L’escalation degli ultimi giorni tra Israele e Hamas preoccupa. E non poco. Non solo per il rischio di una nuova guerra a Gaza, ma anche perché il richiamo di un conflitto simile potrebbe esser fortissimo in tutto il mondo arabo musulmano. Senza alcuna differenza, almeno per questa volta, tra sciiti e sunniti.
Proprio ieri, l’Unione europea ha espresso tutta la sua preoccupazione: “L’escalation di violenza dei giorni scorsi ha portato Gaza e Israele pericolosamente vicini a un nuovo conflitto. Prioritarie ora sono la de-escalation e che la vita dei civili non sia messa ulteriormente a rischio”.
Per comprendere il tipo di conflitto che potrebbe nascere, basti pensare a quanto è successo pochi mesi fa, subito dopo l’annuncio del presidente americano Donald Trump di voler riconoscere Gerusalemme come capitale dello Stato ebraico. Questa decisione ha scatenato l’ira non solo dei palestinesi, ma anche della gran parte dei leader musulmani, Recep Tayyip Erdogan in testa. In quell’occasione, il leader turco usò parole durissime e organizzò un incontro con i capi di Stato arabi per opporsi agli Stati Uniti e a Israele. Ma non solo: il “Sultano” starebbe anche cercando di penetrare in Palestina e guidare le organizzazioni più estreme. Allo stesso modo, anche il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah si disse pronto alla guerra contro Israele: “Tutti gli arabi devono ripeterlo con i palestinesi: avremo milioni di martiri pronti a sacrificarsi per Gerusalemme”.
Un fronte unico per IsraeleDa tempo, in Israele si pensa che la prossima guerra sarà su un fronte unico che comprende territori palestinesi, Libano e Siria. Uno scenario altamente probabile, tanto che Tel Aviv avrebbe chiesto alla Russia di tenere le truppe sciite (soprattutto Hezbollah e iraniani) lontani dalla battaglia per la liberazione della provincia di Daraa, nel sud della Siria. Per lo Stato ebraico questa è una garanzia di sicurezza, almeno per il momento.
Nei territori controllati da Bashar al Assad, però, ci sarebbero circa 80mila combattenti sciiti pronti a intervenire nel caso di una guerra contro Israele. La loro presenza ha creato parecchio caos a Tel Aviv, giustificando anche diversi interventi nel territorio siriano.
Questi combattenti, come le parole di Nasrallah fanno trasparire, sono pronti a combattere per Al Quds, come viene chiamata Gerusalemme nel mondo arabo. Per questo, gli scenari di guerra tra Hamas e lo Stato ebraico sono preoccupanti: un conflitto limitato potrebbe accendere fuochi in tutto il Medio Oriente. E nessuno ne uscirebbe vincitore.
I legami fra Hamas e HezbollahIl governo israeliano ha messo da tempo gli occhi su quello che considera l’asse fra Hamas e Hezbollah. In questi mesi, le accuse dell’intelligence israeliana sui legami fra le due organizzazioni sono aumentate. Israele ritiene che Hezbollah addestri nel proprio territorio migliaia di miliziani di Hamas. E l’organizzazione palestinese si trova isolata, al punto da dover riflettere se aumentare i rapporti anche con gruppo politici e militari che non hanno la stessa base culturale né strategica oppure no. Il movimento palestinese e quello libanese sono molto differenti tra loro: ma il nemico comune unisce più di ciò che divide.
Questo timore di Israele si può cogliere anche dall’evoluzione delle esercitazioni militari nell’area. I due gruppi vengono considerati praticamente identici sotto il profilo della minaccia che possono rappresentare per gli interessi israeliani. Le manovre per addestrare le Israel defense forces (Idf) in caso di guerra sono sostanzialmente identiche sia per il fronte meridionale che per quello settentrionale, come se i conflitti contro Hamas e contro Hezbollah fossero non solo uguali nei metodi ma anche nei pericoli. E di recente, le Idf si sono addestrate in maniera simultanea nei diversi fronti di guerra proprio per testare le capacità delle truppe a combattere contemporaneamente a nord e a sud.
La Marina militare di Israele, ad esempio, si è esercitata per simulare un attacco missilistico contro le piattaforme off-shore da parte dei due gruppi. E la stessa marina ha ribadito che sia Hezbollah che Hamas hanno aumentato la propria “capacità navale”. Affermazioni che ricordano anche un altro fattore: le due organizzazioni hanno interessi praticamente identici nella sfida contro Israele, a partire dalle acque territoriali.
Il gruppo sciita libanese ritiene fondamentale difendere il gas presente nei fondali libanesi, anche perché il suo sfruttamento permette introiti economici e legami politici internazionali. Hamas può colpire il gas israeliano e soprattutto considera le acque territoriali di Gaza di propria stretta competenza, e quindi anche le risorse presenti nei suoi fondali. Un gioco di interessi e di minacce che salda ancora di più i rapporti fra queste due organizzazioni.
Hamas e Iran: nuovi rapporti dopo la crisi per la SiriaPer capire quanto possano essere uniti i vari fronti di guerra e quanto possa essere imprevedibile l’estensione di un conflitto Gaza-Israele, non si può capire anche il ruolo dell’Iran. Israele, proprio per capire la sua idea di fronte unico, ha iniziato da molti mesi un processo di graduale aumento delle accuse all’Iran di sostenere Hamas.
La questione non è secondaria. Hamas e Teheran avevano rischiato la rottura definitiva durante la guerra in Siria perché mentre il governo iraniano ha sempre sostenuto la riconquista di Assad, Hamas ha sempre sostenuto i gruppi ribelli. Le cose sono iniziate a cambiare quando l’Arabia Saudita ha bloccato le possibilità del Qatar di finanziare l’organizzazione di Gaza.
L’isolamento finanziario di Hamas, unito alle evoluzione del conflitto siriano, hanno portato i capi del gruppo palestinese a modificare la propria posizione. Assad rimane un avversario, ma l’Iran non può essere considerato un nemico se è l’unica potenza regionale che può contrastare i piani israeliani nella regione. La guerra di Hamas ha una forte base ideologica, ma i vertici dell’organizzazione sono molto pragmatici.
E a proposito di vertici, anche i recenti cambi nelle gerarchie di Hamas sono un segnale di questa estensione della guerra Iran-Israele anche per ciò che riguarda la Palestina. Nei primi mesi del 2018, è stato nominato come capo delle operazioni dell’organizzazione in Cisgiordania Maher Obeid. Israele lo ha da subito individuato come uomo molto vicino al governo iraniano. E lo confermano i suoi viaggi a Teheran negli ultimi anni.
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