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 Oggetto del messaggio: Re: GAZA: la guerra infinita
MessaggioInviato: 15/02/2018, 11:36 
Si vede che non hai amici ebrei: quando "piovono", piovono! [^]



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 Oggetto del messaggio: Re: GAZA: la guerra infinita
MessaggioInviato: 15/02/2018, 13:49 
Monta l protesta anche in Israele nel silenzio generale dei media. si protesta contro la corruzione delle istituzioni mentre qua in italia è il contrario, più un partito ed un politico è corrotto più seguito ha.



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 Oggetto del messaggio: Re: GAZA: la guerra infinita
MessaggioInviato: 15/02/2018, 21:21 
Piovono,ma al massimo un paio di tegole rotte.....A Gaza,quando piovono,sono quartieri rasi al suolo:in Israele si chiama diritto di autodifesa,in Russia verrebbe chiamato genocidio.....


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 Oggetto del messaggio: Re: GAZA: la guerra infinita
MessaggioInviato: 16/02/2018, 10:14 
... intanto non si verificano più attentati terroristici su bus e quant'altro ... [^]
Evidentemente sanno ben vigilare e ... CONTROBBATTERE! [;)]



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 Oggetto del messaggio: Re: GAZA: la guerra infinita
MessaggioInviato: 16/02/2018, 11:32 
Beh ci mancherebbe pure che gente chiusa in un recinto possa essere una minaccia. E meno male che sei un cristiano; io credessi in dio e pensassi che c'è davvero qualcuno che mi giudica avrei una vergogna matta nello scrivere le cose che scrivi tu, perchè sarei sicuro che l'ignavia e la mancanza di raziocinio, compassione nonché l'assoluto disprezzo per i più deboli e gli emarginati che dimostri mi porterebbe dritto all'inferno. Evidentemente è un difetto genetico di voi credenti.



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 Oggetto del messaggio: Re: GAZA: la guerra infinita
MessaggioInviato: 16/02/2018, 12:16 
Ma che stai a dì! Ogni volta che gl'israeliani se mettono attorno a un tavolo i palestinesi trovano sempre 'na scusa per manda' tutto a monte! Ma te sei scordato Arafat ...! [:o)]



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 Oggetto del messaggio: Re: GAZA: la guerra infinita
MessaggioInviato: 16/02/2018, 19:31 
[^]



Il bavaglio di Abu Mazen silenzia media e social

Immagine


Da qualche settimana i giornalisti palestinesi hanno deciso di ricominciare la loro campagna contro l’aggressione dell’Autorità palestinese alla libertà di espressione. Complice l’ultima vittima, Tareq Abu Zeid. Un giornalista accusato di «incitamento» e di «mettere in pericolo la sicurezza dello Stato della Palestina».

Lo scorso giugno Abu Mazen presidente dell’Autorità palestinese (Ap) ha firmato una strana legge sulla criminalità informatica palestinese. Una nuova legge nata dal tentativo di mettere a tacere e intimidire giornalisti e oppositori politici dell’Ap e del suo presidente.

All’articolo 4 del testo di legge che non ha neanche un anno si può leggere: 1. Qualsiasi persona che abbia violato intenzionalmente e illegittimamente un sistema o una rete elettronica, che abbia abusato di qualsiasi tecnologia informatica o anche di una parte di essa, o che abbia violato l’accesso autorizzato, è passibile di pena detentiva, una multa dai duecento ai mille dinari giordani o una combinazione tra le due sanzioni. 2. Se l’atto specificato nel paragrafo (1) di questo articolo è commesso contro qualsiasi dichiarazione ufficiale del governo, il colpevole sarà punito con la reclusione per un periodo di almeno sei mesi, o con una multa non inferiore a duecento dinari giordani.

Continuando, nel medesimo articolo della legge si può leggere che se l’«abuso» riguarda le informazioni del governo, la sentenza prevede «un minimo di cinque anni di lavoro forzato temporaneo e occorrerà pagare una multa non inferiore a 5mila dinari giordani…». L’articolo 20 poi recita: 1. Chiunque crei o gestisca un sito web che mira a pubblicare notizie che mettano in pericolo l’integrità dello stato palestinese, l’ordine pubblico o la sicurezza interna o esterna dello Stato, sarà punito con la reclusione per un periodo di almeno un anno o con una multa di non meno di mille dinari giordani e non più di cinquemila dinari giordani o da una combinazione di entrambe le pene. 2. Qualsiasi persona che propaga il tipo di notizie di cui sopra con qualsiasi mezzo, compresa la trasmissione o la pubblicazione, deve essere condannata a un massimo di un anno di carcere o costretta a pagare una multa non inferiore a duecento dinari giordani e non oltre mille dinari giordani o essere sottoposti a entrambe le pene.

La nuova legge, che mina la libertà d’espressione, la libertà di pensiero e i diritti umani ha già mietuto le sue vittime.

Una decina di giorni fa, la corte di un magistrato palestinese a Nablus – la più grande città palestinese della Cisgiordania – ha deciso di deferire il caso di Abu Zeid al Tribunale penale generale dell’Autorità palestinese. Abu Zeid è stato arrestato nell’agosto del 2017, ed è rimasto in carcere per quindici giorni, perché avrebbe criticato su Facebook l’Ap. Se sarà condannato, è probabile che non gli verrà fatto alcuno sconto né per la multa né per l’anno di galera.

Prima di lui, altri quattro giornalisti palestinesi sono stati arrestati dall’Ap, colpevoli di «crimini» simili. Ma anche per loro il destino è ancora incerto: non si sa quando saranno processati. Mamdouh Hamamreh, Kutaiba Qassem, Amer Abu Arafeh e Ahmed Halaikah vivono da mesi ormai i loro giorni da incubo, e non sono i soli. Recentemente sono diversi i giornalisti e tanti gli utenti di Facebook che sono stati convocati per gli interrogatori perché «sovversivi». Troppe parole fuori posto. E quindi tante spade di Damocle a pendere sulle loro teste, in un destino che vede professioni e vite chi porterà il pane a casa se questi padri di famiglia finiranno in gattabuia? messe a repentaglio.

Intanto si azzardano piccole manifestazioni, dal mondo del giornalismo fino alle aule di tribunale: pare che gli avvocati palestinesi abbiano deciso di boicottare la corte specializzata in reati gravi commessi contro la sicurezza dello «Stato della Palestina». Ma figuriamoci se qualche striscione potrà mai suggestionare l’Autorità palestinese.

Le vaghe definizioni di ciò che costituisce un reato punibile, l’estensione della pena a qualsiasi individuo che assiste o concorda con ciò che il decreto considera un crimine e i chiari attacchi a dissidenti, giornalisti e divulgatori disegnano il profilo sempre più autoritario, che gode di un supporto «legale» utile a reprimere efficacemente qualsiasi forma di dissenso.

Eppure la nuova forma di repressione messa a punto dall’Autorità Palestinese non può sorprendere. La repressione, e in particolare la repressione della libertà di espressione, è peculiarità della leadership palestinese sin dalla sua fondazione. È dal 1994 che, dapprima con Arafat, e poi con Abu Mazen, l’Ap ha dimostrato di avere tutte le caratteristiche tipiche di una dittatura araba: colpire con ostentata indifferenza la stampa e gli oppositori politici. L’Ap non può tollerale quello che definisce come «incitamento», ovvero la critica ad Abu Mazen e alla sua politica. Ma c’è un «incitamento» che invece tollera, e pure con un certo entusiasmo, quello diretto da sempre contro Israele e gli Stati Uniti. L’uno è ricompensato con la repressione; l’altro con la gloria.

D’altronde, la soppressione della libertà di espressione è solo il corollario perfetto dell’odio per Israele e della violenza come parte del Dna di parte della comunità palestinese.

Quando un rabbino è stato ucciso, all’inizio di gennaio, a colpi di arma da fuoco, vicino a Nablus, i palestinesi hanno accolto con estremo piacere la notizia. Una morte che rientra in quelle operazioni militari considerate «eroiche», perché contro l’occupazione israeliana, e inserite nel rilancio della rivolta contro Gerusalemme capitale. La vittima, infatti, era perfetta: un ebreo, rabbino, padre di sei figli. E l’attacco eroico e motivo di orgoglio non è stato condannato dall’Autorità palestinese e dal suo leader, perché semplicemente rientra nel perverso meccanismo d’incitamento all’odio anti-israeliano.

http://www.occhidellaguerra.it/bavaglio ... ia-social/



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 Oggetto del messaggio: Re: GAZA: la guerra infinita
MessaggioInviato: 19/02/2018, 14:53 
Siria, perché i raid di Israele costringono Putin a una scelta

I raid israeliani in Siria sono stati un punto di svolta nella guerra. Un colpo che nessuno si aspettava per la veemenza dell’aviazione israeliana né per la reazione della contraerea siriana. Secondo le fonti israeliane, i bombardamenti successivi all’abbattimento del jet di Israele hanno distrutto circa la metà della contraerea siriana. Per le fonti siriane, l’abbattimento dell’F-16 è invece un messaggio chiaro del fatto che adesso Damasco non lascerà più impuniti i voli degli aerei israeliani nei cieli di Siria. Con una premessa: l’escalation non poteva coinvolgere solo Damasco e Tel Aviv, ma le sue conseguenze sarebbero ricadute in particolare nei rapporti tra Israele e Russia. E’ Mosca che controlla i cieli della Siria, che sa chi colpisce, dove e quando lo farà. E questa padronanza dello spazio aereo siriano, inevitabilmente, comporta anche una responsabilità su quello che la contraerea può abbattere.

Proprio per questa costante presenza russa in Siria, i raid israeliani hanno un significato profondo. Le loro conseguenze sono su più livelli, multiformi e non colpiscono solo i rapporti fra Israele e Russia, ma anche la stessa strategia russa in Medio Oriente. Putin ha assunto, in questi anni, la leadership della crisi siriana, con un intervento che ha salvato Assad e permesso all’esercito siriano di sconfiggere lo Stato islamico e riprendersi il territorio perduto. In questo processo, l’alleanza di Damasco con Teheran ha creato una sorta di grande blocco composto da Iran, Russia e Siria (e i libanesi di Hezbollah). Non un’unione di agende politiche, sia chiaro, poiché ognuno segue i propri interessi, che tra l’altro non sono per niente sovrapponibili. Tuttavia questo blocco resiste e, evidentemente, non poteva essere apprezzato da Israele, che adesso non solo non può sperare nel rovesciamento di Assad, ma si trova anche ad avere l’Iran a pochi chilometri dal confine, sia con le sue forze, sia con i suoi alleati regionali, e cioè Hezbollah.

La presenza degli iraniani e degli alleati sciiti, per Israele è un problema di rilevanza primaria. Un problema cui si accompagna l’amicizia che si è consolidata nel tempo con i russi. Quest’asse fra Mosca e Teheran è infatti l’unica cosa che, per ora, ha fermato l’escalation militare e che ha bloccato Israele da qualsiasi iniziatvia bellica in Siria se non per alcuni raid implicitamente permessi da Mosca. Sotto questo profilo, allora il problema vero non è tanto la forza dell’Iran quanto l’amicizia con la Russia, un Paese che è a sua volta alleato iraniano e amico di Israele. Un equilibrismo che non piace al governo israeliano, che adesso vuole capire cosa sia intenzionato a fare Vladimir Putin. E l’unico modo per capirlo poteva essere testando sul campo questo rapporto. Come è appunto avvenuto con quei raid, che possono essere letti come veri e propri test-stress della pazienza strategica russa.

Le conseguenze di quella scelta israeliana sulla strategia russa possono essere solo due. O Mosca consolida l’asse con Teheran,oppure decide di allentare il controllo sul fronte meridionale lasciando che Israele faccia ciò che ritiene opportuno (con le dovute limitazioni). L’irruenza del primo raid israeliano ha di certo fatto pendere la bilancia in favore della prima opzione, e infatti la contraerea siriana ha risposto al fuoco. Ma adesso, una volta metabolizzati i bombardamenti, la Russia potrebbe anche riconsiderare la possibilità di stringere eccessivamente l’alleanza con gli iraniani per evitare di finire in una guerra che, di fondo, non è prioritaria nella sua agenda. Perché significherebbe scegliere tra due partner mediorientali totalmente diversi ma egualmente importanti mentre è in corso una guerra che potrebbe anche sfuggire dalle sue mani. L’avanzata turca ad Afrin, il bombardamento americano di Deir Ezzor, i raid israeliani, sono tutti fattori che complicano la sua strategia e che appaiono come una minaccia alla possibilità di Mosca di incanalare la guerra verso la soluzione da lei voluta. E in tutto questo, il Cremlino non può rinunciare né all’Iran, suo alleato, né a Israele.

A questo proposito, arrivano le parole molto interessanti del numero due dell’ambasciata russa in Israele, Leonid Frolov, intervistato al The Times of Israel: “In caso di aggressione contro Israele, non solo ci saranno gli Stati Uniti al suo fianco,ma ci sarà anche la Russia”. “Molti nostri concittadini vivono in Israele e Israele è una nazione amica, non permetteremo nessuna aggressione“, ha continuato Frolov, concludendo sul fatto di ritenere “assolutamente legittime” le richieste israeliane sul fatto che l’Iran non stabilisca una forte presenza militare in Siria. Una dichiarazione importante da unire poi a un’altra frase, secondo cui l’Iran dovrà lasciare la Siria appena sarà terminata la guerra. Qualcosa si muove sul fronte del triangolo Russia-Iran-Israele? Forse. Ma quello che è certo che adesso Israele ha una nuova strategia: forzare Putin a scegliere una direzione. Una strategia che, va premesso, potrebbe anche rilevarsi controproducente.

http://www.occhidellaguerra.it/siria-ra ... n-israele/



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 Oggetto del messaggio: Re: GAZA: la guerra infinita
MessaggioInviato: 19/02/2018, 17:13 
non è che se gli iraniani si ritirano dalla siria
gli israeliani cessano le aggressioni..
e diventano pacifisti..
anzi è vero l'esatto opposto..

quelli semmai sono un deterrente..

vi ricordate il libano?
quando era sotto tutela siriana,
tutto tranquillo,

poi cacciati quelli, brutti, sporchi e cattivi
si è scatenato il caos,
bombardamenti, invasione del libano del sud,
ecc.

=+iraniani c sono in siria
+ i siriani campano tranquilli..



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https://roma.corriere.it/notizie/politi ... 0b7e.shtml
Conte ripercorre le tappe della crisi: «Vorrei ricordare che con la parlamentarizzazione della crisi la Lega ha poi formalmente ritirato la mozione di sfiducia, ha dimostrato di voler proseguire, sono stato io che ho detto “assolutamente no”perché per me quell’esperienza politica era chiusa».


http://www.lefigaro.fr/international/mi ... e-20190923
il stipule que les États membres qui souscrivent à ce dispositif de relocalisation des personnes débarquées en Italie et à Malte s’engagent pour une durée limitée à six mois - éventuellement renouvelable. Le mécanisme de répartition serait ainsi révocable à tout moment au cas où l’afflux de migrants vers les ports d’Italie et de Malte devait s’emballer.
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 Oggetto del messaggio: Re: GAZA: la guerra infinita
MessaggioInviato: 19/02/2018, 18:28 
.. Il Libano era tranquillo (e chiamato "la perla del medio Oriente) proprio quando non c'erano i siriani!
Intervenuti loro, sono dovuti intervenire gl'israeliani per bloccare i lanci di razzi e passaggio di terroristi ...
(Ed è già tanto che poi si sono ritirati! [^] Per cui, dimostrano di non voler conquistare ...)



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 Oggetto del messaggio: Re: GAZA: la guerra infinita
MessaggioInviato: 19/02/2018, 19:29 
Ufologo 555 ha scritto:
.. Il Libano era tranquillo (e chiamato "la perla del medio Oriente) proprio quando non c'erano i siriani!
Intervenuti loro, sono dovuti intervenire gl'israeliani per bloccare i lanci di razzi e passaggio di terroristi ...
(Ed è già tanto che poi si sono ritirati! [^] Per cui, dimostrano di non voler conquistare ...)

ma no dai..
l'obiettivo dei sionisti
era ed è acquisire maggiore spazio vitale..

annettersi mezzo libano,
con la scusa di hezbollah, ecc.
finchè c'erani i siriani però
i sionisti sono stati buoni,
poi invece si sono scatenati..

loro vogliono vincere facile..
anche se quella volta
hanno fatto male i conteggi..



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Conte ripercorre le tappe della crisi: «Vorrei ricordare che con la parlamentarizzazione della crisi la Lega ha poi formalmente ritirato la mozione di sfiducia, ha dimostrato di voler proseguire, sono stato io che ho detto “assolutamente no”perché per me quell’esperienza politica era chiusa».


http://www.lefigaro.fr/international/mi ... e-20190923
il stipule que les États membres qui souscrivent à ce dispositif de relocalisation des personnes débarquées en Italie et à Malte s’engagent pour une durée limitée à six mois - éventuellement renouvelable. Le mécanisme de répartition serait ainsi révocable à tout moment au cas où l’afflux de migrants vers les ports d’Italie et de Malte devait s’emballer.
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 Oggetto del messaggio: Re: GAZA: la guerra infinita
MessaggioInviato: 20/02/2018, 11:43 
Egitto-Israele, quell’accordo sul gas che può cambiare il Medio Oriente

Storico accordo fra Egitto e Israele per l’esportazione di gas israeliano. Delek Drilling e Noble Energy hanno annunciato il raggiungimento dell’accordo per esportare gas alla società egiziana Dolphinus Holdings. Le compagnie israeliane forniranno 64 miliardi di metri cubi di gas naturale proveniente dai giacimenti di gas Tamar e Leviathan per 10 anni. Secondo quanto dichiarato dalla Delek, i contratti hanno un volume d’affari di 15 miliardi di dollari. Una cifra importante salutata con grande favore anche dal premier Netanyahu che lo ha definito un contratto “storico”.

La fornitura di gas naturale non sarà immediata. Come riporta Agenzia Nova, “sarà avviata quando sarà disponibile l’infrastruttura necessaria per convogliare trasportare il gas verso l’Egitto”. Per ora, le compagnie israeliane e egiziane stanno valutando diverse opzioni. La prima, quella principale, prevede il trasporto del gas attraverso il gasdotto Arish-Ashkelon, una delle ramificazioni dell’Arab Gas pipeline di proprietà dell’East Mediterranean Gas Company (Emg). Il gasdotto è quello preferito perché è lungo soltanto un centinaio di chilometri e perché il suo tracciato sottomarino aiuta la sua protezione senza passare per aree instabili vicino al Sinai. L’altra possibilità presa in considerazione, è quella di trasferire il gas prima in Giordania e poi di nuovo in Israele attraverso la città di Nitzana e successivamente inviarlo in Egitto.

’accordo ha un grande valore politico che fa comprendere l’importanza rivoluzionaria della possibilità che Israele si trasformi nel maggiore esportatore di gas della regione. In questo senso, l’esempio del gasdotto Aris-Ashelon è simbolico, se si pensa che un tempo serviva per il trasporto del gas dall’Egitto a Israele e oggi, invece, potrebbe essere usato nel senso opposto. Yitzhak Tshuva, azionista di maggioranza di Delek, ha definito questo accordo il coronamento di un “sogno”, cioè quello di trasformare Israele in un esportatore di gas. “L’accordo – ha proseguito Tshuva – rafforzerà le relazioni tra Israele ed i paesi vicini ed aumenterà la cooperazione economica tra di loro”. Un traguardo che serve anche come primo step per lo sviluppo complessivo del piano di sfruttamento del giacimento Leviathan che, secondo i calcoli, dovrebbe arrivare a produrre gas per 21 miliardi di dollari l’anno.

L’accordo è importante per Israele, ma è importante, evidentemente, anche per il governo di al-Sisi che sta attraversando una fase di avvicinamento con Israele che riguarda sia la lotta al terrorismo islamico sia l’ambito economico e politico. Ad al-Sisi, infatti, non importa solo la questione energetica (in attesa dello sviluppo del giacimento Zohr), in ballo c’è anche la possibilità di giocarsi la carta dell’interlocutore del governo di Tel Aviv mostrandosi alla comunità internazionale come un governo stabile e soprattutto collaborativo con un Paese generalmente considerato nemico. Questa carta, al-Sisi la può giocare anche attraverso la questione palestinese. Il Cairo è divenuta negli ultimi tempi meta di incontri dei vertici di Hamas. Una prima delegazione è arrivata nella capitale egiziana il 9 febbraio. Una seconda delegazione di altri dirigenti del gruppo islamico palestinese è arrivata domenica. Sono previsti alcuni incontri con funzionari del governo dell’Egitto per risolvere alcuni problemi, in particolare la sicurezza lungo il confine con Gaza, la recente chiusura del valico di Rafah e l’accordo di riconciliazioni fra Hamas e Fatah.

In virtù dell’accordo sul gas israeliano, e qualora fosse utilizzato il gasdotto che collega Ascalona ad Arish, le acque antistanti la Striscia di Gaza e i territori egiziani vicini a quelli palestinesi saranno molto importanti per l’economia e l’energia egiziana. Per al-Sisi, pertanto, diventa fondamentale avere Hamas (e dunque Gaza) in rapporti di pace con l’Egitto. Per fare questo il governo del Cairo può sfruttare sicuramente l’apertura del valico di Rafah che, con le operazioni israeliane che bloccano gli accessi nella Striscia, diventa una porta fondamentale per i palestinesi verso l’esterno. La graduale frattura fra Hamas e la Fratellanza Musulmana può essere utile per conciliare i rapporti non troppo facile fra Sisi e i vertici palestinesi e questa carta il presidente egiziano la può usare anche per placare quella parte di opinione pubblica che non vede positivamente la consegna di miliardi di dollari a un governo, quello israeliano, considerato il nemico per eccellenza delle rivendicazioni palestinesi.

http://www.occhidellaguerra.it/accordo- ... -drilling/


Visto? Basta un po' di buona volontà ...



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MessaggioInviato: 21/02/2018, 13:28 
Hezbollah minaccia Israele: “Se attaccati, colpiremo i giacimenti di gas”



Non si placa lo scontro fra Israele e Hezbollah sul fronte dei giacimenti di gas e petrolio nelle acque contese fra Libano e Stato ebraico. Dopo le minacce di Israele di considerare una dichiarazione di guerra le esplorazioni nel mare conteso con il governo di Beirut, ora arrivano le minacce esplicite della propaganda di Hezbollah che, in un video, dichiara apertamente di considerare obiettivi militari le piattaforme off-shore israeliane. L’organizzazione sciita si pone, nel video, a difesa del Libano nella disputa sulle acque ricche di gas e ha pubblicato un video che mostra piattaforme di trivellazione israeliane con sopra dei mirini e la voce di Nasrallah che parla in alcuni suoi comizi. Nel video, trasmesso dal sito di notizie Mako, sono incluse anche citazioni del discorso del capo di Hezbollah, in cui aveva avvertito che il gruppo avrebbe reagito contro qualsiasi attacco israeliano sul Libano attaccando le piattaforme offshore israeliane. “Se attacchi, attaccheremo. Se bombardi, ti bombarderemo … Vi prometto che entro poche ore [la piattaforma] cesserà di funzionare “, secondo una traduzione riportata dal The Times of Israel.

Le ultime minacce ai giacimenti di gas israeliani da parte di Hezbollah fanno parte ormai della retorica del gruppo. All’inizio di questo mese, il Partito di Dio aveva pubblicato un altro video e pubblicato opuscoli che minacciavano un attacco sempre contro le piattaforma israeliane nel mare del Levante. “Chiunque abusi dei giacimenti di petrolio e gas nelle acque economiche del Libano, allora avrà i suoi giacimenti abusati”, si leggeva in un opuscolo ottenuto dal sito di notizie Ynet. “Sanno che il Libano può farlo”.


La scorsa settimana, il Libano ha promosso una gara per l’esplorazione offshore di petrolio e gas per due aree lungo il confine marittimo del Paese con Israele, che ha rivendicato uno dei campi in questione. Lieberman ha definito la mossa “molto provocatoria” e ha aggiunto che il Libano ha lanciato una gara d’appalto a gruppi internazionali per un giacimento di gas “che è nostro”. I suoi commenti hanno suscitato una dura condanna da parte di Hezbollah e dei funzionari libanesi, incluso il primo ministro Hariri, che ha descritto la dichiarazione israeliana come “una palese provocazione che il Libano rifiuta”. Ma la questione non è affatto destinata a tranquillizzarsi. I due paesi rivendicano fortemente un’area che potrebbe essere ricchissima di gas e, in misura minore, di petrolio. Per le economie di entrambi i Paesi sarebbe una boccata d’ossigeno estremamente importante e il Libano, dopo anni di assenza, potrebbe trasformarsi in un Paese esportatore di idrocarburi, modificando enormemente la propria posizione nello scacchiere mediorientale.

I funzionari libanesi affermano che le trivellazioni esplorative in mare aperto inizieranno nel 2019 e che il Libano vuole affermare i propri diritti sulle risorse lungo tutta l’area che considera sotto la sua sovranità. Israele, molto semplicemente, non vuole che ciò accada. Il ministro israeliano dell’Energia, Yuval Steinitz, ha incontrato domenica scorsa l’americano David Satterfield per discutere dei mezzi per disinnescare la disputa con il Libano. Satterfield è stato ance in Libano, dove ha incontrato alti dirigenti libanesi per cercare di capire quali siano i margini di manovra. Ma è evidente che il Libano non possa avere alcun interesse nel rinunciare a giacimenti che considera suoi. In questo, l’interesse diventa chiaramente internazionale. Il governo di Beirut ha concesso le esplorazioni all’italiana Eni, alla francese Total e alla russa Novatek. Una scelta non casuale, dal momento che Italia e Francia sono presenti in Libano con la missione Unifil e rappresentano interlocutori molto importanti nella politica libanese, mentre la Russia ha intessuto in questi anni ottimi rapporti sia con il governo libanese sia, soprattutto, con Hezbollah (e l’Iran). Una scelta quindi che riveste un chiaro messaggio politico.

Sono oltre 300 miglia quadrate quelle dichiarate di propria sovranità da entrambi i Paesi. E non va dimenticato che, tecnicamente, Beirut e Tel Aviv sono in stato di guerra. Negli anni i giacimenti di gas e petrolio off-shore sono diventati di fondamentale importanza per l’economia israeliana e non a caso il governo Netanyahu ha dato il via a un programma di ammodernamento e crescita della flotta proprio per tutelare i suoi interessi nel Mediterraneo orientale. Il sito web della marina israeliana ha annunciato la scorsa settimana che: “La protezione dei beni economici strategici nelle acque israeliane è una priorità per lo stato di Israele”, e da tempo la marina militare si esercita per uno scontro con Hezbollah. La tensione è sempre più alta e sono ormai continui gli annunci del governo israeliano su un possibile attacco alle sue piattaforme da parte di Hezbollah, tanto da aver installato l’Iron-Dome navale.

http://www.occhidellaguerra.it/hezbolla ... menti-gas/



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 Oggetto del messaggio: Re: GAZA: la guerra infinita
MessaggioInviato: 16/03/2018, 12:21 
[:291]


I palestinesi sono ormai un peso anche per il mondo arabo ...

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Della causa palestinese ormai non importa più niente a nessuno. A cominciare dai cari fratelli del mondo arabo, specie sunnita, che intravedono nella sterile prosecuzione di aiuti alla corrotta dirigenza dell’Anp solo un ostacolo alla necessaria normalizzazione dei rapporti con Israele in chiave anti-iraniana.

A dare il là a questo redde rationem è stato da ultimo il principe saudita Salman che ha anche una mezza idea di troncare il flusso ininterrotto di milioni di euro di aiuti che ha legato per decenni la corona a Ramallah. È come se Abu Mazen e il suo staff abbiano perso tutto per sfinimento. Per consunzione. Solo l’Europa della anti-israeliana Federica Mogherini dà ancora retta alle grottesche richieste di aiuto economico che continuano ad arrivare a Bruxelles, anche se molti Paesi europei non nascondono la propria irritazione per l’attivismo filo Anp della signora Pesc.

In America ormai prevale la linea Trump che all’Onu è portata avanti dall’ambasciatrice Nikki Haley. Che proprio contro Abu Mazen e le proprie velate minacce ai cittadini statunitensi e israeliani rivolte durante l’ultimo discorso al palazzo di vetro a metà dello scorso gennaio ha tuonato nel discorso di replica della medesima sessione. Non è ancora lontana la eco delle continue condanne antiisraeliane delle Nazioni Unite, ma presto questo trend potrebbe diventare solo un ricordo. I palestinesi si sono fregati con le loro stesse mani: da una parte nella West Bank una leadership poco credibile e corrotta sul modello di quella ultra trentennale di Arafat, dall’altra, a Gaza, una quinta colonna filo iraniana e alleata degli hezbollah a pochi chilometri dall’Egitto sunnita e dall’Arabia Saudita. Quest’ultimo Paese in pratica con l’Iran è già in guerra per interposto movimento di guerriglia nello Yemen, i famigerati huthi.

In questo quadro, già oggettivamente sfavorevole a livello geopolitico alla causa palestinese, passata in secondo piano dopo la crisi siriana, la guerra con l’Isis e quant’altro, il passo falso di chiamare a una nuova intifada contro la decisione di Donald Trump di spostare la diplomazia americana a Gerusalemme, riconoscendola di diritto oltre che di fatto come la vera capitale dello stato ebraico, può costare carissimo ad Abbas. E il discorso all’Onu del 17 gennaio rischia di essere lo sterile canto del cigno di un ex capo guerrigliero sull’orlo del pensionamento. Lui stesso si è dimostrato consapevole di questo andazzo dicendo alla stampa che “forse non mi rivedrete più qui”.

Ma anche la petizione degli affetti sembra essere andata a vuoto: nei giorni successivi tanto nei media arabi quanto in quelli israeliani il discorso che doveva infiammare gli animi dei combattenti palestinesi è scivolato nelle pagine interne. E adesso, dopo quasi due mesi da quelle sparate sterili, molti cominciano a credere che della causa palestinese nel mondo, al netto di Federica Mogherini, non freghi proprio più niente a nessuno.

http://www.opinione.it/esteri/2018/03/1 ... mogherini/



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 Oggetto del messaggio: Re: GAZA: la guerra infinita
MessaggioInviato: 16/03/2018, 20:04 
Un po' per volta, un po' per volta ... [:291]


http://www.ilprimatonazionale.it/esteri ... lio-81406/
Un’auto con alla guida un palestinese di 26 anni ha travolto una pattuglia israeliana in Cisgiordania, provocando la morte di due soldati e il ferimento di altri due. E’ quanto riporta il sito del quotidiano Jerusalem Post, che parla di un “attacco terroristico”. L’episodio è avvenuto nei pressi dell’insediamento di Mevo Dotan, situato circa 10 chilometri a sudovest di Jenin. Il guidatore, che si era allontanato subito dopo aver travolto i militari, è stato poi catturato dalle forze di sicurezza israeliane. Sarebbe leggermente ferito. Intanto tank israeliani hanno colpito obiettivi di Hamas nella Striscia di Gaza dopo che, secondo quanto riferito dall’esercito israeliano, alcuni ordigni sono esplosi lungo la linea di confine con l’enclave palestinese. Lo riporta l’agenzia di stampa Dpa. Ashraf al-Qedra, portavoce del ministero della Salute di Gaza e l’esercito israeliano hanno negato che ci siano feriti a causa delle operazioni israeliane e tra le forze di sicurezza dello Stato ebraico a seguito delle esplosioni degli ordigni. Sporadici incidenti si registrano da quando lo scorso dicembre il presidente Usa Donald Trump ha annunciato il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele, suscitando le ire dei palestinesi. Il mese scorso quattro soldati israeliani sono rimasti feriti per l’esplosione di una bomba lungo il confine e Israele ha risposto attaccando obiettivi di Hamas, che nel 2007 ha preso il controllo della Striscia. L’esercito israeliano sta valutando se sia stato usato anche un missile antitank nell’attacco di ieri mattina contro una pattuglia di soldati al confine con la Striscia di Gaza. Lo scrive il sito Times of Israel, ricordando che simili armi non venivano usate nella Striscia dal 2014. L’attacco di questa mattina viene descritto come “molto serio”, anche se non vi sono state vittime fra i soldati israeliani. Tank dell’esercito hanno poi colpito obiettivi di Hamas come rappresaglia. L’attacco è avvenuto alle sei del mattino, con l’esplosione di due ordigni Ied, ordigni artigianali esplosivi, nella Striscia, ad un centinaio di metri del confine, mentre passava una pattuglia israeliana. Ma se l’esercito sta cercando di capire se sia stato usato anche un missile antitank. La tensione è tornata a salire in Medio Oriente, in parte alimentata dalla decisione americana di riconoscere Gerusalemme capitale d’Israele. Ma c’è anche preoccupazione per il rafforzamento della presenza iraniana in Siria, con il timore del possibile scoppio di un conflitto in cui Israele verrebbe attaccato dall’Iran e milizie alleate di Teheran in Siria, Libano e a Gaza.

http://www.secoloditalia.it/2018/03/due ... lestinese/

(Poi perdono la pazienza .........)



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