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Quando la nostra Europa tornerà nelle strade - «L'orizzonte politico finale è chiaro: la definitiva rassegnazione collettiva.»
di Giorgio Cattaneo

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«Perché l’America è nata nelle strade», recitava il trailer del kolossal di Martin Scorsese, “The gangs of New York”. E l’Europa di Bruxelles dov’è nata, esattamente? In quali fogne? Nello scantinato di quale tenebroso alchimista? L’Europa vera, l’unica che conti, è da sempre interamente privatizzata. Porta il nome di European Roundtable of Industrialists. E detta ogni giorno le sue condizioni, le future leggi che già l’indomani puniranno i sudditi. Li emana, i suoi diktat, sicura di essere obbedita, all’istante, da servitori opachi e zelanti come José Manuel Barroso. Lui, il portoghese venuto dal nulla, che ai potenti di Bruxelles deve tutto. E’ l’uomo che dall’alto del suo palazzo guarda il suo Portogallo bruciare di rabbia e di fame, mentre, en passant, transita negli innocui salotti televisivi, incluso quello italiano di Fabio Fazio, a ricordare che anche l’Italia “può e deve” fare di più per amputare, senza anestesia, tutto quello che resta del suo stato sociale. Il vero benessere diffuso – infrastrutture, stipendi, servizi vitali – non si chiama più neppure welfare, ma direttamente “debito pubblico”. Sottinteso: è una colpa vergognosa, un problema, un male da estirpare. Come del resto il diritto a una vita dignitosa, a uno straccio di futuro.

Dopo vent’anni, ci si accorge all’improvviso che l’attuale Unione Europea è nemica, è interprete di una forma di barbarie particolarmente subdola e The Gangs of New Yorkdisonesta perché non urla le sue livide minacce di guerra e non sventola svastiche. Eppure ha tutt’altro scopo che la promozione dell’umanità. E’ un abile artificio autoritario, costruito con l’inganno. E’ la tomba dell’Europa democratica e popolare, assassinata e poi risorta dal nazifascismo. Non è il Parlamento di Strasburgo regolarmente eletto a governare il continente, ma uno sparuto clan di servitori, agli ordini della Ert e delle altre lobby onnipotenti, che infestano l’anonima capitale belga coi loro costosi uffici e i loro budget miliardari con un unico obiettivo: ordinare alla Commissione di ammantare di legalità le regole assolute del loro business oligarchico progettato per la grande crisi, in tempi di coperta corta. E’ il business della globalizzazione totalitaria e recessiva, in base alla quale retrocedere al medioevo quelli che fino a ieri erano cittadini e lavoratori, consumatori ingenui e inguaribilmente ottimisti.

Per tutti loro, miseri e volgari untermenschen, la ricreazione è finita: devono abituarsi all’idea. Lo stato di eccezione – la Grecia insegna – deve diventare la nuova, raggelante normalità. L’orizzonte politico finale è chiaro: la definitiva rassegnazione collettiva. Ci saranno proteste iniziali, grida, dimostrazioni. Ma poi sulle prime fiammate di insofferenza calerà la coltre quotidiana della fatica, il sipario del conforto televisivo fatto di favole, la maschera rassicurante dell’ultimo pagliaccio travestito da politico. E ciascuno, Barroso coi vertici di Ertlentamente, tornerà alla sua usuale solitudine, al deserto freddo da cui affrontare – senza più aiuti – l’atroce puntualità degli strozzini.

Ci saranno ancora grida, là fuori, ma per attutirne l’urto basterà chiudere le finestre, almeno per il momento. Chiudere le finestre e anche gli occhi, di fronte allo spettacolo quotidiano dei negozi che chiudono, delle aziende che licenziano, degli anziani che frugano tra gli scarti del mercato o mendicano smarriti la carità di una prenotazione per esami clinici nell’ospedale di quartiere martoriato dai tagli e trasformato in centro di primo soccorso per rifugiati di guerra. Così, sempre più velocemente, la mala pianta dell’odio concimata dalla paura ricomincerà a germogliare, rispolverando idiomi che credevamo sepolti per sempre nel cimitero della storia – noi incorreggibili italiani, voi maledetti tedeschi, i soliti presuntuosi francesi.

Dopo un sonno lunghissimo, molti studiosi e paludati accademici si risvegliano, e persino qualche politico comincia a rialzare la testa, a denunciare l’imbroglio, a segnalare il pericolo che incombe. Negli ultimi due anni – una manciata di mesi – le analisi si sono fatte acuminate, lo sguardo è stato messo a fuoco con crescente lucidità. Si spera nelle elezioni europee del maggio 2014, che forse saranno un primo vero avvertimento sulla necessità di un’inversione di rotta. Si inizia a delineare una meta – dal nome antico: democrazia – ma senza ancora disporre di una strategia per raggiungerla. Cioè strumenti di pressione, azioni politiche determinanti, rapporti di forza e Marine Le Penstrumenti da impugnare per costringere gli oligarchi a cedere il loro attuale potere assoluto.

L’unico leader occidentale disposto a scendere frontalmente sul terreno della rivendicazione diretta è Marine Le Pen, che minaccia l’uscita della Francia dall’Unione Europea e dalla sua prigione economica, la non-moneta privatizzata chiamata euro. Ma Marine Le Pen si appella alla nostalgia del suo popolo per la celebrata grandeur nazionale, e – per rimarcare identità elettorale e visibilità – non recede di un millimetro dalla antica crociata contro gli stranieri, cioè i poveri del sud e dell’est. Ancora vaga, suggestiva ma del tutto ipotetica, la proposta di candidare (virtualmente) il greco Tsipras alla guida di Bruxelles, per costituire un cartello organizzato, in grado di esprimere finalmente la voce legittima di centinaia di milioni di europei presi al laccio dai signori della crisi.

C’è poi un’altra Europa, che per fortuna non ha mai smesso di esistere. E’ l’Europa che sognavano anime isolate e profetiche come quella di Alex Langer, eretico pioniere dell’ambientalismo come frontiera democratica, basata sulla riconversione sostenibile dell’economia partendo dai territori, dalle filiere corte, quelle che possono contrastare i monopoli irresponsabili che oggi stanno facendo a pezzi il mondo, trascinandolo verso una guerra cieca e disperata. Erano sodali di Langer gli ambientalisti della piccola e periferica valle di Susa che lottarono con successo – insieme ai francesi – per bloccare i maxi-elettrodotti destinati a trasferire in Italia l’energia elettrica Alex Langerprodotta dalla vicinissima centrale nucleare di Creys-Malville, pericolosa perché prossima a Torino e continuamente funestata da incidenti.

Quei valsusini lottarono con successo, sempre insieme ai francesi, per scongiurare la costruzione di una nuova autostrada e un nuovo traforo che avrebbe devastato l’area alpina del Monginevro e la valle della Clarée, gioiello naturale transalpino al confine con l’Italia. Il comandante in capo, il sommo protettore politico di ogni grande opera infrastrutturale devastante e inutile, sul versante francese era un certo Michel Barnier, allora governatore locale. Le élite economico-finanziarie che ha servito con tanto zelo gli hanno garantito una super-carriera: oggi monsieur Barnier è il potentissimo “ministro delle finanze” della Commissione Europea.

Quell’Europa “nata nelle strade”, per la precisione lungo quelle che collegano Torino a Lione, aveva capito in anticipo molte cose. La prima, fondamentale: la politica, qualsiasi politica, non può che camminare sulle gambe delle persone comuni, disposte a battersi con onestà per affermare un’idea irrinunciabile di giustizia. Italiani e francesi manifestano insieme sui sentieri di Chiomonte, nelle piazze di Lione presidiate dalle forze antisommossa, e affrontano insieme la battaglia per salvare l’area naturale di Notre-Dames-des-Landes, in Guascogna, che la super-multinazionale Vinci vorrebbe asfaltare per far posto a un inutile, mostruoso aeroporto. Sono sempre loro, italiani e francesi, ad aver firmato nel 2010 la Carta di Hendaye, nel paese basco, per affermare che la comunità civile non può più tollerare l’abuso del Michel Barnierbusiness che devasta la Terra sulla base di ciniche menzogne, solo per arricchire una casta di super-predatori, protetti dalla copertura legale offerta dalla mafia di Bruxelles.

Questa Europa esiste, e a volte ha saputo far parlare di sé, nonostante la feroce interdizione dei media. Negare la verità, dice il generale Fabio Mini, è il primo vero atto di guerra contro tutti noi. Impegnarsi a farla circolare, la verità, oggi più che mai è una meta decisiva. Non solo per “fermare il mostro”, ma per costruire umanità e veicolare le idee necessarie a un’economia democratica, orientata al benessere. Pace, democrazia, convivenza, sostenibilità: oggi, nel delirio autistico del mainstream neoliberista, sembrano gli slogan di un programma eversivo e folle, nell’Italia cannibalizzata dai predoni e appaltata ai loro pallidi maggiordomi. Non è difficile, basterebbe dire: per tutti, o per nessuno. Di queste idee dovrà essere armata, la nostra Europa, quando tornerà nelle strade a dire che nessuno sarà mai più lasciato solo.

http://megachip.globalist.it/Detail_New ... lle-strade


Ultima modifica di Atlanticus81 il 03/01/2014, 14:37, modificato 1 volta in totale.


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MessaggioInviato: 06/01/2014, 16:53 
Elezioni europee 2014: forte il blocco degli euroscettici. Ecco tutti i partiti anti-Unione

Tra il 22 e il 25 maggio 2014 i cittadini dei paesi membri dell’Unione Europea saranno chiamati a votare per eleggere il nuovo parlamento. Si tratta delle ottave elezioni europee e le prime, dopo l’ingresso della Croazia nel luglio del 2013, con 28 paesi membri.

Nel corso del 2013 sono cresciute nella zona euro le forze contrarie alle politiche europee e alla moneta unica. Anche se i partiti euroscettici, molti diversi da nazione a nazione, non sono ancora riusciti a creare un fronte comune, probabilmente avranno un peso notevole nel nuovo parlamento europeo del 2014.

Il Consiglio europeo ha stabilito che le elezioni per la formazione del nuovo parlamento si terranno tra il 22 e il 25 maggio del 2014.

Con il metodo proporzionale, saranno eletti, 750 parlamentari più il Presidente. In realtà, al momento il parlamento è composto da 766 parlamentari perché l’ingresso della Croazia ha obbligato l’Unione a rivedere la distribuzione dei seggi.

Se le elezioni del 2014 si svolgessero seguendo il trattato di Lisbona, il numero massimo dei parlamentari eletti tornerebbe a 751. La distribuzione dei seggi è stabilita in proporzione alla popolazione dei
La geografia dei partiti euroscettici in Europa parla chiaro: la sfiducia nei confronti dell’Unione e della moneta unica è in crescita. La gran parte dei paesi ha nel proprio parlamento forze che si oppongono alle politiche europee o/e alla moneta unica, tanto che si parla di un possibile 25-30% di rappresentanti del nuovo parlamento europeo contro l’Europa.

La geografia dei partiti euroscettici in Europa parla chiaro: la sfiducia nei confronti dell’Unione e della moneta unica è in crescita. La gran parte dei paesi ha nel proprio parlamento forze che si oppongono alle politiche europee o/e alla moneta unica, tanto che si parla di un possibile 25-30% di rappresentanti del nuovo parlamento europeo contro l’Europa.

Se si avverasse questo scenario, dalle urne europee uscirebbe un europarlamento con forti correnti contrarie a se stesso, rischiando così l’ingovernabilità.

Le incognite in questo senso sono due e fanno ben sperare i sostenitori dell’Unione. Per prima cosa bisogna vedere se i partiti euroscettici minori riusciranno a superare le soglie di sbarramento dei sistemi elettorali nazionali. La Lega ad esempio, con la soglia fissata al 4% non è certo riesca a sedere nell’Europarlamento.

Nonostante la sfiducia comune nelle politiche europee, il peso dei nazionalismi e delle caratteristiche proprie di ogni partito euroscettico, rendono difficile la creazione di un blocco comune anti-europeo.

Secondo un sondaggio di ScenariEconomici, il 49% degli italiani sarebbe favorevole al ripristino della Banca d’Italia e al ritorno alla moneta nazionale.

Secondo un’indagine Gallup la fiducia dei cittadini nell’Unione sta crollando tanto che i sostenitori dell’euro si attestano al 40%, mentre gli euroscettici avrebbero toccato quota 43%.

Il Fattoquotidiano.it ha proposto un’interessante mappa con i principali partiti euroscettici dei paesi membri.

Immagine

In Italia Movimento 5 Stelle, Lega e attualmente anche la rinnovata Forza Italia portano la bandiera dell’antieuropeismo. Ognuno con proposte e alternative molto diverse tra loro, ma comunque uniti contro la moneta unica.

Mentre in Francia, Austria e Olanda i partiti antieuro, anch’essi abbastanza diversi tra loro, secondo i sondaggi si attestano primi partiti nazionali.

I numeri sembrano essere dalla loro parte. Gli euroscettici hanno tempo fino a maggio per creare un fronte comune che proponga dal cuore dell’Unione europea alternative all’Unione stessa.



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MessaggioInviato: 06/01/2014, 20:21 
atlanticus,vuoi vedere che cercheranno di disennescare la mina degli euroscettici,cominciando,via mezzi informativi,ad affermare che la ripresa e cominciata e menate varie....tanto x intortare........[:(!]


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MessaggioInviato: 07/01/2014, 12:35 
(Ci puoi scommetere!) [^]



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MessaggioInviato: 23/01/2014, 12:57 
Il pericoloso ritorno della guerra fredda... Bel nobel alla pace quello concesso alla UE...

Ucraina, ultimatum a Yanukovich: «Elezioni o pallottole in fronte»
Le parole di Klitschko: «Presidente, hai l’opportunità di risolvere questa vicenda senza spargimento di sangue»


In Ucraina si avvicina la resa dei conti tra le forze d’opposizione e il presidente Viktor Yanukovich. Le manifestazioni di piazza che proseguono incessanti da domenica, dopo la prima ondata a dicembre, quando il capo di Stato ha cancellato il processo di adesione del Paese all’Unione europea in favore di un accordo con la Russia, vanno avanti nonostante i divieti. Mercoledì sera i leader dell’opposizione hanno spiegato alla folla che un incontro con il presidente non aveva avuto esito positivo perché Yanukovich «non ha saputo fornire risposte concrete alle richieste», avvisando i manifestanti di prepararsi a una nuova offensiva della polizia. Poi è arrivata una breve tregua, concordata, ma la tensione rimane alta.

L’ULTIMATUM - Ora i protestanti hanno fissato un ultimatum: Yanukovich ha 24 ore per indire elezioni anticipate o le proteste saliranno di tono. Nei giorni scorsi si sono registrate almeno due vittime - secondo gli oppositori sono cinque - e oltre 150 feriti, con il governo che minaccia di usare la forza dopo aver emanato una legge che impedisce cortei e manifestazioni. L’opposizione e il governo hanno deciso una tregua, in attesa dell’esito di nuovi negoziati, fino alle 20 locali, le 19 italiane.

LA PALLOTTOLA IN FRONTE - L’ex pugile Vitali Klitschko, uno dei leader della protesta, ha invitato le migliaia di manifestanti ancora in piazza a Kiev a rimanere nel principale campo di protesta, in piazza delll’Indipendenza, in pieno centro, e ad astenersi da ogni violenza per le prossime 24 ore: «Tu, signor presidente, hai l’opportunità di risolvere questa vicenda. Le elezioni anticipate cambieranno la situazione senza spargimento di sangue e noi faremo di tutto per ottenerle. Domani (giovedì sera, ndt), se non saranno state concesse, andremo avanti insieme. E se sarà una pallottola in fronte, sarà una pallottola in fronte, ma in una onesta, corretta e coraggiosa maniera». Mercoledì sera in piazza testimoni riferiscono di almeno 40.000 manifestanti, a dispetto delle temperature rigide.

ARRESTATO GIORNALISTA RUSSO - La polizia ucraina ha arrestato un giornalista russo della testata online Lenta.ru, Andrei Kiselev, durante gli scontri. Secondo la testata il giornalista «è stato picchiato» e «non si hanno informazioni su dove sia».

MOSCA: NO A INGERENZE STRANIERE - Mosca dimostra la sua alleanza con Kiev deplorando l’«evidente ingerenza straniera» nella crisi politica e assicurando che non interverrà «in alcun modo» negli affari interni del Paese «fratello». Il Cremlino si è affidato al suo portavoce, Dmitri Peskov, con una intervista alla Komsomolskaia Pravda: «Non pensiamo di avere il diritto di intervenire negli affari interni dell’Ucraina in alcun modo. È assolutamente inaccettabile per noi interferire negli affari interni di un altro Paese». La Russia si è detta «dispiaciuta e sdegnata» per l’attivismo dei Paesi occidentali.

L’AMBASCIATA AMERICANA - Nel frattempo centinaia di persone hanno circondato l’ambasciata americana a Kiev lanciando uova contro la targa all’ingresso e cantando con cartelli che invitavano Washington a non immischiarsi negli affari interni dell’Ucraina. Secondo alcuni media si tratterebbe di «titushki», così come vengono chiamati i presunti provocatori pagati dal governo. Per l’agenzia Interfax, invece, la protesta sarebbe stata organizzata da un gruppo costituitosi di recente, denominato «Cittadini di Kiev per una città pulita» e contrario alle barricate in centro dei manifestanti antigovernativi. Mercoledì gli Stati Uniti avevano annunciato di aver revocato il visto ai «responsabili delle violenze» negli scontri.

http://www.corriere.it/esteri/14_gennai ... 1aa5.shtml

C'è un serio rischio di guerra civile in Ucraina... uno scontro dietro il quale ci sono gli interessi geopolitici degli USA (attraverso la UE) da una parte e la Russia dall'altra che non credo possa accettare questo continuo accerchiamento dei suoi confini.

La UE funge da "cavallo di troia" degli interessi USA nell'allargamento verso i paesi dell'est... che triste destino, per ciò che doveva essere l'Europa dei Popoli, essere diventato un mero strumento nelle mani della finanza internazionale e dei grandi capitali.

[xx(]



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MessaggioInviato: 23/01/2014, 18:22 
I francesi sono sempre meno europeisti. E gli operai vorrebbero l’uscita dall’euro
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gennaio 23, 2014 Rodolfo Casadei

Un sondaggio commissionato dal Monde rivela una crescente insofferenza verso Bruxelles e gli immigrati. Addirittura quasi la metà di loro si dice favorevole alla reintroduzione della pena di morte

parlamento europeoA Le Monde sono rimasti basiti. Che i risultati del sondaggio da loro promosso sulle “fratture” che attraversano la società francese non sarebbe stato incoraggiante per chi è politicamente collocato a sinistra se lo aspettavano. Ma non nella misura che le risposte alle domande poste ai francesi dall’istituto Ipsos-Steria, a cui è stata commissionata l’inchiesta, hanno rivelato.

Dunque, andiamo con ordine: solo l’8 per cento dei francesi ha fiducia nei partiti politici, solo il 28 nel parlamento, solo il 31 nell’Unione Europea; il 79 per cento ha fiducia nell’esercito e il 73 nella polizia, mentre l’”istituzione” più gettonata è la piccola e media impresa con l’84 per cento. Quindi le statistiche che mostrano la svolta conservatrice dei francesi: l’87 per cento di loro pensa che «l’autorità è un valore oggi troppo spesso criticato», il 78 dichiara «nella vita, mi ispiro sempre più ai valori del passato», il 74 dice che «in Francia si stava meglio in passato», il 62 per cento che «in Francia non ci si sente più a casa propria». Che gli stranieri che vivono in Francia siano troppi lo pensa il 66 per cento, e questo si riflette sul giudizio che i francesi danno del Front National, il partito di estrema destra sin dalle origini considerato xenofobo. Solo ormai un francese su due (51 per cento) lo considera «un partito pericoloso per la democrazia», il 47 lo considera «un partito utile», il 32 ritiene che si tratti di un partito vicino alle sue preoccupazioni (cioè votabile alle elezioni).

Premio Nobel per la pace all'Unione EuropeaNon solo l’estrema destra, ma addirittura la pena di morte esce sdoganata dal sondaggio: il 45 per cento dei francesi si dichiara favorevole a reintrodurla. Fra gli operai l’opinione favorevole al suo ritorno è plebiscitaria: 64 per cento!

È proprio fra le convinzioni degli operai e quelle dei dirigenti che in Francia si manifestano le più grandi fratture, quelle di cui si parla nel titolo del sondaggio commissionato da Le Monde: per il 68 per cento dei dirigenti la mondializzazione è un’opportunità, mentre il 74 per cento degli operai la considera una minaccia; secondo il 72 per cento dei dirigenti la Francia deve aprirsi di più al mondo d’oggi, mentre il 75 per cento degli operai pensa esattamente l’opposto. La massima distanza riguarda la questione della pena di morte: solo il 26 per cento dei dirigenti è favorevole a reintrodurla, contro il già citato 64 per cento degli operai. Il 74 per cento di loro ugualmente dichiara di non sentirsi più a casa propria in Francia, contro soltanto il 38 per cento di dirigenti che la pensano così.

Ma quella che esce peggio dal sondaggio è l’Europa: non solo ad avere fiducia nell’Unione Europea è rimasto appena il 31 per cento dei francesi, ma il 70 per cento vorrebbe arrestare la devoluzione di poteri dalla Francia alla Ue e cominciare a rinazionalizzarli. Solo il 17 per cento dei francesi desidera che si continuino a trasferire competenze e materie da Parigi a Bruxelles. L’uscita dall’euro è preconizzata solo da una minoranza del 33 per cento dei francesi, ma tale opinione è diventata già maggioritaria, col 52 per cento, fra gli operai

http://www.tempi.it/i-francesi-sono-sem ... uFPB_td7IU

la speranza e che tutto cio' sia visibile nelle prossime elezioni europee,x cercare di cambiaro questo nefasto scenario,creato dall'euro......[;)]


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A dirlo è l'intellettuale Noam Chomsky, il più grande linguista vivente. "Democrazie europe al collasso".
Il linguista e attivista politico simpatizzante anarchico Noam Chomsky è sempre stato molto critico con le "finte" democrazie dei Paesi occidentali.



Parole nette e decise quelle di Noam Chomsky, il maggior linguista vivente e filosofo, in Italia per il Festival delle Scienze all'Auditorium Parco della Musica di Roma dove approfondirà il tema dei linguaggi.

Nonostante i suoi 85 anni, Chomsky, uno degli intellettuali più ascoltati del pianeta, non cambia le sue idee che ha portato avanti per tutta la vita e continua a condannare i sistemi neoliberisti e neocolonialisti.

Le democrazie europee al collasso

In generale, "le democrazie europee sono al collasso totale, indipendentemente dal colore politico dei governi che si succedono al potere, perché sono decise da burocrati e dirigenti non eletti che stanno seduti a Bruxelles. Questa rotta - ha sottolineato Chomsky - è la distruzione delle democrazie in Europa e le conseguenze sono dittature".

Il neoliberismo

Il linguista ha parlato anche di neoliberismo come di "un grande attacco alle popolazioni mondiali, il più grande attacco mai avvenuto da quarant'anni a questa parte" e di new media, sottolineandone uno degli aspetti negativi che è "la tendenza a sospingere gli utenti verso una visione del mondo più ristretta perché quasi automaticamente le persone sono attratte verso quei nuovi media che fanno eco alle loro stesse vedute".
(RaiNews24)

http://www.wallstreetitalia.com/article ... monti.aspx

di certo quando le grandi decisioni sono affidate a personaggi manco eletti dal popolo,la democrazia e' alquanto menomata,si potrebbe affermare estinta......[:(!]


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Cita:
ubatuba ha scritto:



Il linguista ha parlato anche di neoliberismo come di "un grande attacco alle popolazioni mondiali, il più grande attacco mai avvenuto da quarant'anni a questa parte" e di new media, sottolineandone uno degli aspetti negativi che è "la tendenza a sospingere gli utenti verso una visione del mondo più ristretta perché quasi automaticamente le persone sono attratte verso quei nuovi media che fanno eco alle loro stesse vedute".



Dogmi.

Pensavamo di essercene liberati con l'umanesimo e l'età della ragione. Ma un nuovo dogma... una nuova fede oggi è stata in grado di rendere cieca la gente e sottometterla al mantra inneggiato dal mainstream internazionale...

Mi chiedo quante persone e quante nazioni devono ancora essere sacrificate sul 'rogo' della crisi economica prima che l'eresia della fine dell'Euro prenda finalmente il suo posto nella storia mettendo a tacere i dogmatici di un sistema economico ormai destinato al fallimento.



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atlanticus.il tutto finke' la gente avra' fette di prosciutto agli occhi,facendosi abbindolare [;)]


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Cita:
ubatuba ha scritto:

atlanticus.il tutto finke' la gente avra' fette di prosciutto agli occhi,facendosi abbindolare [;)]


Forse sì... Forse no... [;)]

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Marziano
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MessaggioInviato: 25/01/2014, 00:09 
Farage è assolutamente un politico da stimare



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Stellare
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MessaggioInviato: 28/01/2014, 09:05 
(notizia datata 18 Ottobre... un po' vecchiotta... quali aggiornamenti abbiamo al riguardo?)

LA CROAZIA DOPO 12 MESI DALL'INGRESSO NELL'UNIONE EUROPEA, E' TRACOLLATA. ADESSO VUOLE USCIRNE (VIVA)

Zagabria - A festeggiare, il primo luglio scorso, l’ingresso della Croazia nel club dell’Unione Europea in qualità di ventottesimo membro effettivo fu soprattutto l’élite politico-economica al timone di questa ex-scheggia della defunta Jugoslavia.A partire dalla coalizione di governo progressista al potere da due anni dopo il lungo dominio dei conservatori dell’HDZ per arrivare agli ambienti finanziari legati a doppio filo al mondo austro-tedesco.

Lo scetticismo dell’opinione pubblica, sconfitto da una non eccezionale mobilitazione degli entusiasti ( al referendum sull’ingresso nell’unione, svoltosi nel febbraio del 2012, si recarono alle urne non più del 44% degli aventi diritto) si è preso una sonante rivincita non più di un anno dopo allorquando, nell’aprile 2013, la scelta dei 12 fortunati destinati a rappresentare la piccola repubblica nell’europarlamento fu boicottata da 4 elettori su 5 stabilendo quasi un record storico di scarsa affluenza battuto solamente dal 16% della Slovacchia.Ma il misfatto era già stato compiuto ed i buoi erano già fuggiti dal recinto per finire nel vagone piombato di eurolandia.

La tentazione, quasi il bisogno fisiologico, di rientrare nell’alveo europeo dopo decenni di isolamento nel regime da caserma titino e nella difficile navigazione tra i marosi balcanici una volta ottenuta la libertà a prezzo di una breve ma sanguinosa guerra con il vicino serbo aveva prevalso sulle ragioni ed i timori dei più accorti oppositori. Ma , con ogni evidenza,ignorando bellamente la tempesta del debito che stava travolgendo il continente costringendo il padrone del vapore tedesco, assecondato dai docili burocrati dell’unione, ad imporre una draconiana terapia di austerity agli stati spendaccioni. A pochissima distanza dall’evento, molti osservatori interessati (fra cui proprio la business community teutonica) redigono un bollettino fallimentare sull’andamento di questi primi cento giorni di Zagabria nel suo nuovo ruolo di stellina comunitaria.

La Waterloo si sostanzia con i dati terrificanti dell’export locale, spina dorsale della piccola economia croata. Al -6% dell’ultimo semestre contribuisce il calo deciso fino a luglio ed il tracollo del -19% rilevato ad agosto. E tutto ciò nonostante il paese abbia deciso di rinviare l’adesione alla moneta unica europea cosa che avrebbe determinato un cataclisma addirittura peggiore. Con la disoccupazione oltre il 20% (la terza peggiore dopo Grecia e Spagna), il rapporto deficit-PIL ben al di sopra del fatidico 3%, la necessità di ricorrere alla procedura di salvataggio , come già messo in opera per la stessa Grecia, l’Irlanda ed il Portogallo, è più una certezza che un’ipotesi.

L’impressione che, a tirar le somme, si sia fatto il passo più lungo della gamba aleggia un po’ovunque; non che fossero mancati gli avvertimenti anche autorevoli: il campione dell’antieuropeismo Nigel Farage, per citarne uno, aveva a suo tempo tentato di dissuadere dal grave passo spendendosi a favore del no nella campagna referendaria. E così il prossimo Natale, festività ancora molto sentita nella cattolica Croazia, rischia di recare in dono la dannata sensazione di essere passati dalla padella jugoslava alla brace europea.

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