un terreno con 'cosa nostra per far cessare la sequenza delle stragi».

Ma la procura di Firenze non entra nel merito della vicenda, non è di competenza sua la trattativa: ci sta lavorando la procura di Palermo, e anche quella di Caltanissetta, per cercare di mettere la parola fine sulla strage di via d’Amelio dove rimase ucciso Paolo Borsellino.

IL PAPELLO E LA TRATTATIVA DEL ROS – Scrivono i pm di Palermo Antonio Ingroia, Nino Di Matteo, Lia Sava e Francesco Del Bene (il quinto titolare dell'inchiesta, Paolo Guido, non ha firmato l'atto finale perché in disaccordo su alcuni punti), che immediatamente dopo Capaci «su incarico di esponenti politici e di governo» i carabinieri del ROS (individuati in Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno) arrivarono al contatto con l’ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino «agevolando così l’instaurazione di un canale di comunicazione con i capi di Cosa Nostra, finalizzati a sollecitare eventuali richieste».

Questo primo contatto ci fu grazie alle conoscenze del capitano Giuseppe De Donno, che incontrando Massimo Ciancimino, figlio di Vito, in aereo propone di aprire un contatto col padre. A riportare alla luce il fatto anni dopo è stato lo stesso Massimo Ciancimino, il quale non gode di grande credibilità tra le procure di Palermo, e in particolare quella di Caltanissetta (che scriverà «a ben vedere il bilancio della “pseudo-collaborazione” del Ciancimino sembra essere più favorevole agli interessi di Cosa Nostra che a quelli dello Stato»), ma che col suo racconto ha fatto tornare la memoria a parecchie persone sui fatti di quei giorni.

Conferma l’incontro lo stesso De Donno, e circa quindici giorni dopo Capaci avviene il primo incontro tra il ROS e Vito Ciancimino. Il capitano De Donno sostiene di essere solo a questo incontro e a tutti gli altri seguenti fino al 5 agosto, in cui avrebbe introdotto il colonnello Mori, di diverso avviso sono invece Massimo Ciancimino e le procure interessate. E’ Mori che conferma la circostanza di aver avuto il primo incontro con Vito Ciancimino il 5 agosto.

Mori e De Donno concordano ripetendo che si approcciarono con Ciancimino per chiedere la consegna dei latitanti. In cambio i boss avrebbero avuto “un buon trattamento penitenziario per sé e un riguardo per le famiglie”. Lo stesso mori dichiarerà nel corso del processo che lo vede coinvolto per la mancata cattura di Bernardo Provenzano nel 1995 (altra cambiale della ‘trattativa’) <<preciso che io parlo di rapporti di natura confidenziale, e non già di “trattativa” come alcuni sostengono e molti, come pappagalli, ripetono>>.

All’inizio di giugno era stato approvato in consiglio dei ministri il cosiddetto ‘decreto Falcone’, in cui si ripristinava l’applicazione del regime speciale del carcere duro agli imputati per reati di mafia, quello che sarà poi battezzato 41-bis, e parte della normativa sui collaboratori di giustizia. Troverà la conversione in legge e la prima applicazione del carcere duro solo dopo la strage di via D’Amelio in cui perse la vita il giudice Paolo Borsellino.

Il giorno dopo l’approvazione del decreto Falcone, cioè il 9 giugno arriva una telefona alla sede ANSA di Palermo che dice con spiccato accento catanese (richiamando la sigla Falange Armata, di cui pure ha parlato il collaboratore di giustizia che ha contribuito a riscrivere la storia della strage di via D’Amelio, Gaspare Spatuzza) che “i politici hanno ottenuto quello che volevano, noi no”, “certe cose non sono state rispettate” ed aggiunge che “il carcere non si doveva toccare”.

Ciancimino senior, inizierebbe qui il suo compito: risultano infatti i contatti tra lo stesso don Vito con Antonino Cinà e Pino Lipari, che a loro volta contattano i boss Totò Riina e Bernardo Provenzano.

Siamo al 19 giugno, e qui è ancora una relazione del ROS ad apparire quanto mai profetica: la nota, redatta dal generale Subranni informa sulla possibilità che Borsellino sia nel mirino di Cosa Nostra e sulle pressioni "in forme indirette, su esponenti politici, miranti a deflazionare l'impegno dello Stato contro la criminalità".

Con Borsellino una delle possibili vittime citate nell'informativa è ancora il deputato della DC Calogero Mannino. Effettivamente l’attenzione di Cosa Nostra è spostata su Mannino, ma Giovanni Brusca, riceve l’ordine di non continuare nella preparazione dell’attentato all’onorevole DC. Sentito, Brusca, spiega che l’unica informazione che gli viene data è che Cosa Nostra era “sotto lavoro per cose più importanti”.

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Il capitano De Donno si reca a Roma e incontra al Ministero di Grazia e Giustizia, Liliana Ferraro, direttore dell’Ufficio Affari Penali. Ferraro ha appena sostituito Falcone, di cui è stata la più stretta collaboratrice al ministero. De Donno la informa dei contatti avuti con Ciancimino e chiede anche un ‘sostegno politico’ per l’iniziativa che stavano intraprendendo, vista la possibilità per Ciancimino di diventare un collaboratore. A questo punto la direttrice dell’Ufficio prima diretto da Falcone chiede a De Donno di riferire del contatto a Paolo Borsellino, o comunque di informare l’autorità giudiziaria. Informazione che non arriverà mai sul tavolo del magistrato.

L’ultima settimana di luglio ci sono nell’ordine un incontro alla caserma Carini tra Borsellino, De Donno e Mori. I due sono stati convocati dal giudice perché Paolo Borsellino vorrebbe continuare l’indagine “Mafia e appalti”, condotta in precedenza dallo stesso De Donno e su cui anni dopo si scoprirà giravano due versioni, di cui una ripulita dai nomi di imprenditori e politici nazionali. Tuttavia sia Mori sia De Donno, unici testimoni di quell’incontro, smentiscono la possibilità che si sia parlato dei contatti con Vito Ciancimino.

Ricorda Liliana Ferraro che successivamente a quel 25 giugno in cui sarebbe dovuto avvenire l’incontro tra Mori, De Donno e Borsellino, incontra il magistrato all’aeroporto di Fiumicino. Ferraro informa Borsellino della visita al ministero di De Donno, ma , lo stesso magistrato “non ebbe alcuna reazione, mostrandosi per nulla sorpreso e quasi indifferente alla notizia, dicendomi comunque che 'se ne sarebbe occupato lui”.

Ecco allora che sempre verso la fine di giugno, secondo il racconto di Massimo Ciancimino viene mostrato il famigerato ‘papello’. Le richieste di Cosa Nostra allo Stato per far cessare le stragi: i desiderata della mafia siciliana sarebbero scritti su un foglio di carta vergato da Totò Riina e verrebbe consegnato da Antonino Cinà a Vito Ciancimino. In questa occasione farebbe capolino anche il famoso “signor Carlo/Franco”, di cui parla Massimo Ciancimino, ma a cui lo stesso non è mai riuscito a dare un volto, ma solamente a indicarlo come appartenente ai servizi segreti.

Ecco le richieste del primo papello, su cui rimangono comunque molti dubbi, tutti espressi nell’ordinanza con cui la procura di Caltanissetta chiede il nuovo processo per la strage di via d’Amelio. Si legge infatti “Quanto alle analisi sulla manoscrittura, il c.d. papello, non è risultato essere riferibile né a Vito CIANCIMINO, né a Nino CINA’, né a Pino LIPARI, né al restante materiale offerto in comparazione (e, dunque, neanche a RIINA Salvatore)”, pertanto “emerge con chiarezza che ci troviamo di fronte ad un risultato probatoriamente nullo”. Per altro anche quel riferimento al “decreto sul 41-bis” suona prematuro, cosa che nemmeno la stampa aveva mai riportato, riferendosi, al massimo, all’articolo 19 del decreto Falcone, o decreto ‘306’.

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- Revisione del Maxiprocesso a Cosa Nostra

- Annullamento decreto legge 41-bis (carcere duro - Se il ‘papello’ è stato consegnato il 28 giugno, vi è in Cosa Nostra hanno dato attenta lettura al cosiddetto ‘decreto Falcone’, al tempo definito dagli addetti ai lavori come ‘306’. Il testo, pubblicato solo l’8 giugno 1992 in gazzetta ufficiale, vede il tema di 41-bis citato all’articolo 19 del decreto e prevede un aggiunta all’articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, cioè la sospensione “delle normali regole di trattamento penitenziario”. Tanto è che le cronache in quel periodo non parlarono praticamente mai di 41-bis, ma al massimo di “regime carcerario duro”, senza contare che il primo ‘41-bis’ comminato ai mafiosi risale al 20 luglio, giorno immediatamente successivo alla strage di via d’Amelio, ndr)

- Revisione legge Rognoni-Latorre (quella che introdusse il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso e le prime norme sul sequestro e la confisca dei beni, ndr)

- Riforma legge pentiti

- Riconoscimento benefici dissociati (della possibilità della dissociazione si discute negli ambienti di Cosa Nostra, e anche tra la politica, la società civile e la stessa amgistratura con gli investigatori. Una ipotesi a cui Paolo Borsellino è completamente contrario, ndr)

- Arresti domiciliari dopo 70 anni di età

- Chiusura super carceri

- Carcerazione vicino le case dei familiari

- Niente censura posta familiari

- Misure prevenzione sequestro non familiari

- Arresto solo fragranza (sic!) di reato

- Levare carburanti tasse come Aosta

Vi è poi la seconda versione del ‘papello’, cioè quella redatta di pugno da Vito Ciancimino. Una versione più presentabile, stilata grazie anche alla consulenza del figlio Giovanni, avvocato, il quale, sentito a Caltanissetta, confermerà le parole del padre “sono stato incaricato da persone altolocate di trattare con alcuni personaggi dell'altra sponda per evitare che questa sia una mattanza”. Così si arriva al ‘papello di Vito Ciancimino’, stilato di pungo dall’ex sindaco di Palermo e indirizzato a Virginio Rognoni, Nicola Mancino e al ‘ministro guardasigilli’, cioè Claudio Martelli, i quali riferiscono di essere estranei alle richieste. Allo stesso modo anche gli operatori del ROS escludono di essere mai venuti in possesso dei papelli.

VERSO LA STRAGE DI VIA D’AMELIO - In quei giorni Borsellino prosegue il suo lavoro e il primo luglio si reca dal neo-ministro Mancino, appena insediatosi al ministero dell’Interno al posto dell’onorevole Scotti. «Ci fu il tempo di una stretta di mano», ricorda Mancino dopo aver addirittura negato di aver incontrato Borsellino. Aliquò che accompagna il giudice conferma la circostanza dell’avvenuto incontro con l’allora ministro dell’Interno, al contrario Mutolo, il pentito che Borsellino stava interrogando prima di recarsi da Mancino, afferma di aver visto Borsellino agitato al ritorno. Il pentito afferma di aver chiesto a Borsellino il motivo dell’agitazione. Il giudice risponderà «che ministro e ministro, io ho visto Contrada e Parisi». Mancino è finito indagato dalla procura di Palermo che ne ha richiesto il rinvio a giudizio nell’ambito dell’indagine sulla trattativa con l’accusa di falsa testimonianza. Per i pm di Palermo Mancino sarebbe stato a conoscenza dei rapporti tra i ROS e Vito Ciancimino, mentre questi lo ha negato davanti ai magistrati nel febbraio scorso.

Pochi giorni prima dell’incontro con Mancino, e la circostanza è rivelata dai diretti interessati sentiti dalla procura di Caltanissetta, Paolo Borsellino incontra i pm Alessandra Camassa e Massimo Russo. I due riferiscono di aver visto Borsellino nel suo ufficio piangere: «In uno degli incontri – riferisce la dottoressa Alessandra Camassa - avvenuto in un giorno compreso tra il 22 ed il 25 giugno 1992, si verificò un episodio che mi impressionò, poiché per la prima volta in vita mia, a prescindere dal giorno della morte del dott. Falcone – vidi Paolo piangere […]Ricordo che Paolo - anche questo era insolito – si distese sul divano e, mentre gli sgorgavano delle lacrime dagli occhi , disse: “non posso pensare … non posso pensare che un amico mi abbia tradito”. Non chiesi spiegazioni perchè ero molto turbata per il pianto di Paolo e perché lì compresi che era molto addolorato e stupito per il tradimento di un amico, del quale, però, si comprendeva non aveva intenzione di rivelare l’identità».

Nello stesso periodo arriverà sul tavolo del procuratore capo Giammanco una nota dove si fa riferimento a un imminente attentato ai danni di Paolo Borsellino. Borsellino non ne sa nulla, è avvisato dal ministro della difesa Andò. «L’indomani – ricorda Agenese Piraino Leto, vedova di Paolo Borsellino - incontrò Giammanco nel suo ufficio – spiega ancora la moglie Agnese -, e gli chiese conto di questo fatto. Giammanco (i rapporti tra lui e Borsellino erano tesissimi) si giustificò dicendo che aveva mandato la lettera alla magistratura competente, e cioè alla Procura di Caltanissetta. Mi ricordo che Paolo perse le staffe, tanto da farsi male ad una delle mani, che – mi disse – battè violentemente sul tavolo del Procuratore».

In questo clima si inserisce la strage di via d’Amelio, una decisione definita <<anomala>>, in quanto troppo ravvicinata a Capaci e con la conseguenza di scatenare una reazione forte dello Stato. Stato che la sera stessa della strage, su cui sta approfondendo, proprio in virtù di quella accelerazione anomala la procura di Caltanissetta, applica i primi provvedimenti al 41-bis per i mafiosi, firmati dallo stesso ministro Martelli.

LE STRAGI DEL 1993 E LA QUESTIONE 41-BIS – Il 1993 è un altro annus horribilis. Ci sono le stragi di Roma, Firenze e Milano, che provocheranno altre vittime, feriti e danni anche al patrimonio artistico. Proprio nel 1993 si gioca, per la magistratura palermitana, la partita sul 41 bis. Il ministro della giustizia Giovanni Conso, subentrato a Martelli, dimissionario a causa dello scandalo per il ‘conto protezione’, non rinnova il carcere duro per oltre 300 detenuti. Sono pochi gli esponenti di spicco di Cosa Nostra presenti in quella lista, ma andava lanciato un “segnale di distensione”. Così definiva la non proroga dei 300 41-bis il direttore del DAP Capriotti in una nota del giugno 1993.

Il 10 agosto del 1993 la DIA redige una nota riservata che invia al ministro Mancino: «Gli attentati recenti potrebbero presumibilmente riferirisi alla ricerca di un pactum sceleris attraverso l’elaborazione di un progetto che tenda ad intimidire e distogliere l’attenzione dello Stato per assicurare forme di impunità». La nota prosegue e parla proprio di 41-bis «l’eventuale revoca , anche solo parziale, dei decreti che dispongono l’applicazione dell’articolo 41-bis potrebbe rappresentare il primo concreto cedimento dello Stato intimidito dalla stagione delle bombe».

Una nota comunque da leggere nella sua interezza in grado di aprire uno scenario illuminante per lo stato dell’arte delle indagini dell’epoca e una probabile saldatura, il pactum sceleris, tra poteri criminali presenti sul territorio nazionale.

relazione-dia-1993.pdf
http://www.linkiesta.it/sites/default/f ... a-1993.pdf

Conso dice di non aver prorogato i provvedimenti in perfetta solitudine e di non ricordare la nota firmata da Capriotti. Fatto sta che i provvedimenti rientrano e da gennaio 1994 si conclude la strategia stragista di Cosa Nostra con il fallito attentato allo stadio Olimpico di Roma ai danni dei Carabinieri. Successivamente, sempre nel gennaio, vengono arrestati anche i fratelli Graviano, fautori della linea stragista dopo l’arresto di Riina. Arresti che segneranno la fine del sangue in quel terribile biennio

nota_capriotti_giugno_93.pdf
http://www.linkiesta.it/sites/default/f ... gno_93.pdf

UN NUOVO PATTO DI CONVIVENZA TRA STATO E COSA NOSTRA E L’INDAGINE DI PALERMO - Secondo i magistrati di Palermo e Caltanissetta Borsellino venne percepito come un «ostacolo» alla trattativa, e per questo eliminato. Da qui il ricatto allo Stato di Cosa Nostra. Ricatto che nonostante la reazione con arresti e repressione non si sarebbe fermato. E’ proprio questo il teorema dei magistrati di Palermo, uno Stato vittima di una estorsione (da parte mafiosa), e di chi quella estorsione l’ha veicolata, cercando di stabilire un nuovo patto di convivenza tra Stato e Cosa Nostra saltato invece nel 1992 con il lavoro di Falcone, Borsellino e colleghi.

La pressione non si ferma e qui entrano in scena nuovi protagonisti che finiscono sul banco degli imputati nella nuova inchiesta palermitana: oltre a Calogero Mannino (primo interlocutore per l’inizio della trattativa), i Carabinieri (De Donno, Subranni e Mori) e il ministro Mancino, arriva anche Marcello Dell’Utri, che si propose come «interlocutore di Cosa Nostra» e, conseguentemente, quando salì al governo Silvio Berlusconi, fece arrivare sul suo tavolo del presidente del Consiglio «la ricezione della minaccia» di Cosa Nostra. Il personaggio cerniera tra Cosa Nostra e Dell’Utri è ancora quel Vittorio Mangano (l’ormai famoso ‘stalliere’ mafioso, assunto dall’ex premier nella sua villa di Arcore) che avrebbe portato la minaccia di uomini d’onore come Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca, prospettando «una serie di richieste a ottenere benfici di varia natura».

L’indagine della procura di Palermo è durata quattro anni e ha preso il via dalle dichiarazioni e dalle produzioni documentali di Massimo Ciancimino. Gli indagati dalla procura di Palermo sono dodici. In cima alla lista ci sono i padrini di Cosa Nostra Totò Riina, Giovanni Brusca, Bernardo Provenzano, Leoluca Bagarella e Antonino Cinà. Loro avrebbero condotto la trattativa lato Cosa Nostra. La lista prosegue con politici e rappresentanti delle istituzioni come Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno, personaggi di vertice del ROS dei Carabinieri, protagonisti secondo la ricostruzione dei pm per aver agevolato «un canale di comunicazione finalizzato a sollecitare eventuali richieste di Cosa Nostra», così come il «protrarsi della latitanza di Provenzano, principale referente mafioso della trattativa». Su questo punto è già in corso un processo che coinvolge Mario Mori e il colonnello Mauro Obinu.

Tra i personaggi della politica vi è poi Calogero Mannino, all’epoca ministro e secondo l’accusa apripista dei primi contatti con i boss e per aver esercitato, dopo le stragi del ’93 «indebite pressioni finalizzate a condizionare in senso favorevole a detenuti mafiosi la concreta applicazione dei decreti di cui all'articolo 41 bis dell'ordinamento penitenziario». Azioni che si sarebbero poi concretizzate, sempre secondo l’accusa con la mancata proroga dei 300 provvedimenti di carcere duro decisi dal ministro Conso nel 1993. Il tutto con il benestare del vicedirettore del DAP Di Maggio e del prefetto Parisi (entrambi deceduti); l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino, accusato di falsa testimonianza, il braccio destro di Silvio Berlusconi, Marcello Dell’Utri.

Risulta indagato anche Massimo Ciancimino accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, per il ruolo di ‘postino’ tra il padre e i capimafia, e calunnia nei confronti dell’ex capo della polizia Gianni De Gennaro, anche tramite un biglietto contraffatto attribuito al padre Vito, secondo cui lo stesso signor Carlo/Franco avrebbe risposto al nome dello stesso De Gennaro.

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Ancora aperte nell’indagine le posizioni di Rosario Piraino, agente dei servizi segreti, chiamato in causa da Ciancimino come collaboratore del fantomatico Carlo/Franco, a cui lo stesso Ciancimino non ha saputo dare volo e nome, e l’ex capitano Antonello Angeli, accusato da Ciancimino di aver trafugato una copia del ‘papello’ durante una perquisizione del 2005.


Leggi il resto: http://www.linkiesta.it/trattativa-stat ... z27Cmm8aQn



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"…stanno uscendo allo scoperto ora, amano annunciare cosa stanno per fare, adorano la paura che esso può creare. E’ come la bassa modulazione nel ruggito di una tigre che paralizza la vittima prima del colpo. Inoltre, la paura nei cuori delle masse risuona come un dolce inno per il loro signore". (Capire la propaganda, R. Winfield)

"Onesto è colui che cambia il proprio pensiero per accordarlo alla verità. Disonesto è colui che cambia la verità per accordarla al proprio pensiero". Proverbio Arabo

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Minacce di morte a Procuratore Ingroia
'Non e' la prima volta', commenta il magistrato. Di Pietro, episodio inqueitante

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26 settembre, 13:17

"Dopo gli avvertimenti 'istituzionali' e gli attacchi alla procura di Palermo e in particolare al procuratore aggiunto Antonio Ingroia, adesso arrivano le telefonate minatorie. Era prevedibile, visto il clima in cui, ad eccezione della società civile e di una piccola fetta della politica, tutti, persino alcuni colleghi, si stanno spendendo per isolare e delegittimare i magistrati antimafia della procura di Palermo". Lo ha detto l'eurodeputata e presidente della Commissione Antimafia Europea, Sonia Alfano, commentando la notizia di una telefonata minatoria giunta al centralino del Palazzo di Giustizia di Palermo.

CONTINUA>>>
http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche ... 33176.html



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"…stanno uscendo allo scoperto ora, amano annunciare cosa stanno per fare, adorano la paura che esso può creare. E’ come la bassa modulazione nel ruggito di una tigre che paralizza la vittima prima del colpo. Inoltre, la paura nei cuori delle masse risuona come un dolce inno per il loro signore". (Capire la propaganda, R. Winfield)

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La legge è uguale per gli altri

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http://www.beppegrillo.it/2012/12/la_le ... l#commenti

La magistratura serve a far rispettare le leggi. Nessuno è al di sopra della legge. La legge è uguale per tutti. Ci credete ancora? O vi sentite leggermente presi per i fondelli dopo il decreto legge ad Rivam per riaprire l'ILVA, e quindi far morire i tarantini di tumore, che smentisce una disposizione contraria della Procura? Vi sentite tutelati come cittadini a seguito della sentenza della Corte Costituzionale che dispone la distruzione dei dialoghi tra l'indagato Mancino per la trattativa Stato-mafia e Napolitano?

A cosa serve la magistratura se può essere smentita da un Clini o da un Passera qualunque? La magistratura, per definizione, dovrebbe essere soggetta soltanto alla legge, in caso contrario si supera il confine tra democrazia e dittatura. Se il governo per decreto può annullare una sentenza vuol dire che il confine è stato superato. Se un presidente della Repubblica, che per ruolo dovrebbe essere l'uomo più trasparente del Paese, si rifiuta di rendere pubblici i suoi dialoghi con un indagato (che da lui cercava aiuto) delegittima sé stesso e la carica che ricopre. Passo dopo passo, l'Italia sta diventando un'immensa marmellata, una maionese impazzita dove l'arbitrio è legge e la legge un accessorio. L’Italia è 72esima su 174 nel mondo, insieme a Montenegro e Tunisia, per la corruzione nel settore pubblico e politico. Ha perso tre posti nella strombazzata età dell'oro (bancario), nell'anno di Rigor Montis, nella classifica mondiale di Transparency: "Corruzione, opacità, scarsi livelli di integrità, uniti a deboli sistemi di controllo e valutazione non comportano “solamente” una mancanza di moralità ed eticità nella governance del Paese, ma hanno un impatto negativo devastante sull’economia e la credibilità dell’intero sistema Paese". Questo risultato deriva dalla continua ingerenza della politica nei confronti della magistratura, dei partiti che da vent'anni vogliono migliorare la macchina della giustizia per non farsi giustiziare. Vent'anni di leggi bipartisan per rallentare e impedire il funzionamento dei tribunali. Ora, però, si sono fatti più arditi, hanno capito che si può osare di più. Dal vecchio iter di leggi ammazza sentenze da discutere in Commissione e in Parlamento, si è passati al più immediato e comodo decreto legge e i magistrati sono rimossi o costretti al confino in Guatemala.



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"Onesto è colui che cambia il proprio pensiero per accordarlo alla verità. Disonesto è colui che cambia la verità per accordarla al proprio pensiero". Proverbio Arabo

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Thethirdeye ha scritto:


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Notare la stretta di mano... massonica?!? [8]



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Cita:
Atlanticus81 ha scritto:
Notare la stretta di mano... massonica?!? [8]


Azzz... non ci avevo fatto caso.... [:D]



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Tratto da:
http://www.ufoforum.it/topic.asp?whichp ... _ID=264749

Cita:
Wolframio ha scritto:

Imposimato: “Il Gruppo Bilderberg dietro alle stragi di Stato italiane”

15 gennaio 2013 – Il Gruppo internazionale Bilderberg implicato nelle stragi degli anni Settanta e Ottanta in Italia operate prima dai nuclei terroristici neri e poi dalla mafia. A rivelarlo è il Presidente onorario aggiunto della Suprema Corte di Cassazione, Ferdinando Imposimato, durante la presentazione napoletana del suo nuovo libro “La repubblica delle stragi impunite”.

Bilderberg ha deciso. Il dopo-Monti sarà Monti

“Ormai sappiamo tutto della strategia del terrore, che fu attuata dalla struttura Gladio (Stay Behind) in supporto ai servizi segreti (non deviati) italiani” conferma Imposimato “La strategia serviva a spostare gli equilibri politici da destra verso il centro-sinistra, verso sinistra ed era orchestrata dalla Cia”.


[BBvideo]http://www.youtube.com/watch?v=-8wizYyAuzc[/BBvideo]

Per i più curiosi, ecco alcuni dei partecipanti italiani che hanno preso parte agli incontri Bilderberg degli scorsi anni: Franco Bernabè, John Elkann, Mario Monti, Tommaso Padoa Schioppa, Paolo Scaroni, Giulio Tremonti (che ne uscì inorridito), Gianni Agnelli, Umberto Agnelli, Alfredo Ambrosetti, Emma Bonino, Giampiero Cantoni, Lucio Caracciolo, Luigi G. Cavalchini, Adriana Ceretelli, Innocenzo Cipolletta, Gian C. Cittadini Cesi, Rodolfo De Benedetti, Ferruccio De Bortoli, Paolo Zannoni, Antonio Vittorino, Ignazio Visco, Walter Veltroni, Marco Tronchetti Provera, Ugo Stille, Barbara Spinelli, Domenico Siniscalco, Stefano Silvestri, Renato Ruggiero, Carlo Rossella, Virginio Rognoni, Sergio Romano, Gianni Riotta, Alessandro Profumo, Romano Prodi, Corrado Passera, Cesare Merlini, Rainer S. Masera, Claudio Martelli, Giorgio La Malfa, Francesco Giavazzi, Gabriele Galateri, Paolo Fresco, John Elkann, Mario Draghi, Gianni De Michelis.

Source: Imposimato: “Il Gruppo Bilde...Stato italiane” | Imola Oggi



Forse sarebbe il caso di mettere in correlazione l'articolo di sopra
con questo qui sotto.... voi che dite?

Corte Costituzionale: le intercettazioni su Napolitano vanno distrutte

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http://www.ilmoderatore.it/2013/01/17/c ... tte-17146/

La Corte Costituzionale ha depositato la sentenza n.1/2013 sul conflitto di attribuzione tra poteri sorto tra la Procura di Palermo e il Capo dello Stato riguardante le intercettazioni telefoniche all’interno dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia. In essa si legge “Il Presidente della Repubblica deve poter contare sulla riservatezza assoluta delle proprie comunicazioni, non in rapporto ad una specifica funzione, ma per l’efficace esercizio di tutte”, inoltre, “Le intercettazioni oggetto dell’odierno conflitto devono essere distrutte, in ogni caso, sotto il controllo del giudice, non essendo ammissibile, né richiesto dallo stesso ricorrente, che alla distruzione proceda unilateralmente il pubblico ministero”.

A parere di alcuni una sentenza scontata. Il giurista Gustavo Zagrebelsky, in un editoriale di qualche tempo fa ne aveva anticipato l’esito sostenendo che quello tra Napolitano e i PM di Palermo non fosse una contesa ad armi pari in quanto se la Corte avesse dato torto al Presidente, sarebbe stata accusata d’irresponsabilità e cortigianeria.

Il procuratore di Palermo, Francesco Messineo accetta chiaramente la sentenza.“E’ ovvio – dice – che daremo esecuzione alla sentenza della Consulta nei termini enunciati dal dispositivo e invieremo al gip la richiesta di distruzione delle intercettazioni”, aggiungendo che “La distruzione come indicato dalla Corte, avverrà con la massima riservatezza, in un’udienza riservata e sotto il controllo del giudice”. Prova, inoltre a gettare acqua sul fuoco: “Non credo che la sentenza della Corte Costituzionale comporti un rischio per l’equilibrio dei poteri dello Stato”.

“Alcuni passaggi in punto di diritto di questa sentenza mi lasciano perplesso”, è ciò che ritiene Leonardo Agueci, vicario della procura di Palermo. Una sentenza che nonostante tutto rispetta, aggiungendo che “Il Capo dello Stato è punto di riferimento per tutti i magistrati che cercano la verità. Lui stesso ci ha esortato a continuare senza indugi nella difficile opera di contrasto alla mafia” (MAFIA? ndr).

Diverso è il pensiero dell’ex procuratore aggiunto, ora leader della lista Rivoluzione civile, Antonio Ingroia: “La Corte conferma il principio dell’assoluto riserbo che deve circondare le comunicazioni del capo dello Stato, principio al quale si è sempre attenuta la Procura di Palermo, e ribadisce altresì che solo il giudice e non il pubblico ministero può distruggere tali intercettazioni, come da sempre sostenuto dalla Procura”. Per Ingroia, la stessa sentenza “apre a un ampliamento delle prerogative del capo dello Stato, mettendo così a rischio l’equilibrio dei poteri dello Stato“.



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Ah ecco... l'intento imprescindibile di DISTRUGGERE le intercettazioni tra Mancino e Napolitano,
dopo questa ennesima notizia, sembra davvero avere un senso.... voi che dite? [8D]



Stato-mafia, il pentito Brusca:
"Mancino destinatario del papello"


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Secondo Giovanni Brusca l'ultimo destinatario delle richieste di Cosa nostra, fra le stragi del '92, era l'ex ministro dell'Interno che replica: "Mai ricevuto nulla". L'interrogatorio nell'aula bunker di Rebibbia, nell'ambito dell'udienza preliminare per la trattativa mafia-Stato. Lima sarebbe stato ucciso per colpire Andreotti: "Nell'aprile del '92 non avevamo preferenze politiche e neppure indicazioni. Volevamo solo distruggere la corrente andreottiana". In quei mesi, Riina avrebbe commissionato a Brusca anche l'omicidio di Calogero Mannino, incarico poi revocato

di SALVO PALAZZOLO

http://palermo.repubblica.it/cronaca/20 ... -51703307/

Giovanni Brusca in aula accusa l'ex ministro Nicola Mancino: "Era lui il destinatario finale del papello", il documento con le richieste di Cosa Nostra allo Stato per fermare le stragi. L'ex pentito ha deposto nell'aula bunker romana di Rebibbia davanti al gup di Palermo Piergiorgio Morosini, nell'ambito dell'udienza preliminare per la trattativa Stato-mafia, in cui è tra gli imputati. Il "papello", che conteneva le condizioni del boss corleonese Totò Riina, sarebbe stato affidato dai vertici di Cosa nostra all'ex sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino, nell'estate del 1992 in contatto con due ufficiali del Ros, il generale Mario Mori e il capitano Giuseppe De Donno. Dice Brusca: "Fra le stragi Falcone e Borsellino, Riina mi disse che le nostre condizioni non erano state accettate, e che era necessario dare un altro colpetto. In questo contesto, Riina fece il nome di Mancino".

L'ex ministro dell'Interno è imputato di falsa testimonianza nell'ambito dell'inchiesta sulla trattativa e ha sempre negato di aver mai saputo nulla del papello. Stessa difesa è stata avanzata dai carabinieri del Ros finiti sotto accusa.

La replica di Mancino. "Confermo quanto ho sempre sostenuto - ha detto l'ex titolare del Viminale, Nicola Mancino presente oggi nell'aula di Rebibbia - cioè che nel periodo in cui ho rivestito la carica di ministro dell'Interno non ho ma ricevuto, da parte di chicchessia, alcuna richiesta di alleggerimento del contrasto, che fu senza quartiere da parte dello
dello Stato, alla mafia e alle altre forme di criminalità organizzata".

Trattativa, chiesto rinvio a giudizio per 11 imputati
http://palermo.repubblica.it/cronaca/20 ... -50255374/

In aula, Brusca ha ricostruito la genesi della strategia stragista voluta da Riina. Dopo la conferma in Cassazione delle condanne del primo maxiprocesso, il capo di Cosa nostra decise l'omicidio dell'eurodeputato Dc Salvo Lima anche per dare "un segnale politico" a Giulio Andreotti, accusato dai boss di non essersi interessato per il buon esito del processo in Cassazione. Riina aveva anche dato ordine di uccidere l'ex ministro del Mezzogiorno, Calogero Mannino. Poi, il vertice corleonese revocò l'ordine di morte: "Mi dissero di fermarmi", spiega Brusca.

Secondo la Procura di Palermo, anche Mannino avrebbe assunto un ruolo nella trattativa: per il timore di essere ucciso, avrebbe chiesto ai carabinieri del Ros di attivarsi. E così sarebbe nato il dialogo segreto fra il Ros e Ciancimino.

L'ex ministro ha chiesto e ottenuto di essere processato col rito abbreviato e la sua posizione è stata perciò stralciata. Il suo processo inizierà il 20 marzo.

ARCHIVIO / Vent'anni fa l'omicidio di Salvo Lima
http://palermo.repubblica.it/cronaca/20 ... -31384313/

Salvo Lima, leader degli andreottiani in Sicilia occidentale, fu assassinato a Palermo il 12 marzo del 1992, e secondo le tesi della Procura venne eliminato per non aver garantito a Cosa nostra un esito positivo del primo maxiprocesso. L'agguato si consumò a poche settimane dalle elezioni politiche del 5 aprile del 1992. Con riferimento a quel voto, Brusca ha spiegato: "Nell'aprile del '92 non avevamo preferenze politiche e neppure indicazioni. Volevamo solo distruggere la corrente andreottiana".

FOTO / Le foto di famiglia di Lima finite al mercatino
http://palermo.repubblica.it/cronaca/20 ... -31386570/

(01 febbraio 2013)



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