Sud Pacifico, aumenta la rivalità tra le potenze occidentali e Pechino
La Cina sta ampliando la sua influenza nel Pacifico Meridionale a discapito della storica leadership dell’Occidente. Ciò è dovuto principalmente al taglio degli aiuti deciso da Stati Uniti, Australia e Nuova Zelanda verso i paesi insulari dell’area del Pacifico del sud e all’aumento dell’interesse cinese. Secondo quanto riportato da Asia Times, infatti, la Cina ha investito circa 209 milioni di dollari in aiuti annuali verso nove nazioni del Pacifico: Fiji, Timor Est, Papua Nuova Guinea, Samoa, Tonga, Niue, Isole Cook, Vanuatu e Stati Federati della Micronesia tra il 2006 e il 2016.
Canberra distribuisce circa 870 milioni di dollari l’anno, ovvero il 60% di tutti gli aiuti internazionali verso il Pacifico, ma i tagli sono dietro l’angolo: la Nuova Zelanda mette sul piatto 235 milioni di dollari e gli Stati Uniti 221 milioni. Pechino, tuttavia, presto avrà un ruolo fondamentale nel sostentamento del Pacifico, dato che Nuova Zelanda e Stati Uniti hanno vagliato dei tagli molto significativi, fino a un terzo del budget. L’Asia orientale e il Pacifico, infatti, riceveranno il 41,4% di finanziamenti in meno da parte dell’amministrazione Trump.
Australia furiosa con Pechino per gli aiuti verso il Sud Pacifico
Gli stati poveri del Pacifico del sud accolgono peraltro con grande favore la strategia di Pechino, che sfrutta il disimpegno americano voluto da Trump. L’Australia però non ci sta. Il mese scorso, Concetta Fierravanti-Wells, Ministro per lo sviluppo internazionale di Canberra, ha attaccato il programma di aiuti di Pechino nella regione, accusando la Cina di finanziare “strade verso il nulla” ed “edifici inutili”. “Vogliamo assicurarci che l’infrastruttura che la Cina sta realizzando sia effettivamente produttiva e fornisca concretamente qualche beneficio economico o per la salute alla popolazione”, ha affermato.
Toni più concilianti quelli del Ministro degli Esteri Julie Bishop, il quale ha sottolineato che ”accoglie favorevolmente gli investimenti nelle nazioni in via di sviluppo nel Pacifico che sostengono la crescita economica sostenibile e che non impone gravosi oneri del debito ai governi regionali”. Gli aiuti di Pechino vanno per il 40% al finanziamenti di infrastrutture e trasporti, poiché l’obiettivo è quello di incorporare la regione del Pacifico nell’iniziativa strategica della Nuova Via della Seta – Belt & Road infrastructure-building iniziative – lanciata dal presidente della Repubblica Popolare Xi-Jinping.
Un altro 20% va ai governi, alla società civile e all’istruzione: la Cina concede 850 milioni di dollari l’anno Forum delle Isole del Pacifico, il principale organo consultivo della regione, offrendo inoltre borse di studio e investendo nella formazione altamente specializzata.
Aiuti cinesi verso Papua Nuova Guinea e Isole Fiji
Secondo quanto riportato da Asia Times, la maggior parte degli aiuti cinesi vanno a Papua Nuova Guinea e Isole Fiji, paesi che che dispongono di interessanti potenzialità in fatto di materie prime: la Papua Nuova Guinea ha bisogno di un accesso migliore alle sue preziose risorse di rame, petrolio e oro, mentre le Fiji potrebbero eccellere nell’ambito forestale e agricolo. Per l’Australia, la strategia cinese rappresenta tuttavia una minaccia: “La maggioranza dei leader politici degli stati insulari sono ben consapevoli dei vantaggi e delle insidie degli aiuti cinesi”, sottolinea Anthony Bergin, analista presso l’Australian Strategic Policy Institute e ricercatore presso l’Australian National University.
La nomina del “falco anti-cinese” in Australia
Come annunciato la scorsa settimana, il prossimo Ambasciatore degli Stati Uniti in Australia scelto da Donald Trump sarà l’Ammiraglio Harry Harris, già comandante della flotta del Pacifico degli Stati Uniti nonché spina nel fianco di Pechino da tempi non sospetti. L’Ammiraglio è un accanito sostenitore della libertà di navigazione da parte degli Usa e dei suoi alleati nelle acque del Mar Cinese Meridionale e promuove una politica particolarmente aggressiva verso la Cina.
Ad agosto, il quotidiano cinese Global Times ha definito Harris il leader militare americano “più prevenuto” dalla Seconda Guerra Mondiale, accusandolo di cercare pubblicità e di “seminare discordia” con i suoi commenti “da falco”. La nomina di Harris è significativa poiché l’Australia è vista dagli Stati Uniti come il principale interlocutore nel Pacifico nella rete di intelligence Five Eyes, un accordo di condivisione delle informazioni che coinvolge anche Regno Unito, Canada e Nuova Zelanda. Falchi a parte, non c’è dubbio tuttavia che Pechino possa al momento beneficiare di una strategia occidentale confusa e contraddittoria nella regione.
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