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MessaggioInviato: 01/02/2018, 16:07 
Di conseguenza .... nun se sa mai ... [8D]


Gli Stati Uniti adesso aggiornano la più potente arma non nucleare



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La più grande arma non nucleare nell’arsenale dell’Aeronautica militare statunitense è stata aggiornata da Boeing.

“Con l’aggiornamento Enhanced Threat Response IV, la GBU-57 incrementa le sue capacità di penetrare le strutture in calcestruzzo temprato, in particolare quelle sotterranee”. Conosciuta come Massive Ordnance Penetrator, la GBU-57 rientra nella categoria dei sistemi d’arma bunker buster, pensati cioè per penetrare nel terreno e distruggere le strutture corazzate come bunker e tunnel in profondità.

MOAB

Uno dei più potenti sistema d’arma convenzionali nell’inventario degli Stati Uniti, la GBU-43B da 9800 kg (8500 dei quali di esplosivo ad alto potenziale di composizione H6), è stata sganciata il 13 aprile scorso su un complesso di tunnel del gruppo Khorasan affiliato all’Isis, nella provincia di Achin, regione di Nangarhar, in Afghanistan. La GBU-43 / B Massive Ordnance Air Blast, MOAB, è stata lanciata da un MC-130 appartenente allo U.S. Air Force Special Operations Command. Il sistema non perforante GBU-43 a guida inerziale su correzioni di rotta GPS, si stabilizza grazie ad alette direzionali ed esplode poco prima di raggiungere il terreno. La GBU-43 / B non è un sistema d’arma penetrante: è una bomba convenzionale (non nucleare) ad alto rendimento, generalmente utilizzata contro obiettivi morbidi in spazi ristretti come grotte o canyon. Il suo utilizzo è legato alla capacità di disintegrare le infrastrutture sotterranee grazie alla sua resa esplosiva equivalente ad undici tonnellate di tritolo.

GBU-57A / B

La GBU-57A / B da 30 mila libbre (14 mila kg) è progettata per essere imbarcata sui bombardieri stealth B-2. Indipendentemente dal suo schieramento nel globo, il Massive Ordnance Penetrator (MOP) non è mai stato utilizzato in combattimento. La differenza sostanziale tra la GBU-57A / B e la GBU-43 / B è l’esplosivo al suo interno. Il sistema MOP è strutturato su un corpo in grado di penetrare fino a 60 metri nel terreno prima di far esplodere i suoi 2400 kg di alto esplosivo al suo interno. E’ quindi la sua struttura che permette alla GBU-57 di raggiungere quasi tutti gli obiettivi HDBTs o Hard and Deeply Buried Targets. Il Massive Ordnance Penetrator a guida GPS è stato progettato per eliminare il 25% degli obiettivi sotterranei e profondamente sepolti in tutto il mondo. Con l’aggiornamento Enhanced Threat Response IV la capacità di penetrazione nel terreno (probabilmente anche la resa esplosiva) è stata incrementata. Il B-2 Spirit può trasportare due MOP alla volta (in corso test sui B-52). Il Massive Ordnance Penetrator (MOP) GBU-57A / B è dieci volte più potente del sistema BLU-109 che sostituisce.

FOAB

L’Aviation Thermobaric Bomb of Increased Power o ATBIP della Russia infine, conosciuta anche come Father of All Bombs (FOAB). Sebbene fisicamente più piccola della GBU-43 / B, ha una resa esplosiva maggiore equivalente a circa 44 tonnellate di TNT, quattro volte maggiore l’ordigno statunitense sganciato lo scorso anno nella provincia di Nangarhar, nell’Afghanistan orientale. L’Aviation Thermobaric Bomb of Increased Power è un’ arma termobarica. Il principio di funzionamento delle munizioni termo-bariche si basa sull’esaltazione delle capacità dell’esplosivo ad alto potenziale attraverso la combustione aerobica identificata nel terzo evento di detonazione. L’Aviation Thermobaric Bomb of Increased Power disperde una nuvola di ossido di etilene e alluminio prima di detonare. L’ossido di etilene è un gas infiammabile e incolore. Si espande rapidamente al riscaldamento, causando incendi ed esplosioni. Di per se, l’esplosione termo-barica è particolarmente indicata contro bersagli in campo aperto, ma se la stessa esplosione avvenisse in un bunker, la sua potenza potrebbe anche decuplicarsi. Il sistema russo è ritenuto il più potente ordigno convenzionale esistente al mondo. Con la sua resa esplosiva di 44 tonnellate, il sistema d’arma russo si “avvicina” al rendimento di un’arma nucleare tattica. La testata americana W48 ad esempio aveva una resa esplosiva di 70-100 tonnellate. Non dovrebbe mai essere stata utilizzata nel corso di un conflitto.

http://www.occhidellaguerra.it/gli-usa- ... nventario/



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 Oggetto del messaggio: Re:
MessaggioInviato: 03/02/2018, 13:29 
L'America punta sul nucleare contro "l'arma finale" di Mosca

Nel nuovo piano di Trump armi a potenza limitata per stare al passo con Putin

Se il doppio mandato di Obama era stato caratterizzato da una riduzione dell'arsenale nucleare, con l'avvento di Trump alla Casa Bianca qualcosa è cambiato.

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È il Washington Post a riportare come la nuova Nuclear Posture Review preveda lo sviluppo di nuovo dispositivi nucleare a potenza ridotta, in quello che gli americani hanno definito - per usare le parole del segretario alla Difesa, James Mattis, come "una risposta all'espansione russa della loro capacità" per quanto riguarda questi armamenti.

Le parole del segretario sono contenuto nell'introduzione al documento, che consta di 75 pagine e delinea la nuova strategia americana per i prossimi anni, che prevede per l'appunto di avere nell'arsenale armi leggere da poter montare su missili Trident, che sono in dotazione ai sottomarini atomici e come testata dei Cruise della Marina. Armi estremamente potenti rispetto a quelle convenzionali, ma che non violerebbero i trattati.

Washington inquadra la sua scelta come una risposta alle mosse di Mosca, che starebbe sviluppando un'atomica molto potente e impossibile da intercettare, un drone grande quanto un piccolo sommergibile in grado di provocare un'onda anomala da 50 metri contaminata da cobalto-60. Il potenziale distruttiva, va da sè, sarebbe enorme.

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/rus ... 90046.html

D'altronde, l'imbelle Obama, stava smantellando tutto ...
Con altre potenze nucleari in giro non è permesso ... [8D]



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 Oggetto del messaggio: Re:
MessaggioInviato: 06/02/2018, 22:19 
Cita:

The Jungle: il libro/scandalo che nel 1906 denunciò l’inganno del Sogno Americano

Il massimo fascino di certe importanti città risiede nel fatto che sembrano rappresentare la Storia meglio di mille ponderosi studi enciclopedici. Percorrendo alcune di esse, come Roma o Mosca o Parigi o Londra, ci si può immergere nella realtà dei secoli passati penetrandovi quasi per caso, e spesso senza neppure rendersene conto, se prima non si è letto almeno qualcosa sull’argomento.

La stessa cosa vale anche per altre di fondazione molto più recente, che portano scritta in modo indelebile tutta la Storia, per quanto breve, che le ha accompagnate. Un esempio di queste è Chicago, che fino alla metà del XIX secolo era solo un piccolo borgo (fu riconosciuta come municipalità nel 1833 con 350 abitanti) ma situato in una posizione favorevole allo sviluppo industriale e commerciale (quasi al centro del continente nordamericano, ma collegato all’Atlantico tramite il fiume San Lorenzo e i Grandi Laghi) e, per questo, ebbe uno sviluppo e una crescita enormi nel giro di pochi anni, alimentati da una fortissima emigrazione, proveniente soprattutto dal Nord Europa (tedeschi, scandinavi, baltici ed ebrei in primis).

Chicago nel XIX Secolo:

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La Storia di Chicago è, in breve, la sintesi della Storia della civiltà industriale. Chicago è la città in cui nel maggio del 1886 ci sono state le più significative manifestazioni degli operai per chiedere la giornata lavorativa di 8 ore, interrotte da una serie di attentati compiuti da agenti provocatori (forniti dall’agenzia investigativa Pinkerton) infiltrati dai padroni, che hanno fatto alcuni morti. La responsabilità di questi attentati viene attribuita, dopo un processo farsa, ai sindacalisti che avevano organizzato le manifestazioni e cinque di essi (quattro immigrati tedeschi e un americano bianco sposato a una donna di colore) sono condannati a morte. Uno si suicida in carcere prima dell’esecuzione e gli altri quattro finiscono impiccati l’11 novembre 1887 (è proprio per onorare la loro memoria che si celebra la Festa dei Lavoratori il Primo Maggio).

Chicago è la stessa città in cui nel 1893 si allestisce un’immensa Esposizione Universale (la “Fiera Colombiana di Chicago”, nata per celebrare i 400 anni dalla scoperta dell’America) che segna una pietra miliare nella storia dell’architettura e dell’urbanistica e finisce per rappresentare un immenso successo d’immagine ed economico, senza che nessuno si ponga il problema delle centinaia di operai morti in incidenti sul lavoro o per malattie contratte durante la bonifica delle paludi durante la costruzione della “Città Bianca”, l’enorme complesso edificato per ospitare l’evento (purtoppo interamente distrutto in un incendio alcuni anni dopo).

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L’Esposizione Internazionale di Chicago resterà nella Storia anche per i crimini commessi dal serial killer Henry Howard Holmes, che apre una specie di “albergo” nella propria casa e uccide oltre 200 persone tra i suoi ospiti, quasi tutti visitatori dell’Esposizione stessa, prima di essere scoperto.

All’inizio del XX secolo, Chicago è la metropoli in più rapida espansione di tutti gli Usa e probabilmente del mondo intero. Ed è a questo punto che diventa oggetto di una importante inchiesta giornalistica.

Upton Sinclair (1878-1968) ha cominciato a lavorare come scrittore collaborando con Jack London (gli forniva trame da sviluppare in romanzi o racconti) ma ha un’origine molto diversa da quest’ultimo: è nato in una famiglia benestante (anche se parecchio disastrata a livello affettivo) ed è stato un ragazzo prodigio, laureato a 18 anni, ottimo conoscitore di diverse lingue. Finisce per interessarsi anche lui di giornalismo e socialismo e nel 1904 va a Chicago, finanziato dal filantropo George Herron, per documentare le condizioni di vita dei lavoratori dell’industria delle carni conservate, uno dei maggiori business del tempo, concentrato nel quartiere di Packingtown, con le aziende principali (la Armour, la Swift e la Morris) che fatturavano milioni di dollari. Sinclair non si mescola a essi come London ma, anche da osservatore esterno, riesce a essere abbastanza lucido da non farsi sfuggire ciò che non viene mai detto nei rapporti ufficiali.

Una foto da un magazzino di Packingtown:

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Sinclair, nel 1905, non pubblica il suo lavoro come inchiesta giornalistica, bensì come un romanzo, intitolato “The Jungle – La giungla”. Qui si narra del “sogno americano” di un ragazzo figlio di immigrati di origine baltica, Jurgis Rudkus, e del suo misero fallimento. Tutti i sogni di Jurgis finiscono miseramente e non gli resta altro che lavorare in un macello, dove gradualmente si abbrutisce fino a diventare un ubriacone. Intanto, il suo matrimonio con la ragazza di cui è innamorato da sempre si sfascia, perché i figli muoiono uno dietro l’altro uccisi dalla miseria e infine la moglie preferisce andare a prostituirsi piuttosto che continuare a vivere con lui.

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Questa vicenda è il filo conduttore del libro, ma il tema vero è rappresentato dalla realtà in cui Jurgius lavora. Una realtà dominata dall’ossessione del profitto a tutti i costi e a qualunque condizione, in cui i lavoratori sono veramente sfruttati oltre ogni limite umano. Represse le agitazioni del 1886, lo sfruttamento è ripreso peggio di prima. Ma questo è solo un aspetto.

L’altro è il totale menefreghismo di ogni norma sanitaria, di ogni minima regola di controllo. I pochi funzionari pubblici che dovrebbero occuparsi di questi controlli sono malpagati e per nulla tutelati, dunque facilmente corruttibili e altrettanto rapidamente licenziabili se finiscono per pestare i piedi a qualcuno che ha amicizie influenti a livello politico. In pratica, sono semplici scribacchini che stanno lì a firmare documenti che attestano palesemente il falso.

Sotto, un ritratto giovanile di Upton Sinclair:

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La mancanza di controlli fa sì che negli insaccati e nella carne in scatola finisca praticamente di tutto. Topi e ratti morti sono una presenza normale, ma non di rado vi arriva pure la carne umana. Mancando qualsiasi dispositivo di sicurezza e con la lunghissima giornata lavorativa a inebetire gli operai, a volte capita che qualcuno ci rimetta una mano o un braccio che restano tranciati nelle macchine. Altre volte capita perfino che qualcuno cada negli enormi pentoloni in cui viene bollita la carne da inscatolare, e finisca inglobato in questa. Ma, anche se non ci fosse tutto questo, il cibo che viene prodotto sarebbe comunque malsano, perché ricavato dalle carni di animali malati, che spesso arrivano già morti e mezzo putrefatti ai macelli.

L’industria americana, peraltro, aveva già una solida tradizione di cibi in scatola particolarmente tossici. Durante la Guerra ispano-americana del 1898 (che aveva portato gli Usa a conquistare il dominio su Cuba, Porto Rico, le Filippine e le Hawaii), oltre la metà dei circa 2000 caduti americani era stata vittima non di combattimenti, ma di tossinfezioni alimentari.

Sotto, un fumetto mostra lo Zio Sam seduto in un ristorante che guarda il conto in cui sono contenuti “bistecca cubana”, “maiale Porto Rico”, “Isole Filippine” e “Isole Sandwich” (Hawaii):

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Si dice che il presidente Theodore Roosevelt, dopo aver letto “La giungla”, non mangiò più né insaccati né carni in scatola per tutto il resto della vita. A livello politico, il libro provocò uno scalpore enorme, ma destinato a esaurirsi nel “Pure Food and Drug Act”, il testo unico del Congresso sulla salubrità degli alimenti (1906), mentre per quanto riguarda le condizioni dei lavoratori ci si limitò a mettere al bando il lavoro minorile nel 1908, senza interventi né sulla riduzione degli orari né sulla messa in sicurezza dei luoghi di lavoro.

Sotto, una vignetta saritica mostra il presidente statunitense Roosevelt che distrugge l”investigazione” con i fumi della carne:

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Passano 90 anni e, nel 1998, la giornalista Barbara Ehrenreich decide di seguire l’esempio di Jack London (“Il popolo degli abissi”), di George Orwell (“Senza un soldo a Parigi e a Londra”) e anche di Sinclair, e si mescola a quel mondo di persone sole e disperate, soprattutto donne, che cercano di sopravvivere con qualunque lavoro. Il risultato della sua esperienza è il libro “Una paga da fame”. Non è il mondo descritto da Upton Sinclair in “La giungla”, ma neppure così diverso come ingenuamente speriamo; la sensazione è quella che stiamo ritornando a quello, piano piano e senza rendercene conto. Da allora sono passati altri 20 anni e le cose vanno sempre peggio.


https://www.vanillamagazine.it/the-jung ... americano/


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 Oggetto del messaggio: Re:
MessaggioInviato: 07/02/2018, 13:04 
"The Jungle: il libro/scandalo che nel 1906 denunciò l’inganno del Sogno Americano"

Strano, però tutto il mondo tende ad andare lì ...! [:291]

(Anche solo per studiare, compresi i figli dei nostri sinistroidi!) [:306]



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 Oggetto del messaggio: Re:
MessaggioInviato: 13/02/2018, 19:38 
[;)]

Se l'asse Usa-Russia è (sempre) indispensabile per gli equilibri mondiali


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Ma c’è uno scenario politico al mondo che sia realmente affrontabile senza una qualche convergenza tra Russia e Stati Uniti? “The administration chose instead to invite the directors of the three Russian intelligence services—the very agencies responsible for carrying out an attack on our election—for an unprecedented joint visit to Washington. To repeat: This is something that has never happened before in American history”. Michael Carpenter su Politico del 3 febbraio attacca l’amministrazione Trump per aver consentito un incontro a Washington dei vertici del Fsb, i servizi segreti russi, con quelli della Cia. In realtà non c’è uno scenario al mondo, a iniziare dal confine della Sira con una Turchia che bombarda i curdi in una zona d’influenza americana mentre il gruppo al Nusra, che ha avuto ambigui rapporti con Ankara, abbatte un jet russo in un’area lì vicina; non c’è una questione dalla Corea del Nord all’Iran, alle forzature che la Cina compie nel centro dell’Asia, nel mare del Sud della Cina, a Taiwan, nell’Artico; non ci sono soluzioni realistiche che, senza una qualche intesa almeno parzialmente strategica tra Stati Uniti e Russia, siano veramente perseguibili. Con buona pace dei Carpenter. E sperando che presto o tardi lo special counsel Robert Mueller consenta alla Casa Bianca di avere una vera politica estera.

La Repubblica in stile Le Monde Diplomatique non sa più come tenere antifascisticamente insieme i propri lettori. “È il giorno della piazza che divide e disorienta la sinistra in tutta Italia” scrive Alessandra Longo sulla Repubblica dell’11 febbario con di fianco un articolo di Guido Crainz che scrive: “Non dobbiamo solo impegnarci e indignarci per gli orrendi cori sulle foibe intonati a Macerata”. Interessante notare come il titolo a otto colonne a inquadramento di questi due articoli sia “Le piazze della sinistra: no ai nuovi fascismi”. Dall’insieme di titoli e articoli parrebbe che una parte delle sinistre in piazza ce l’abbia molto anche con quello che Marco Pannella chiamava il fascismo degli antifascisti. Scrivo parrebbe perché lo sforzo titanico in corso in Largo Fochetti per tenere insieme lettori che se ne vanno in due opposte direzione, è meritevole di lode per l’abnegazione, ma non per la chiarezza del risultato.

Gentiloni sceglie la postura adatta per trattare con l’asse franco-tedesco. “E’ importante che in Italia ci sia un risultato improntato alla stabilità e all’Europa” dice Paolo Gentiloni alla Repubblica dell’8 febbraio. Il presidente del Consiglio in carica ha scelto a che cosa ispirarsi nei suoi rapporti con l’asse franco-tedesco, trattasi della antica canzone di Gianni Morandi “In ginocchio da te”.

Il prossimo Tsipras sarà tedesco. “Kevin Kühnert, head of the SPD youth organisation, nailed it when he said it was horrifying that the SPD was talking about its own government jobs and not about policy” Con la sua abituale maestria Wolfgang Münchau sul Financial Times dell’11 febbraio spiega come Kühnert, capo dei giovani socialdemocratici tedeschi possa addirittura vincere il referendum di partito sull’aderire o no alla grande coalizione. La forza del messaggio di Kühnert è quella descritta dalla frase del Financial Times riportata: La Spd invece di mettere al centro la discussione sulle politiche, si è concentrata sui posti di governo. Sono ormai molti i partiti socialisti che con questa impostazione, privilegiare le dinamiche da ceto politico invece del legame con le basi sociali, si sono auto liquidati, dal Pasok al Psf. Forse questa sorte sarà risparmiata alla Germania dal leader degli Iusos.

https://www.loccidentale.it/articoli/14 ... i-mondiali



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 Oggetto del messaggio: Re:
MessaggioInviato: 15/02/2018, 11:48 
[^]



La “provocazione” della Russia: “Pronti a vendere gli S400 agli Usa”

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Sergei Chemezov non è soltanto uno dei principali collaboratori del presidente russo Vladimir Putin, con il quale si conosce già dai tempi del lavoro all’interno del Kgb a Dresda; egli è anche se non soprattutto amministratore delegato del gigante Rostec, una delle aziende dello Stato russo che porta maggiori introiti al bilancio occupandosi di produzione e vendita di armi, settore strategico e fondamentale tanto per l’economia quanto per determinare le manovre geopolitiche di Mosca. Nei giorni scorsi Chemezov è stato intervistato dal Washington Post e, nelle risposte fornite al quotidiano della capitale statunitense, ha tracciato un quadro della situazione tanto sulle future strategie della Rostec, quanto sui rapporti tra Mosca ed alcuni dei suoi “clienti” quali soprattutto i Paesi appartenenti alla Nato; il passaggio più importante dell’intervista è stato toccato quando si è parlato del sistema difensivo S-400, richiesto da diversi Paesi, anche alleati degli Usa.
“Possiamo vendere il sistema S400 anche agli Usa”

Anton Troianovski, il giornalista che ha intervistato Chemezov, ha incalzato il numero uno di Rostec sulla vendita del sistema difensivo russo ad alcuni quali Turchia ed Arabia Saudita: “Non c’è nulla di anomalo – ha risposto Chemezov – Quando la situazione politica nel mondo è tesa, ogni paese cerca di garantire la sua sicurezza e, naturalmente, di garantire la sicurezza del suo spazio aereo”. Non a caso, il collaboratore di Putin ha fatto riferimento ad una richiesta sempre più elevata di S-400 da parte di numerosi paesi, confermando anche i contatti con Turchia ed Arabia Saudita: “Abbiamo firmato un contratto con la Turchia – si legge nell’articolo – Abbiamo già iniziato la produzione e dovremmo iniziare le consegne nel 2019. E con l’Arabia Saudita, siamo in procinto di negoziare, ma nessuna decisione definitiva ancora”. Infine poi, il chiarimento circa gli accordi con paesi Nato e nazioni vicine agli Usa: “L’S-400 non è un sistema offensivo; è un sistema difensivo”.

Da qui, l’affondo che sa anche di provocazione: “Se Washington ce lo chiede, possiamo vendere anche agli Usa – ha spiegato ancora Chemezov – Non c’è davvero alcun problema dal punto di vista strategico. E non vedo alcun problema per la Russia dal punto di vista della sicurezza. Al contrario, se un paese è in grado di garantire la sicurezza del suo spazio aereo, si sentirà più sicuro. E quelli che potrebbero avere intenzioni di attaccare questo paese ci penseranno due volte”. Un discorso che, se da un lato sembra voler eliminare il tabù di scambi aventi ad oggetto armi tra Mosca e Washington, dall’altro sembra in qualche modo voler lanciare sul campo l’idea che il sistema difensivo messo in piedi dai russi sia più avanzato rispetto a quello americano, tanto da non scartare eventuali richieste da parte degli USA in futuro.
“Usa e Russia devono collaborare”

Nel corso dell’intervista, Chemezov ha anche parlato delle relazioni che si aspetta tra Washington e Mosca; se da un lato è stato sottolineato il pericolo del ritorno alla corsa agli armamenti, dall’altro però il numero uno di Rostec auspica un deciso miglioramento tra il governo di Trump e quello del presidente Putin. Sul primo fronte, Chemezov ha fatto chiari riferimenti ai trattati START sulla diminuzione degli armamenti nucleari in dotazione alla due superpotenze: “Questi trattati dovrebbero essere nuovamente oggetto di discussione, invece guardi che cosa sta accadendo: adesso gli Stati Uniti sono in procinto di adottare un nuovo programma e questo non faciliterà le cose”; sull’altro fronte invece, il collaboratore di Putin ha parlato soprattutto di medio oriente e della necessità di dialogo tra Russia ed Usaper stabilizzare i vari fronti ed evitare ulteriori avvisaglie di escalation, come invece sta accadendo in queste ore.

“Guardi cosa sta succedendo in questi giorni – ha tuonato Chemezov al suo intervistatore – Prima ristabiliremo normali relazioni tra Russia ed America e prima il mondo ne beneficerà: i fronti caldi oggi aperti sono davvero tanti”.

http://www.occhidellaguerra.it/la-provo ... -agli-usa/



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 Oggetto del messaggio: Re:
MessaggioInviato: 01/03/2018, 10:32 
Il nuovo sistema missilistico Usa contro droni e missili da crociera


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Le forze armate Usa presto avranno in dotazione un sistema missilistico mobile in grado di intercettare missili da crociera, droni ma anche razzi campali, proiettili di artiglieria e di mortaio.

Si chiama Integrated Fire Protection Capability Increment 2 (Ifpc Inc. 2) e rappresenta il primo sistema mobile di questo tipo al mondo.

L’Ifpc si basa sul nuovo veicolo ruotato MML (Multi Mission Launcher) che con la sua versatilità sarà in grado di montare diverse tipologie di missili in grado di coprire lo spettro di quasi tutte le differenti minacce aeree dei teatri di guerra moderni a differenza dei già esistenti “Avenger” e “National Advanced Surface-to-air Missile System” che non erano efficaci, ad esempio, contro i droni.

Attualmente il MML è infatti abilitato per poter lanciare missili Aim-9X “Sidewinder”, Miniature Hit-to-kill (Mhtk), i “Longbow Hellfire”, gli “Stinger” ed infine gli israeliani “Tamir”. Si sta anche testando la capacità di utilizzare armi ad energia diretta (laser) contro Uas e non è escluso che il futuro mezzo veda comprendere questa particolare capacità.

L’esercito americano ha già stabilito quale sarà l’arma principale del lanciatore MML – l’Aim-9X – ma, date le specifiche del sistema e soprattutto le esigenze operative dettate dalla diversificazione della minaccia, vuole abilitare una varietà di missili nel corso del tempo, e, ad esempio, ha scelto l’EMAM (Expanded Mission Area Missile) come secondo intercettore qualificato.

Si prevede che il costo complessivo del programma di sviluppo per i prossimi 5 anni ammonterà a 519,7 milioni di dollari con un’acquisizione in “blocchi” (block) e una low-rate initial production (Lrip) che comincerà nel 2023, anno in cui è anche previsto il raggiungimento della iniziale capacità operativa (per il “block 2”).

Il “block 1” vedrà una limitata serie di test nei primi quattro mesi del 2019 – a fronte di quelli già condotti fin’ora in particolare nel 2016 in cui il MML ha lanciato diversi tipi di missili – successivamente i passaggi per avviare la produzione in serie saranno a metà del 2020 con i test di valutazione iniziale fissati a metà del 2021. In particolare questa versione, ovvero quella antimissili da crociera e Uav, raggiungerà l’iniziale capacità operativa nella seconda metà del 2021.

L’Ifpc Inc. 2 è sicuramente uno dei maggiori programmi relativi alla difesa aerea degli Stati Uniti negli ultimi 30 anni. Il suo lanciatore a 15 celle, che potremmo definire “multiruolo”, è stato concepito appositamente per poter utilizzare ed integrarsi con i missili, sensori e sistemi di ingaggio esistenti e garantisce una difesa a 360 gradi potendo ingaggiare bersagli multipli con azimut differenti grazie a una capacità di elevazione che varia da 0 a 90 gradi. Ogni lanciatore è in grado di ospitare un singolo grande intercettore o diversi più piccoli ed opera in congiunzione con un Integrated Air and Missile Defense Battle Command System come unità di comando e controllo insieme ad un sistema radar Sentinel.

La minaccia dei droni, soprattutto se di piccole dimensioni e autoprodotti come nel recente tentato attacco alla base russa in Siria, assume sempre maggior rilievo presso i vari ministeri della Difesa soprattutto in considerazione della spendibilità e relativa facilità di impiego.

Non solo i russi hanno ben presente questa oggettiva pericolosità, anche in occidente si sono resi conto che nei campi di battaglia presenti e futuri la minaccia degli Uav/Ucav sarà sempre più contingente e stanno – lentamente – correndo ai ripari.

Come abbiamo già avuto modo di dire nei mesi scorsi le difese antiaeree dovranno intraprendere una evoluzione che riguarda la capacità di intercettazione dei droni (piccoli o grandi) non solo tramite armi cinetiche o con missili tradizionali, ma anche tramite armi ad energia diretta (laser) e con armi elettroniche: un piccolo UCAV, volando a bassa quota e a bassa velocità si comporta in modo del tutto diverso rispetto ad uno più grande o a un caccia ed è quindi difficile da inseguire ed intercettare; se poi si tratta di centinaia di piccoli droni è necessario che le difese siano molto flessibili ed in grado di compensare l’effetto di saturazione (laser e armi EM sono le più indicate in questo senso). Si parla anche di UAV anti UAV, ma le difficoltà date dal dover avere un sufficiente preavviso e dal sistema di dispiegamento di centinaia di piccoli droni anti drone richiedono uno studio molto approfondito.

Il sistema Ifpc dovrà quindi essere in grado di colmare molte di queste lacune, ma, come sempre accade, solo la prova del fuoco ne stabilirà la reale efficacia.

http://www.occhidellaguerra.it/sistema- ... -crociera/



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... I prodotti di ... Obama! [^]



Una nuova alleanza tra Iran e Russia che sfrutta il vuoto degli Stati Uniti


La guerra in Siria ha consegnato al mondo l’immagine di un’alleanza che non era affatto scontata fino a pochi anni fa: quella fra Iran e Russia. Ma questa alleanza, se prima era una partnership più tattica che serviva a entrambi per risolvere la crisi siriana prima che Assad fosse rovesciato dai gruppi armati dalle potenze contrarie al governo siriano, adesso rischia (per l’Occidente) di trasformarsi in qualcosa di molto più approfondito.

Le due agende politiche, quella iraniana e russa, non sono sovrapponibili, come spesso si tende superficialmente ad affermare. Mosca e Teheran sono due potenze che hanno avuto spesso interessi divergenti in Medio Oriente e sono sostanzialmente competitor in alcuni settori. La differenza però è che mentre negli anni passati l’Iran e la Russia avevano rapporti tutto sommato positivi con l’Occidente, o comunque in fase di ripristino (si pensi al periodo della partnership tra Russia ed Europa o lo stesso accordo sul nucleare iraniano), adesso la situazione è radicalmente cambiata.

La polarizzazione dello scontro fra Occidente e Oriente si sta facendo sempre più forte, rendendo di fatto quasi naturale per Iran e Russia ricollocarsi in una stessa posizione, proprio per evitare che i loro nemici comuni li colpiscano da più punti. La Siria per certi versi è stato il consolidamento di questa nuova alleanza, nata più per necessità che per amore e che adesso invece rischia di aver creato una partnership del tutto innovativa e problematica per gli stessi interessi occidentali nell’area mediorientale (e non solo)

La decisione dell’amministrazione Trump di contestare l’accordo sul nucleare iraniano del 2015 impone adesso un prezzo geostrategico molto alto. Perché unisce la ricerca di Putin di rendere la Russia una superpotenza con una sua larga sfera d’influenza alla volontà dell’Iran di sopravvivere e rafforzarsi di fronte alle sanzioni internazionali e all’assedio politico di Israele e del mondo arabo legato a Washington. E non è un caso che, da quando il presidente Trump è entrato in carica, Mosca e Teheran hanno condiviso politiche sempre più affini, legate al contenimento degli Usa e alla conseguente espansione della loro influenza sul Medio Oriente. Una perdita di leadership americana che ha consegnato la regione alla Russia e, in secondo luogo, all’Iran.

Interessanti, in questo senso, le parole di Kayhan Barzegar riportate da Robin Wright del Newyorker. ” ‘Due anni fa, erano stati gli Usa a inquadrare le questioni regionali, anche per l’Iran’, mi ha detto a Mosca Kayhan Barzegar, direttore dell’Istituto per gli studi strategici del Medio Oriente, a Teheran ed ex collega del Belfer Center di Harvard. ‘Ora è finita. Ora è la Russia che è molto allettante per gli attori regionali, per legarsi alla dinamica russa. Gli Stati Uniti hanno prodotto una confusione regionale. La Russia ha riempito il vuoto di potere.'”

La certificazione di un asse che va al di là del semplice tatticismo si è avuta quando Putin è volato a Teheran, a novembre del 2017, per incontrare il leader supremo Ali Khamenei e il presidente Hassan Rouhani. In quell’occasione, i media iraniani riportarono una frase del leader supremo che fu molto importante: “La nostra cooperazione può isolare l’America”. Sempre secondo Robin Wright, in quell’incontro fra il leader russo e Khamenei, un incontro insolito perché sostanzialmente privato, se non per la presenza degli interpreti, sembra che Putin abbia detto al leader iraniano “Non ti tradirò“.

In questa frase c’è tutta la geopolitica russa in Medio Oriente. Putin non vuole essere considerato un alleato di comodo, ma vuole apparire a tutti i partner come qualcuno di cui ci si può fidare. Al contrario degli Stati Uniti, che invece, a parte alcuni storici partner, hanno sempre rinnegato gli alleati “tattici” spostandosi dove fosse più utile. E questa sorta di confusione americana sta avendo risultati molto importanti in Medio Oriente, dal momento che sono molto gli Stati che si dirigono verso il Cremlino per ottenere garanzie di stabilità.

Nell’ultimo anno si è intensificata anche la cooperazione militare tra Mosca e Teheran. La Siria è stata chiaramente il grande teatro dove si è consolidata quest’alleanza. Fra le sabbie e le città siriane, Russia, Iran e partner regionali hanno firmato un patto prima nella guerra allo Stato islamico e poi nella difesa dell’unità territoriale della Siria. Con due intenti diversi, sia chiaro. L’Iran per costruire e rafforzare il suo asse sciita, la Russia per mantenere le basi in Siria e un prezioso alleato in Medio Oriente. Ma questa guerra ha anche dato modo di aumentare i contatti fra i due apparati bellici. A novembre, il generale Valery Gerasimov è volato a Teheran per colloqui con il suo omologo iraniano, il generale Mohammad Bagheri. Quest’ultimo affermò in quell’occasione: “C’è una buona cooperazione militare tra Iran e Russia, e, naturalmente, ci sono molte aree per espandere la cooperazione”.

Mosca e Teheran hanno ancora delle differenze e i loro obiettivi comuni hanno ragioni e scopi diversi. Questo va sempre ricordato. Anche sul fronte del rapporto con Israele, mentre l’Iran lo considera un nemico, la Russia ha una forte partnership politica ed economica e lo stesso Lavrov ha condannato la retorica anti-israeliana di Teheran. Tuttavia, la crescente contrapposizione dell’America a questi due Stati rischia di aver ottenuto l’esatto opposto di quanto sperato: averli rafforzati proprio grazie alla loro collaborazione. Un errore strategico che adesso consegna agli Stati alleati di Washington una Russia che tutela gli interessi iraniani. E dà alla Russia un prezioso alleato in termini regionali anche in un’ottica di contenimento del’altra potenza asiatica, la Cina.

http://www.occhidellaguerra.it/iran-rus ... i-america/



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MessaggioInviato: 03/03/2018, 20:49 
Esiste un “pulsante nucleare” per scatenare la guerra atomica?

Qual è la procedura per far partire un attacco nucleare? Non esiste nessun pulsante rosso (e anche nella valigetta non c'è nessun bottone).

Il presidente Donald Trump seduto alla sua scrivania nell'Ufficio Ovale della Casa Bianca. A quanto si sa, l'unico bottone presente sul tavolo serve per ordinare una Coca Cola.|Reuters

Se siete stati attenti alle notizie di politica internazionale saprete del nuovo "bisticcio" in corso tra il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il dittatore della Corea del Nord Kim Jong-un. Quest'ultimo ha spiegato in un video di avere un pulsante nucleare sulla propria scrivania. Trump gli ha risposto per le rime su Twitter:

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Che tradotto suona così:

Il leader della Corea del Nord Kim Jong-un ha dichiarato che “Il pulsante per il nucleare è sempre sulla sua scrivania”. Qualcuno del suo regime impoverito e affamato lo informi per cortesia che ho anche io un pulsante per il nucleare, e che è molto più grande e potente del suo, e in più il mio pulsante funziona!



Ma esiste davvero un pulsante nucleare? O meglio, come fa il presidente degli Stati Uniti a ordinare l'impiego di testate atomiche?

Se da una parte non sappiamo bene come funzionino le cose in Corea del Nord (e se ci sia davvero un bottone), negli Stati Uniti le procedure sono abbastanza note a grandi linee.

Il presidente americano è il commander-in-chief, cioè capo supremo delle forze armate degli Stati Uniti e può disporre di tutto l'arsenale nucleare e conoscere i piani relativi a un’eventuale guerra atomica.

Il Presidente è infatti l’unico in grado di autorizzare l’impiego delle testate nucleari: il consenso viene fornito attraverso l’attivazione di speciali codici in suo possesso e secondo le regole di ingaggio conservate in una valigetta chiamata Football.

Si tratta della famosa valigetta in pelle nera che lo segue in ogni suo spostamento e che è custodita da team di cinque incaricati militari provenienti dalle diverse armi.

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La valigetta nucleare è trasportata da un ufficiale che conosce a perfezione le procedure da seguire in caso di attacco atomico. La valigetta è in uso fin dai tempi di Dwight D. Eisenhower (Presidente dal 1953 al 1961), ma soltanto dalla crisi missilistica di Cuba (1962), sotto la presidenza di John F. Kennedy, segue il Presidente ovunque. | Joshua Roberts/Reuters

Bottone rosso? Non scherziamo. Il contenuto della valigetta è stato reso noto nel 1980 da Bill Guley, all'epoca direttore dell'ufficio militare della Casa Bianca. Se pensate che al suo interno ci sia un bottone rosso per far partire i missili, avete sbagliato tutto. La valigetta contiene principalmente... carta.


Il documento più importante è il Black Book, un vero e proprio prontuario della guerra nucleare di 75 pagine con la descrizione degli obiettivi possibili, del loro valore strategico secondo i vari scenari e delle vittime che un eventuale attacco potrebbe causare. In alcuni casi milioni di persone.

Altri due fascicoli contengono un elenco dei luoghi sicuri dove trasferire il Presidente in caso di attacco nucleare e le procedure radiotelevisive d'emergenza per comunicare con la Nazione.

La valigetta pesa 20 kg (ha un anima in alluminio) ed è trasportata da militari che hanno un apposito addestramento per aiutare il Presidente a dare l'ordine di lancio.

Contiene anche un telefono che viene usato qualora il Presidente si trovi in viaggio: serve a mettersi in contatto attraverso una linea sicura e via satellite con il National Military Command Center (NMCC), il centro di comando militare statunitense che gestisce tutti i lanci di ordigni nucleari.

Presidenti distratti. Dal punto di vista pratico i "codici di attacco" sono invece riportati su un documento che il Presidente deve portare su di sè chiamato Biscuit, biscotto.

Si tratta di una specie di carta di credito nel quale sono riportati dei codici che servono al Presidente degli Stati Uniti per autenticarsi e dare uno specifico ordine di attacco atomico secondo uno dei protocolli contenuti nella valigetta. Il biscotto è davvero molto simile alle carte con i codici operativi per autenticarsi e fare operazioni sui siti delle banche online che molti di noi usano tutti i giorni.

Secondo quanto riportato dal Washington Post i presidenti non si curano molto del Biscuit: Jimmy Carter lo mandò in lavanderia insieme alla sua giacca mentre Bill Clinton lo perse e per mesi non disse niente a nessuno.

Ma che cosa succede "in quei momenti"? Il Presidente chiama il National Military Command Center (NMCC), si identifica attraverso uno dei codici contenuti nel Biscuit e ordina un attacco specifico tra quelli presenti nei documenti contenuti nella valigetta.

Pochi minuti dopo il drammatico ordine, 900 testate nucleari sono pronte ad essere utilizzate in diversi angoli del pianeta: sono dislocate in vari punti degli Stati Uniti ma anche su sottomarini e navi in navigazione negli oceani di tutto il mondo.


Il Presidente è l'unico a poter impartire l'ordine di attacco nucleare. Il comando deve essere confermato dal Segretario alla Difesa che non ha però alcun potere di veto: di fatto si limita a confermare che il presidente ha veramente impartito quell'ordine.

https://www.focus.it/cultura/curiosita/ ... tati-uniti



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MessaggioInviato: 03/03/2018, 21:27 
Articolo interessante ma a mio parere poco realistico. Onestamente proprio non ce lo vedo Trump che durante un convegno o una vacanza dice agli ospiti: scusatemi un attimo devo lanciare un attacco nucleare! Arriva il tizio con la valigetta e Trump con un cheeseburger in una mano detta farfugliando i codici nucleari al telefono mentre dall'altro capo un povero ufficiale dice: presidente come ha detto?

A mio parere le cose andrebbero in modo molto diverso ergo gli Usa attaccheranno solo se attaccati e al 99% una cosa del genere (sperando che non accada mai), avverrebbe dagli uffici del Pentagono in seguito a numerose consultazioni e non frettolosamente dettando al telefono i codici di attacco.



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MessaggioInviato: 04/03/2018, 14:00 
Infatti: c'è sempre COMUNQUE una riunione dei capi di Stato Maggiore, poi l'ultima parola spetta al Presidente (capo delle FFAA).



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MessaggioInviato: 09/03/2018, 20:09 
La mossa della Marina americana per contenere i russi nel Mediterraneo

Mar 9, 2018


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Russia e Stati Uniti aumentano la sfida nel mare e la flotta della Us Navy sta correndo ai ripari dispiegando un sempre maggior numero di gruppi di battaglia delle portaerei nei mari in cui è più facile che avvenga questo scontro e aumentando il tempo della presenza navale americana. E questa sfida, avviene principalmente nei mari che circondano l’Europa. Come riporta il Maritime Herald, Il capo delle operazioni navali della marina americana, l’ammiraglio John Richardson, ha parlato mercoledì in audizione al Congresso degli Stati Uniti. E quello che è scaturito da queste dichiarazioni è che per gli Stati Uniti l’obiettivo strategico è rappresentato, in questo settore, dal “problema della presenza russa”.

“Noi stiamo spendendo molto più tempo nel teatro europeo”, ha detto Richardson ai membri del House Assignment Committee. “I gruppi di attacco delle portaerei, ad esempio, che passerebbero semplicemente attraverso il Mediterraneo alla massima velocità per raggiungere il Medio Oriente trascorrono molto più tempo nel Mediterraneo, non solo contribuendo alla Ineherent Resolve (il nome assegnato all’operazione a guida Usa in supporto all’Iraq contro lo Stato islamico n.d.r.) ma anche lavorando sul problema della presenza della Russia nel Mediterraneo orientale, nel Mar Nero, nel Baltico, ecc.”.

Insomma, il Mediterraneo non è affatto un mare “di passaggio” per la flotta statunitense. Lo sarebbe stato prima, quando Mosca non era entrata di nuovo prepotentemente nello scacchiere euro-mediterraneo. Ma ora le cose sono cambiate e Washington ha cambiato metodo di approccio. Al Pentagono sono consapevoli che l’impiego della flotta in questi teatri di guerra deve essere anche orientato al controllo della presenza dei suoi avversari.

Richardson ha anche osservato che quella che lui stesso ha definito come la “rinascita” della Russia abbia assicurato che le sue forze marittime, in particolare nel campo della guerra sottomarina, siano rimaste non soltanto solide dai tempi della Guerra Fredda, ma abbiano anche aumentato il loro valore.

“Loro [i russi] non hanno mai veramente trascurato lo sviluppo e lo schieramento delle loro forze sottomarine, ma hanno veramente premuto sull’acceleratore e sia la tecnologia che la capacità sono aumentate nel tempo impiegato per la loro implementazione”, ha dichiarato Richardson. L’ammiraglio ha poi continuato: “Questo è esattamente il motivo per cui gli investimenti si sono focalizzati sul problema della guerra sottomarina, migliorando sia i nostri sensori subacquei sia la nostra infrastruttura per il nostro velivolo anti-sottomarino, il P-8 Poseidon“.

Proprio a questo scopo, la Us Navy ha da tempo avviato un programma di sviluppo delle proprie basi europee allo scopo di raggiungere un livello di monitoraggio e di difesa nei confronti della flotta russa che la renda capace di confrontarsi con quello che ritengono un pericolo in forte espansione. In particolare, negli ultimi mesi ha intrapreso l’aggiornamento della base di Rota, in Spagna, e di altre basi del Mediterraneo. La base navale di Rota, vicino Cadice, in Spagna, assume anzi un’importanza ancora maggiore perché è considerata il vero punto nevralgico per il controllo del passaggio delle navi russe dall’Atlantico al Mediterraneo. In particolare per quelle che si dirigono sul fronte siriano.

A proposito di aggiornamenti, Richardson ha anche detto che il programma statunitense di implementazione delle armi da fuoco aveva prodotto un proiettile ad altissima velocità con una varietà di applicazioni, ma ha notato che rimangono ancora molte sfide ingegneristiche prima che il sistema di armi possa soddisfare le richieste della Difesa.

“Come risultato del programma Railgun, abbiamo sviluppato un proiettile ad alta velocità che può essere utilizzato in tutta la flotta in una serie di applicazioni diverse, non solo nel cannone a rotaia”, ha detto Richardson ai membri del Railways Assignment Committee della Camera dei rappresentanti. “Ora dobbiamo sviluppare tutto l’apparato ingegneristico per farlo funzionare al meglio e portarlo al livello di fuoco designato nell’intervallo dalle 80 alle 100 miglia.”

http://www.occhidellaguerra.it/marina-a ... iterraneo/



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 Oggetto del messaggio: Re:
MessaggioInviato: 17/03/2018, 14:50 
Cita:

Senzatetto e tossicodipendenti: in California si infrange il “sogno americano”

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Washington, 17 mar – Nell’immaginario collettivo occidentale (e non solo), la California corrisponde ancora a un’immagine patinata di feste sulle spiagge, surf, bella gente e bella vita. Una specie di summa opulenta dell’America felice che ha realizzato il proprio celeberrimo “sogno” in una perenne estate hollywoodiana. Ma a che punto sta il sogno americano oggi, proprio nella sua patria per antonomasia?

È interessante chiederselo proprio perché, mentre sul web circolano sempre più video a testimonianza dell’emergenza che lo Stato in questione sta vivendo, iniziano ad fare capolino i primi segni di sconforto anche da parte dei media e del governo locale: in un editoriale di qualche giorno fa persino il Los Angeles Times si è chiesto “come può funzionare una città con 58.000 senzatetto?”. Il paese infatti, nonostante un lieve miglioramento nei propri bilanci, marcia ancora sul cratere del crack finanziario, e le fila di chi è stato colpito pesantemente dalla crisi degli anni recentemente trascorsi si ingrossano ancora ed ancora.

Guardando indietro nella storia dello Stato, si può ricordare che già nel 1916 si avanzò l’idea di formare una “Commissione sui Matti”, chiedendo di istituire un vero e proprio organo volto a “deportare” presso gli Stati di origine (naturalmente quelli membri della stessa Unione) i cosiddetti “folli” che pesavano sulle casse della California pur non essendovi originari. “A causa del suo meraviglioso clima e delle gradevoli condizioni di vita” si spiegava nella proposta, “ la California finisce per essere l’approdo di molte persone malate… che per la maggior parte finiscono per pesare sul nostro bilancio”. C’è da dire che negli anni ‘80 venne realmente istituita una “Commissione sull’autostima”, che di bilancio statale ne assorbì una bella fetta, fortemente voluta da un eccentrico senatore democratico: John Vasconcellos. Vasconcellos è in qualche misura il padre morale dell’attuale pensiero mainstream dell’educazione sociale: è stato lui, difatti, a diffondere su scala nazionale (che poi sarebbe diventata globale) l’idea che ogni bambino o bambina, e poi ragazzo o ragazza, e infine ogni adulto fosse da considerarsi “un individuo unico e speciale”, e come unico e speciale avesse fondamentalmente diritto a vedere soddisfatto qualsivoglia capriccio egoico.

Nel 1986 il senatore della California riuscì a convincere una pletora di suoi colleghi che la chiave di volta nella lotta al consumo di stupefacenti fosse aumentare l’autostima dei tossicodipendenti, forti di presunte interviste con membri mascherati delle gangs dei Crips e dei Blood che puntavano il dito contro la bassa autostima, dalla quale sarebbero scaturiti i loro comportamenti violenti. Vennero coinvolti nella crociata scienziati e sociologi, capeggiati da Neil Smelser, professore emerito di sociologia che coordinò l’intero studio, e alla fine “l’onda dell’autostima” travolse tutte le scuole: circa l’85% di queste misero a disposizione spazi e personale, e lo Stato stanziò fondi a molti zeri per finanziare la giusta causa, al grido di “non importa quello che fai, ma chi sei”. Gli imputati nei processi per droga che accettarono di seguire i seminari sull’autostima vennero ricompensati con applausi e cospicui sconti di pena.

Il viale del tramonto che sta portando al suicidio la California parte da molto lontano, passa dai bar che non servono i poliziotti per non infastidire i clienti e dai grandi sprechi economici e approda alle baraccopoli che strizzano l’occhio agli scenari apocalittici delle bidonville delle infinite periferie sudamericane. Dove lo sguardo non scorge più alcun sogno, ma solo spazzatura, e a perdita d’occhio.


https://www.ilprimatonazionale.it/ester ... ano-81436/


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 Oggetto del messaggio: Re:
MessaggioInviato: 17/03/2018, 14:52 
(I poveri sono e saranno sempre DAPPERTUTTO ...) [:305]



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 Oggetto del messaggio: Re:
MessaggioInviato: 17/03/2018, 16:16 
Crollato ponte pedonale in Florida: vittime e feriti

Un ponte pedonale è crollato in Florida: si parla di un gran numero di feriti e vittime, segnala il canale televisivo locale WTVJ.

01.png



​Il ponte era stato costruito vicino al campus dell'Università Internazionale della Florida, a Miami. Secondo il canale televisivo, sotto la struttura crollata ci sono molte macchine.

02.png



Sul posto sono al lavoro i soccorritori.



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