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GAZA: la guerra infinita
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Autore:  Ufologo 555 [ 28/06/2019, 19:42 ]
Oggetto del messaggio:  Re: GAZA: la guerra infinita

Taci, falso profeta! [:298]

Autore:  Ufologo 555 [ 28/06/2019, 19:44 ]
Oggetto del messaggio:  Re: GAZA: la guerra infinita

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Il “Peace to prosperity” workshop tenutosi a Manama in Bahrein tra martedì e mercoledì non verrà ricordato nei libri di storia. Non solo per l’anonimo nome con cui si presentava, ma soprattutto perché non porterà a una pace definitiva tra israeliani e palestinesi. Ciò non vuol dire che la sua importanza debba essere sottovalutata. Infatti, pur non facendo sostanziali passi avanti verso la soluzione finale del conflitto, si è verificato un più modesto cambio di approccio nel perseguimento della stessa, per lo meno da parte americana.

Chi c’era all’evento
Nessuna storica stretta di mano. Né tantomeno credibili candidati al Nobel per la pace. L’immagine più rappresentativa della due giorni di lavoro giunge dal ricevimento d’apertura al Four Season Hotel di Manama. Tra i tavoli e le poltrone della sala si è assistito a intensi colloqui tra uomini d’affari provenienti dal mondo arabo e le loro controparti israeliane. Nonostante l’assenza di delegazioni ufficiali, alla fine molti uomini provenienti dal settore privato israeliano e palestinese si sono presentati all’evento. Dimostrando che la questione palestinese può essere trattata a un livello tecnico, senza dover toccare i principali tasti dolenti (su tutti lo status di Gerusalemme).

Tra i presenti si contano circa quindici palestinesi, guidati dalla controversa figura di Ashraf Jabari, businessman di Hebron e unico speaker palestinese ufficialmente in scaletta. Tra gli altri, per gli israeliani c’era il generale di riserva Yoav Mordechai, ex coordinatore delle attività di governo nei territori giunto a Manama come semplice uomo d’affari. Ma anche Aric Tal, responsabile Nokia dell’area mediterranea, attivo nello sviluppo della rete 3G nei territori palestinesi.

Folta si è rivelata anche la presenza di giornalisti israeliani accorsi per coprire l’evento. Nonostante l’assenza di relazioni diplomatiche ufficiali con Israele, Manama ha permesso a sei testate giornalistiche israeliane di mandare propri inviati. Un evento eccezionale sottolineato dalla sorpresa con cui i giornalisti venivano ricevuti ai controlli di sicurezza dell’Aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, nel momento in cui dichiaravano la destinazione finale del proprio viaggio con scalo ad Amman. Il Bahrein, a riconferma del ruolo di backchannel giocato nell’interlocuzione tra Israele e Paesi arabi, è stato rappresentato nel corso dei lavori da Houda Nonoo, diplomatica ebrea già ambasciatrice a Washington dal 2008 al 2013. Infine, nonostante le iniziali smentite, si è registrata la presenza con un basso profilo di rappresentanti russi e cinesi, così come della rappresentante speciale dell’Ue per il Medio Oriente, Susanna Terstal.

Un approccio economico alla questione palestinese
È interessante notare il cambio di nome in corsa che ha subito l’evento. Dall’ambizioso appellativo di conferenza si è preferito virare sul più modesto workshop. Soprattutto per non irritare le già riottose delegazioni arabe, restie a partecipare a un evento dall’alta valenza politica. Tale mutamento in realtà suggerisce le reali intenzioni del presidente Trump, principale promotore dell’evento. Il suo approccio nei confronti della questione palestinese è ormai mutato rispetto alla tradizionale soluzione dei due Stati perseguita dai suoi predecessori. Gli Usa dimostrano di aver abbandonato il ruolo di mediatore tra le parti per sostenere le ragioni di Tel Aviv. Di conseguenza non lavorano più per dare alla luce uno Stato palestinese ma per disinnescare la voglia di sovranità di quella stessa popolazione attraverso incentivi di tipo economico.

Per tale motivo, la presentazione della parte economica del ‘deal of the century’ non si spiega unicamente per ragioni d’opportunità. La precedenza che ha avuto rispetto alla parte politica e securitaria del piano è sintomo di un’inversione delle priorità per Washington. Interessata sì a ridurre la conflittualità regionale, ma non intaccando lo status quo tanto caro a Israele. Non a caso la delegazione americana era guidata dal segretario al Tesoro Steven Mnuchin, a sottolineare il declassamento della questione palestinese da affare politico-strategico a questione economica, tecnica e procedurale.

Jared Kushner, consigliere speciale e genero di Trump, ha aperto i lavori presentando il piano già consultabile dalla serata di domenica sul sito della Casa Bianca. Il progetto prevede un investimento complessivo di 50 miliardi di dollari in dieci anni, da riversare su Cisgiordania, Gaza e Paesi limitrofi (Egitto, Giordania, Libano). L’inserimento di questi tre Stati sottolinea forse la volontà di considerare i territori palestinesi come un terreno divisibile tra di essi e non un’entità statuale potenzialmente indipendente. Non è chiaro chi saranno i veri finanziatori del piano. Infatti ciascun investimento presentato riporta un’anonima dicitura ‘grant funding’ o ‘concessional financing’.

Economy, people, government: i tre pilastri
Gli investimenti sono ripartiti in tre grandi settori tematici. In primo luogo si considera l’economia palestinese. L’obiettivo è quello di integrarla maggiormente rispetto al mercato regionale, attraverso un piano di investimento infrastrutturale. Tra le misure più ambiziose c’è il progetto del corridoio palestinese tra Gaza e la Cisgiordania, da collegare tramite un’autostrada e in futuro attraverso una linea ferroviaria. Si vogliono ridurre le barriere e i controlli al confine anche attraverso la costruzione di punti di ingresso alternativi, come un nuovo porto a Gaza. Sempre nella Striscia si aspira a raddoppiare la fornitura di acqua corrente e a estendere a 16 ore giornaliere la disponibilità di elettricità. Inoltre si calcola la possibilità di creare un milione di posti di lavoro attraverso l’espansione del settore privato. L’export dovrebbe incidere sino al 40 % sul Pil palestinese, a fronte dell’attuale 17 %, mentre gli investimenti diretti esteri dovrebbero aumentare dal 1,4 all’8 %.

La seconda area tematica è dedicata alla popolazione. Si prevedono investimenti nel sistema educativo. L’obiettivo è di aprire una nuova università (su cui investire 500 milioni) e aumentare le borse di studio internazionali, oltre che modernizzare i centri educativi già esistenti. Da notare come venga più volte fatto riferimento al modello educativo occidentale dove la scienza, la tecnologia e l’innovazione risultano prioritarie. Molta attenzione viene dedicata alla disoccupazione giovanile e alla condizione delle donne, le cui percentuali di impiego sono nettamente inferiori rispetto agli uomini (si vuole passare dal 20 al 35 % di occupazione femminile). Inoltre si parla di una conversione del sistema sanitario verso un modello preventive-oriented in grado di agire efficacemente ma limitando i costi, ad esempio nel dimezzamento della morte infantile. In generale poi si parla di qualità della vita, il cui miglioramento passa per l’apertura di centri sportivi, artistici, culturali e un aumento dei servizi municipali, potenzialmente sfruttabili anche da nuovi flussi turistici. L’obiettivo è quello di innalzare l’aspettativa di vita dai 74 anni attuali a 80.

Infine si dedica un paragrafo al settore pubblico. Non è un caso che venga lasciato per ultimo, quasi a sottolineare l’importanza maggioritaria che nel nuovo approccio ricopre il settore privato, a fronte di un apparato pubblico sinonimo di corruzione e inefficienza. È evidente il tentativo di delegittimare lo schema istituzionale fuoriuscito dagli Accordi di Oslo, e in particolare limitare il ruolo giocato dall’Autorità nazionale palestinese bypassandolo, e creando un collegamento diretto con la società civile. L’obiettivo in questo settore è produrre terreno fertile per gli investimenti, favorendo la creazione di un business environment migliore. Attraverso interventi nel sistema normativo, nell’indipendenza del settore giudiziario e tramite la creazione di un meccanismo di e-governance (si prende come riferimento l’ambizioso modello estone). Le parole d’ordine sono trasparenza e accountability nelle linee di finanziamento che verranno aperte e da cui si vuole estromettere l’Anp, così come gli altri attori politici del variegato fronte palestinese.

https://www.affarinternazionali.it/2019 ... lestinese/

Autore:  sottovento [ 29/06/2019, 17:25 ]
Oggetto del messaggio:  Re: GAZA: la guerra infinita

Basta guardare a come andò con Arafat a Camp David e ciò dice tutto.

Autore:  Ufologo 555 [ 29/06/2019, 19:55 ]
Oggetto del messaggio:  Re: GAZA: la guerra infinita

sottovento ha scritto:
Basta guardare a come andò con Arafat a Camp David e ciò dice tutto.



Anche questo lo scrivo da 10 anni, qui ......... [:290]

Autore:  Ufologo 555 [ 14/07/2019, 10:48 ]
Oggetto del messaggio:  Re: GAZA: la guerra infinita

Hamas abbandona i tunnel e cambia strategia

14 luglio 2019

L’8 luglio le Forze di difesa israeliane hanno distrutto il diciottesimo tunnel costruito da Hamas per collegare il territorio meridionale della Striscia di Gaza a Israele. L’ultimo di una rete di tunnel militari che si uniscono in un dedalo di qualche decina di chilometri sotto le città di Khan Yunis, Jabalia e il campo profughi di Shati.

Hamas ne ha iniziato lo scavo in seguito alla c.d. “Operazione piombo fuso”, una campagna militare lanciata dall’esercito israeliano nel dicembre del 2008 – e conclusasi il mese successivo, nel gennaio 2009 -, allo scopo di neutralizzare l’organizzazione palestinese, in risposta all’intensificarsi del lancio di razzi da parte di Hamas contro obiettivi civili nel sud di Israele. Subito, l’offensiva israeliana era risultata imponente e l’ala militare di Hamas aveva dovuto ritrarsi nella città di Gaza, per salvaguardare la sovranità di Hamas sulle città e i villaggi della Striscia.

L’organizzazione palestinese ha cercato allora una soluzione in grado di cogliere di sorpresa le forze israeliane, nel caso avessero lanciato una nuova offensiva nel territorio. Da qui, l’idea di scavare alcuni tunnel per tutta l’ampiezza della Striscia di Gaza, con l’obiettivo di colpire alle spalle l’esercito israeliano.
Un progetto abbandonato

I tunnel si sono rivelati utili non solo a scopi di attacco, ma anche di difesa: ad esempio, per nascondere l’arsenale missilistico, per facilitare le comunicazioni o come nascondiglio per i soldati. Ormai, però, il sistema di tunnel sotterranei avrebbe fatto il suo corso e non risulterebbe più utile ad Hamas. La loro costruzione infatti è continuata fino a quando le Forze di difesa israeliana hanno rivelato di essere in possesso di nuovi strumenti tecnologici per localizzarli e distruggerli. In contemporanea l’esercito israeliano ha iniziato a costruire una barriera sotterranea molto profonda e dotata di sistemi tecnologici di rilevamento.

Da quando le Forze israeliane hanno iniziato a impiegare tecnologie avanzate per disseppellire i tunnel di Hamas, l’organizzazione palestinese ha abbandonato il progetto. Sotto la Striscia di Gaza rimarrebbero ancora alcuni tunnel nascosti, considerati però di difficile utilizzo per Hamas, vista la nuova barriera costruita da Israele.
Verso una nuova strategia

La decisione di Hamas di rinunciare alla costruzione di tunnel ha conseguenze importanti per la dottrina militare del braccio armato dell’organizzazione, che è ora alla ricerca di un’alternativa. Lo stesso giorno in cui è stato demolito il diciottesimo tunnel, le Forze di difesa israeliana hanno intercettato un drone di Hamas, penetrato nello spazio aereo israeliano. L’organizzazione palestinese starebbe progettando lo sviluppo di una “forza aerea” costituita da droni e altri velivoli senza pilota, in grado sia di raccogliere informazioni di Intelligence sia di condurre azioni offensive.

Hamas è alla ricerca di un nuovo strumento difensivo in grado di proteggere la Striscia di Gaza da un eventuale attacco israeliano contando sull’effetto sorpresa, considerata l’impossibilità di far fronte a un’offensiva via terra. Starebbe così ampliando il raggio dei suoi missili – risultati efficaci contro Israele – e dei lanciarazzi multipli in grado di superare il sistema di difesa antimissile Iron Dome.

Dietro a questi tentativi, c’è però il dato di fatto. Data la sua posizione di debolezza, Hamas deve optare per una tregua con Israele piuttosto che cercare un conflitto dal quale uscirebbe perdente. Senza contare che la volontà di raggiungere soluzioni di compromesso, evitando un ennesimo scontro, potrebbe essere una decisione strategica, frutto di una vera e propria convergenza di interessi tra Hamas e Israele.

Entrambi sembrerebbero impegnati a tutelare i rapporti con l’Egitto – che si erge sempre più come mediatore del conflitto israelo-palestinese – e a impedire che l’Autorità nazionale palestinese (Anp) riesca nell’impresa di riunificare Cisgiordania e Striscia di Gaza sotto il suo controllo. Ed entrambi sono consapevoli dell’improbabilità che, in caso di uno scontro all’ultimo sangue, una delle due parti possa riportare una vittoria totale, senza ingenti perdite umane, militari ed economiche.

Non è nell’interesse d’Israele condurre operazioni militari a Gaza, che potrebbero rivelarsi troppo costose sotto diversi profili, e che in ogni caso lo distrarrebbe dal fronte con la Siria. Hamas, inoltre, si è dimostrata anche una controparte con la quale si riesce a negoziare e il suo allontanamento da Gaza creerebbe uno spazio colmabile da gruppi jihadisti più pericolosi, tra i quali lo Stato islamico, i cui fedelissimi sono molto presenti nella vicina Penisola del Sinai, o il Jihad islamico, responsabile della recente escalation di violenza proprio nella Striscia.

Come sottolinea l’analista Aaron David Miller, Israele reputa Hamas l’alternativa più tollerabile all’interno della Striscia di Gaza; Hamas sa di aver bisogno dell’accettazione de facto da parte di Israele, per questo opera per calmare gli animi dei palestinesi. Entrambe le parti, insomma, beneficiano dello status quo.

https://it.insideover.com/guerra/hamas- ... e_redirect

Autore:  sottovento [ 14/07/2019, 13:35 ]
Oggetto del messaggio:  Re: GAZA: la guerra infinita

Tunnel, razzi, droni o fionde che siano continueranno a odiare Israele, ergo continueranno a rifiutare un processo di Pace.

Autore:  Ufologo 555 [ 14/07/2019, 13:42 ]
Oggetto del messaggio:  Re: GAZA: la guerra infinita

(ARAFAT DOCEBAT...) [8D]

Autore:  MaxpoweR [ 14/07/2019, 22:28 ]
Oggetto del messaggio:  Re: GAZA: la guerra infinita

sottovento ha scritto:
Tunnel, razzi, droni o fionde che siano continueranno a odiare Israele, ergo continueranno a rifiutare un processo di Pace.


fincxhè occuperanno la loro terra fanno bene a gettargli addosso anche le stoviglie se necessario.

Autore:  Aztlan [ 14/07/2019, 23:10 ]
Oggetto del messaggio:  Re: GAZA: la guerra infinita

Thethirdeye ha scritto:
TheApologist ha scritto:
Lascio parlare lui... [^]
Guarda su youtube.com

Grazie TheApologist per il contributo....


Questo dovrebbe andare in un topic FAQ, solo Archivio, a imperitura memoria...

Autore:  TheApologist [ 14/07/2019, 23:51 ]
Oggetto del messaggio:  Re: GAZA: la guerra infinita

Aztlan ha scritto:
Questo dovrebbe andare in un topic FAQ, solo Archivio, a imperitura memoria...

Eh si ma è tempo perso... Per loro sionismo ed ebraismo sono sinonimi.
E quindi via con la pappardella mistico/religiosa sui figli di Dio che tornano finalmente a casa, ma la trovano infestata di terroristi nazislamici da eliminare...

Non se ne esce e non se ne uscirà mai. [:287]

Autore:  Aztlan [ 15/07/2019, 00:27 ]
Oggetto del messaggio:  Re: GAZA: la guerra infinita

[:301]

Autore:  sottovento [ 15/07/2019, 21:06 ]
Oggetto del messaggio:  Re: GAZA: la guerra infinita

TheApologist ha scritto:
Per loro sionismo ed ebraismo sono sinonimi.
E quindi via con la pappardella mistico/religiosa sui figli di Dio che tornano finalmente a casa, ma la trovano infestata di terroristi nazislamici da eliminare...

Non se ne esce e non se ne uscirà mai. [:287]

I sinonimi non c'entrano nulla. Infatti non è questione ne di Sionismo ne di Ebraismo ma bensì di rifiutare che un popolo avente li le proprie origini possa fare ritorno a casa dopo aver vissuto una cosa nota come Olocausto Nazista. Sarebbe come se si negasse ad un antifascista spedito al confino di tornare nella propria casa che magari nel contempo è stata data in uso a terzi.

Oltretutto quel processo di Pace, come più volte sottolineato da me e da Massimo555 era sul punto di essere sottoscritto a Camp David (toh! ma guarda te, quei guerrafondai di yankee che vogliono un processo di Pace!!!! ebbene si ma per voi gli americani sganciano soltanto bombe).

Quindi Sionismo, Ebraismo e tutto il resto tornano relativi. Ciò che veramente conta è un processo di Pace rifiutato dai palestinesi e certamente se al loro posto ci fossero stati i turchi o finanche i sauditi quella Pace si sarebbe fatta.

Autore:  mauro [ 15/07/2019, 22:48 ]
Oggetto del messaggio:  Re: GAZA: la guerra infinita

Cita:
che un popolo avente li le proprie origini possa fare ritorno a casa


m quale popolo che torna casa? [8D] è solo questione di religione, infatti(come ti è stato già detto)
ci sono li, ebrei di etnia cinese , europea e anche neri [;)]
ciao
mauro

Autore:  bleffort [ 16/07/2019, 00:06 ]
Oggetto del messaggio:  Re: GAZA: la guerra infinita

Non era piu' logico che il territorio destinato agli Ebrei fosse stato tolto alla Germania?.

Autore:  TheApologist [ 16/07/2019, 00:28 ]
Oggetto del messaggio:  Re: GAZA: la guerra infinita

Neturei Karta

I Neturei Karta (נטורי קרתא, in aramaico "Guardiani della città") sono un gruppo di ebrei che rifiutano di riconoscere l'autorità e la stessa esistenza dello Stato di Israele, in nome della propria interpretazione dell'ebraismo, della Torah e di passi del Talmud.

l gruppo è stato fondato nel 1938 a Gerusalemme da ebrei che da molte generazioni vivevano in Palestina, per lo più discendenti da ebrei ungheresi che si erano trasferiti in Palestina all'inizio del XIX secolo e da ebrei lituani che erano lì anche da più tempo. Il gruppo nasce dalla scissione da un altro movimento di ebrei ortodossi, fondato nel 1912 da Agudas Israel, che aveva anch'esso come scopo la lotta al sionismo, ma che col passare degli anni aveva ridotto la propria azione. L'attività dei Neturei Karta si è poi estesa al di fuori della Palestina, in diversi casi per l'abbandono volontario, lamentando di aver subito violenze, imprigionamenti, torture e pressioni di ogni tipo da parte dei sionisti, e comunque per il rifiuto di vivere in uno Stato che si rifiutavano di riconoscere come legittimo.

Attualmente il movimento consta di diverse migliaia di famiglie, con un numero elevato di simpatizzanti difficilmente quantificabile, presente oltre che a Gerusalemme anche negli Stati Uniti d'America, in Belgio, nel Regno Unito e in Austria.
...

Una delle figure di spicco del movimento è il rabbino Amram Blau, sopravvissuto all'Olocausto. Secondo il rabbino Blau, il riconoscimento dell'ONU allo stato di Israele sarebbe una grave ingiustizia nei confronti degli ebrei stessi.
...

Accusano inoltre lo stato di Israele di essersi dotato di una facciata religiosa (con l'uso di nomi religiosi per i partiti politici, la presenza di rabbini negli stessi, etc) e di alterare i commentari alla Torah secondo le esigenze sioniste. Affermano poi che gli ebrei sionisti non possono pretendere di parlare e agire a nome di tutti gli ebrei, ed evitano anche di partecipare alle attività civili israeliane (rifiutando elezioni, assistenza sociale, supporto finanziario, etc).
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https://it.wikipedia.org/wiki/Neturei_Karta

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