4 dicembre docet
Dal "se perdo lascio" al "se perdo resto": metamorfosi renziane (prima della debacle?) Ormai Renzi l’ha capito da tempo: per tornare a Palazzo Chigi (almeno per ora) ci vorrebbe un miracolo. E, con l’aria che tira, sembra proprio che il miracolo non sia così vicino. Anzi. E così capita che il rampante segretario Dem si avventuri in frasi da prima Repubblica (che gli si addicono poco) del tipo: “Sosterremo un premier Pd” oppure “rimango segretario fino al 2021”.
Appunto, “rimango”. Questa volta Matteo ha voluto cautelarsi, dimostrando di aver compreso la lezione del 4 dicembre 2016, quando per tutta la campagna elettorale aveva ininterrottamente annunciato il suo ritiro dalla politica in caso di sconfitta. Ora no. Per scaramanzia? Può darsi, ma non solo. Il messaggio renziano è indirizzato ai tanti che, all’interno del Pd, hanno già da tempo iniziato a parlare di una messa in discussione del segretario dopo il voto e a guardare a Gentiloni come leader affidabile. Non a caso, gli endorsement dei big del centrosinistra (vedi Prodi) in queste settimane sono andati tutti al presidente del Consiglio.
E anche dagli pseudo alleati del Pd arrivano elogi al premier e, al contempo, segnali di distacco nei confronti del segretario Dem. “Io sto con Gentiloni. Con Renzi non c’è un rapporto e non si è creato in queste elezioni” ha dichiarato Emma Bonino. Non proprio parole dolci, dunque. Persino uno pacato pacato come il prodiano Santagata, leader della lista ulivista “Insieme”, arriva a dire: “Renzi non è un leader che unisce”. Mentre Gentiloni, vista l’investitura di Prodi, evidentemente si. E nemmeno la Lorenzin gliel’ha mandate a dire. A chi gli chiedeva se preferisse Renzi o Gentiloni, il ministro della salute ha risposto: "Renzi è il segretario del Pd, Gentiloni è il premier in carica. La coalizione sta andando al voto e andare al voto con questo governo in carica è una buona cosa". Chiarissimo.
D’altronde non si può certo dire che in questa strana campagna elettorale Renzi abbia tenuto tanto in conto i suoi “alleati”. Si è scandalizzato che nel centrodestra “litigano sempre” o “fanno fatica a fare una manifestazione insieme” ma alla fine lui con i suoi fa peggio: non li calcola. Non c’è stata una sola occasione per vederli insieme. E non ce ne saranno (ma i giornaloni questo non lo dicono). E non è un caso se Renzi continua a dire che “l’importante è essere il primo partito con il più grande gruppo parlamentare”. Dicendo così sembrerebbe che il segretario Dem non conosca bene la legge elettorale, proposta tra l’altro da un suo fedelissimo, Ettore Rosato. Il Rosatellum, infatti, favorisce la possibilità di costruire una coalizione, come accaduto nel caso di centrosinistra e centrodestra. In questo caso, però, a vincere non sarebbe un partito, bensì un insieme di partiti che ha deciso di stare insieme. Ma, appunto, l'obiettivo renziano è un altro e si è manifestato pienamente con la composizione delle liste, ovvero completare la renzianizzazione del Pd, emarginando ancor di più le minoranze. Renzi mira solo ad avere un folto gruppo di fedelissimi, in Parlamento e nel partito, per evitare qualsiasi scossone post voto ma soprattutto per avere mano libera ovunque.
Ecco perché riesce a dire a cuor leggero: “se perdo resto segretario”. A meno che a destituirlo, con una sonora sconfitta, non siano direttamente i cittadini italiani. E, anche qui, 4 dicembre docet.
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