Quella bomba che spacca la Palestina
Il Giornale, 14 marzo 2018
Chi ha cercato ieri di far fuori a Gaza il Primo ministro palestinese di Fatah? "Se fossimo stati noi" -ha detto Mahmoud Al Zahar con la solita simpatica espressività- "avremmo riportato alla Mukata un cadavere a pezzi". Al Zahar è uno dei capi di Hamas, e così adesso respinge le accuse di avere attentato, appena dentro i confini di Gaza, Repubblica islamica agli ordini di Yahya Sinwar (oggi leader nominato dopo Ismail Haniyeh) e di Khaled Mashal, al Primo ministro palestinese Rami Hamdallah, che viaggiava insieme al Capo dei servizi segreti di Abu Mazen, Majid Faraj. Due colonne del regime pericolante di Abu Mazen.
Una bomba è esplosa proprio appena il convoglio di Hamdallah entrava dentro Gaza dal passaggio di Erez, lasciandolo tuttavia incolume. La bomba è esplosa colpendo le ultime tre jeep del convoglio, i finestrini sono volati in pezzi, Al Jazeera ha messo in onda una gran nuvola di fumo che mostra che gli attentatori hanno messo un bel po’ di impegno nell'operazione. Ma sono stati solo feriti lievemente sette uomini della sicurezza, che Israele si è subito offerta di prendere in cura.
Il 56enne Hamdallah, che stava andando a tenere un discorso per inaugurare un nuovo impianto di depurazione molto atteso nella zona, ha tenuto il suo discorso in modo quieto e elegante, esaltando l'unità recentemente acquisita dalle due parti, Fatah e Hamas, che dal 2007, con alterne vicende, sono state in guerra fra di loro.
Ultimamente l'Egitto, mentre maturava la crisi di Hamas con Doha e quindi scarseggiavano i soldi del Qatar, ha potuto mostrarsi generoso verso la Striscia dominata dai suoi peggiori nemici, i Fratelli Musulmani di cui Hamas fa parte: ma l'accordo firmato da Abu Mazen e Hamas sotto gli auspici di Al Sisi vive nella minaccia di tagli di fondi e si nutre, dato che le elezioni non sono in vista, della speranza di Hamas che le analisi mediche di Abu Mazen promettano presto piazza pulita.
Intanto si scontrano a tutta forza Mohammad Dahlan, espulso da Fatah e benvenuto da Hamas e in Egitto, e Jibril Rajoub, un tipo molto portato alla lotta dura contro gli israeliani che si vende da tempo come successore designato. Se non è stato Hamas, che nega accusando Israele (che però non ha interesse a uccidere Hamadallah) ci sono altre due ipotesi possibili: l'Isis, che ha i suoi gruppi salafisti in zona; e forse, ma va detto con cautela, Mohammed Dahlan, che Abu Mazen odia e interdice da Ramallah.
Ma chi sa: dal tempo della guerra del 2007 Fatah e Hamas si sono sparati, scaraventati giù dai tetti, imprigionati, condannati a morte, torturati. Oggi siamo, chiunque abbia messo la bomba, a un'altra delle mille puntate di questo viaggio, per il quale le due parti, pur non differendo molto nell'ambizione finale di cancellare lo Stato d'Israele si odiano viepiù mentre si affaccia il tramonto di Abu Mazen.
Intanto il rais rifiuta qualsiasi dialogo sul nuovo piano di Trump per il Medio Oriente, cercando invece un'identità ideologica con Hamas che non può avvantaggiarlo. E' una gara inutile e dannosa per i palestinesi, sempre più nell'angolo da quando Trump ha riconosciuto che Gerusalemme è la capitale di Israele. Abu Mazen non può farcela sul terreno della concorrenza estremista. Potrebbe invece finalmente aprire quella lettera di Trump che li invita a colloqui di pace, e vedere cosa c'è scritto.
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