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MessaggioInviato: 10/09/2013, 15:33 
Quella di Atlanticus mi pare una visione ottimistica. la realta' è ben diversa, Internet non fa la differenza, ignoranza e indifferenza prevalgono ovunque. Pochi sono quelli che vogliono informarsi, gli altri sono interessati ai siti di giochi d'azzardo online o cose del genere.

Shighella ha ragione. Se veramente fossero in difficolta' non continuerebbero con le scie chimiche che pochi notano e pochissimi denunciano.


Ultima modifica di Lukas il 10/09/2013, 15:37, modificato 1 volta in totale.

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MessaggioInviato: 10/09/2013, 15:37 
http://www.youtube.com/watch?feature=pl ... jr8IAM4cdw


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MessaggioInviato: 11/09/2013, 16:26 
[V]
http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/09/10/cina-nuove-regole-per-censura-online-galera-per-chi-condivide-falsita/707378/?n

Cina, nuove regole per la censura online: “Galera per chi condivide falsità”

La Suprema corte del popolo ha emesso le nuove linee guida sul controllo delle informazioni online. Molte le polemiche, ad essere criticate soprattutto le misure coercitive che portano anche fino all’arresto se un tweet o un messaggio ritenuto diffamatorio, viene inoltrato in rete per almeno 5000 volte o visto da più di 500 persone


di China Files per il Fatto | 10 settembre 2013

Sono in vigore le nuove linee guida emesse dalla Suprema corte del popolo e già cominciano le polemiche. Tra le norme più discusse si legge: “gli utenti internet che condividono informazioni false o che possano nuocere agli interessi nazionali rischiano fino a tre anni di galera se i loro commenti sono visti 5000 volte o condivisi e ripubblicati 500 volte”.

La settimana scorsa c’erano stati due editoriali del Quotidiano del popolo, giornale famoso per essere la voce del Partito fino, a volte, ad anticiparne le tendenze. E questo è proprio il caso. Mentre da una parte la scarcerazione con 15 mesi di anticipo dell’attivista Shi Tao (quello arrestato nel 2005 grazie a Yahoo che aveva consegnato le sue mail al governo cinese) aveva fatto ben sperare alcuni, sul giornale di partito si titolava: “Nel momento critico, sguainate le spade!”. Gli articoli interni spiegavano come la Cina fosse nel bel mezzo di una “lotta sulla sfera ideologica” e di come il campo di battaglia fosse lo spazio “caotico” di internet.

Lu Wei, il ministro dell’Ufficio statale per l’informazione Internet, in una lettera aperta dalla Gran Bretagna “il luogo di nascita del World Wide Web” si arrampica sugli specchi per tentare di disinnescare la notizia bomba per la libertà di informazione nell’ex impero di mezzo. Dapprima si lancia in un difficile parallelo tra il gentlemen britannico e il junzi di confuciana memoria per convincere che il regolamento altro non favorisce che una scontata “netiquette”. Poi si compiace nella constatazione per cui “il 20 per cento della popolazione mondiale controlla l’80 per cento delle informazioni” e infine parafrasando l’assunto di Bernard Shaw “libertà significa responsabilità” con un più concreto “libertà significa ordine”, sostiene la somiglianza delle policy e dei regolamenti britannici con quelli cinesi auspicando che “internet porti a tutti felicità e salute”.

La tendenza della nuova era del presidente Xi Jinping, che a novembre in molti avevano salutato come l’inizio delle aperture politiche oltre che economiche, era stata messa in evidenza già da Wen Yunchao, una delle voci più conosciute del mondo degli attivisti cinesi. Alla fine dell’estate aveva pubblicato un grafico in cui metteva in relazione gli ultimi eventi con gli arresti di dissidenti e attivisti. Seppure si tratti di un grafico incompleto (mancano i militanti legati ai movimenti “etnici” e ai gruppi religiosi come il Falun Gong) la lista degli arresti evidenzia con chiarezza in quale maniera il partito si stia comportando con chi gli si oppone.

Il nuovo regolamento non lascia adito a dubbi e mette partito e utenti di fronte a nuove contraddizioni. Come nota il professore di giurisprudenza Tong Zhiwei intervistato dal South China Morning Post, adesso la leadership si trova di fronte a un dilemma. “Da una parte i rumor online sono percepiti come una minaccia per la stabilità sociale; dall’altra internet sta diventando uno strumento indispensabile della campagna anticorruzione”.

Come al solito però sono i pesci piccoli ad essere più spaventati. Bisognerebbe non scrivere più nulla, notano in molti. Sfruttando questo nuovo regolamento infatti, ormai per mandare una persona in carcere basta condividere 500 volte un suo dubbio post.

di Cecilia Attanasio Ghezzi



Quanto tempo passerà prima che lo facciano anche negli USA e in Europa? immaginate! potrebbero censurare tutti i siti di informazione alternativa! tutti dovranno stare zitti e rispettare la versione ufficiale data dai MassMedia di informazione, roba da George Orwell del libro 1984...


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MessaggioInviato: 11/09/2013, 19:21 
Cita:
AgenteSegreto000 ha scritto:


Quanto tempo passerà prima che lo facciano anche negli USA e in Europa? immaginate! potrebbero censurare tutti i siti di informazione alternativa! tutti dovranno stare zitti e rispettare la versione ufficiale data dai MassMedia di informazione, roba da George Orwell del libro 1984...




Già...quanto tempo passerà? [:)]

Censura sul web: la Cina copia l’Italia

La Cina attua una stretta sulla censura on line varando nuove linee guida sul controllo delle informazioni sul web che la avvicinano al modello italiano.

In realtà una misura ancora ‘morbida’ rispetto alla legge Mancino. Inffati sono previsti si, fino a 3 anni di carcere se un tweet o un messaggio ritenuto ‘sensibile’ dal punto di vista etnico o religioso, ma solo se viene inoltrato in rete per almeno 500 volte o visto da più di 500 persone. In Italia basta un’unica pubblicazione, come dimostrato da fatti recenti.

Nel mirino delle anche i messaggi con informazioni ritenute ‘false’ – da giudici non certo democratici – che producano ripercussioni internazionali.


http://ilnichilista.com/2010/12/13/wiki ... a-in-rete/



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MessaggioInviato: 11/09/2013, 20:53 
..Galera per chi diffonde falsità? bhe nn sarebbe male...ma CHI decide cosa è falsità e cosa verità?
Un bel esempio è l'articolo postato da Agentesegreto, impostato nella rimarcazione del fatto che la Cina, per prima, stia operando forti censure al web, subito smentita dall'articolo seguente postato da wolframio..
Vai a capirci qualcosa!?! [8]
Continuo a sostenere la tesi dell'informazione presa col contagocce [:o)]
Guardarsi intorno (e anche in alto) uscire dal guscio e sentire a pelle quello che potrebbe essere [8]...



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MessaggioInviato: 11/09/2013, 22:21 
dunque OBama e Kerry dovrebbero essere arrestati se fossero cittadini ITaliani o CInesi Ho capito bene...



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MessaggioInviato: 12/09/2013, 00:09 
Cita:
MaxpoweR ha scritto:

dunque OBama e Kerry dovrebbero essere arrestati se fossero cittadini ITaliani o CInesi Ho capito bene...


Ce ne sarebbero di personaggi che diffondono falsità da arrestare, caro Max... anche in Italia!

[;)]

Il problema è che

"La menzogna diventa realtà e passa alla storia"

come ci insegna quel capolavoro di Orwell che è il romanzo "1984".

Romanzo il quale ci insegna anche che

"Tutti i documenti sono stati distrutti o falsificati, tutti i libri riscritti, tutti i quadri dipinti da capo, tutte le statue, le strade e gli edifici cambiati di nome, tutte le date alterate, e questo processo è ancora in corso, giorno dopo giorno, minuto dopo minuto. La storia si è fermata. Non esiste altro che un eterno presente nel quale il Partito ha sempre ragione."


Ultima modifica di Atlanticus81 il 12/09/2013, 00:10, modificato 1 volta in totale.


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MessaggioInviato: 14/09/2013, 12:58 
Il settore delle corporation e il controllo dell’informazione

Una delle più importanti decisioni politiche che una società prende è come controllare il suo sistema mediatico. Controllare significa affrontare le questioni della proprietà, della regolamentazione e delle sovvenzioni pubbliche. La proprietà potrebbe essere fondata su su governi, imprese, organizzazioni non governative o privati, potrebbe assecondare interessi volti al profitto o potrebbe non essere affatto orientata al profitto. La regolamentazione potrebbe essere realizzata dal governo, da agenzie no profit, da partiti politici, dagli utenti dei media e/o della pubblicità. Le ricerche mostrano come, una volta che i modelli di proprietà, regolamentazione, sovvenzione di un sistema mediatico sono stati compresi, non sia difficile capire gli errori e le pressioni esercitate su quello stesso sistema. L’analisi che segue spiega i vincoli imposti ai lavoratori del settore dei media, giornalisti e non, ed esplora l’entità dell’offerta per il pubblico.

Controllare il contenuto dei media

In teoria, una società sviluppa un sistema di controllo dei media che promuova valori condivisi e non trasmetta quelli ad essa estranei. Nelle società autoritarie i capi tengono uno stretto controllo sui media, sia attraverso il loro diretto possesso sia con una ferrea regolamentazione di contenuti. Un marchio di garanzia delle società democratiche è la mancanza di controllo governativo dei media, che sono, per una larga parte, indipendenti dallo Stato.

Così, dato che in mercati sempre più liberalizzati diventa normale per i media essere principalmente in mano a forze private, non si presta abbastanza attenzione al fatto che con una scarsa regolamentazione governativa il risultato non può che essere antidemocratico. Questo è particolarmente vero ogni volta che si vengono a generare situazioni di oligopolio, che vengono poste barriere all’entrata di nuovi soggetti nel mercato dei media, ogni volta che lo si rende competitivo, ogni volta che si permette a proprietari di media di usare il loro controllo per avvantaggiare gli interessi politici della classe dominante.

Questo è stato recentemente il caso del Venezuela, ad esempio, dove la stampa, solo apparentemente libera, ha attaccato il governo democraticamente eletto del populista Hugo Chavez con una ferocia ed una volontà di mentire che avrebbero fatto vergognare gli editori prezzolati della Pravda di Stalin.

Non c’è nulla di naturale nel gestire privatamente i media, non più di quando vi sia nella gestione pubblica. Anche una società capitalistica può decidere di avere un sistema mediatico prevalentemente non commerciale. Tutti i sistemi mediatici sono il risultato di politiche di governo dirette o indirette. Nel caso della diffusione radio e televisiva, via cavo o via satellite, il ruolo delle politiche governative è esplicito ed evidente. Quando un governo mette in vendita privilegi monopolistici in un ambito ristretto, non sta certo stabilendo i termini per una competizione, anzi, sta avvantaggiando i vincitori della competizione stessa.

Ma le politiche governative sono fondamentali anche negli altri settori dei media. Il diritto di riproduzione, ad esempio, che sta alla base delle pubblicazioni librarie, così come dell’industria dei film e della musica, è garantito dal governo e rafforza le politiche di oligopolio. Un altro esempio, è il primo emendamento della costituzione degli Stati Uniti, che garantisce ai giornalisti privilegi che nessuna altra categoria lavorativa ha. Più esplicitamente, il controllo governativo sulle grandi industrie e sulla legittimità dei profitti dovrebbe essere il punto di partenza di un moderno sistema commerciale di media. Come ci dimostra la storia, non c’è nulla di naturale in questi sviluppi.

Che tipo di regolamentazione, proprietà e sovvenzioni?

Un paradosso che si riscontra nei dibattiti sulle politiche dei media ed è l’uso dei termini “libero mercato” da parte dei dirigenti dei media per descrivere i loro affari e la loro filosofia politica. Spesso il termine libero mercato è proposto come alternativa a “regolamentazione governativa”. Questo è più che altro un artificio retorico e propagandistico, senza alcuna base credibile. Il mercato dei media non è affatto libero nel senso economico del termine. Molto spesso si tratta di mercati oligopolistici all’interno dei quali i governi hanno un ruolo chiave nell’avvantaggiare i giocatori più grandi e nel dare sovvenzioni, come pure nel definire le regole del gioco.

Quando gli amministratori delegati delle imprese di comunicazione si lamentavano della “regolamentazione governativa”, non si lamentavano di certo per la concessione del diritto di monopolio per l’etere. Quell’aspetto della regolamentazione governativa è per lo più gradito ed atteso e non vorrebbero mai vederlo terminare. Il tipo di regolamentazione governativa che non piace affatto ai dirigenti delle società dei media è la regolamentazione che riflette l’interesse della popolazione in generale piuttosto che il loro interesse privato. Così la contrapposizione non è mai fra libero mercato e regolamentazione, ma piuttosto sulle questioni relative al tipo di regolamentazione, al tipo di proprietà e al tipo di sovvenzioni.

Il bisogno del dibattito pubblico

Seguendo questa logica, è un imperativo che il dibattito sulle politiche dei media sia pubblico, forte ed esteso. Questo dibattito dovrebbe costruire una parte significativa della cultura politica di una sana democrazia. Più la partecipazione pubblica sarà aperta ed informata, più cresceranno le probabilità che le politiche risultanti siano davvero utili, più cresceranno valori democratici. Ad un livello nazionale, le questioni sui media hanno ricevuto attenzione diversa da nazione a nazione.

Proviamo a formulare due regole generali. Prima di tutto, più è genuina la democrazia politica più sarà probabile che ci sia un dibattito pubblico ed un interesse sulle politiche dei mezzi di comunicazione. In secondo luogo, gli interessi dominanti nelle industrie dei media, specialmente gli interessi delle società private, non danno alcun incentivo a questo dibattito.

Questi dirigenti preferiscono che il pubblico creda che il sistema dei media sia il naturale dominio delle grandi imprese. In una nazione come gli Stati Uniti, ad esempio, la combinazione tra una democrazia debole e media privati estremamente potenti ha fatto sì che le politiche sui media siano state sviluppate in modo assai poco democratico. Inoltre, la pubblica partecipazione nei dibattiti sulla politica dei media è resa ancor più difficile dal momento che i media stessi non si occupano per nulla della questione.

Con l’emergere di una globale economia di mercato, i problemi relativi alle politiche dei media diventano ancora più preoccupanti. Il settore dei media è diventato un’area importantissima per l’investimento capitalistico e una componente centrale della “globalizzazione”, intesa sia economicamente che ideologicamente. Mano a mano che l’importanza dei media è cresciuta, la definizione delle politiche relative è stata relegata in luoghi come l’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) o l’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale (WIPO), che sono esplicitamente concepiti per essere depositari degli interessi delle élites. Per questo, per coloro che sono interessati a promuovere una sana e forte società è cruciale stimolare un processo di formulazione di politiche sui media che sia democratico, così da fare in modo che il sistema risultante assecondi gli interessi della maggioranza della popolazione e non solo quelli dei potenti proprietari, delle corporations e dei loro amici.

Letture Consigliate:
- Robert W. McChesney, Rich Media, Poor Democracy: Communication Politics in Dubious Times (New York, The New Press, 2000)
- Georgette Wang, Jan Servaes & Anura Goonasekera (eds.) The new communications landscapes. Demystifying media globalization (London: Routledge, 2000)


http://www.peacelink.it/cris/a/2500.html

In questo contesto si inseriscono nuovi strumenti di comunicazione di massa che, come ricorda Gennaro Carotenuto nel suo libro
“Giornalismo partecipativo - Storia critica dell’informazione al tempo di Internet” destinato a chi si avvicina al mondo del giornalismo

Cita:

... Inutile negarlo: i 'media personali di comunicazione di massa' - decisamente più democratici dei media tradizionali e per nulla gerarchizzati, luoghi virtuali in cui è più facile manifestare il dissenso - hanno rivoluzionato il modo di fare giornalismo, offrendo, contemporaneamente alla crisi dilagante del giornalismo ufficiale, in cui la comunicazione avviene da pochi a molti, un modello se non alternativo, almeno parallelo, talvolta antagonista, forse meno ‘professionale’ e più passionale, comunque più libero, diffuso e partecipativo ('orizzontale'), da cui è e sarà sempre più difficile prescindere...


A questo punto allora mi chiedo, conosciamo già, più o meno, chi controlla i principali organi di stampa e di televisioni così come i grandi gruppi editoriali tradizionali.

Potrebbe allora essere interessante riuscire a individuare chi veicola le tre tipologie di informazione presenti online:
- Informazione
- DIS-Informazione
- CONTRO-Informazione (o informazione alternativa)


In questo modo, valutando qualità e tipo di informazione offerta, potremmo essere in grado di individuare nuovi Player C e forse anche qualche Player B!

[:p]



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MessaggioInviato: 16/09/2013, 17:35 
Cita:
shighella ha scritto:

..Galera per chi diffonde falsità? bhe nn sarebbe male...

Si potrebbe cominciare con i medici che diffondono il mantra scientifico
della chemioterapia.... tanto per cominciare......

http://www.ufoforum.it/topic.asp?whichp ... _ID=300357



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Euro Kaputt: l'evento censurato dai media

di: WSI Pubblicato il 16 settembre 2013| Ora 16:00

Dibattito tra economisti illustri per presentare l'analisi del professor Rinaldi: snobbati da giornali e Tv.

Il convegno è stato segnalato dal lettore enzosky, che ringraziamo.

ROMA (WSI) - "È una giornata di informazione quale ce ne dovrebbero essere tante". Cosi' ha esordito Claudio Borghi Aquilini all'inizio dei lavori dell'incontro di presentazione del libro "Europa kaputt, (s)venduti all'euro" del professor Antonio Maria Rinaldi. Il riferimento e' alla materia economica, che troppo spesso in Italia viene dibattuta con leggerezza e senza i dovuti approfondimenti dai media vicini ai cosiddetti 'poteri forti' in finanza e e politica.

L'Europa, che non tiene conto delle caratteristiche dei singoli stati membri, non e' quella che era stata indicata dai padri fondatori. Ma le autorita' politiche si guardano bene dall'ammetterlo. "In questo momento esiste una nazione che ha preso il potere egemonico del progetto dell'euro. Dal Trattato di Maastricht abbiamo svenduto il nostro Paese", ha spiegato il professore di economia Antonio Maria Rinaldi in un'intervista concessa all'Accademia della Liberta'. L'euro e' stato il compromesso per la riunificazione della Germania. "Purtroppo il sistema per potere realizzare il progetto non consente agli altri Stati di progredire".

"Il debito pubblico e' raddoppiato dal 1982 al 1994 per effetto dell'innalzamento dei tassi, perche' e' stato dato ai mercati il potere di determinarlo". Non e' stata colpa della spesa pubblica italiana, pero' come dicono i luoghi comuni, perche' in quel periodo e' aumentata del 0,8%, mentre in media in Europa e' aumentata del 3,6-4% (dati Bankitalia).

Ecco spiegata la parte del titolo del libro "(s)venduti all'euro". Il nome scelto invece per l'evento organizzato dall'Università "G.d'Annunzio" di Chieti-Pescara per presentare il testo è "L'Europa alla resa dei conti", non perché si intenda una resa dei conti militare, bensì perché avverrà inevitabilmente per via di un equilibrio instabile della situazione economica europea. Una situazione analoga a quella di una trottola che inizia a ballare e che non è possibile raddrizzare.

Oltre a Borghi e a Rinaldi, al convegno, trasmesso in streaming da Radio Radicale, sono intervenuti Giorgio La Malfa, presidente della Fondazione Ugo La Malfa, Paolo Savona, emerito di Politica Economica presso l'Università LUISS Guido Carli di Roma, Alberto Bagnai, docente di Politica Economica, Università "Gabriele d’Annunzio" di Chieti-Pescara, Vincenzo Scotti Presidente della "Link Campus University" di Roma, Anna Morgante, Presidente della Scuola di Scienze Economiche, Aziendali, Giuridiche e Sociologiche dell’Università G.d'Annunzio e Giuseppe Guarino, Emerito di Diritto Amministrativo presso l'Università degli Studi "La Sapienza" di Roma.

"Lo status quo attuale è momentaneo - ha dichiarato Borghi, docente di Economia degli Intermediari Finanziari, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, per introdurre l'evento per presentare il testo del professor Rinaldi. "L'informazione è quello che ci può salvare perché le decisioni che vengono prese devono essere il frutto della massima informazione possibile".



I media della carta stampata e le televisioni non ne hanno dato notizia. I relatori non sono demagoghi in caccia di voti facili, ma illustri professori universitari, che rispondono con i numeri alla falsa retorica imperante in Europa.

Nel libro, frutto di uno studio e di una ricerca scientifica, vengono citati fatti e vengono condotte analisi degli scenari della moneta unica. Rinaldi nega che si possa parlare di 'moneta', ma che si debba piuttosto affrontare il problema della povertà di idee strategiche.

Bisogna - questa la tesi del testo cosi' come viene raccontanta dai relatori, economisti indipendenti - discutere del futuro dell'economia europea, ma anche del continente nel suo insieme. Quando si parla di Germania, si concentra l'attenzione dentro ambiti settoriali, dimenticando per esempio una delle cose fondamentali, ovvero che "tra noi e la Germania ci divide profondamente il futuro di governance e di politica del mondo".

Berlino ha posto la sua candidatura al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, perpetrando un sistema analogo a quella del 1946. Mentre l'Italia ha sfidato l'Europa proponendo una riforma del Consiglio, dando peso alle nuove grandi aree in via di sviluppo, per andare verso una rappresentantiva' non nazionale ma mondiale.

Quella in cui viviamo e' una profonda crisi economica, con una rigidita' di contrapposizioni di scuole, ciascuna con una debole cultura economica in politica. "Sono vent'anni che il mondo affida ai mercati la garanzia e la composizione degli interessi e degli equilibri del mondo", ha dichiarato Vincenzo Scotti, Presidente della "Link Campus University" di Roma.

Tre filoni: quello dei massimilasti, con l'Europa degli Stati federali. L'altro che pensa all'Europa dentro lo schema delle nazioni. Fuori non c'e' alcuna creativita' su quello che e' accaduto dentro il continente.

http://www.wallstreetitalia.com/article ... media.aspx



ma qualke organo informativo cartaceo o televisivo,ha dato una benke minima informazione dell'evento???????????????? [:(!]

p.s. da seguire il video allegato............................. [:(!]


Ultima modifica di ubatuba il 16/09/2013, 18:14, modificato 1 volta in totale.

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MessaggioInviato: 16/09/2013, 20:54 
Cita:
ubatuba ha scritto:



http://www.wallstreetitalia.com/article ... media.aspx



ma qualke organo informativo cartaceo o televisivo,ha dato una benke minima informazione dell'evento???????????????? [:(!]



Per fortuna ci siamo noi per questo!

[:p]

La “credibilità” dell’informazione in Italia e il “servizio pubblico”

L’«informazione» oggi è un fenomeno molto articolato. In questa mia breve riflessione mi metto non dalla parte delle definizioni consolidate, ma provo a dare qualche indicazione sul magma che viviamo in un momento in cui la disponibilità di informazione sta crescendo in maniera esponenziale.

Immagine

Credo che occorra almeno distinguere l’informazione «trasmessa» (broadcasting) e quella «condivisa» (sharing nei network sociali). I due contesti generano due visioni della credibilità che sono molto differenti. Nel caso del brodcasting la credibilità è tutta centrata sull’autorevolezza e l’attendibilità di chi trasmette, cioè la testata. Nello sharing questo concetto è più complesso perché l’informazione è tale solo se condivisa all’interno di rapporti «credibili» e autentici. Si dovrebbe meglio parlare di «affidabilità» che è un concetto molto più relazionale e partecipativo. Non solo: nella condivisione è la relazione stessa ad essere «informazione» trasmessa, come ha notato anche Benedetto XVI nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazionidel 2011.

L’evoluzione del mondo dell’informazione sta decisamente virando, sotto la pressione del web 2.0, in questa seconda direzione. Per cui ormai è raro trovare una testata che non permetta la condivisione dei contenuti su Facebook, Twitter e ad altre piattaforme simili. Dunque anche il brodcasting (e il giornalismo «tradizionale») vive bene se è aperto allo sharing. Almeno parte della valutazione della sua credibilità è affidata alle relazioni.

In questo sistema una fonte è giudicata credibile quanto più è condivisa. E’ la logica del page rank di Google, ad esempio, che ha reso il motore di ricerca così di successo. Essa pone in alto nei risultati non i siti più cliccati, pensì quelli più citati. Ma pensiamo anche a piattaforme come Digg: chi si registra può segnalare una notizia e poi gli altri utenti possono votare a favore o contro di essa se la ritengono interessante o meno. Le pagine più votate vanno sulla homepage nelle sue varie sezioni, che così diventa il giornale on line delle notizie giudicate dal «pubblico» più interessanti.

E così il concetto di «pubblico» rischia lo slittamento semantico in quello di «popolare». In questo quadro il «giornalismo di servizio pubblico» risulta un concetto da chiarire in radice, non univoco o capace di essere compreso secondo la visione classica e consolidata. Il «servizio», ad esempio, oggi non indica più un contenuto informativo, ma l’accesso a un canale. Sempre più grazie all’interattività dell’informazione sfumerà la figura dell’«utente».

Il citizen journalism, ad esempio, a molti oggi sembra la formula più appropriata di «giornalismo pubblico» perché partecipativa. E stanno sviluppandosi dunque piattaforme, come l’Huffington Post (che per contatti ha ormai battuto il New York Times con i suoi 35 milioni di contatti al mese) o l’italiano Il Post, che aggregano contenuti che provengono dal giornalismo non convenzionale. Ma anche giornali intesi come content curation service per cui il «direttore» diventa il curatore di contenuti condivisi da persone a suo avviso affidabili e di cui è «amico» o follower sui network sociali. Grazie alla possibilità di usare i tag (oltre alla scelta dei «giornalisti») la selezione delle notizie può essere anche molto accurata e specialistica. E’ per questo che tempo fa ho creato il mio The CyberTheology Daily (http://www.cyber-theology.net). E’ proprio la dimensione partecipativa il «fine sociale» oggi sempre più in evidenza.

E dunque, per quanto strano possa sembrare, è il «giornalismo partecipativo» ad essere sempre più percepito, specialmente dalle giovani generazioni, come forma di «servizio pubblico». In questo contesto la questione della «credibilità» allora confina e s-confina con quella della «qualità» dell’informazione. La ricchezza quantitativa dell’informazione pone problemi in termini di qualità, infatti. Il rischio è quello di considerare moralisticamente la situazione attuale evidenziando i rischi e dimenticando le opportunità. Ma il rischio è parte integrante dell’innovazione. In ogni caso oggi la qualità non si può più imporre esclusivamente a partire da una autorità culturale predefinita. Il pubblico sta uscendo da una posizione passiva e sta mettendo sotto pressione l’ecosistema mediatico. La credibilità va dunque continuamente verificata e legittimata in un contesto di relazioni, e dunque diviene «affidabilità»; l’autorevolezza «competenza»; e dunque il giornalista un «testimone competente e affidabile».

http://www.cyberteologia.it/2011/12/la- ... 9MM87.dpuf


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atlanticus,noi possiamo pure allargare la fonte informativa,ma non vorrei che rimanesse una nicchia,mentre la grande informazione continua nel suo mestiere di indottrinare la maggior parte della popolazione.................[:(!]


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Cita:
ubatuba ha scritto:

atlanticus,noi possiamo pure allargare la fonte informativa,ma non vorrei che rimanesse una nicchia,mentre la grande informazione continua nel suo mestiere di indottrinare la maggior parte della popolazione................. [:(!]


Il segreto sta nel raggiungere la massa critica.

Il resto verrà da se.

Cita:

La scimmia giapponese Macaca fuscata, è stata osservata allo stato selvaggio per un periodo di oltre 30 anni. Nel 1952, sull’isola di Koshima, alcuni scienziati davano da mangiare alle scimmie delle patate dolci sepolte nella sabbia. Alle scimmie piaceva il gusto delle patate dolci, ma trovavano la sabbia assai sgradevole.

Un giorno una femmina di 18 mesi chiamata Imo scoprì che era in grado di risolvere il problema lavando le patate in un ruscello vicino.
Un giorno una femmina di 18 mesi chiamata Imo scoprì che era in grado di risolvere il problema lavando le patate in un ruscello vicino. In seguito insegnò questo trucco a sua madre. Anche i suoi compagni di gioco impararono a lavare le patate e lo insegnarono anche alle loro madri. Questa innovazione culturale fu gradualmente accolta dalle varie scimmie mentre gli scienziati le tenevano sotto osservazione.

Tra il 1952 e il 1958 tutte le scimmie giovani impararono a lavare le patate dolci per renderle più appetitose. Solamente gli adulti che imitarono i loro figli appresero questo miglioramento sociale, gli altri continuarono a mangiare le patate sporche di sabbia.

Poi accadde qualcosa di veramente notevole…

Possiamo dire che nell’autunno del 1958 vi era un certo numero di scimmie sull’isola di Koshima che aveva imparato a lavare le patate, non si conosce il numero esatto.

Supponiamo che un dato giorno, quando il sole sorse all’orizzonte, vi fossero 99 scimmie che avevano imparato a lavare le loro patate. Supponiamo inoltre che proprio quella mattina, la centesima scimmia imparò a lavare patate.

Alla sera di quel giorno praticamente tutte le scimmie sull’isola avevano preso l’abitudine di lavare le patate dolci prima di mangiarle. L’energia aggiunta di questa centesima scimmia aprì in qualche modo un varco ideologico!

A quel punto accadde una cosa molto interessante! Alla sera di quel giorno praticamente tutte le scimmie sull’isola avevano preso l’abitudine di lavare le patate dolci prima di mangiarle.

http://www.lorecalle.it/?p=187



Come per l'esperimento condotto sulle scimmie mi sembra di aver letto (e postato sul mio blog) di come sia sufficiente una esigua % di popolazione consapevole affinchè la viralità dell'informazione raggiunga tutti.

Vale il principio dei sette gradi di separazione.

Dobbiamo solo pensare che il raggiungimento della cosiddetta massa critica non sia così lontano. A quel punto il "Sistema" imploderà su se stesso!

[:p]



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Bisogna sfruttare la coscienza collettiva, nel momenti in cui una IDEA inizia ad avere un peso questa probabilmente inizia a circolare per più cervelli in maniera esponenziale, chissà magari siamo una rete anche se non lo sappiamo :>



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