LA CORSA ALL'OROL'oro e i suoi perchè...
In un nostro precedente articolo intitolato “L’Oro: il metallo degli Dei” avevamo presentato una ipotesi in chiave paleoastronautica nel tentativo di comprendere e spiegare il motivo per il quale l’oro ha rappresentato per l’uomo del passato un elemento così prezioso. Un metallo da sempre associato alla sfera divina, ritenuto persino magico in talune culture, diventato in brevissimo tempo sinonimo di ricchezza e soprattutto di potere.
Citando il suddetto articolo: “… L'utilizzo di oro a scopi ornamentali viene menzionato nei testi egizi già fino dal faraone Den, della I dinastia, 5000 anni fa. L'Egitto e la Nubia avevano infatti risorse tali da renderli i maggiori produttori d'oro rispetto alla maggior parte delle civiltà della storia antica. L’oro, specialmente nel periodo di formazione dello stato egizio, ebbe sia un ruolo politico che economico: fu infatti uno degli elementi all’origine della divinizzazione del faraone e della nascita delle città…”
E’ pur vero che osservando le potenziali applicazioni del prezioso metallo ci si rende facilmente conto che l'oro risulta essere certamente più funzionale a una civiltà dotata di un livello tecnologico simile al nostro. Si pensi banalmente alle applicazioni nell’industria elettronica o nella ingegneria astronautica.
Un livello tecnologico che, osservando i retaggi di una perduta civiltà antidiluviana, non si esclude possa aver caratterizzato un segmento storico dimenticato dalla scienza tradizionale.
D’altronde interpretando gli antichi testi, in primis i miti sumeri, secondo una delle più note chiavi di lettura controcorrente, sembrerebbe che il genere umano venga creato dagli “antichi dei” (anche chiamati Anunnaki), proprio come forza lavoro destinata all’estrazione dell’oro, metallo fondamentale per la tecnologia di questi soggetti.
E sono sempre questi soggetti, come sostenuto nella nostra opera “Genesi di un Enigma”, a sancire un patto con gli uomini dopo il Diluvio Universale, evento che ormai anche la scienza associa alla conclusione del periodo glaciale di Wurm circa 12.000 anni fa, seppur ovviamente con i necessari distinguo. Un patto di concessione durante il quale la sovranità sul pianeta viene concessa all’Uomo, in attesa del ritorno degli “Antichi dei” e del conseguente “Giudizio”.
Ma cosa prevedeva questo patto? Forse che l’oro, considerata la preziosità dello stesso per i nostri Anunnaki aveva una qualche implicazione negli sconosciuti parametri di questo presunto patto? Forse che la funzione originale della nostra ‘creazione’ quali “servi degli dei”, utilizzando un’espressione confrontabile con le ricerche del ricercatore Biagio Russo, sia rimasta come fattore all’interno del patto?
Probabilmente non lo sapremo mai con certezza, ma una possibile risposta ci può essere data dalla lettura del quadro attuale di riferimento, partendo proprio dall’analisi della capacità estrattiva mondiale dell’elemento che avrebbe mosso gli Anunnaki a colonizzare il pianeta Terra.
Grazie al lavoro del Dott.Thomas Chaize ed in particolare al suo studio sulla produzione dell’oro in tutto il mondo descritta nella seconda edizione di "La produzione mondiale di oro” sappiamo che nel 2001, la produzione mondiale di oro ha raggiunto il suo record con 2600 tonnellate, da quel momento i volumi di oro estratti dalle miniere del pianeta non hanno mai eguagliato il quantitativo prodotto nel 2001.
Il Dott.Chaize è esattamente da 4 anni che annuncia la caduta nella produzione mondiale di oro; nel 2008 le miniere d'oro nel mondo hanno registrato molte difficoltà a mantenere il loro livello di produzione.
Sebbene nell’'anno 2007, con un volume di circa 2500 tonnellate estratte, abbia registrato una leggera crescita del 1,1% rispetto al 2006, si era ampiamente indietro rispetto al record del 2001.
Dal 2005, vi è stata una piccola ripresa della crescita della produzione mondiale di oro da 2440 a 2500 tonnellate, ma è importante evidenziare come nel corso dello stesso periodo il prezzo di un oncia di oro è passato da 400 dollari a più di 900; il che significa che se la produzione è aumentata del 2% dal 2004 il prezzo di un oncia di oro è aumentato di oltre il 100%.
L'aumento della domanda tradotta nell’aumento dei prezzi avrebbe dovuto portare a una forte crescita della produzione per riportare il mercato in equilibrio, ma il trend dimostra che l’'aumento del prezzo di un oncia di oro non è stato sufficiente a salvare una produzione mondiale di oro strutturalmente condannata.
Chaize è convinto che il calo della produzione d'oro è un meccanismo irreversibile e che il vertice del 2001 non verrà mai più raggiunto.

Lo stesso trend viene confermato dall’analisi degli andamenti dei principali produttori d’oro nel mercato mondiale i quali registrano le seguenti percentuali rispetto al record registrato nel 2001: Australia (-10%), Sud Africa (-73%), Stati Uniti d'America (- 34%), Canada (-43%), Indonesia (-11), Perù (-26%), Russia (-5,8%), solo la Cina ha una produzione d'oro di sopra del suo più alto.
Alcuni analisti interpretano questo come un spazio per ulteriori progressi, Chaize lo considera come un segno di declino della produzione.


Dal 2001 i vecchi modelli esplicativi sono diventati obsoleti. Il perché è che l’oro ha già raggiunto il suo picco di produzione. E avendolo già raggiunto ora ci troviamo in una specie di “terra incognita”, “hic sunt leones”.
I costi di produzione si sono temporaneamente stabilizzati in alcuni paesi produttori dopo la crisi del 2008. Con un minimo calo (o stabilizzazione) dei costi di produzione per le miniere d’oro e il sensibile incremento dei prezzi stiamo ora assistendo ad un temporaneo incremento della produzione mondiale.
Ma questa è una specie di pausa che non modificherà il trend.
Strutturalmente nulla è cambiato.
Fra uno o tre anni da ora riassesteremo ad un calo della produzione globale, semplicemente perché nessun paese potrà eguagliare mai più le 1000 tonnellate/anno del Sud Africa negli anni ’60.
La produzione di oro è cresciuta di un fattore 2.1 fra il 1959 e il 2010.
Nello stesso arco di tempo la popolazione mondiale si è moltiplicata di un fattore 2.2. Quindi nel 2001 (anno del picco) abbiamo avuto una produzione procapite più o meno identica a quella del 1959.
Facendo il rapporto produzione mondiale di oro / popolazione si scopre che la produzione di oro ammonta a 0,36 grammi per abitante nel 2010, il che è piuttosto simile alla media che si ha per gli ultimi 100 anni (0,37 gr/abit).
Ma secondo le stime si pensa che gli abitanti del pianeta saranno 7,2 miliardi per il 2020 e intorno agli 8,2 miliardi per il 2030. Per avere un rapporto oro/ab pressoché stabile e un valore simile a quello dell’ultimo secolo sarebbe necessario che nel 2020 la produzione di oro fosse intorno alle 2800 tonnellate e sopra le 3000 tonnellate per il 2030.
Nel breve termine (1-3 anni) la produzione potrà, come discusso precedentemente, crescere e magari persino battere il record del 2001, ma fra 10 o 20 anni non potrà che essere minore per via delle quantità in uscita dalle miniere.
Cosa inevitabilmente succederà è che assisteremo ad un aumento della popolazione (escludendo guerre atomiche) e ad un declino della produzione di oro.

Quindi vedremo crescere la popolazione mondiale, crescere esponenzialmente la money supply, la quantità di banconote in circolo, mentre la quantità pro capite di oro declinerà. Fenomeno che, forse già previsto nei decenni passati, contribuì all’abbandono del Gold Exchange Standard, svincolando l’emissione di moneta dall’elemento fisico a garanzia della stessa, dando così il via libera alle speculazioni sui mercati monetari e finanziari di cui oggi forse paghiamo lo scotto più alto.
Secondo le logiche di potere diventa abbastanza chiara l’importanza per l’elite di comando concentrare il più possibile le riserve d’oro estratte fino a oggi e accumulate nelle riserve auree delle nazioni. Il 2001, caratterizzato da un volume di produzione non più ripetibile segna anche il “punto di non ritorno”, ovvero il momento in cui i piani dell’elite prendono la triste piega che caratterizza la nostra storia recente. E noi ricordiamo bene cosa accadde nel Settembre del 2001…
In sostanza, quando questi ‘signori’ realizzano che la produzione annua dell’oro ha raggiunto il suo apice e che può soltanto diminuire, contestualmente a un aumento della popolazione e del prezzo del bene in oggetto, diventa per loro impellente la necessità di chiudere il cerchio e realizzare il massimo vantaggio dalla situazione – forse anche considerando l’appropinquarsi di una profetica scadenza.
Come fare pertanto a riuscire a impossessarsi di tutte le ricchezze del mondo sottoforma del prezioso metallo senza turbare troppo l’opinione pubblica e possibilmente senza farsi capire, né tantomeno fare scoprire la finalità di queste operazioni?
La storia, questa volta quella tradizionale, ci può dare una mano. In particolare è proprio la storia d’Italia, fin dalla sua nascita, a fornirci i suggerimenti migliori.
Vittorio Emanuele II, il 17 marzo 1861, assunse il titolo di Re d'Italia in aperta violazione del trattato di Zurigo del 10 novembre 1859, in cui all'art. 3 veniva stabilito che " il re di Sardegna non cambierà affatto di titolo, oppure, se tiene a modificarlo, egli non prenderà che quello di Re del reame cisalpino", cioè dell'Italia settentrionale. Nonostante questo, la prima potenza europea a riconoscere il neonato Regno d’Italia fu, guarda caso, l'Inghilterra, il 30 marzo, proprio quell’Inghilterra che nel 1861 deteneva il primato del potere finanziario attraverso le grandi banche internazionali presenti nella city.
Il titolo di re d'Italia aveva un preciso intento politico: servì a sanzionare le annessioni compiute, ad annichilire la speranze di restaurazione dei principi deposti, ad arrogarsi la sovranità sulle Due Sicilie che venivano cancellate dal novero degli Stati europei, ed a mettere l'ipoteca sui territori del Papa non ancora usurpati e su quelli ancora sotto dominio austriaco.
Per quanto riguarda la politica estera, essa impose un gigantesco indebitamento verso le grandi potenze amiche: Francia e, esatto, ancora la solita Inghilterra. La sola spedizione di Crimea del 1855 causò un'esposizione che si riuscì ad estinguere addirittura nel 1902. "Ci fu un indebitamento colossale, coprire un debito con un altro debito, pagare una rata d'interessi facendo ancora un debito era diventato il sistema di governo: tra il 1849 e il 1858 il Piemonte contrasse all'estero, principalmente con il banchiere James Rothschild, debiti per 522 milioni - quattro annate di entrate fiscali.
La gestione della finanza pubblica del novello Regno d’Italia, invece di farsi carico di programmi di sviluppo del nuovo Stato, rincorse illusori obiettivi di "pareggio del bilancio". Per ottenerlo si imposero nuovi tributi, ci si affrettò a svendere sottocosto i beni demaniali e quelli ecclesiastici concentrati prevalentemente nel Sud con colossali profitti per gli acquirenti e cattivi affari per lo Stato.

Vittorio Emanuele II
Per quanto riguarda il Tesoro del nuovo regno d’Italia il contributo più alto lo pagò il Sud che, al momento della annessione, partecipò per i 2 / 3 alla sua costituzione (considerando anche il successivo apporto di Roma e Venezia).
Il capitale circolante delle Due Sicilie corrispondeva a 22 miliardi di Euro attuali ed era più del doppio di quello di tutti gli altri stati della penisola messi insieme. Le monete erano in metallo nobile e la differenza tra il valore intrinseco e quello nominale era garantita in oro mentre la lira piemontese, invece, lo era solo in rapporto 3 a 1, cioè su tre lire circolanti, solo una era convertibile in oro.
Riserva aurea, in milioni di lire, degli antichi Stati italiani al momento delle annessioni:
Due Sicilie: 445,2
Lombardia: 8,1
Ducato di Modena: 0,4
Parma e Piacenza: 1,2
Roma (1870): 35,3
Romagna, Marche e Umbria: 55,3
Piemonte: 27
Toscana: 85,2
Venezia (1866): 12,7
TOTALE: 640,7
640 milioni di lire dell’epoca, attualizzabili a circa 31,6 miliardi di euro sui quali, per via dell’indebitamento nei confronti di Francia e Inghilterra dovuto alla campagna di unificazione del Regno d’Italia, gravava già allora una sorta di ipoteca a garanzia dei debiti contratti.
Ciclicamente la storia si ripete. Potremmo citare altri casi analoghi nel corso della storia d’Italia, ma, per esigenze di brevità, veniamo subito a tempi più recenti, con un salto di circa 140 anni arriviamo a momenti storici molto più vicini, quasi di cronaca.
Nel 1992, una settimana dopo la strage di Capaci, e con esattezza il 2 Giugno 1992 , al largo di Civitavecchia, con gli onori di casa della Regina Elisabetta ospitati sul Panfilo Britannia Draghi, allora direttore generale del Tesoro, Carlo Azeglio Ciampi, in qualità di governatore della Banca d’Italia, si incontrarono con un centinaio tra rappresentanti della finanza anglosassone americana rappresentata da marchi quali Barclays, Warburg, azionista della Federal Reserve, PricewaterhouseCoopers – ex Coopers & Lybrand – Barings – oltre alla onnipresente Goldman Sachs ecc. e degli ambienti industriali e politici italiani. Era presente anche Costamagna, che diventerà dirigente della Goldman quando sua moglie finanzierà l'ultima campagna elettorale di Prodi.
Lì il mondo finanziario dettò le istruzioni su come privatizzare, per scelta obbligata, le industrie italiane statali. Con l’aiuto della stampa iniziò una campagna martellante per incutere il timore nel popolo italiano di “non entrare in Europa”, manco ne fossimo stati tra i Sei paesi fondatori, gettando diverse ombre sulle vicende di cronaca giudiziaria e di cronaca nera di quel periodo.

Il panfilo “Britannia"
“Manipulite” sembrerebbe essere avvenuta proprio in un momento opportuno per fare piazza pulita di una classe politica con velleità italiote, e per ottenere mani libere di fare entrare i governi dei “tecnici”, quelli che con i loro amici della Goldman e della Coopers ci avrebbero inculcato la “medicina” amara della svendita dell’IRI.
Di sicuro un Craxi, per quanto corrotto, non avrebbe mai siglato un patto così scellerato, quello di svendere tutto il comparto nazionale produttivo del paese (l’IRI ad oggi sarebbe stata la maggiore multinazionale al mondo e noi non saremmo un paese in svendita), lui che tenne testa agli americani nella vicenda dell’Achille Lauro, negando loro l’accesso al nostro territorio per attaccare i sequestratori della nave, terroristi palestinesi, e portando avanti le trattative con i terroristi nonostante il veto del presidente Reagan.
E, infatti, proprio qualche anno prima Craxi era stato duramente criticato dagli ambienti angloamericani, quegli stessi che non si privano mai d’interferire nella nostra politica interna, proprio di “ingerenza dello Stato in economia” - per voce dei loro accoliti Andreotti, Spadolini, Cossiga - perché aveva decretato la fine del mandato di Enrico Cuccia come presidente di Mediobanca, e perché si era opposto alla vendita dello SME, il complesso alimentare dell’IRI, negoziato direttamente dal suo presidente Romano Prodi ma smentita da una direttiva del Governo.
Ricordiamo inoltre che Berlusconi, la prima volta che arriva al Governo era stato preceduto da Carlo Azeglio Ciampi, e questi poco dopo essere diventato capo del governo, il 30 giugno del 1993 nomina un Comitato di consulenza per le privatizzazioni, presieduto da Mario Draghi, uomo Goldman Sachs, non a caso, oggi, arrivato alla presidenza della BCE.
Ciampi aveva proseguito la svendita del patrimonio italiano iniziata dal socialista Giuliano Amato, braccio destro di Craxi (inspiegabile miracolato dai giudici che provvidero a far piazza pulita della classe politica italiana di allora) e dal “lottizzatore” democristiano Romano Prodi; Romano Prodi venne così definito, per il suo comportamento quando era presidente dell’IRI, da Franco Bechis in un articolo pubblicato su Milano Finanza: “Prodi, all’Iri, lottizzò come un democristiano“. Sul tema delle privatizzazioni in Italia, invitiamo ancora una volta a leggere l’articolo di Eugenio Caruso su Impresa oggi: “Iri tra conservazione e privatizzazioni“
Oggi, con la crisi economica globale assistiamo all’ultimo attacco a danno del nostro paese e della sua riserva aurea.
L’Italia è un paese in crisi, in profonda crisi economica, con un debito pubblico praticamente impagabile, attorno al 120% del PIL e con le principali imprese del paese che a causa della caduta dei tassi di guadagno si stanno ricollocando altrove, in zone che permettono guadagni superiori a quelli dell’Italia. Ma l’Italia, pur in profonda crisi ha ancora tanti gioielli, molto appetibili e che le multinazionali anglo-americane sperano di “comprare” a prezzi stracciati.
Gli interessi dei globalisti e degli anglosassoni puntano a privatizzare quanto c’è rimasto da privatizzare in Italia: dall’ENI, di cui una parte è ancora in mano allo stato, così come pure l’Enel, oltre a Finmeccanica, Fincantieri, Trenitalia, Poste, Televisione pubblica, Ospedali e centri sanitari all’avanguardia nella ricerca, Università, Scuole e imprese municipalizzate, come quelle dell’acqua e della raccolta dei rifiuti.
A tutto ciò va aggiunto che l’Italia possiede un ricco patrimonio paesaggistico e ambientale, decisamente invidiabile e un ricchissimo patrimonio artistico; in Italia è concentrato il 60/65% di tutti i beni artistici e archeologici dell’umanità. A tutto questo va aggiunta una ulteriore ricchezza posseduta dall’Italia, di cui nessuno parla: il suo oro!
Nessuno ne parla, ma l’Italia ha la quarta riserva di oro del mondo, che allo scorso giugno ammontava a ben 2.451,80 tonnellate, che al prezzo odierno dell’oro equivale a circa 100 miliardi di euro. Solo FMI e due stati, USA e Germania, hanno riserve auree superiori alla riserva italiana.
L’oro è un prodotto altamente strategico destinato a rivalutarsi fortemente nel futuro inmediato, per cui questa ricchezza è molto appetibile.
In questo momento, l’oro italiano è il principale obiettivo su cui hanno messo gli occhi i globalizzatori.Quindi, l’Italia pur essendo un paese in forte crisi, possiede ingenti ricchezze. Come impossessarsi o meglio derubare queste ricchezze all’Italia ed al popolo italiano?
Approfittando dell’enorme debito pubblico, i grandi predatori con l’aiuto dei propri rappresentanti all’interno del paese, ovvero i liberisti nostrani, gli stipendiati di Goldman Sachs, FMI, BCE, Federal Reserve, World Bank, WTO ed affini faranno pressione per ridurre il debito pubblico attraverso la privatizzazione, la vendita, ovviamente a prezzi fortemente scontati, dei beni sopra citati.
Possibile che nessuno si opponga a tutto ciò? Sono certo che qualcuno che conosce i meccanismi della finanza che stanno dietro a queste speculazioni globali e che non si trovi d’accordo ci sia; ma altrettanto capisco la sua riluttanza a intervenire in modo chiaro e duro. Chi provò nei secoli a opporsi allo strapotere delle banche non ha vissuto abbastanza per realizzare del tutto il proprio progetto, da Lincoln a Kennedy, al nostro Aldo Moro.
Questo ci fa capire come, da decine di migliaia di anni, l’uomo si sia dimostrato capace di tutto per concentrare nelle proprie mani le ricchezze e le risorse disponibili. Nella preistoria si trattava di cibo, poi con l’agricoltura l’attenzione è passata alla terra, infine, già a partire dal Rinascimento, alle ricchezze e al potere che da esse ne potevano derivare. Ma un elemento è rimasto comune nel corso di tutti questi anni: l’oro.
L’oro è sempre stato punto di riferimento in questo, per tutte le civiltà della terra, anche se per i mesoamericani per esempio, esso non aveva valore economico, ma esclusivamente spirituale. Anche in quest’ultimo caso comunque chi possedeva l’oro possedeva il potere essendo l’oro rappresentazione metaforica della posizione privilegiata del sovrano o del sacerdote rispetto alla gente comune nel rapporto con la sfera divina.
Cosa possiede di tanto peculiare l’oro? Tornando alla nostra ipotesi iniziale possiamo giungere alla seguente conclusione possibile.
La corsa all’oro che si accompagna alla corsa al dominio che caratterizza da sempre la storia dell’uomo non è dovuta semplicemente all’avidità dei singoli o alla conquista del potere da parte dei gruppi di controllo (ieri i sovrani e gli imperatori, oggi le banche).
La volontà di concentrare nei propri ‘forzieri’, nelle proprie ‘casse’, enormi quantità d’oro potrebbe essere forse finalizzata a contrastare il ritorno degli “antichi dei” che crearono la razza umana proprio come forza lavoro da impiegare nell’estrazione del prezioso metallo.
Nell’ipotesi sostenuta dal Progetto Atlanticus coloro che oggi seguono la regia di questo ‘complotto millenario’ otterrebbero da questo un triplice risultato: sicuramente il dominio sull’intera popolazione umana… il “riscatto” del pianeta nei confronti di quegli Anunnaki, utilizzando il nome ad essi attribuito dalla mitologia Sumera, a cui forse l’oro era destinato, secondo i canoni del “patto di concessione” sancito da Enlil/Yahweh subito dopo il Diluvio Universale, e, infine, una posizione di vantaggio in vista dell’Armageddon profetizzato nell’Apocalisse di S.Giovanni.
Icke li definisce “Rettiliani”.
Ed è a questi ultimi, sempre secondo il Progetto Atlanticus, che interessa impossessarsi di tutte le riserve aurifere della Terra di modo da poter contrastare efficacemente il ritorno degli Anunnaki, i quali invece hanno bisogno del giallo metallo per alimentare la propria tecnologia.
Lasciarono la sovranità del pianeta all’uomo, con la richiesta forse di accumulare comunque il prezioso metallo in vista del loro ritorno, quale ‘riscatto’ del diritto di sovranità sul pianeta concessoci.
Questo forse spiegherebbe il motivo di tale passione inconscia nei confronti di questo metallo che ha caratterizzato tutte le civiltà umane.

Ma allora il nostro scopo come esseri umani su questo pianeta potrebbe essere riconducibile a una banale attività estrattiva nei confronti dei nostri padroni ‘occulti’? Noi crediamo invece che la consapevolezza di questa nostra condizione possa essere la chiave di volta per spezzare finalmente quelle catene che ci tengono legati, a nostra insaputa, al ruolo di servi, fatti “a immagine e somiglianza di…” quando potremmo essere “esattamente come...”
E questa sarebbe la volontà del dio Anunnako Enki, benevolente nei confronti dell’Uomo sua creatura, in contrasto con quella del fratello Enlil così come abbiamo avuto modo di approfondire nel libro “Genesi di un Enigma” e nel nostro blog “Le stanze di Atlanticus”.
D’altronde come Orwell fece dire al protagonista del romanzo distopico “1984”: “… Fino a che non diventeranno coscienti del loro potere, non saranno mai capaci di ribellarsi, e fino a che non si saranno liberati, non diventeranno mai coscienti del loro potere…” .
http://ufoplanet.ufoforum.it/headlines/ ... LO_ID=9719