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 Oggetto del messaggio: Re: La Stirpe del Graal
MessaggioInviato: 01/03/2015, 22:06 
Atlanticus81 ha scritto:
Vi è un simbolo ricorrente che a mio avviso è di rilevante importanza; strumento e chiave di lettura fondamentale per le indagini che portiamo avanti in questo thread...

Il Fleur-de-Lys

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il giglio stilizzato è l'elemento più diffuso nella simbologia araldica. Il primo utilizzo documentato del giglio in forma di "seminato" su uno stemma reale appartiene al principe Luigi, il futuro re Luigi VIII, nel 1211, dove aveva i colori che ancora oggi sono ufficializzati nel blasone dello stato francese: oro su fondo azzurro. In precedenza, Luigi VII aveva sfoggiato il disegno di un giglio stilizzato che aveva chiamato "Fleur-de-Lys", il nome francese del fiore che ricordava, in un'assonanza fonetica, la locuzione "Flor de Loys", cioè il "fiore del re Luigi".

La tradizione, però, attribuisce al simbolo un'origine ancora più antica: si dice, infatti, che esso fosse stato adottato dal re merovingio Clodoveo nel V sec., dopo una battaglia vittoriosa contro i Visigoti, combattuta a Vouillé, ad ovest di Poitiers, nei pressi del fiume Lys, in Belgio, dove questo fiore cresce in abbondanza (si tratta, ovviamente, non del comune giglio di giardino, ma di una sua variante chiamata "iris delle paludi" o "iris gialla", nome scientifico: Iris pseudacorus L.).

Clodoveo era stato convertito al cristianesimo dal vescovo Remigio nei pressi di Reims (vedi, in proposito, l'articolo sull'Abbazia di Saint-Remi) e da questo momento in poi il giglio, che è un ben noto simbolo di purezza e castità, è diventato il simbolo dei re cristiani di Francia. La simbologia cristiana vede nei suoi tre petali stilizzati un'allusione alla Trinità divina e nella base orizzontale la figura di Maria, di fondamentale importanza per comprendere il mistero trinitario in quanto fu da lei che, attraverso l'intervento divino del Padre, s'incarnerà il Figlio, e dai due emana lo Spirito Santo.

Questo concetto si trasformerà successivamente con il diffondersi delle teorie pseudo-storiche associate al Santo Graal ed alla discendenza di Cristo. Il "Fleur-de-Lys" viene così associato alla "Stirpe Reale": la base del simbolo rappresenterebbe, secondo questa nuova concezione, Maria Maddalena mentre i tre petali non sono altro che i figli che essa ebbe da Gesù: Tamar, Joshua e Josephes.

Il tema della "Linea di Sangue Reale" venne per la prima volta presentato ad un pubblico più vasto nel 1982, con l'uscita del saggio "Il Santo Graal" di Baigent, Leigh e Lincoln. Nelle loro teorie, la linea di sangue passerebbe per i sovrani Merovingi, e questa "origine divina" è alla base della leggenda che vedeva il re Meroveo, dal cui nome derivò quello della dinastia, generato da un mostro marino uscito dal mare.

http://www.angolohermes.com/Approfondim ... tirpe.html


Proviamo a fare un passo ulteriore...

Dal Fleur-de-lis al fiore della vita tra gigli e tridenti

Sono molti gli antichi simboli che travalicano confini spaziali e temporali e che continuano a stuzzicare la curiosità dell’uomo moderno che ha dimenticato le origini delle sue stesse conoscenze. Uno dei simboli più affascinanti che ha accompagnato in varie forme l’umanità nei secoli è il simbolo del fleur de lis. Ad esso sono stati attribuiti molteplici significati ed è stato conosciuto con molti altri nomi.

L’origine del “fleur-de-lis” è stato dibattuto per secoli. Ci sono da considerare alcune questioni collegate tra loro rispetto a questo simbolo:

Non si conosce con sicurezza la sua origine, quello che è noto e che ad un certo punto è stato adottato dai re di Francia. Non è chiaro neanche cosa questo simbolo rappresenti veramente e le principali teorie tendono a dargli un significato floreale.

Anche se il simbolo che ha assunto più recentemente fama per il suo collegamento con la dinastia merovingia esso non nasce con essa. Infatti lo possiamo ritrovare in molti luoghi, molto prima dei tempi araldici, già fino dall’antica Mesopotamia. E’ essenzialmente un fiore stilizzato che serviva come elemento decorativo ed stato associato nel tempo alla regalità, specialmente nell’alto medio evo

Il suo utilizzo in araldica si può fare risalire al 12° secolo. Con certezza è stato dapprima adottato in forma di serie su un campo monocolre dal re francese Filippo II (1180-1214) e forse già dal padre Luigi VII (1137-80). Almeno dal 1200 lo stemma con base azzurro e con una serie di “fleur-de-lis”di colore oro viene associato alla monarchia francese. Esso appare su monete e sigilli dal 10° secolo almeno.

Tipicamente si trova nell’impugnatura dello scettro o decora il bordo della corona, oppure viene retto in mano in versione ingigantita assieme allo scettro. Quindi dall’11° al 12° secolo c’è una forte associazione tra questo simbolo e la sovranità regnante. Monete dell’imperatore Federico I lo mostrano mentre regge questo scettro. Si suppone che già al tempo avesse assunto il nome di fleur-de-lis e avesse forti connotazioni religiose, specialmente legate alla Vergine Maria, e più tardi (nel 14° secolo) alla Trinità.

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Sigillo di Filippo II Augusto, Re di Francia, 1180.
Legenda: Filippo Dei gratia Francorum rex “.


Dal “trattato di Araldica” di Michel Pastoureau Parigi 1979:

l’uso del fiore stilizzato chiamato solitamente “fleur de lis” è comune a tutte le epoche e tutte le civiltà. Si tratta di un tema essenzialmente grafico trovato su cilindri mesopotamici, bassorilievi egizi, ceramiche micenee, tessuti sassanidi, monete galliche e mamelucche, vestiti indonesiani, emblemi giapponesi e perfino su totem Dogon.

i vari scrittori che hanno discusso l’argomento concordano che ha poco a che fare con la grafica del giglio;non sono d’accordo se si tratta di una derivazione del giglio, del loto o della ginestra, o se rappresenta un tridente, una freccia, una doppia ascia, oppure una colomba o un piccione e comunque riteniamo che la cosa abbia poca importanza.

Il punto essenziale è che è una figura molto stilizzata, probabilmente un fiore che è stato usato come ornamento o come emblema da quasi tutte le civiltà del vecchio e nuovo mondo.

I più antichi esempi conosciuti di fleur-de-lis simili a quelli usati nel mondo occidentale medievale e nei tempi moderni si possono trovare sui bassorilievi assiri dal 3° millennio A.C. ai trova in diademi, collane, scettri, e sembra già che assuma il significato di attributo reale.

Quelli che si trovano successivamente a Creta, in India ed in Egitto, probabilmente hanno un significato simile. In numismatica, troviamo i fleur-de-lis su monete greche e su alcune monete romane della Repubblica o dell’Impero e soprattutto sulle monete galliche. [Il libro mostra tre monete: una moneta gallica (1° secolo DC), una moneta mamelucca (1390) e una moneta di Luigi VI di Francia (1110-1130), tutte mostrano un inconfondibile fleur-de-lis (almeno la sua metà superiore, e una sorta di triangolo nella parte bassa)]. se nelle monete greche e romane, è una fiorone di forma variabile, in quella celtica è un vero fleur-de-lis araldico come riappare nel 13mo secolo.

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Pur mantenendo il suo significato di attributo regale, le fleur-de-lis acquista nel Medioevo un forte significato cristico, che deriva (tra gli altri) dal celebre versetto del Cantico dei Cantici (2: 1): “ego flos campi et lilium convallium ” ripetuto e commentato molte volte da San Girolamo a San Bernardo.

Quindi non è raro, fino alla fine del 12° secolo, vedere Cristo rappresentato tra gigli o fioroni stilizzati, il cui disegno potrebbe ricordare anche la Trinità del Chrismon (il monogramma di Cristo). Poi, lentamente, a questo contenuto cristico si aggiunge il simbolismo legato allo sviluppo del culto di Maria, e al versetto successivo del Cantico dei Cantici (2: 2): «sicut lilium interrelazioni Spinas, sic amica mea interrelazioni Filias” e molte parti delle Scritture e dei Padri della Chiesa, in cui il giglio è presentato come simbolo di purezza, verginità e castità.

Nell’iconografia, il giglio diventa un attributo preferito della Vergine Maria e lo rimarrà fino al 16° secolo.

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Possiamo trovare una versione stilizzata del fleur-de-lis in un urna da Oaxaca Mexico, in fornellini di ceramica per bruciare incenso del periodo Classico (200-650 C.E.) dall’antica città di Palenque, e come un simbolo in Mesoamerica collegato all’albero della vita, e al sacro fungo (la frutta proibita) che cresce sotto, alla trinità degli dei creatori legati al pianeta Venere o come la stella della resurrezione divina.

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Nella civiltà Zapotec i glifi a includono il simbolo in fondo a destra,racchiudente un simbolo di autorità, resurrezione e trinità degli dei creatori.

In alto a sinistra c’è un disegno di una pietra olmeca (900-500 aC), raffigurante una divinità alata coronata con un simbolo del Fleur de lis che assume un significato simile a quello attribuito nel vecchio continente.

Il disegno successivo rappresenta una Stele, presso il sito archeologico di Coba in Quintana Roo, Messico, che ritrae i un sovrano Maya coronato con un simbolo simile nella forma al Fleur de lis che assume un significato simile al vecchio continente.

Il sovrano Maya è raffigurato mentre impersona il Dio Maya Chac-Xib-Chac. Egli regge una “barra con un serpente a due teste” nota come barra cerimoniale bicefala che rappresenta l’”albero del Mondo” noto come il Wakah Chan ( “sollevato verso il cielo”), un portale sacro che porta al mondo soprannaturale dell’immortalità. (ndr le quattro direzioni sono collegate da una gigantesca croce che sorge per divenire Wakah Chan, l’albero del mondo che collega il cielo la terra e il mondo degli inferi.

Nella mitologia maya rappresenta il momento della creazione ed è connessa al luogo dove ha inizio il mondo chiamato posto delle canne). La barra cerimoniale potrebbe rappresentare un’icona cosmologica dell’albero del Mondo, ossia degli “axis mundi”, un portale dell’alto e del basso legato alla natura dualistica del pianeta venere. Il sovrano indossa abiti in cui è codificato il potivo a tre punti, un simbolo sacro delle tre pietre del cuore della creazione legate anche alla trinità dei creatori.

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In alto a destra un re assiro (722 aC-705 aC) indossa un casco coronato con il Fleur-de-lis, che simboleggia la divinità e sovranità e una trinità di dei. Si noti la simbologia del numero 3 codificato nell’Albero della Vita. Il sovrano è ritratto in piedi di fronte l’Albero della Vita, con il Fleur-de-lis codificato alla base, che simboleggia la saggezza, l’immortalità, e resurrezione divina.

A destra c’è una lastra di pietra babilonese (dalla parete nord del palazzo di Re Sargon a Durrukin, 713-716 BC) raffigurante una divinità alata che indossa un casco coronato ancora con il simbolo del Fleur de lis.

Il dio alato è raffigurato mentre porta un secchiello rituale in una mano e una pigna dall’albero della vita eterna nell’altra.

Nelle lingue maya parola Chan significa sia il cielo e il serpente, ed è il codice per indicare l’immagine del portale del cielo serpente che allude al percorso degli dei e al viaggio dei primi antenati nel loro cammino dento e fuori dagli inferi durante le cerimonie sanguinose, e alla morte e resurrezione.

Gli antichi Maya credevano che gli dei che hanno creato il mondo attuale abbiano sollevato il cielo mettendo un asse verticale che indica l’alto e il basso al centro del cosmo

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In alto a sinistra è una scena finale dal manoscritto precolombiano conosciuto come il Codex Laud. La scena sembra raffigurare una divinità serpente (Quetzalcoatl) immaginata come l’Albero della Vita o Albero del Mondo, che riporta i tre fleur de lis simboli. Potrebbe rappresentare la trinità dei dei creatori in mesoamerica

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Incensiere raffigurante un dio Maya che indossa il copricapo chiamato dagli studiosi il copricapo del dio giullare. Guatemala 250-900 Ac.

Qui di seguito alcune opere artistiche che riportando il simbolo del Fleur de lis

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Abbiamo quindi visto che il simbolo del Fleur de lis appare nell’arte della Mesopotamia approssimativamente allo stesso tempo nella storia con la presenza degli antichi Olmechi. E’ sorprendente come l’emblema del fleur del lis nell’arte omeca e iconografia porta lo stesso simbolismo della divinità che abbiamo nel Vecchio mondo, legata alla trinità degli dei, esso è legato all’Albero della vita ed è un frutto proibito.

Molto prima dei viaggi di Cristoforo Colombo un popolo potente conosciuti come olmechi emersero dalla giungla paludosa della costa del Golfo che oggi chiamiamo Messico attorno al 1500-1200 AC. L’aumento della presenza di questa civiltà lascia perplessi gli archeologi. Questa cultura infatti sembra provenire dal nulla nella zona di San lorenzo nel Chiapas.

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Ma il simbolo lo possiamo ritrovare anche in altre parti del sud america e a volte in collegamento con immagini Feline. Qui di seguito una ceramica policroma”bottiglietta per il veleno” dal Peru, cultura Wari 500-100 AD, che mostra una deità felina con la codifica del Fleur De lis sulla schiena..

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Di seguito un’immagine dal Guatemala che mostra una coppia di giaguari in associazione con l’albero della vita e il a Fleur de lis.

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Immagini da stucchi a Campeche con Fleur de lis e giaguari

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Vediamo altre immagini ma dal vecchio mondo relativi a collegamenti tra felini e Fleur de lis:

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Alcuni esempi di fleur de lis lo troviamo legato alla cultura ebraica:

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Il Fleur de lis è stato ritrovato su alcuni manufatti religiosi ebraici sequestrati in Damietta Egitto. Il fleur de lis è uno dei simboli sacri che rappresenta la vera linea di sangue ebraico.

[img]https://i1.wp.com/www.mushroomstone.com/Star%20of%20David%20with%20fleur%20de%20lis%20symbol.jpg
[/img]

alcune monete indiane antiche con rappresentazione del fleur de lis

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Un’immagine molto cuirosa che potrebbe essere legata al Fleur de lis la troviamo nella cultura indu e prende il nome di Ahmuvan:

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Qui sotto portale del 16° secolo nel Tempio Padmanabhaswamy localizzato a Thiruvanthapuram India. Le porte del tempio rappresentano il serpente doppio e il simbolo del Flerud de Lis.

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L’aquila bicefala o l’uccello a due teste sono un tema comune nella mitologia indu e nell’arte precolombiana. Nella mesoamercia gli uccelli a due teste e i serpenti a due teste erano collegati alla sacralità e alla sovranità, così come alla natura dualistica del pianeta venere.

Alcune immagini del Fleur de lis nell’arte buddista:

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Ci sono altre raffigurazioni che potrebbero essere ricollegati alla simbologia del fleur de lis

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E forse se ricerchiamo più profondamente nel nostro passato, arriveremo alla conclusione che questo simbolo è molto ma molto piu’ antico e il suo significato si è completamente perso nei secoli:

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Giglio di Trieste

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Nel “Tesoro” della elegante Cattedrale trecentesca di San Giusto a Trieste, formata dall’unione di due chiese romaniche, eretta sulle fondamenta di una Basilica paleocristiana che a sua volta sorgeva su strutture di un edifico sacro romano) si conserva ancora oggi una Alabarda detta di “di San Sergio” che si racconta sia caduta dal cielo.

In realtà, da un’analisi della forma (slanciata all’asta e fiancheggiata da due bracci o raffi, uno più corto dell’altro) si nota che non si tratta di un arma romana ma “corsesca” di epoca medioevale. Fabbricata in Persia o, comunque, in Medio Oriente.

Quasi certamente proveniente dalla Terrasanta come bottino di guerra della Prima Crociata a cui parteciparono anche molti Triestini. Aldilà delle leggende, l’Alabarda della Cattedrale ha una caratteristica che l’avvicina a determinati oggetti, sparsi in tutti i continenti, che per alcune loro peculiarità sono avvolti nel mistero e hanno spesso suscitato le ipotesi più affascinanti, straordinarie o stravaganti. Come quelle di essere il retaggio di una civiltà superiore scomparsa migliaia di anni prima della storia da noi conosciuta oppure di provenire da altri mondi.

Infatti, l’Alabarda Triestina è fatta in una lega particolare che non si ossida. E’ immune alla ruggine ed è impossibile rivestirla d’oro. Gli appassionati e gli studiosi di antichi enigmi, andranno certamente con il pensiero alla famosissima “Colonna che non s’arrugginisce”, che si innalza in India, presso la città di Mehauli.

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L’Alabarda è stata forgiata probabilmente con il cosiddetto acciaio indiano (ferro meteorico e platino) celebre nel Medio Evo per la sua capacità di non perdere la lucentezza e per la specifica robustezza. Effettivamente, per quei tempi, si trattava di un arma tecnicamente avanzatissima.

Quanto al racconto della sua provenienza celeste, si riallaccia a molti miti, in genere di fondazioni di stirpi o città o di investitura di condottieri e capi popolo. Ad esempio, si narra che il capo Unno Attila, decise di lanciarsi alla conquista dell’Impero Romano, dopo che un misteriosa “Spada magica”, precipitata dal cielo, aveva ucciso una giovenca. Nell’arma, il capo barbaro asserì di aver riconosciuto la Spada che un tempo veniva adorata dagli antenati nelle immense distese dell’Asia. La sua ricomparsa era quindi un segno di buon auspicio.

E come non pensare a tutta la serie di altre “spade fatate” o “lance sacre” che hanno attraversato il Medio Evo, contemporanee dell’Alabarda Triestina. La quale è attestata con sicurezza, quale Stemma Cittadino, sin dal XIII secolo. Visto che compare su alcune monete coniate dal Vescovo Volrico. Alcune di queste “Armi” dai poteri mistici e misteriosi sono famosissime. Come l’Exscalibur di Re Artù, la “Durlindana” del Paladino Orlando e la vera “Spada nella Roccia”, ancora visibile nell’Eremo di Montesiepi, presso la diruta e suggestiva Abbazia di San Galgano, in Toscana.

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Molte sono le spade famose nella storia a cui sono stati riferiti speciali poteri. Un manufatto però ha suscitato interesse fuori dal comune per il singolare alone di misticismo e devozione che lo avvolge Si tratta della Heilige Lance, in tedesco letteralmente “Sacra Lancia”,che secondo la leggenda sarebbe la Lancia di Longino usata per trafiggere il costato di Gesù.

Finita in possesso dell’Imperatore Costantino, la Heilige Lance sarebbe stata impugnata durante la decisiva battaglia di Ponte Milvio, alle porte di Roma, contro l’usurpatore. Da quel momento la “Lancia” divenne un attributo della Potestas e Divinitas degli Imperatori Romani Cristiani. Sempre secondo la tradizione, grazie ad essa Teodosio sconfisse i Goti (385) e il generale Ezio, “l’ultimo dei Romani” bloccò Attila. Con il crollo dell’Impero Romano d’Occidente, la Reliquia sarebbe passò alla stirpe Carolingia e fu brandita anche da Carlo “Magno”.

Dai Carolingi, la “Lancia Sacra”, passò agli Imperatori Sassoni, poi agli Svevi, ed infine agli Asburgo. Al termine della Prima Guerra Mondiale la Città di Trieste venne premiata con il titolo di Urbs Fidelissima. L’ Imperatore Federico III, in premio per la fedeltà mostrata dai Triestini durante la Guerra contro Venezia, con un “Diploma Imperiale”, confermò la mistica Alabarda, quale Stemma cittadino. Aggiungendovi l’Aquila Bicipite.

L’Alabarda Triestina va vista nell’ottica di questi oggetti e reliquie straordinarie, sopra elencate. Le cui vicende, i miti, i racconti sorti attorno ad esse, veri o falsi che siano, fanno comunque parte del Patrimonio Culturale del nostro Continente e della Civiltà Occidentale.

Il simbolismo del “Fleur de Lis” nell’araldica e nella storia

Si possono notare i vari temi: i tre petali che ricordano la trinità, gli angeli portano lo scudo perchè difendono l’esercito di Francia, la colomba che discende dal cielo richiama la leggenda del battesimo di Clodoveo quando una colomba portò la sacra unzione a San Remigio

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Vetrata con la forma di Fleur de Lys, nellaCattedrale di Bourges, 15° secolo.

La Leggenda

La traduzione di “fleur-de-lis” è fiore del giglio. Questo simbolo che rappresenta un giglio o un fiore di loto stilizzato ha molteplici significati. Tradizionalmente è stato usato per rappresentare la famiglia reale francese, e in questo senso si intende rappresentare la perfezione la luce e la vita.

La leggenda narra che un angelo ha presentato Clodoveo, il re merovingio dei Franchi, con un giglio d’oro come simbolo di purificazione dopo la sua conversione al cristianesimo. Altri sostengono che Clodoveo ha adottato il simbolo quando quando le ninfee gli hanno mostrato come riuscire ad attraversare un fiume e così ad ottenere la vittoria in battaglia.

Araldica

Nel XII secolo Re Luigi VI oppure Re Luigi VII (le fonti sono discordi) è diventato il primo monarca francese ad usare il “fleur-de-lis” sul suo scudo. I re inglesi successivamente hanno usato il simbolo sui loro stemmi per enfatizzare le loro pretese al trono di Francia. Nel XIV secolo il “fleur-de-lis” era incorporato spesso negli stemmi di famiglia che erano cuciti nelle vesti che i cavalieri indossavano sopra la loro corazza che prendeva il nome di “veste d’arme” ossia lo stemma. lo scopo originale di identificazione in battagli si sviluppò in un sistema di designazione di status sociale dopo il 1483 quando re Edmondo IV stabilì il collegio di ‘araldica” per supervisionare e garantire i fregi degli armamenti.

Religione e Guerra

Giovanna d’arco quando condusse le truppe francesi alla vittoria contro gli inglesi in aiuto del Delfino Carlo VII nella sua ricerca per il trono di francia, portava una bandiera bianca che mostrava la benedizione divina sull’emblema reale francese, il Fleur-de-lis.

La chiesa romana cattolica utilizzava il giglio come emblema speciale della Verigne maria

Grazie ai suoi tre “petali” il fleur-de-li è stato anche usato per rappresentare la Santissima Trinità

Le unità militari, incluso delle divisioni della fanteria americana, hanno usato la somiglianza del simbolo con la punta del diamante per identificarlo con il potere e la forza militare.

fonti :

http://frontiers-of-anthropology.blogsp ... ogy-4.html

http://www.mushroomstone.com/fleurdelisorigin.htm

http://www.villasantostefano.com/news/2 ... rieste.htm

http://www.heraldica.org/topics/fdl.htm

http://herebedragons.weebly.com/fleur-de-lis.html

https://gradientitemporali.wordpress.co ... eview=true

http://www.marcovuyet.com/ALARMA%20SIGNUM1.htm


Un simbolo internazionale presente in diverse culture e sempre come a identificare sovranità e divinità... E' come se il "Fleur de Lys" identificasse gli appartenenti di quella particolare 'stirpe' di semidei discendente dell'aristocrazia antidiluviana di cui cerchiamo di definire e comprenderne la storia e che ha avuto origine quando "i figli degli dei" si unirono alle "figlie degli uomini"

Un ultimo tassello...

fleur de lys.jpg





ricordo una dichiaraizone el presidente della FIFA Sep Blatter che a domanda su uqale squadra italiana preferisse rispose: tifo per la fiorentina, mi piace molto IL SIMBOLO [:293]

Cita:
‘Nel campionato di calcio italiano faccio il tifo per la Fiorentina perché mi è sempre piaciuto il suo simbolo: il giglio’. Così il presidente della Fifa Joseph Blatter in un’intervista concessa in esclusiva al microfono di Stefano Bizotto per Raisport.
Fonte: http://www.calciomercato.com/news/fifa-blatter-tifo-per-la-fiorentina-314123



Cita:
Non si conosce con sicurezza la sua origine, quello che è noto e che ad un certo punto è stato adottato dai re di Francia. Non è chiaro neanche cosa questo simbolo rappresenti veramente e le principali teorie tendono a dargli un significato floreale.


Il simbolo stilizzato che hai postato, sembra un jet col post-bruciatore acceso visto dall'alto ^_^



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 Oggetto del messaggio: Re: La Stirpe del Graal
MessaggioInviato: 16/03/2015, 18:52 
Posto questo video anche qui... per sottolineare la possibilità che diversi simboli rappresentino rami diversi del grande albero genealogico del graal.

Guarda su youtube.com


Per ora siamo riusciti a identificare:
- Aquila
- Serpente
- Giglio

Come potrebbe anche essere che il simbolo del giglio sia un simbolo più generico. Un contenitore che comprenda i livelli simbolici inferiori di Aquila (Enlil, Player A) e Serpente (Enki, Player B)... Ma allora il simbolo del Player C, quale potrebbe essere?!

Qui ci vuole uno schemino da alimentare in progress man mano che si aggiungeranno ipotesi e scoperte!

[;)]

Qualcuno vuole aiutarmi?

[:I]



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 Oggetto del messaggio: Re: La Stirpe del Graal
MessaggioInviato: 03/04/2015, 15:04 
Le radici del nostro "albero del Graal"

n.jpg



[;)]

E' tutto il tronco e i rami che diventa difficile da disegnare!

[8]



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 Oggetto del messaggio: Re: La Stirpe del Graal
MessaggioInviato: 12/07/2015, 11:22 
SIAMO SCHIAVI DEGLI "DEI"

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L'ibridazione, raffigurata negli antichi testi sumeri.


GLI IBRIDI NEL PASSATO

Chi sono gli Ibridi, gli Ibridi sono il risultato di una seconda ibridazione sugli esseri umani, un ibridazione con più geni degli Elohim (chiamati anche "dèi" nel passato e "dio" nel presente) rispetto all'altra venuta in precedenza, proprio come testimoniano tutti i testi antichi; questa seconda ibridazione viene anche chiamata dagli Elohim "perfezionamento" della razza.

Questi Ibridi con più DNA degli Elohim diventarono poi i faraoni egizi, gli imperatori romani, i re, eccetera, fino ad arrivare agli odierni nobili. Queste persone, che amano definirsi "semidei" sono sempre state ossessionate dal loro corredo genetico, infatti i faraoni egizi arrivarono persino ad usare incesti come sposarsi tra fratelli per non diluire il loro "sangue blu".

Cosi anche per i nobili, che davano i propri figli in matrimonio solo a persone di sangue blu puro, di sangue reale puro, quindi con DNA più simile agli Elohim. Persino nella Bibbia leggiamo che Yaweh -uno degli Elohim- ordina di fare matrimoni tra fratellastri per non far diluire il DNA.

Ora questi matrimoni tra consanguinei non sono più palesi come nel passato, ma continuano in modo più discreto. E' sulla base di questo "sangue blu" che gli Ibridi hanno sempre rivendicato il diritto di comando e sovranità verso gli altri umani; dicendo espressamente che essendo loro con più geni degli "dei" o "dio" (in base al periodo storico) avevano il diritto di governare ed essere serviti dall'intera umanità.

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RELIGIONE SUMERA: LA RELIGIONE DEGLI IBRIDI

In passato per controllare le masse hanno usato la religione di regime, con essa hanno asservito l'uomo e sempre grazie ad essa sono riusciti ad uccidere -con la scusa del "demoniaco"- chiunque aveva una pensiero spirituale differente da quello che ordinava il regime. Sono riusciti a creare un popolazione pecora e sottomessa, grazie ai dogmi e alle inquisizioni. Il cristianesimo per esempio non è altro che la religione sumera con altri nomi, e cosi anche tutte le altre religioni, che non sono altro che la stessa religione di Sumer ma con nomi diversi; ad esempio: indovinate di chi sto parlando ?

"Nacque da una vergine per immacolata concezione attraverso l'intervento dello spirito santo. Con ciò si avverava un'antica profezia. Quando nacque, il tiranno allora in carica voleva ucciderlo. I suoi seguaci dovettero fuggire in un luogo sicuro. Tutti i bambini di sesso maschile sotto l'età di due anni furono uccisi per ordine di quello stesso sovrano. Angeli e pastori lo accolsero alla nascita e gli furono elargiti in dono oro, incenso e mirra. Fu venerato come il salvatore degli uomini e condusse una vita virtuosa e umile. Compì miracoli, tra cui la guarigione di malati, la restituzione della vista ai ciechi, l'allontanamento degli spiriti maligni, la resurrezione dei morti. Fu giustiziato sulla croce tra due ladri.

Discese all'inferno e risorse per ascendere in paradiso". Sembra proprio che si tratti di Gesù, vero ? Ma non è lui ! Così venne descritto il dio salvatore orientale Virishna, 1200 anni prima della presunta nascita di Cristo. Se cercate un dio salvatore che muoia affinché i nostri peccati possano essere perdonati, non avrete che l'imbarazzo della scelta, perché il mondo antico ce ne offre una miriade. Perchè le religioni hanno tutte la stessa matrice, tutte venerano lo stesso culto antico, il culto di Sumer.

Ora in occidente la religione non ha molto effetto come lo può essere in medio-oriente (dove continua a ad essere il maggior mezzo di controllo), ma gli ibridi semplicemente usano altri mezzi per tirare le fila dei nostri destini e per manipolarci. Come ad esempio la TV e i media di regime in generale, come vedremo tra poco.

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GLI IBRIDI AI GIORNI NOSTRI

Ora ai giorni nostri questi Ibridi (gli ex faraoni, re, eccetera) appartengono a tredici delle più ricche famiglie del mondo e sono i personaggi che veramente controllano e comandano il mondo da dietro le quinte. Vengono, da molti, anche definiti la “Nobiltà Nera”. Rispetto al passato dove regnavano alla luce del sole, ora hanno optato per un potere occulto, perchè è molto più producente e duraturo, infatti cosi non rischiano nulla, visto che in caso di rivolta od altro, a rischiare sono i loro pupazzi politici, politici che non fanno altro che seguire gli ordini degli Ibridi, anche se in TV sembra che litighino, in realtà entrambi gli schieramenti prendono ordini dalla stessa elite di Ibridi. Ma vediamo chi sono e come agiscono. La loro caratteristica principale è quella di essere nascosti agli occhi della popolazione mondiale.

Il loro albero genealogico va indietro migliaia di anni, e risale alla civiltà sumera/babilonesi, son frutto di una seconda ibridazione di una razza extraterrestre chiamata: Elohim. Sono molto attenti a mantenere il loro legame di sangue di generazione in generazione senza interromperla. Il loro potere risiede nel controllo specie quello economico (gruppo Bilderberg ecc), “il denaro crea potere”, "noi siamo semidei", sono la loro filosofia e il loro motto. Il loro controllo punta a possedere tutte le banche internazionali, il settore petrolifero e tutti i più potenti settori industriali e commerciali. Sono infiltrati nella politica e nella maggior parte dei governi e degli organi statali e parastatali. Inoltre negli organi internazionali primo fra tutti l’ONU e poi il Fondo Monetario Internazionale. Ma qual è l’obiettivo degli Ibridi ?

Creare un Nuovo Ordine Mondiale (NWO) con un governo mondiale, una banca centrale mondiale, un esercito globale e tutta una rete di controllo totale sulle masse. A capo ovviamente loro stessi, per sottomettere il mondo ad una nuova schiavitù, non fisica, ma “spirituale” ed affermare il disegno che gli Elohim hanno prestabilito. Questo progetto va avanti da millenni, ma ebbe un’incremento nella prima metà del 1700 con l’incontro tra il “Gruppo dei Savi di Sion” e Mayer Amschel Rothschild, l’abile fondatore della famosa dinastia che ancora oggi controlla il Sistema Bancario Internazionale.

L’incontro portò alla creazione di un manifesto: “I Protocolli dei Savi di Sion”. Suddiviso in 24 paragrafi, che descrive come soggiogare e dominare il mondo con l’aiuto del sistema economico. E anche se molti definiscono questi protocolli dei falsi, chiunque li legge si accorge invece di quanto siano profetici. E questo Sistema Bancario Internazionale servirà per portare un piccolo e ristretto numero di persone al potere assoluto di tutto il globo unito.

Quindi un potere sempre più centralizzato e facile da controllare.

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IL PIANO

Loro hanno un piano ben preciso che portano avanti a piccoli passi, proprio per non destare alcun sospetto. La loro strategia è creare la divisione delle masse, è un passo fondamentale, in politica, nell’economia, negli aspetti sociali, con la religione, l’invenzione di razze ed etnie ecc… Scatenare conflitti tra stati, così da destabilizzare l’opinione pubblica sui governi, l’economia e incutere timore e mancanza di sicurezza nella popolazione.

Corrompere con denaro facile, vantaggi e sesso, quindi rendere ricattabili i politici o chi ha una posizione di spicco all’interno di uno stato o di un’organo statale. Scegliere il futuro capo di stato tra quelli che sono servili e sottomessi incondizionatamente.

Avere il controllo delle scuole: dalla scuola infantile all’Università per fare in modo che i giovani talenti siano indirizzati ad una cultura internazionale e diventino inconsciamente parte del complotto. Indottrinare la popolazione su come si può o non può vivere, su quali sono le regole da rispettare, gli usi e i costumi ecc… Infiltrarsi in ogni decisione importante (meglio a lungo termine) dei governi degli stati più potenti del mondo. Controllare la stampa e l’informazione in generale, creando false notizie, false emozioni, paura ed instabilità. Abituare le masse a vivere sulle apparenze ed a soddisfare solo il loro piacere ed il materialismo così da portare la società al vuoto e superficialità assoluta, stadio in cui l’uomo non abbia più una spiritualità sana e cada nel nichilismo più nero.

Creare un tale stato di degrado, di confusione, di spossatezza e nichilismo, che le masse debbano reagire cercando un protettore o un benefattore al quale sottomettersi spontaneamente. Uno degli ultimi loro obbiettivi è cippare la popolazione così da manipolare il loro pensiero ed il loro comportamento, oltre che rendere molto facile la loro identificazione e localizzazione.

Tutto questo con la scusante della sicurezza personale. In pratica usano la tattica PROBLEMA-REAZIONE-SOLUZIONE, esempio: Se voi guardate in tutti i TG di regime, tutte le notizie riguardanti i fatti dell’11 settembre (il famosissimo auto-attentato servito per invadere il medio-oriente) provengono dalle sole fonti ufficiali controllate dal regime: FBI, CIA, Pentagono, Casa Bianca, eccetera. Queste notizie manipolate servono per creare paura e terrore nelle masse. Se osservate i giornalisti non fanno altro che ripetere le notizie senza mai confutarle, e quelli che vogliono scoprire che cosa è veramente accaduto, vengono licenziati in tronco ed emarginati.

Quindi i giornalisti di regime non sono altro che portavoce di organismi governativi e servono per portare a termine il disegno finale. Una volta che tu grazie ai media di regime sei riuscito a suscitare questa reazione di paura del pubblico che si chiede che cosa faranno le autorità per proteggerli, non devi fare altro che offrire su un piatto d’argento la soluzione del problema. Ecco che così utilizzando questa tecnica (gli Ibridi) possono introdurre delle normative, delle leggi che mai al mondo sarebbero state accettate senza aver creato prima il problema.

PROBLEMA: Crei un auto attentato. REAZIONE: I giornalisti fomento la paura della gente, che chiede soluzioni e protezione al regime. SOLUZIONE: Gli Ibridi introducono le leggi che servono per portare avanti il disegno prestabilito.

Nel 1871 il piano di Weishaupt viene ulteriormente confermato e completato da un suo seguace americano, il gran maestro, Albert Pike che elaborò un documento per l’istituzione di un Nuovo Ordine Mondiale (N.W.O.) attraverso tre Guerre Mondiali. Lui sosteneva che attraverso questi tre conflitti la popolazione mondiale, stanca della violenza e della sofferenza, avrebbe richiesto spontaneamente protezione e pace e la creazione di organi mondiali che controllassero ciò.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale venne fatto il primo passo in questa direzione con la formazione dell’ONU. Per Pike, la Prima Guerra Mondiale doveva portare gli Ibridi, che già avevano il controllo di alcuni Stati Europei e stavano conquistando attraverso le loro trame gli Stati Uniti di America, ad avere anche la guida della Russia. Quest’ultima sarebbe poi servita alla divisione del mondo in due blocchi. La Seconda Guerra Mondiale sarebbe dovuta partire dalla Germania (cosa che accadde), manipolando le diverse opinioni tra i nazionalisti tedeschi e i sionisti politicamente impegnati.

Inoltre avrebbe portato la Russia ad estendere la sua zona di influenza e reso possibile la costituzione dello Stato di Israele in Palestina. La Terza Guerra Mondiale sarà basata sulle divergenze di opinioni che gli Ibridi avranno creato tra i Sionisti e gli Arabi (occidente cristiano contro l’Islam cosa che si sta avverando e anche velocemente), programmando l’estensione del conflitto a livello mondiale.

Ovviamente non potevano pensare di conseguire i loro obiettivi da soli, avevano ed hanno bisogno di una “struttura operativa”, composta da organizzazioni o persone che esercitando del potere ed operino più o meno consapevolmente nella stessa direzione. La loro strategia ha fatto leva su 2 capisaldi: la forza del denaro, loro hanno costituito e controllano il sistema bancario internazionale; la disponibilità di persone fidate, ottenuta attraverso il controllo delle società segrete.

Gli Ibridi e chi con loro controlla queste società, sono pressoché empatici e spietati. praticano la magia nera e sacrifici umani verso i loro "dèi". I loro dèi sono gli Elohim e attraverso queste pratiche e riti occulti manipolano e influenzano le masse.

Molti asseriscono che è anche da questa scienza di tipo occulto che gli Ibridi hanno sviluppato la teoria sul controllo mentale delle masse. Poco tempo fa sono emersi anche i nomi delle suddette famiglie degli Ibridi: ASTOR, BUNDY, COLLINS, DUPONT, FREEMAN, KENNEDY, LI, ONASSIS, ROCKFELLER, ROTHSCHILD, RUSSELL, VAN DUYN, MEROVING.

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MessaggioInviato: 31/07/2015, 16:18 
Atlanticus81 ha scritto:
Cita:
Aztlan ha scritto:

Enea era figlio della dea greca Afrodite (la romana Venere) e del mortale Anchise, cugino del Re di Troia Priamo.


Giustappunto un semi-dio risultato dell'unione tra una dea (anunnaka?) e un umano, sempre che Anchise non sia anch'esso un mezzo sangue Anunnako-Sapiens, ovvero appartenente alla stirpe Nephilim di cui parlavo nel post di apertura anche se da Wikipedia non sembrerebbe

http://it.wikipedia.org/wiki/Anchise

Afrodite, ovvero la romana Venere e la babilonese Ishtar se non erro, dei cui simboli sono stracolmi i videoclip musicali contemporanei

[;)]

Quindi già troviamo Enea COMUNQUE risultato dell'unione di "figli di dio" e "figli di uomini", anzi, direttamente figlio di una dea quindi portatore di un elevato tasso di genotipicità 'sacra' per così dire.

In sostanza Enea è, alla luce della chiave di lettura di questo e degli altri thread citati in apertura, un NEPHILIM di altissimo rango in quanto Afrodite/Ishtar/Inanna è certamente 100% Anunnaka originale il cui DNA ancora non si è diluito imbastardendosi troppo con i Sapiens.

E da Enea sorge la stirpe dalla quale nascerà Rea Silvia, madre di Romolo il quale che fonderà Roma (forse passando prima per alcune famiglie etrusche). Nota bene... Rea Silvia ebbe Romolo unendosi con il dio Marte (e quindi ecco di nuovo il mix dio-umano) rendendo di fatto anche Romolo un semi-dio, eroe, uomo famoso di cui parla la Bibbia in quel famoso passo di Genesi.

Il retaggio genetico dei sopravvissuti al diluvio rappresentati dal pantheon classico sopravvive nei secoli nelle stirpi nobiliari della storia.

Grazie Aztlan per questo tuo preziosissimo contributo... non so cosa darei per conoscere l'aplogruppo di Rea Silvia!

[:p]


Riprendo da qui il discorso proponendovi la seguente lettura sugli Etruschi, popolo che ritengo fondamentale per delineare quell'albero genealogico del "graal" attraverso il quale una certa 'sovranità' "invisibile" è stata tramandata dall'aristocrazia antidiluviana ai potentati di oggi.

Etruschi... Toscana... Roma... Vaticano... mi fermo qui...

[;)]

ETRUSCHI: DAL SEME DI ATLANTIDE A ROMA CAPUT MUNDI

Come spesso è accaduto nella storia, le scoperte più interessanti e rivoluzionarie sono nate da semplici intuizioni. Anni di studio e di ricerca trascorsi tra intere notti su antichi testi da tradurre ed interpretare, sotto gli effetti di caffè e nicotina, e week end in esplorazione sul campo incuranti di freddo, pioggia o caldo afoso, per poi trovare l’illuminazione di un’idea in quella solitaria ed insignificante frase in un libro o piuttosto in una fotografia distrattamente scattata da turisti domenicali.

E’ da questa considerazione in apparenza così “profana” che scaturisce una delle più controverse visioni di una realtà forse creata ad arte da chi voleva celare ben altre verità, come nel caso degli Etruschi: un popolo vittima della “damnatio memoriae” dei Romani prima e del Cattolicesimo dopo.




La nostra intuizione, comunque suffragata da un estenuante lavoro di ricerca, nasce da semplici ed empirici quesiti:




- è accertato che nell’area italiana compresa tra Capua (antica Velthurna) e le attuali province di Roma, Viterbo, Frosinone, Lucca, Grosseto e Livorno, la popolazione etrusca raggiungesse i 3 milioni di abitanti, riuniti in una confederazione o lega, che gli stessi Etruschi chiamavano “Nazione”, come dedotto dall’Elogio Funebre di Laris Pulenas del 200 a.C.. Come è dunque possibile che la tradizione attribuisca ad Enea la fondazione di Roma, essendo sbarcato sulle coste laziali con (forse) poche centinaia di compagni?




- Le più antiche leggende narrano che Enea in fuga da Troia, appena sbarcato si diresse subito nell’Alto Lazio, nel porto di Regisvilla (nei pressi dell’attuale Tarquinia), come avesse conosciuto sin da principio la meta ultima del suo viaggio. La più nota Lavinio, fu infatti edificata solo successivamente dal figlio Ascanio. Perché l’eroe troiano giunse proprio in quel luogo alla corte del Re Etrusco Tarconte? Esistono prove di suoi approdi in Puglia, in Calabria, in Campania…. eppure, sceglie una città ben specifica.




- Analogamente ad altre storie raccontate, compresa quella di Gesù Cristo, esistono alcuni “buchi temporali” nella cronologia etrusca: si passa dalla cultura poco più che primitiva dei Villanoviani (abitanti autoctoni degli stessi territori) ad un’organizzazione federale assolutamente moderna ed evoluta come quella Etrusca, con un salto se non di tempo, certamente di cultura. Com’è avvenuto questo passaggio? I Villanoviani si evolsero nel giro di pochi decenni, furono assorbiti da una civiltà superiore e straniera, oppure rappresentarono una sorta di casta inferiore, come accadeva con gli autoctoni egiziani?




Con il tempo, abbiamo imparato che le imprecisioni cronologiche, le molteplici versioni riportate della medesima vicenda e la confusione sui nomi dei relativi protagonisti, sono chiari sintomi di un artefatto storico atto a cancellare o modificare qualcosa di scomodo. La tradizione etrusca, ricchissima di manufatti, pitture ed incisioni, non poteva affidare la propria immensa cultura alla sola tradizione orale, come invece asseriscono alcuni archeologi contemporanei. Ma sappiamo bene che il terreno più fertile dove seminare una nuova versione dei fatti è rappresentato da una iniziale “tabula rasa” dei documenti scritti.

Plutarco, nella sua “Vita di Numa” descrisse le vere origini della cultura romana rivelate dalla ninfa Egeria ad un sacerdote della sabina Curi: in vista della morte, egli dispose che tali scritti fossero seppelliti per sempre accanto al suo corpo. Probabilmente questi testi dovettero rivelarsi particolarmente “eretici”, se i posteri decisero di disseppellirli e bruciarli definitivamente.




Dionigi di Alicarnasso ci narra che il re etrusco Tarquinio il Superbo attorno al 520 a.C. introdusse a Roma i “Libri Sibyllini”, testi profetici, ritualistici, oracolari ed astrologici di origine greca (ma sono in molti a sostenere fossero antiche pergamene etrusche poi tradotte), rinchiudendoli nel tempio dedicato a Giove Capitolino (sulla sommità del Campidoglio).

La leggenda vuole che un’anziana donna li offrì al re Tarquinio sotto forma di 9 rotoli dietro il pagamento di una somma di denaro considerevole. Questi, diffidente nell’acquistare qualcosa di cui ignorasse il contenuto, tentennò. La donna bruciò 3 dei nove libri, offrendone 6 allo stesso prezzo; all’ennesimo rifiuto, bruciò altri 3 libri. Tarquinio il Superbo quindi comprò i soli tre libri rimasti al costo dei nove iniziali. L’anziana donna, dopo aver ceduto la parte restante di un sapere ancestrale, scomparve nel nulla, dando origine alle leggenda secondo la quale essa fosse proprio la Sibilla Cumana.




A prescindere il profondo significato simbolico della leggenda, i Libri Sibyllini furono da subito considerati “intoccabili”. Uno dei custodi (duumviri), Marco Aurelio, solo per averne ricopiato alcune profezie, venne giustiziato con una morte orribile: cucito in un sacco e gettato a mare.

Anche in questo caso, con l’avvento del Cristianesimo, quest’opera unica subì una sorte nefasta: Stilicone, nel 400 d.C. ne ordinò la distruzione.

Stessa sorte è toccata ai testi detti della “Disciplina Etrusca”, come i “Libri Hauruspicini”, i “Libri Fulguratores”, i “Libri Rituales”, i “Libri Acherontici” ed i “Libri Fatales” ed “Ostentaria”.




Quali segreti potevano giustificare un tale azzeramento culturale e la necessità di riscrivere la storia “a tavolino”? Certamente qualcosa di talmente sconvolgente secondo i canoni del tempo, da restare appannaggio di pochissimi eletti; qualcosa che poteva addirittura non limitarsi alle origini dell’Impero Romano, ma che avrebbe coinvolto il nascente Cristianesimo, se non addirittura le stessa genesi dell’Umanità conosciuta...














IL DILUVIO DI OGIGE, ATLANTIDE ED I PELASGI




“Nulla ha di fisso e costante il mondo,

se i giri osserviamo delle cose;

La cieca e instabil Dea così dispone

E tutto va precipitato al fondo.

Tutto volge Fortuna sottosopra

e ognor fa nascer le vicende istesse,

né si dà ma che d’essa allegra cesse

dal crudo gioco e dall’ostil sua sopra.




Quel popol che fu visto al ciel la testa

superbo alzare un dì, del reo destino,

del tempo struggitore ora meschino,

sotto il fatal peso oppresso resta.




Puon soffrir solo, e disfare gli anni,

anzi i secoli ancor l’opre d’ingegno,

contro cui nulla puonno e il fiero sdegno

del veglio edace e di Fortuna i danni.

Tutto rimane, e finchè sol lucente

il cielo schiarirà, la terra e l’onda,

rimarrà intetto ognor ciò che feconda.




Ai papiri affido l’umana mente.”

(Aurem Opus Antiquitatum Italicarum)







Occorre andare al 1788 per trovare le teorie più affascinanti circa un’origine “alternativa del Popolo Etrusco a firma del noto Don Gianrinaldo Conte Carli.

Parliamo prima di ogni altra vicenda o ipotesi, di un secondo –e molto più vicino- “Diluvio Universale”, detto “di Ogige”, avvenuto circa 4000 anni fà, particolare che ci costringerebbe a retrodatare molte delle teorie archeologiche e antropologiche oggi accettate.




I segni dell’ultima Grande Glaciazione (terminata 4.000 anni prima) erano ancora evidenti nelle aree polari. In un periodo presumibilmente compreso tra il 5000 ed il 4000 a.C. si verificò un disgelo improvviso e repentino, oppure uno straordinario innalzamento delle maree (entrambe causate forse dal passaggio di meteorite, come ci tramanda Diodoro…).

Consideriamo che è stato calcolato già nel XVIII secolo che un corpo celeste che si avvicinasse alla Terra ad una distanza di 72mila chilometri, alzerebbe il livello delle acque anche di 12mila piedi (3657 metri circa), con variabili dovute ovviamente alla massa.

La maggior parte delle terre emerse furono quindi inghiottite da una massa di acqua inimmaginabile nel volgere di poche settimane.









La grande ondata di piena entrò attraverso lo Stretto di Gibilterra, sconvolgendo la geografia del bacino Mediterraneo. La datazione di fossili di crostacei e conchiglie nonché la presenza di ardesie sulle molte zone collinari italiane né confermerebbero la veridicità.




Il mare coprì per lungo tempo molte aree quindi, con il suo lento ritiro diede origine all’attuale fotografia geografica, comunque differente da quella primordiale. Molte alture restarono separate della terra continentale, divenendo isole ed arcipelaghi (“…la natura delle cose cangiò d’aspetto…”-Plinio).

L’evento apocalittico sterminò una gran parte delle popolazioni esistenti ma altre, dopo essere rimaste in mare per mesi, approdarono sulle alture che il loro procedere alla deriva via via gli poneva davanti.




In questo contesto si inserisce il mito di Gilgamesh, figura per molti versi identica al biblico Noè, al Noha dei Maya, al Topi azteco, all’Yima persiano ed al Nu-wah cinese.

Nel 1696 nelle campagne vicino Roma venne ritrovato un vaso, raffigurante proprio il diluvio di Ogige con uomini ed animali che riparavano in una nave, utilizzato per le celebrazioni delle “idroforie”, delle festività comuni a tutto il bacino Mediterraneo in cui si rievocava la grande inondazione.




Abbiamo quindi una situazione di neo-Genesi, individuabile attraverso un parallelo con la mitologia, all’epoca di Ercole Egizio, nel 4690 a.C, a cui vengono appunto attribuite le Colonne d’Ercole.: un quadro di civiltà primordiale (ma già piuttosto evoluta) con culti e tradizioni molto simili se non comuni, che si trova improvvisamente ad essere “rimescolato” e trapiantato in nuove terre da civilizzare, ripartendo da zero.

Queste genti riportarono comunque la propria cultura di origine (spesso incentrata sul culto di Saturno) che, con il passare dei secoli si modificò secondo le peculiarità delle aree geografiche colonizzate: con un po’ di fantasia potremmo vedere dietro a questi eventi l’interpretazione di una metafora come quella della “Torre di Babele”.




In Italia, questi popoli vennero classificati dalla storia come autoctoni, cosa giusta nella terminologia ma inesatta qualora volessimo analizzarne il passato remoto. Le difficoltà e le divergenze incontrate –ad esempio- per stabilire l’origine degli Etruschi, nascerebbero proprio da questa confusione iniziale. Essi erano autoctoni della penisola italica ma al contempo discendenti di altri popoli sparsi nel Mediterraneo: discendenti forse di un'unica stirpe comune ad altri ceppi culturali e linguistici.

Antioco Siracusano sostiene che la denominazione di “Pelasgi”, indichi proprio questi antichi esuli di altre civiltà che, attraverso il mare si diffusero in nuovi territori prendendone le caratteristiche (Umbri, Ausoni, Siculi, Liguri e Tirreni provenienti da Oriente e dall’Egeo; i Coni da Sud; Veneti, Cignei, Fetontei, Sardini –anche se Tacito li descrive consanguinei degli Etrusci- e Orobi da Nord).

Tra le coincidenze tese ad avvalorare questa ipotesi, c’è l’uso di tutte le popolazioni pelasgiche di dividere il territorio in 12 parti (città, aree, regioni o “città-stato”, come nel caso degli Etruschi).









Il Carli, sulla base della coincidenza dei miti comuni a tutti i popoli antichi, pone il diluvio di Ogige all’origine dello stesso disastro di Atlantide, una delle terre da cui provenivano questi popoli erranti del mare; la terra da cui nasceva soprattutto la loro comune conoscenza di base, un sapere che forse aveva radici ancor più antiche della stessa Atlantide che ne era custode.

Molti popoli nel mondo raccontano di aver avuto origine da antichi avi provenienti dal mare e fuggiti dalla propria terra natale sconvolta da un cataclisma:




- gli Atzechi da Aztlan;

- gli Olmechi da Atlaintika;

- i Vichinghi da Atli;

- i Celti da Avalon;

- i Fenici ed i Cartaginesi da Antilla;

- i Berberi da Atarantes;

- gli Irlandesi da Atalland.




Platone sostenne, sulla base di quanto appreso da Solone in Egitto, che Saturno (una divinità comune a tutte le genti prima citate) “…condusse dall’Atlantide popoli e colonie…”. Nello stesso periodo, Giano Re accolse, nei territori ascrivibili all’attuale Lazio, “…i nuovi ospiti dall’Altantide…” o Saturnini. Le terre che videro la mescolanza di queste nuove culture, vennero chiamate proprio “Saturniae”.




Il Trogo sostenne che “…italiae cultores primi, Aborigenes fuere, quoram Rex Saturnes, inaque Italia regis nomina Saturnia appellata est…”. Platone, nel Timeo, sulle Memorie d’Egitto, scrive: “…Saturno… che tal nome aveva il fratello d’Atlante, il quale venne nella Tirrenia…”.

Quindi, il Saturno che guidò i superstiti del popolo atlantideo alla salvezza non era un dio, bensì un condottiero di stirpe reale, che poi venne confermato re nelle nuove terre.

Altra particolare coincidenza risiede nel fatto che tutti i primi invasori di Africa e Grecia, seppur appellati con nomi di dei ed eroi, erano comunemente chiamati “Figliuoli dell’Oceano”, come testimoniato da Omero, allo stesso modo con cui gli Atlantidei (o Titani) erano definiti “generati dal mare”.

Tutto ciò potrebbe farci azzardare l’affascinante ipotesi che le similitudini costruttive e culturali riscontrate in molteplici luoghi del Globo, America compresa, avessero veramente un’unica origine.




Infatti, nella moltitudine di popoli erranti per mare dopo il diluvio, quelli con le maggiori conoscenze avrebbero sicuramente imposto il proprio sapere agli indigeni incontrati.

La necessità di un ritorno alla normalità dopo il diluvio è testimoniata anche dalle imponenti strutture di scolo scavate da antichissimi popoli, con l’obiettivo di bonificare le aree pianeggianti. Molte aree della stessa Italia, per molti sono state caratterizzate da territori paludosi ed insalubri.




Dionigi di Alicarnasso, assicura che Oenotro, figlio di Licaone, giunse in Italia e trovò solamente un paese deserto ed incolto ed abitato esclusivamente sulle sommità dei monti.

Ci è stata data testimonianza che nella zona di Piacenza le paludi furono presenti fino all’epoca di Annibale (“…che nell’attraversarle perse un occhio…”).

Giustino, ai tempi della prima guerra con gli Sciti, descriveva una tale quantità di territori paludosi da impedire l’accesso all’Egitto.




Furono molte dunque le culture antiche a testimoniare questo grande cataclisma alla base della diffusione di una seconda civiltà, alcune anche rimarcando la propria origine antecedente (gli Arcadi, ad esempio, sostenevano che il loro popolo fosse più antico della Luna).

Ad avvalorare la tesi di un meteorite come causa scatenante del Diluvio di Ogige, intervengono alcune tradizioni scritte ed orali provenienti dalle medesime popolazioni. E’ comune infatti il parallelismo del fuoco con l’acqua, come nella favola di Fetonte o dell’egizia Fenice che si rigenera dalle ceneri.




Un corpo celeste avrebbe dunque sfiorato la Terra, lanciando frammenti infuocati e rivoluzionando l’equilibrio dell’asse terrestre? Innegabile è la contemporaneità storica e mitologica del rapido alternarsi di incendi ed inondazioni, proprio nel periodo attorno al 4000 a.C.. Horus Apoline ci fornisce il geroglifico di un leone sormontato da un uomo con in mano una fiamma ardente. Lo stesso leone è nell’atto di abbassare il capo in direzione di uno specchio d’acqua.

In molte zone del Globo, soprattutto nelle aree costiere caratterizzate da dirupi (anche nelle vicinanze di Roma si possono riscontrare), è possibile effettivamente riscontrare degli strati geologici piuttosto particolari. Partendo dal basso, troviamo conchiglie ed ammoniti per un’altezza spesso anche di metri; poi, un ampio strato di terra o rocce vulcaniche o sedimentarie. Speso questi strati sono tutt’oggi interrati o sommersi, ma la cosa che più incuriosisce è che nelle parti visibili (e quindi relativamente più recenti), abbiamo in rapido susseguirsi di uno strato di carboni e di conchiglie che spesso coincidono e si confondono.




William Whiston teorizzò queste “prove” come segue: “…per un passaggio di una cometa vicino alla Terra di otto volte più vicina della Luna, di circolare che era l’orbita di essa terra, divenne ellittica; e il sole che da prima era al centro d’un circolo, si ritrovò nel fuoco d’un ellissi corrispondente al luogo dell’attrazione della cometa, che discese appunto nel piano dell’eclittica verso il suo perielio, l’anno XII del toro. L’anno s’allungò per conseguenza di giorni 10 e ore 1,30 e venne il diluvio…”.




Scheletri ed ossa di animali tipici di ambienti caldi, ritrovati in Siberia, Ungheria e Francia, farebbe appunto supporre un vero e proprio capovolgimento delle fasce climatiche. Sopra il Volga, sul monte Bogda, sulle rive di un lago salmastro, vennero ritrovate conchiglie tropicali e coralli.

Sembrerebbero coinvolte anche note leggende metaforiche come quella egiziana di Iside ed Osiride. Diodoro narra che “…Osiride fu ucciso e lacerato da suo fratello Tifone… Iside, moglie e sorella lo vendicò ma nel ricercare le varie parti del corpo del marito, non riuscì a ritrovare la parte virile, istituendo le festività del Fallo come elemento di rigenerazione…”. Erodoto attribuì questi eventi ai tempi di Ercole Egizio, quindi al tempo dell’inondazione.




Se dunque per definizione Osiride rappresentava il sole ed Iside la Luna (quasi ad indicare un perfetto equilibrio iniziale) chi avrebbe dovuto rappresentare Tifone che ai tempi di Ercole Egizio causò tanta rovina? Sarà forse un caso che il primo Re d’Egitto diede ad una cometa proprio il nome di Tifone? Gli Egizi, secondo Plutarco, associavano il nome di Tifone alla sventura e detestavano il mare aperto. Mai è menzionato nella cultura egizia il nome di Nettuno o di suoi omologhi. Gli stessi Egizi che continuarono a perpetrare il numero 360 nel conteggio annuale (evidenziati dai 360 sacerdoti di Acaut o dai 360 vasi nel tempio di Osiride secondo le cerimonie quotidiane), privi cioè di quei 5 giorni in più presumibilmente causati dallo spostamento dell’asse terrestre.




E’ anche degno di curiosità sapere che il termine giapponese per indicare gli uragani è proprio “Tifone”.








LA (RI)COLONIZZAZIONE DEGLI ETRUSCHI FONDATORI DI TROYA




Ma tornando all’analisi storico-antropologica da cui eravamo partiti, il panorama che si sarebbe presentato nell’epoca post-diluviana poteva essere caratterizzato da retaggi culturali di una comune origine, da antiche conoscenze tramandate da chissà quale epoca e da un azzeramento dell’evoluzione tecnica e pratica. Si ripartì praticamente dalla pietra!

Il popolo Etrusco, sarebbe dunque una “cellula” di una precedente cultura, una sorta di seme impiantato in un nuovo contesto territoriale da cui gli storiografi e gli archeologi farebbero partire le vicende ufficiali. Ma la definizione stessa di “Etruschi” quale civiltà unitaria è in parte errata.




“Etrusca” era il nome dato ad una confederazione di popoli e città, spesso caratterizzati da etnie e culture differenti (o, come abbiamo visto, differenziate nel tempo e dall’abitat): Tirreni, Rasenna, Tusci, Falisci, Ceriti, Veienti, Capenati, Ruma, Umbri, Equi, Sabini, Aurunci e forse Volsci e Reti.




L’unione di ceppi provenienti dal mare e portatori di conoscenze più avanzate, tra cui la stessa scrittura, con alcuni popoli autoctoni (che spesso erano ancora arroccati sulle montagne, come gli Villanoviani, Ausoni e gli Enotri), determinò l’esigenza di condividere i medesimi territori attraverso un’organizzazione politico-amministrativa che né gestisse il rapporto. Dal punto di vista religioso, non vi era invece alcuna necessità di mediazione, riconoscendosi tutti nelle credenze “originarie” e comuni.

Analizzando più da vicino le stesse città che componevano l’area anticamente occupata dagli Etruschi, possiamo scorgere alcuni elementi caratteristici, quasi esclusivi, in ogni singolo agglomerato urbano.




Tale rete cosmopolita è evidenziata dalle differenze palesi nell’edificazioni di strutture abitative e funerarie: la tradizione delle “tombe a tumulo” ad esempio sembrerebbe focalizzata nel territorio cerite (seppur utilizzata sporadicamente in altre aree dell’Etruria) e del tutto simile a tecniche costruttive rivenute a Gordion (nella regione Frigia, chiamata “Phyrgia”, con una curiosa assonanza con la nostrana Pyrgi), in India vicino Ceylon, in Corea a Gyeongju, in Irlanda presso Newgrange, in Danimarca a Klekkende Hoy ed a King Asger’s Moud, come nella Gran Bretagna nell’area circostante il più noto monumento di Stonehenge o nel Wiltshire (questi ultimi anche parte integrante di un Crop Circles).

Diviene facile supporre che la “tradizione” che introdusse tale tecnica di sepoltura appartenesse ad uno di quei ceppi provenienti dai “Figliuoli dell’Oceano” piuttosto che da gruppi autoctoni.







E’ possibile che proprio questa differenziazione culturale tra le varie città-stato, presente anche con una precisa simbologia sulle rispettive monete, sia all’origine delle difficoltà e delle discordanze (accese ancora oggi) nell’attribuire un’origine certa a questo popolo?

Non dovremmo forse cominciare ad analizzare la provenienza di ciascun componente della Federazione Etrusca?




Tra i più popolosi centri abitati del territorio Etrusco, alcuni noti per sanguinose battaglie con Roma, altri per la particolare sacralità delle vestigia, dopo anni di studi empirici e sul campo, focalizzai l’attenzione sulla città di Tarquinia (o Corneto, o Corito).

Questa possiede delle peculiarità che la differenziano da tutte le altre in modo piuttosto netto, sbilanciando su di essa il baricentro di tutta la cultura etrusca (differente dall’Omphalos sacro, individuato nel Lago di Bolsena).




Ma per comprendere meglio l’importanza che Tarquinia rivestì occorre, anche in questo caso, fare un ulteriore passo indietro in quel limbo dove la storia si amalgama con il mito…

Erodoto e Tucidite, per primi, narrarono una storia diversa da quella assunta oggi dallo standard accademico: i Pelasgi, questo grande movimento di erranti marittimi, tra cui gli Etruschi, giunsero nelle terre del Mare Egeo portando la loro scrittura, i miti e rinnovando il culto religioso, esattamente come dovette accadere in Italia (partirono dalla fondazione della città di Spina e quindi si propagarono su tutta la Penisola). Tralasciando le ultime scoperte sull’origine e la diffusione della scrittura Etrusca (è ormai appurato che le forme di greco arcaico coincidessero quasi completamente con l’Etrusco, come dai ritrovamenti sull’Isola di Lemno), otteniamo un primo dato piuttosto sconcertante.




Fu la cultura pelasgica -e quindi anche etrusca- a fondare le basi della grande Grecia e dell’Ellenismo e non il contrario. I Popoli del Mare, si distribuirono in varie aree di questo territorio, incontrando gli autoctoni e ridividendosi secondo le rispettive origini risalenti all’epoca antecedente il diluvio di Ogigene.

Virgilio, nel narrare le peripezie dell’eroe Enea, mirate nell’ufficialità a concedere a Roma il lustro delle origini greche, sembra commettere dei grossolani errori di date, non lesinando di nascondere tra le righe alcune frasi apparentemente fuori contesto. Per un autore stimato ed in auge come P.Virgilio Marone, queste dissonanze non potevano essere frutto di errori o sviste, ma bensì di tracce finalizzate alla corretta (forse futura) comprensione della verità.

Ad esempio, risulta evidente che l’esistenza del Re Latino non potesse essere contemporanea alla venuta di Enea in Italia. Ma il “Latino” citato da Virgilio, poteva in realtà essere il “Latino” re degli Enotri, discendente di Saturno, vissuto all’epoca della guerra di Troia, come riportato da Esiodo. Gli Enotri autoctoni che in precedenza si erano fusi con i Tirreni? Qui la faccenda si complica.




Tucidite spiega bene che dopo la guerra di Troia, furono fondate le colonie greche in Italia, ma che molto prima di questa, già i popoli che si erano stabiliti sulla nostra penisola avessero fondato le loro città in Grecia. Un rocambolesco serpente che si morde la coda, ma lasciando sfogo alla libera intuizione, la situazione potrebbe apparire chiara: i Pelasgi (definiti da Dionigi, “vagabondi come Cicogne”) giunsero sulle coste italiche; qui si fusero con gli autoctoni, quindi, trasmessa l’arte della navigazione, colonizzarono le terre elleniche; con la guerra di Troia, i Greci fuggono e si dirigono verso l’Italia, considerata una sorta di patria d’origine. Fu un ritorno, non una colonizzazione.




Non è un segreto, ad esempio, che Dardano costruttore (oggi forse diremmo “fondatore”) di Troia fosse Etrusco, e nello specifico di Corito (inizialmente localizzata presso Cortona, ma in seguito identificata in Tarquinia, anche in virtù dell’attiguo porto.)

A sottolineare un profondo legame tra i Troiani ed i Tarquini, interviene Licofrone che addirittura narra di Ulisse ed Enea compagni di viaggio di Tarconte (Tarchun, fondatore della stessa Tarquinia, nobile re, condottiero e creatore delle dodici città-stato dell’Italia centrale e delle dodici città dell’Etruria Padana) e Tirreno in un lungo peregrinare per i mari.

Ma come ci ricorda il Palmucci, ben altre fonti, riguardanti soprattutto le Leggenda di Dardano, ci inducono a riflettere:

Virgilio nell’Eneide, per bocca del re Latino rivolto ai Troiani: “…Corito è il nome della città e del monte, cosiddetti da Corito, come alcuni ritengono, padre di Dardano, lì sepolto…”;

Alcimo Siculo, nel citare una leggenda etrusca, “…la moglie di Enea era una donna etrusca di nome Tirrenia (o Etruria): da lei nacque Romolo, e, da Romolo nacque Alba, e da Alba nacque Remo che fondò Roma…”; ancora Virgilio, in occasione dell’incontro di Enea con il re Etrusco Tarconte, elegge Tarquinia a “antiqua mater”, ispirandosi alla già mitizzata partenza dei Pelasgi dall’attiguo porto di Regisvilla (Gravisca), alla volta dell’Egeo.

Sempre nell’Eneide, ritroviamo il passo in cui i Troiani ascoltano a Delo l’oracolo di Apollo: “antiquam exquirite matrem! (cercate l’antica madre)”. Erroneamente il padre di Enea ritenne dovesse trattarsi di Creta ma ivi giunti, furono tutti colti da una grave pestilenza.




Una notte, i Penati apparvero in sogno all’eroe vaticinando: “Bisogna cambiare le sedi. Apollo non ti consigliò di venire in questi lidi, né ti comandò di fermarti a Creta. Vi è un luogo, i Greci lo chiamano con il nome di Esperia, terra antica, potente per le armi e per la fertilità del suolo. L'abitarono uomini Enotri. Ora è fama che i posteri abbiano chiamato Italia quella gente, dal nome del loro condottiero. Queste sono le nostre proprie sedi. Da qui venne Dardano e il padre Iasio, dal quale progenitore la nostra stirpe deriva. Orsù, alzati, e lieto riferisci al vecchio genitore queste parole di certezza: che egli cerchi Corito (oggi Tarquinia) e le terre di Ausonia (Corythum terrasque requirat Ausonias). Giove ti nega i campi di Creta!”

Alessandra (detta anche Cassandra), figlia di Priamo, re di Troia, profetizza la rovina della città.

”Ma tempo verrà, in cui i nipoti (i Romani) faranno ancor più grande la gloria del mio casato perché conseguiranno la gloria della vittoria nelle armi ed otterranno il dominio e la signoria della terra e del mare. Né, o patria infelice, la tua gloria che sta svanendo finirà per esser coperta dalle tenebre perché quel mio parente (Enea), che è figlio della dea Castnia e Coirade (Venere), uomo egregio per il senno e valente nelle armi, lascerà il seme di due gemelli (Romolo e Remo) simili a lioncelli, progenie insigne per gagliardia. Prima egli (Enea) andrà ad abitare a Recelo (città della Macedonia), presso le vette del Cisso (a nord della penisola Calcidica), dove le donne, in onore del dio Lafistio (Dioniso), si adornano di corna. Poi, dopo esser partito dalla Almopia (regione della Macedonia), errabondo lo accoglierà il paese dei Tirreni, dove il Linceo (il fiume Mignone presso Tarquinia) spinge la corrente delle acque calde, e Pisa e i campi di Agilla ricchi di ovini. Ed uno che gli era stato nemico unirà amichevolmente il proprio esercito al suo. Costui è l'Errante (Nanos = Errante, soprannome etrusco di Ulisse) che con il suo vagare aveva esplorato ogni angolo della terra. E gli si uniranno anche i due gemelli Tarconte e Tirreno, figli del re (Telefo) della Misia [...], discendenti dal sangue di Ercole, i quali nella lotta son fieri come lupi…”




LA CENTRALITA’ DI TARQUINIA




Ora, tutta questa serie di indicazioni (qui ne ho riportato solo una minima parte), sembrerebbe ancor più confermare la discendenza dei Troiani dai Tarquiniesi. Si pensi che addirittura la più antica raffigurazione esistente (V sec. a.C.) sul mito di Troia, è su un vaso (di provenienza non identificata) raffigurante Enea che porta su una spalla il padre Anchise che sorregge una cesta con i Sacri Penati. Premetto che questo genere di iconografia era sempre rappresentata dai Greci con Anchise seduto su entrambe le spalle di Enea, mentre gli Etruschi preferivano l’immagine dell’anziano portato su una sola spalla dall’eroe. Inoltre, questa particolare decorazione risulta differente dagli standard greci, poiché Enea è statico, quasi inginocchiato in segno di riverenza, mentre il padre tiene ben in vista gli oggetti sacri, come nel segno di offrirli o di farli riconoscere.









Secondo l’Alfoeldi, si tratta dunque non della fuga dalla città assediata, ma bensì dell’arrivo sulle coste tarquiniesi!




La piccola città laziale assume dunque un significato più profondo nello scenario storico e mitologico degli Etruschi. Lo stesso Tagete sceglie proprio quel luogo per manifestarsi!

Cicerone, nel “De divinazione” cita testualmente: “...Dicono che nell'agro Tarquiniese, mentre si lavorava la terra e un solco era impresso più profondamente, saltò fuori all'improvviso un certo Tages, e parlò a colui che arava. Questo Tages poi, come è (scritto) nei libri degli Etruschi, si dice si fosse manifestato d'aspetto fanciullesco, ma di saggezza da vecchio. Mentre il bifolco si sbalordì alla sua vista e mandò un forte grido di meraviglia, si fece un tumulto, e in breve tempo tutta l'Etruria si radunò in quel luogo,. allora egli parlò motto dinanzi a molti uditori, affinchè imparassero e affidassero alla scrittura tutte le sue parole; tutto poi il suo discorso fu quello, nel quale era contenuto l'insegnamento dell'aruspicina...”.




Marco Corsini, ricorda addirittura un rapporto diretto anche con gli storici nemici di Enea: “Attraverso la creazione del mito verisimile (ma mai realmente avvenuto) del Viaggio d’Odisseo, che era un racconto piacevole e non un’opera storica, è chiaro, Omero si riprometteva di far risalire ad età eroica la relazione di ospitalità fra Tarquiniati e Greci, quando già Ino Leucothea aveva salvato Odisseo dal naufragio prima in forma di folaga poi nelle vesti di Nausicaa figlia d’Alcinoo e Arete coppia reale di Tarquinia-Pyrgi che lo avevano fatto ricondurre in patria da una nave feacia. I mercanti greci erano così chiamati a commerciare con l’Etruria ponendo il controvalore sotto la protezione del santuario-banca pirgense di Ino Leucothea, di cui Odisseo aveva già sperimentato la protezione, come della casa regnante tarquiniate che lo aveva ricondotto in patria più carico di ricchezze di quante ne aveva prese a Troia e perdute in mare con nave e compagni.”




In quest’area si percepisce ancora molto forte anche un culto che ci rimanda a quei Pelasgi erranti: quello del Toro.

La stessa radice di Tarchum (Tarconte) e di Tarch(u)na (Tarquinia), come sostenuto dal Feo, è originaria dell’Asia Minore: infatti “tark” ha il significato di forza rigenerativa o di toro. Tark era anche il nome di un dio-toro Hittita.

Sempre Giovanni Feo, presenta la tesi del ricercatore francese Jean Richer secondo la quale, proiettando uno scenario astrale centrato sul Lago di Bolsena (centro religioso e divinatorio etrusco), l’antico abitato di Tarquinia è perpendicolare proprio alla costellazione del Toro.

Ma i riferimenti al toro non si esauriscono qui.

A pochi chilometri dall’odierna Tarquinia, troviamo ancora esistenti le note “Terme Taurine” e nella necropoli principale, una tomba detta “dei Tori”. Lo stesso Tagete (da molti visto come l’Hermes etrusco), uscì da un solco di aratro (altro riferimento ai buoi/tori?) tracciato da Tarconte e lo stesso nome “italòs” significa “terra dei tori”.









Non può dunque sorgere il sospetto di una coincidenza tra il segno zodiacale del Toro e l’inizio dell’era precessionaria omonima che, a sua volta, corrisponde quasi precisamente al termine del Diluvio di Ogige ed al successivo ripopolamento? Un toro virile e fecondatore, ma anche colui che tirando l’aratro, segna i confini della (ri)nascita di una città, uno stato, un popolo.




Possibile che il 90% della mitologia etrusca, nasca in questo luogo?

Abbiamo già visto che sempre qui trovò sepoltura il corpo di Dardano, capostipite dei Troiani. Occorre precisare che secondo recenti studi, l’attuale Tarquinia sorge sulle vestigia di Corneto, mentre l’antica “Tarchuna” era collocata sulla collina antistante. In quest’ultima ancora oggi si possono individuare i resti dell”Ara della Regina”, nel punto esatto dove si dice ci manifestò Tagete.

In questo tempio nasce il culto della grande triade etrusca (“Megaloi Theoi”) con la madre Cibele-Uni, la figlia Persefone-Menerva ed il padre fecondatore Dioniso-Tinia.










Restai sorpreso quando nel 2006 Il Corriere della Sera riportò la notizia del ritrovamento del “Fanum Voltumnae” e della sua identificazione come luogo di riunione politica, amministrativa e religiosa dei capi delle dodici lucumonie, poiché Virgilio sostiene fosse in realtà nei pressi di Tarquinia. In effetti, osservando gli scavi orvietani, si notano strutture di superficie o addirittura in elevazione, come all’uso dei Romani. Sappiamo che gli Etruschi veneravano entità sotterranee e che sentissero l’esigenza di un contatto, se non una penetrazione, con la terra.




Le stesse “vie cave”, oltre ad assolvere a compiti di sicurezza, riparo e superamento dei dislivelli, avevano un forte significato simbolico, introducendo il viandante nelle viscere della terra.

Quindi, un “gran consiglio” delle città stato, vista la profonda spiritualità degli Etruschi, difficilmente poteva svolgersi in un contesto privo di quel principio ispiratore divino,trasudato dalla terra e veicolato dalle acque.




Con questo non voglio assolutamente negare che il “Fanum Voltumnae” non costituisse realmente un luogo di riunione della Federazione Etrusca (già influenzato dalle tecniche costruttive romane), ma ipotizzare che questo sostituì un originale e più antico sito che doveva trovarsi più vicino all’egemone Tarquinia, successivamente abbandonato (o destinato a diverso utilizzo) a seguito della fondazione di Roma, come vedremo più avanti.

Durante un sopralluogo esplorativo nel territorio che si estende tra il monte Cimino e Tarquinia (ininterrottamente costellato di necropoli, quasi ad indicare una delle vie più sacre), una struttura detta “Grotta Porcina” (per secoli è stata usata come porcile) ma conosciuta anticamente come “La Grande Ruota”, considerata ad oggi il più grande tumulo etrusco esistente.









Questa è divisa in 3 distinti livelli dal sapore tutt’altro che cimiteriale: il fatto che sia contornata da tombe rupestri ha indotto gli studiosi a considerarla una struttura sepolcrale, ma all’interno –in grandissime sale- sono visibili degli intagli che fanno pensare a basi per scranni, non alloggiamenti di sarcofagi o salme.

Nell’avvallamento sottostante fu ritrovato un altare celebrativo ed alcuni contenitori atti (forse) a pigiare l’uva, elementi che ci riporterebbero più a rituali gioviali e di ospitalità, piuttosto che riti funebri. Ripeto che la presenza anche di tombe non deve trarre in inganno, poiché la cultura religiosa degli Etruschi era molto dipendente dal rapporto con gli antenati defunti.




Disseminare le principali arterie di comunicazione con tombe, costituiva un’ulteriore stato di protezione e (nuovamente) un modo per essere sempre vicini all’aldilà, senza contare che per un defunto etrusco, la peggior dannazione era l’essere dimenticato. Questo spiega perché difficilmente possiamo scorgere una via dichiaratamente etrusca, senza incontrare sepolcri. Essere sepolti presso un luogo che presumibilmente accentrava personalità politiche e religiose da tutta l’Etruria era quindi un grande onore, soprattutto per i discendenti.

L’area è delimitata da un corso d’acqua e sull’altura presente sulla sponda opposta, abbiamo trovato chiare tracce di strutture “ciclopiche” (gigantesche pietre da costruzione) completamente devastate e dalle planimetrie irriconoscibili, anche per la presenza di alberi ed arbusti.




Se a questo aggiungiamo che tale sito è ubicato a poche centinaia di metri dall’antico tracciato della Via Clodia (“Tarquiniese” ai tempi degli Etruschi), credo dovremmo porci delle domande.




Tutte le strade dell’Etruria non erano -come recentemente stabilito- dirette al Lago di Bolsena, ma a Tarquinia, come ci ricorda lo scrittore e studioso Alberto Palmucci.




Quanto fin qui descritto, ha tentato di stabilire alcuni azzardati punti chiave:




- un catastrofico evento devasta il mondo conosciuto e con le acque divide popoli che un tempo possedevano simili tradizioni e culti;




- i supersiti, in parte si rifugiano sulle alture, restando o divenendo “autoctoni”, altri errano per i mari, prendendo il nome di Pelasgi o “Figliuoli dell’Oceano”: tra questi sono annoverati gli “Atlantidei”, i “Titani” e molte genti provenienti dall’Egeo e dall’Asia Minore;




- l’incontro di così molteplici e variegate culture, favorisce l’evoluzione dei Pelasgi rispetto agli Autoctoni di fatto separati dal resto del mondo.




- la (ri)colonizzazione della penisola italiana ha due precisi punti focali di primo contatto: Spina al nord e Tarquinia al centro.




- i ceppi più evoluti dei Pelasgi trasmettono la scrittura, la conoscenza e rinnovano il culto religioso introducendo riti e simbologie anche tesi a non dimenticare il Diluvio di Ogige;




- nei paesi dove si stabiliscono i Pelasgi, il territorio viene diviso in dodici parti;




- l’eroe Enea, approdando a Tarquinia in cerca dell’aiuto di Tarconte, riconosce e ritrova i padri della sua stirpe e del suo popolo troiano probabilmente partiti ai tempi del Diluvio;




Ma se già questi elementi sarebbero sufficienti a cancellare la memoria di un popolo, per secoli sottovalutato, quale potrebbe essere stato l’elemento scatenante che né determinò la scomparsa culturale? Molti autori antichi e moderni ci pongono sulla buona strada, ma il sospetto che uno tra tutti, Virgilio, abbia lasciato delle tracce sull’Eneide ci obbliga a proseguire, entrando però nel puro campo delle ipotesi.







TARQUINIA ALL’ORIGINE DI ROMA




La nostra abitudine nell’osservare ogni cosa a 360°, senza i limiti imposti dall’ufficialità e dagli standard assunti, sarà di grande aiuto, poiché chiuderemo questa disamina proprio tornando ad una delle empiriche domande iniziali: “Sapendo che il territorio Etrusco nel centro Italia si estendeva dall’Emilia a buona parte della Campania, con agglomerati che sfioravano già all’epoca i milioni di abitanti, come fece un drappello di Troiani (seppur aiutati) ad avviare la nascita di Roma e del suo futuro potente impero?

Sarebbe stato come recarsi a casa di un estraneo e, senza permesso, usare il suo giardino per piantare i nostri pomodori per poi decidere di prenderci anche un paio di sue stanze…









La verità è che Roma fu fondata nel centro di una potente e radicata regione etrusca e che ciò non sarebbe stato in alcun modo possibile, senza l’aiuto, il coinvolgimento e la partecipazione degli stessi Etruschi.










E’ oramai appurato anche dall’archeologia accademica di come la leggenda di Romolo e Remo faccia acqua da ogni parte. Uno dei tanti ed ulteriori tentativi di inventare la storia per coprire la realtà degli accadimenti.

Il nome stesso “Roma” è stato forzatamente fatto risalire a Remo, quando invece era di chiara origine etrusca. Una delle prime denominazioni di quell’agglomerato di villaggi fu “Valentia”, traduzione latina dal greco Rhòmee (rwmh) termine indicante la potenza e la forza. Però c’è anche da constatare che il ceppo etrusco presente nell’area erano i “Ruma”…

Anche i nomi di Romolo e Remo potrebbero trovare la loro origine in note famiglie di rango tipicamente etrusche: i “Remni” ed i “Romylii”.




Tutto il territorio a destra dal fiume Tevere (la cui riva era appunto denominata “Ripa Veiens”) era sotto il controllo politico di Vejo (nella foto) già ai tempi del Re Vel (753 a.C.), mentre l’area a sud (comprese le alture dei Castelli Romani) era legata ai Latini con ben 60 villaggi fino al promontorio del Circeo e “cuore amministrativo” in Alba Longa (confinante con la “Tusculum” di Telagono -re pelasgico- altro importante centro etrusco abitato dai Tusci, provenienti dall’aera tarquiniese). Tito Livio accenna ad una pacifica convivenza tra i due popoli ed a comuni interessi commerciali. Il fatto che per tradizione acquisita, la data della nascita di Roma sia fissata al 753 a.C. sembrerebbe più in relazione all’inizio del dominio di Veio su quei villaggi che su una vera e propria edificazione, che prove archeologiche collocherebbero attorno al 500 a.C. (anche perché fino a questa data si segnalano solo immense paludi…)

E’ risaputo che ogni mito, quando si scontra con la storia, pecca sempre da un punto di vista cronologico.




Non mi dilungherò sulle innumerevoli tracce della predominante presenza etrusca nelle simbologie religiose dalla Roma antica, forse oggetto di una pubblicazione specifica ed approfondita, saltando direttamente alla più ardita delle conclusioni.

Tracciamo uno scenario ipotetico, concedendoci qualche licenza deduttiva e romanzata (tanto la storia sembra essere composta solamente di tali licenze…).




Enea si rivolge a Tarconte per muovere contro i Latini (che il mito omerico vuole legati più ad una immigrazione “pelasgico-greca”, quindi in contrasto con quella troiana), facendo leva sulla comune assonanza di cultura ed origini. Si forma dunque un temibile esercito troiano-tarquiniese con il preciso intento di prendere il controllo dei territori dove sorgerà la futura Roma.

Inizialmente la città di Veio appoggia l’iniziativa, intravedendo la conquista del potere commerciale dei Latini. Il fatto che Enea stabilisca sul Gianicolo (territorio veientano) il proprio centro strategico, dimostrerebbe questa tesi.

La vittoria sui Latini, consumata a Cuma attorno al 338 a.C. fu compiuta grazie anche all’intervento dei Tusci di Tusculum (divenuto avamposto tarquiniese in territorio nemico e per questo premiato con una delle prime cittadinanze romane) ed al probabile approvvigionamento di truppe da parte dei Sanniti.




La città di Veio, già a quel tempo, forse delusa dal monopolio di Tarquinia sulla nuova città (da notare che i re di Roma di etnia etrusca, erano tutti provenienti da Tarquinia), era entrata in contrapposizione e quindi in conflitto con Roma, cadendo a seguito di un assedio (del tutto speculare a quello di Troia) per mano di Furio Camillo nel 396 a.C.




Su questa vicenda desidero evidenziare due curiosità.

La prima è che Veio si vede rifiutare l’aiuto della Confederazione Etrusca, convocata appositamente al Fanum Voltumnae di Orvieto (spostato in quel luogo perché Tarquinia era ormai divenuta una realtà a parte rispetto alle lucumonie?), probabilmente poiché alcun discendente “pelasgico” avrebbe mai osato aggredire la “antiqua mater”, tranne i nuovi aggregati (al tempo le città-stato erano divenute molte più di dodici).

La seconda, riguarda il personaggio di Furio Camillo, o meglio il suo cognome (gens).




Il già citato Giovanni Feo, nel suo “Miti, segni e simboli etruschi” nel tracciare un quadro inter-culturale sulle origini del mito di Tagete, scrive: “Uno dei nomi di Hermes nei Misteri di Samotracia era Cadmilos, in allusione alle remote origini fenicio-egizie del dio (…) Nel culto etrusco comparivano giovani sacerdoti, chiamati Cadmili, che in età romana furono detti Camilli. E’ lo sfuggente Hermes Cadmilos a dare il nome ai Cadmili etruschi, adepti destinati alle nozze sacre con la sacerdotessa che incarnava il potere della Grande Dea.” Un ennesimo dato che ci conferma la persistenza di metafore, invenzioni ed elementi criptici in tutta la vicenda etrusca.







L’OBLIO DI UN EPILOGO




Ora riusciamo anche a scorgere i vari motivi che decisero la “damnatio memoriae” di questo popolo, non a caso consumata sotto Costantino (con l’aiuto della madre Elena). Anzi, potremmo affermare che parte della storia dell’intera Umanità è stata riscritta proprio per volere dell’imperatore romano.

Costantino, promotore del Concilio di Nicea con cui si stabilirono i canoni del Cristianesimo, eliminando tutte le fonti dissimili, gnostiche ed apocrife, volle molto probabilmente eliminare la cultura religiosa di quel popolo che proprio grazie ad un credo pagano, aveva dato origine a Roma ed al più grande impero della storia.




Al contempo, favorendo la memoria degli Etruschi, si sarebbe giunti a conoscerne le radici e la Sapienza tramandata, dovendo ammettere un periodo ante-diluviano che avrebbe posto dubbi sull’inoppugnabilità dell’Antico Testamento e quindi sulla nascente fede cristiana.

Proprio il Diluvio di Ogige che con le sue immani inondazioni aveva coperto le tracce di un antico e fiorente passato, ponendo in ombra i fasti romani e greci. Ci siamo, ad esempio, mai chiesti quali conseguenze avrebbe avuto una massa apocalittica di acqua e fango su strutture megalitiche, templi ed in generale sulle possibile testimonianze di una “passata umanità”? Il fango avrebbe ricoperto ogni cosa, divenendo terra fertile. Ciò spiegherebbe i numerosi ritrovamenti di strutture spesso enormi (soprattutto piramidi) sparse in tutto il mondo e nascoste da metri di terra, bosco o prati?









- La “Piramide di Visoko”, in Bosnia, celata da un’intera collina;

- la “Piramide di Cahuachi in Perù;

- le “Piramidi di Montevecchia”, in provincia di Lecco;

- la piramide di “Cerumbelle” in provincia di Enna;

- la “Piramide di Ch'i She huang ti” ed altre 7 in Cina;

- la “Piramide di Cahal Pech” in Belize;

- la “Ziqqurat di Monte d’Accodi” in provincia di Sassari




Quante testimonianze di un lontano passato riusciremo a strappare dall’oblio imposto “a tavolino” per ragioni politiche, religiose ed economiche (cioè, in una parola, “di potere”)?

Da chi è a conoscenza delle mie ricerche, ricevo ogni giorno segnalazioni di gigantesche formazioni collinari a tumolo o a piramide in tutta Italia. La maggior parte sono dovute alla particolare conformazione del terreno, ma altre mi lasciano profondamente perplesso e divengono oggetto di approfondimento. Anche nelle vicinanze di Roma, potrebbero celarsi un’enorme struttura piramidale e vari tumuli grandi come intere colline.




Questo è dunque il “Grande Segreto Etrusco”? Lo stesso segreto che ritroviamo in ogni antica civiltà su tutto il globo. Segni di un pensiero ed una spiritualità apparentemente comuni oppure retaggi di una Conoscenza che non aveva confini, almeno non quelli attuali…

http://pdmdesk.blogspot.it/2012/12/etru ... -roma.html



Purtroppo non sono riuscito ad inserire le immagini e la formattazione fa schifo ... vi è come un blocco dal pc...

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 Oggetto del messaggio: Re: La Stirpe del Graal
MessaggioInviato: 12/08/2015, 14:19 
Resto fermamente convinsto che se potessimo risalire l'albero genealogico dell'‪#‎aristocrazia‬ contemporanea potremmo scoprire molte cose...

Queen Elizabeth II Descended from the Prophet Muhammad

http://gnosticwarrior.com/queen-elizabe ... ammad.html


Una o più antiche stirpi che affondano le radici nel periodo antidiluviano...



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 Oggetto del messaggio: Re: La Stirpe del Graal
MessaggioInviato: 27/08/2015, 08:59 
Royal baby, Dracula nell'albero genealogico dell'erede dei Windsor - Tra gli antenati Vlad III e Churchill.

Discendente del conte Dracula e del profeta Maometto. Lontano parente di Winston Churchill, di George Washington e pure di François Mitterrand.

Il royal baby dei Windsor ha meno di un giorno di vita, non ancora un nome, ma il suo albero genealogico - per parte di padre - è ramificato nei quattro Continenti e ha sbizzarrito la fantasia di indovini e scommettitori.

Immagine

TOTO-NOME PER IL BIMBO. Sul toto-nome del piccolo principe sono spuntati quindi varianti esotiche di bizantina memoria, come Teofilo, presente tra gli antenati sia di William sia di Kate.

Ma la coppia reale d'Inghilterra appare molto moderna. Così, alla fine, il duca e la duchessa di Cambridge potrebbero optare per un più comune John o addirittura per un William junior, i due nomi maschili più frequenti tra gli antenati di entrambe le famiglie.

SANGUE BLU E POPOLANO. Quello dei Middleton, facoltosi borghesi di estrazione proletaria, ça va sans dire, è infatti un lignaggio molto più povero degli ultrablasonati Windsor: tra gli antenati di Kate, figlia della middle class inglese affarista del 1900, ci sono quindi anonimi minatori di carbone, panettieri, lavandaie e spazzatori di strada.

Vite comuni che, nella Gran Bretagna popolare dei secoli scorsi, poco avevano a che fare anche con i progenitori dei conti Spencer. La principessa Diana, madre di William, apparteneva infatti a uno dei più antichi casati britannici.

Andando a ritroso sulle linee di discendenza delle due famiglie nobili, gli esperti di araldica hanno ricostruito un reticolo di parentele illustri del neonato, che si perde nella notte dei secoli.

La parentela (alla lontana) del conte Dracula

Immagine
Klaus Kinski e Isabelle Adjani nel film 'Dracula' di Werner Herzog

In attesa del battesimo a Buckingham Palace con l'acqua fatta arrivare dal Fiume Giordano, proprio come avvenne con il nonno nel 1948, il royal baby della Gran Bretagna ha nelle sue vene anche una piccola percentuale di sangue transilvano.

Secondo quanto confessato dallo stesso Carlo d'Inghilterra al Telegraph, infatti, Vlad III di Valacchia detto l'Impalatore, il principe rumeno noto per la sua crudeltà e per aver inspirato il romanzo Dracula di Bram Stoker, è un suo lontano avo da parte della linea dinastica della regina Mary di Teck, moglie di Giorgio V, sovrano del Regno Unito dal 1910 al 1936.

Anche il nipote di Carlo, dunque, come il figlio William, è un discendente del conte Dracula.

LEGAME COI PRESIDENTI USA. Ma nel pedigree nel neonato reale spicca anche, niente meno, che una parentela ancestrale con Maometto, complice una principessa musulmana sua antenata convertita al cattolicesimo. Ma anche per merito dei vincoli dinastici dei Windsor con il casato dei re di Siviglia.

Nell'albero genealogico degli Spencer brillano invece le parentele con i duchi Churchill, famiglia dello storico primo ministro inglese, e con otto presidenti Usa: dal capostipite Washington a Franklin Delano Roosevelt.

MITTERRAND E GUY RITCHIE. Sorprendente anche il lontano legame sanguigno rintracciato dai genealogisti con l'ex presidente francese Mitterrand, attraverso un cugino aristocratico del defunto ex presidente francese. Altro parente famoso del pronipote di Elisabetta II è il regista e sceneggiatore inglese Guy Stuart Ritchie, 45enne ex marito di Madonna (con la quale ha avuto un figlio ndr), ma anche discendente di Edoardo I, re d'Inghilterra tra il 1272 e il 1307.

http://www.lettera43.it/politica/royal- ... 103238.htm


La discendenza delle antiche aristocrazie non si trasmette solo attraverso titoli nobiliari... l'appartenenza a quelle particolari antiche stirpi che affondano le radici in un tempo perduto sta nel "sangue", o meglio nel DNA.

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 Oggetto del messaggio: Re: La Stirpe del Graal
MessaggioInviato: 27/08/2015, 12:16 
vorrei vedere anche un albero genialogico della moglie middleton, apparentemente non nobile ma sicuramente con antenati importanti se si scava.


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 Oggetto del messaggio: Re: La Stirpe del Graal
MessaggioInviato: 14/09/2015, 13:14 
La stirpe messianica. Gesù il Cristo, la sua sposa e la loro prole

[img]http://ignorando.altervista.org/wp-content/uploads/2015/09/gesù-mi-parla.jpg[/img]

La teoria del matrimonio tra Gesù e Maria Maddalena non è una trovata dell’era moderna; nell’Alto Medioevo, storici e cronisti della Chiesa romana riportavano, anche se non a loro favore, di “coloro nella linea di sangue di Gesù tramite sua madre”. Maria Maddalena, per tutto questo periodo, fu ricordata come la “sposa di Cristo”. I loro discendenti erano noti come Desposyni (“eredi del Signore”). Ancor più affascinante è la storia della loro prole e della sistematicità con cui re, imperatori romani e papi si dedicarono nel cancellarne le tracce. Il perché di ciò è da ricercare tra interessi di potere e degli eredi nella storia di Israele. Del I secolo d.C. appartiene l’editto che ordinava: “Tra essi non deve restarne nessuno”.

I Romani non si sono mai riferiti a Gesù e ai suoi apostoli in termini positivi, come dimostrano gli Annali di Tacito, in cui la missione di Gesù viene definita una “pratica vergognosa”. Gli Annali collocano Gesù nella storia al di fuori del ritratto cristiano e in questo stesso modo l’esistenza reale di Cristo in quell’epoca viene confermata da un documento parallelo dei suoi nemici, la cui percezione del personaggio era completamente diversa da quella degli autori dei Vangeli. Negli annali romani i suoi seguaci sono definiti “notoriamente depravati” e la sua fede soltanto “micidiale superstizione”. Raccontando della nascita del movimento cristiano, il testo ebraico fa riferimento a “Giacomo, il fratello di Gesù, che era chiamato Cristo”. Questo conferma gli Annali romani che identificano ugualmente Gesù con il Cristo (dal termine greco christos, ”Re”).

Ma è anche la storia di Erode Il Grande, del Re Erode citato negli Atti degli Apostoli.

Gli “altarini” scoperti

L’allora professore di Storia antica presso la Columbia University, Morton Smith, in occasione della stesura di una tesi per un dottorato alla Hebrew University di Gerusalemme, sotto invito del custode del Santo Sepolcro, si recò nel 1941 a visitare il vicino monastero greco a Mar Saba. Affascinato dalle differenze tra il rituale monastico e il culto ecclesiastico tradizionale, Smith ritornò nel 1958 per continuare le sue ricerche. Mentre catalogava la collezione dei manoscritti del monastero, scoprì una lettera importante del II secolo indirizzata da Tito Flavio Clemente Alessandrino ad un collega di nome Teodoro, la quale discuteva dei carpocraziani, un gruppo alessandrino non ortodosso. Chiamati così da Carpocrate, essi non seguivano la dottrina paolina, adottata poi da Roma, ma si ispiravano a Maria Maddalena, Maria di Betania, Marta di Betania e la loro compagna Salomè basandosi sul Vangelo di Marco, il Vangelo di Tommaso e il Vangelo Segreto di Marco.

Il concetto stesso di predicazione femminile, secondo Clemente, era assolutamente peccaminoso:

A costoro ci si deve opporre in ogni modo e interamente. Perché, anche se dicessero qualcosa di vero, chi ama la verità non deve, neppure in tal caso, essere d’accordo con loro. Perché non tutte le cose vere sono la verità, e la verità che pare vera secondo le opinioni umane non deve essere preferita alla vera verità, quella in armonia con la fede […]Con loro non si deve mai acconsentire; né, quando propongono le loro falsità, si dovrebbe riconoscere che il Vangelo segreto è di Marco, bensì lo si deve negare con un giuramento. Poiché non tutte le cose vere debbono dirsi agli uomini.

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Clemente continua:

[wbf]In quanto a Marco, dunque, durante il soggiorno di Pietro a Roma, scrisse una cronaca dei fatti del Signore, non già, tuttavia, narrandoli tutti, e neppure accennando a quelli segreti, bensì scegliendo quelli che giudicava più utili per accrescere la fede di coloro che venivano istruiti. Ma quando Pietro morì martire, Marco venne ad Alessandria portando i suoi scritti e quelli di Pietro, e da essi trasferì nel suo libro preesistente le cose adatte a favorire il progresso verso la conoscenza. Egli, perciò, compose un Vangelo più spirituale a uso di coloro che venivano perfezionati. Tuttavia non divulgò ancora le cose che non dovevano essere dette, né mise per iscritto gli insegnamenti gerofantici del Signore; ma alle storie già scritte altre ne aggiunse e inoltre introdusse certi detti dei quali, come mistagogo, sapeva che l’interpretazione avrebbe guidato gli ascoltatori nell’intimo santuario della verità celata dai sette (veli). Così, insomma, egli preordinò le cose, né malvolentieri né incautamente, secondo il mio giudizio, e morendo lasciò la sua composizione alla chiesa di Alessandria, dov’è tutt’ora scrupolosamente custodita, e viene letta soltanto a coloro che vengono iniziati ai grandi misteri.


Questa è una lampante ammissione da parte della setta paolina dell’esistenza di una netta differenza tra “la verità” e “la verità secondo la fede. Il “Vangelo segreto” a cui si riferisce Clemente, era una sezione che da quel momento in poi venne eliminata dal Vangelo di Marco, quindi non compare nei Vangeli sinottici di Matteo e Luca. Presente ora solo nel Vangelo di Giovanni, ma in forma leggermente diversa, si tratta del brano che riferisce di Maria di Betania e Marta di Betania ai tempi della resurrezione di Lazzaro per opera di Gesù. Quali sono dunque le cose che Marco non scrisse perché non dovevano essere dette? Probabilmente, quelle relativa all’esistenza di una seconda Sacra Famiglia, riguardante Gesù il Cristo, la sua sposa e la loro prole e di chi fossero, precisamente, i componenti. E di tutti gli interessi che ruotavano attorno alla storia di Israele e alla stirpe messianica davidica. Per illustrare ciò è necessario procedere in punta di piedi e, per farlo, bisogna considerare il contorno a riguardo, per poi giungere alle prove che, sorprendentemente, comprendono anche i dettagli culturali del tempo; ad esempio, il rito dell’unzione del capo o dei piedi o l’uso del velo nelle donne di alto rango, ma anche mezzo attraverso cui la verità viene “svelata” (i sette veli).

Saranno tuttavia colti solo i dettagli più utili a questa ricerca.

Riprendendo da Clemente:

A te, quindi, non esiterò a rispondere con ciò che mi hai chiesto, confutando le falsificazioni mediante le stesse parole del Vangelo, ad esempio, dopo “ed essi erano per via diretti a Gerusalemme” e ciò che segue, fino a “dopo tre giorni egli risorgerà, (il Vangelo segreto) contiene quanto segue parola per parola: “Ed essi giunsero a Betania dove era una certa donna, il cui fratello era morto. Ed ella venne, si prosternò davanti a Gesù e gli disse <<figlio di Davide, abbi pietà di me>>. Ma i discepoli la rimproverarono. E Gesù, incollerito, andò con lei nel giardino dove era la tomba, e subito dalla tomba si udì giungere un grande grido. E avvicinandosi Gesù rimosse la pietra che chiudeva la porta del sepolcro. E subito, andando dove giaceva il giovane, tese la mano e lo fece levare, prendendolo per mano. Ma il giovane, vedendolo, subito lo amò e gli chiese di poter rimanere con lui. E uscendo dalla tomba entrarono nella casa del giovane, poiché egli era ricco. E dopo sei giorni, Gesù gli disse ciò che doveva fare, e la sera il giovane venne a lui portando un drappo di lino sulle sue nudità. E quella notte rimase con lui, perché Gesù gli insegnò il mistero del regno di Dio. E lasciato quel luogo, ritornò sull’altra sponda del Giordano.


La Profetessa Anna

La teologa Anna, figlia di Federico II di Svevia e Gladis de Termes, nata a Foggia nel 1235 e morta a Palermo nel 1312, Capo Spirituale, Vescovo (Avesque in lingua d’Oїl) dell’Ecclesia Dei, la Chiesa Divina Cristiano-Gnostica, anima eletta, consegnava ai discendenti il suo trattato di teologia Il Principio.

Il Principio

Il Padre Nostro è i Cieli, essi sono Eterni e non hanno principio, non hanno fine. Dai Cieli il Padre prese il seme e lo gettò sulla terra. Nei secoli ha prodotto i suoi frutti, i mortali. Essi hanno sempre anelato alla perfezione del Creatore nella ricerca della Verità. Quando il Padre non avrà più segreti per i figli, per il loro spirito e la loro anima, questi saranno un tutt’uno col loro creatore. Il cerchio si chiuderà sarà l’inizio di un nuovo Principio.

Questo stralcio de Il Principio di Anna, ispirato ad un puro monoteismo gnostico fu scritto in chiaro contrasto con quello dei Due Principi edito nella stessa epoca e fondato sulla dottrina dualista. Gli antenati della profetessa gnostica, perseguitati, avevano trovato rifugio in terra italiana, come i loro avi, gli antichi ebrei, esuli dalla Giudea, che nel corso del primo secolo d.C., erano emigrati nel territorio, a cui sarà dato successivamente il nome di Linguadoca, nel Sud dell’attuale Francia. Nel secolo XIII, parlavano il lingua d’Oїl, fiorivano gli artisti ed i poeti; un popolo libero con alti valori, improntati alla parità di diritto, alla libertà spirituale e civile, all’amore, quello divino, aborrivano la violenza e la forza materiale. Il loro Vescovo era soprannominato il Guardiano o Custode del Graal: il calice dell’ultima cena di Cristo, la sacra tazza di pietra del casato davidico, che portava scalfito il leone rampante, l’emblema della Tribù di Giuda. La comunità catara, in cui erano inseriti, rappresentava un serio pericolo per il potere temporale della Chiesa di Roma, ed il Papa Innocenzo III organizzò una “crociata” per distruggere quella civiltà che non ha avuto più uguali in tutto il bacino del Mediterraneo. Ma essi, ancora esuli e perseguitati, conservavano nel tempo tradizioni, cultura, i loro rituali, con serena rassegnazione e grande dignità, che tramandavano nel corso dei secoli, generazione dopo generazione, ai loro discendenti. Dalla stirpe della veggente è nato l’ultimo rampollo, il capo spirituale dei nuovi gnostici, il Custode del Sacro Graal.

Storia e cenni della stirpe messianica

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David, secondo il calendario costantiniano, regnò su Israele dal 1048 al 1015 a.C. . Costantino il Grande, imperatore di Roma, nel 314 d.C. diede vita al nuovo calendario, spostando la data della nascita di Gesù al 25 dicembre; il Natale andava a sostituire l’antica festa pagana del Sole. Gesù Cristo (dal greco “Re”), il Messia (“l’Unto”), era nato – formalmente – dal matrimonio di Giuseppe, legittimo erede davidico al trono di Gerusalemme, con la giovane Maria, il primo di marzo dell’anno di grazia 7 a.C. ed era stato registrato dopo sei mesi, il 15 di settembre nel rispetto delle usanze della casa reale. Il biondo David, dagli occhi belli color del cielo e dal fiero aspetto, era discendente della stirpe di Abramo, Isacco e Giacobbe, conosciuto anche con il nome di Israele. Da Giacobbe erano nati dodici figli, tra cui i più noti Giuda, Giuseppe e Beniamino. Giuseppe o Yuia divenne ministro del faraone Tuthmosis IV intorno al 1410 a.C. .

Giuda, soprannominato per la sua forza, il Leone, diede origine alla Tribù con il nome di Giudea. Intorno al 1050 a.C., sotto il regno di Saul, David di Betleem, figlio di Isai o Iesse, discendente da Giuda, al comando dell’esercito reale conquistò tutto il territorio della Giudea. Sposò la figlia di Saul e divenne re di Giuda e Israele regnando su tutti gli abitanti di quel paese. In un primo tempo era stato consacrato re di Giuda ed in epoca successiva regnò su tutto il territorio israeliano, unto ed incoronato dagli anziani delle Tribù ebraiche. Conquistò Gerusalemme e ne fece la capitale del regno. Procreò numerosi figli, il primogenito fu chiamato Amnon. Dalla sua unione con Betsabea nacque Salomone o Shelomon o Iedidia, il figlio prediletto. Questi, per volontà paterna, fu consacrato Re, unto dal Sommo Sacerdote Sadoc. Salomone, dopo l’incoronazione si presentò al popolo sul dorso di una mula. L’usanza voleva che il re Messia si mostrasse in pubblico con regalità, mista ad umiltà, a dimostrazione di essere al servizio dei sudditi. Salomone subentrò a David dopo la sua morte, consolidando il regno di Israele.

Sposò la figlia del Faraone d’Egitto. Fece edificare a Gerusalemme un tempio a Dio, dove venne collocata, in un santuario, l’Arca dell’Alleanza. Recintò la città Santa con mura e costruì la propria reggia, in cui pose un trono d’avorio rivestito in oro. I discendenti di David per tradizione venivano “unti” onde l’appellativo di stirpe messianica. I “Messia legittimi” al trono di Gerusalemme furono, in successione; Roboamo, Abia, Asa, Giosafat, Soram, Ocozia, Joash, Azaria, Jotam, Ahaz, Ezechia, Manasse, Amov, Giosia, Jocaz, Joiachim, Jioiachin, che fu esiliato dal tirannico conquistatore Nabucodonosor nel 535 a.C. circa, a Babilonia, dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme. A Jioiachin subentrò Sedecia, poi Salatiele, Pedaiah, Zerubabele, Rhesa, Joanna, Giuda, Giuseppe, Semei, Mattatia, Maath, Nagge, Esli, Naum e così via sino a Levi, Matthat, Eli, Giuseppe e Gesù. Lo stemma della real casa di Giuda portava scalfito il leone rampante. Dopo la conquista e la distruzione di Gerusalemme, Nabucodonosor aveva condotto a Babilonia insieme allo sconfitto Jioiachin, una miriade di giudei di alto lignaggio. Tale esilio durò fino all’epoca in cui Ciro divenuto re di Persia, graziò gli ebrei e diede il consenso per il loro ritorno in terra natìa.

Erode, non essendo discendente da David, era considerato un usurpatore. Il suo governo fu improntato al dispotismo, tirannia e libertinaggio, forte dell’appoggio di Roma. La popolazione oppressa aveva la necessità di un Messia, che la liberasse dal giogo romano e ne attendeva, con ansia, l’avvento. Il primo marzo del 7 a.C. veniva alla luce, dall’unione – formale – di Giuseppe, discendente della Tribù di Giuda e legittimo erede al trono d’Israele, con Maria, il loro figlio primogenito Gesù (in ebraico Yehoshua), per diritto ereditario futuro Re Messia. Come ogni dinastia, il casato di David aveva un codice a cui si dovevano attenere tutti i componenti della famiglia reale. Il Messia, aveva compito di difensore, protettore e servitore dei propri sudditi. Per essere consacrato ed incoronato come “Padre della Comunità”, si presentava in pubblico sul dorso di un’asina o di una mula, di guisa che anche i più poveri e derelitti potessero avere modo di interagire direttamente con il sovrano.

Il primo ed il secondogenito della stirpe reale venivano educati, fin dai primissimi anni di vita, in un monastero, ove conviveva in alcuni periodi dell’anno anche la madre. I rampolli davidici all’età di nove anni iniziavano a frequentare la scuola e dopo tre anni erano considerati, con linguaggio esoterico, “rinati” o “iniziati”. All’età di sedici anni il primogenito veniva proclamato principe ereditario, con il rango di Josef Rama Teo (Giuseppe d’Arimatea, “rama” e “thea”, “Altezza Divina”) ed andava a sostituire nella carica il fratello del padre. L’erede al trono era obbligato a prendere moglie onde dare continuità alla stirpe e doveva generare almeno due figli maschi.

Il matrimonio reale era improntato a vita casta ad eccezione dei periodi in cui si doveva procreare.

Il fidanzamento dinastico durava a lungo; nel corso del mese di settembre si celebrava un primo matrimonio con l’obbligo di astinenza sessuale, fino al mese di dicembre. Nel caso in cui la donna restava gravida, dopo sei mesi si celebrava un secondo matrimonio, il definitivo. La sposa, che poteva anche far parte di un ordine sacerdotale era obbligata durante il banchetto nuziale a servire allo sposo una particolare pozione con unguento aromatico e odoroso, lo spigonardo, estratto da una pianta rara che cresceva solo ad altissime quote. Le mogli dei discendenti di David andavano a ricoprire il rango di “Miriam” (Maria) e potevano ungere i piedi del marito solo dopo la celebrazione del rito nuziale. La futura regina prima del matrimonio definitivo era considerata ancora un’almah, ossia una giovane donna vergine, e durante i lunghi periodi di astinenza sessuale, con gergo esoterico, chiamata “vedova”.

I discendenti davidici della Tribù di Giuda il “Leone” non detenevano, per tradizione, alcuna carica sacerdotale ereditaria. Tali privilegi, per diritto dinastico, spettavano ad altre Tribù ebraiche. Nella massima gerarchia ecclesiastica il Sommo Sacerdote era soprannominato Sadoc o Arcangelo Michele o Padre, seguiva l’Abiatar o Arcangelo Gabriele o Figlio, indi il Levi o Raffaele o Spirito, seguito dai Sacerdoti Anziani e della Somma Sacerdotessa. Il Re Messia, il principe ereditario e gli altri componenti della famiglia reale di ambo i sessi potevano essere ordinati sacerdoti, ma non era un diritto dinastico. Il clero aveva facoltà di contrarre matrimonio con l’obbligo, durante il periodo della procreazione, di affidare il proprio ministero ad altro sacerdote che lo seguiva nella gerarchia ecclesiastica.

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L’idmueo Antipatro, che era stato nominato da Giulio Cesare governatore del territorio giudaico, era stato assassinato e suo figlio Erode, che reggeva la regione della Galilea, venne convocato a Roma, dove ricevette la nomina a Re di tutte le province ebraiche (Galilea, Samaria e Giudea). Considerato dal popolo un usurpatore e un tiranno, regnò con dispotismo e il suo governo fu costellato da crocifissioni ed orrende stragi. Il trono spettava, per diritto dinastico, al legittimo discendente di David, il re Messia Giuseppe. Egli aveva sposato una giovane almah, figlia dei nobili Anna e Gioacchino, che, come da tradizione, aveva assurto al rango di Miriam.

Era anche una delle sette sacerdotesse del Tempio di Gerusalemme. La domenica del primo marzo del 7 a.C. venne alla luce il primogenito “Figlio di Dio” , il piccolo Gesù o Yehoshua, futuro legittimo erede al trono di Gerusalemme. Nacque prima del tempo e quindi fu considerata disobbedienza formale alle regole dinastiche. Giuseppe si trovava a disagio considerando il retroscena della venuta al mondo di Gesù, dato il rischio concreto che il futuro Messia potesse essere considerato illegittimo. Ma il Sommo Sacerdote l’Abiatar o Arcangelo Gabriele, secondo nella gerarchia clericale solo al Sadoc o Arcangelo Michele, diede il consenso al parto. Dopo la nascita Gesù fu “legittimato” proprio dall’Arcangelo Gabriele, che a quel tempo era Simeone l’Esseno, e ne diventò il “figlio” spirituale. Erode (Il Grande) muore nel 4 a.C. e gli succede Erode Antipa nella carica di Tetrarca di Galilea.

Sei anni dopo la nascita di Gesù, da Giuseppe e Maria (?) nacque Giacomo (1 a.C.), poi Iose, Anna, Giuda e Simeone . Giuseppe moriva nel 23 d.C., e Gesù diviene il Re Messia, l’Unto, mentre Giacomo andava a rivestire il rango di principe ereditario, di Josef Rama Theo, lo stesso Giuseppe che andò a chiedere la consegna del corpo di Gesù affinché potesse occuparsi personalmente della sua sepoltura. All’epoca in cui Gesù divenne il Messia d’Israele, come discendente di Antipatro si aveva il governatore Ponzio Pilato a Roma, sotto il regno di Tiberio Cesare.

Gesù era un ebreo ellenista, di idee liberali, faceva parte della comunità essena e sovrintendeva l’Ordine dei Nazareni o Custodi dell’Alleanza di Qumran; in quella società le donne erano emancipate ed inserite a pieno titolo anche nel clero. Pertanto, il Messia non si trovò soltanto a fronteggiare il regime, ma anche il Consiglio degli Anziani Giudei, il Sinedrio, la massima autorità civile e religiosa del popolo ebraico, nonché i nazionalisti, conservatori farisei e sadducei. Vennero così da lui scelti, tra i sudditi più fedeli e qualificati, ottanta collaboratori col ruolo itinerante di messaggeri e delegati e dodici di loro, gli apostoli, andarono a costituire il nucleo più vicino al loro sovrano senza trono. Un vero e proprio consiglio dei ministri in clandestinità.

Siamo nel 29 d.C. ed il legittimo governo davidico non era stato costituito. La comunicazione tra gli apostoli ed i messaggeri si effettuava con un linguaggio particolare, connotato da epiteti esoterici, simbologie in uso solo nella comunità essena ed incomprensibile agli invasori. Ciò allo scopo di non insospettire e non generare reazioni violente da parte del nemico. Anche i soprannomi degli apostoli avevano sfondo simbolico. Il consiglio dei dodici era composto da Simon Pietro ed Andrea, dai figli di Zebedeo Giacomo e Giovanni, dal figlio di Alfeo, Taddeo Lebbeo, ed ancora dai fratelli Giacomo o Gionata Anna e Matteo o Levi, da Filippo, da Bartolomeo o Giovanni Marco, da Tommaso, da Giuda Iscariota e da Simone Zelota, detto anche Lazzaro (di Boeto, fratello di Maria di Boeto e Marta di Boeto, i “di Betania”), originario della Samaria e capo supremo di tutti gli zelotes ebrei, detto il “lebbroso” quando venne scomunicato. La zelota era un’organizzazione diffusa in tutto il territorio giudaico che reclutava tra le sue fila adepti che giuravano fedeltà all’associazione, con il fine di difendere il popolo dai soprusi e dagli oppressori stranieri. In ogni agglomerato urbano vi era un nucleo agli ordini di un sacerdote. Il capo supremo era soprannominato “Padre Mago” (da cui anche i Magi), il suo vice “figlio del padre o Barabba” (da cui il brigante), gli altri capi territoriali “figli del figlio”. Considerati dal regime sovversivi e terroristi, venivano definiti per l’appunto “briganti”.

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Maria “Maddalena” di Betania

I primi testi cristiani descrivono Maria Maddalena come la donna che conosceva il Tutto; era Colei che “Cristo amava più di tutti i discepoli”. Era l’apostola “di una conoscenza, una visione e una percezione superiori a quelle di Pietro”; ed era la sposa diletta che unse Gesù al Sacro Matrimonio (Hieros Gamos) a Betania. E’ possibile che nacque come Maria di Boeto, da Simone di Boeto, e che fu la terza moglie di Erode il Grande, dalla quale ebbe un figlio, Erode Filippo, poi diseredato a causa della “cospirazione” di morte contro di lui. Per questo motivo divorziò e fuggì. Dal 4 a.C. sparisce e Flavio Giuseppe non la menziona più in alcun modo.

Nel Nuovo Testamento Maria Maddalena viene menzionata per la prima volta quando i Vangeli raccontano la storia della sua resurrezione come figlia di Giairo nel 17 d.C.. Essere “resuscitata” (simbolicamente, dalle tenebre eterne) si riferiva o alla promozione ad un rango più elevato all’interno della “Via” o, come abbiamo visto, alla revoca della scomunica che era una morte spirituale. Il termine viene usato ancora oggi nella Massoneria. Tuttavia, giacché le donne non venivano scomunicate, nel caso di Maria si trattava chiaramente di una iniziazione rituale o, forse, della rinascita dopo “un eventuale divorzio”. Le prime “resurrezioni” per i ragazzi avvenivano all’età di 12 anni e per le ragazze a 14.

Posto che Maria fosse stata resuscitata dalle tenebre nel 17 d.C., ciò significa che era nata nel 3 d.C. Aveva quindi nove anni meno di Gesù in questa nuova vita e quando lo sposò per la prima volta nel 30 d.C., ne aveva 27. Essendo rimasta incinta nel dicembre del 32 d.C., Maria Maddalena aveva “30 anni” all’ epoca del suo Secondo Matrimonio e durante quell’anno (33 d.C.) diede alla luce sua figlia Tamar. Quattro anni dopo diede alla luce Gesù il giovane e nel 44 d.C., quando aveva “41 anni”, nacque il suo secondogenito, Giuseppe. A quel tempo Maria era a Marsiglia (Massilia), dove la lingua ufficiale era il greco fino al v secolo.

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Il nome completo di questa Maria era Sorella Miriam Magdala, nota comunemente come Maria Maddalena. Gregorio I, vescovo di Roma (590–604) e, a San Bernardo, l’abate cistercense di Chiaravalle (1090-1153), confermarono entrambi che Maria di Betania era sinonimo di Maria Maddalena. Nella seconda occasione in cui Gesù fu unto con lo spigonardo, in casa di Simone il lebbroso, Giuda Iscariota si dichiarò insoddisfatto di come andavano le cose – perché la Maddalena e Gesù avevano contratto il primo matrimonio -. A differenza della maggior parte delle altre donne del Nuovo Testamento, è da notare che in ogni caso Maria Maddalena non viene mai definita per il tramite di un uomo («figlia / sorella / moglie / madre di …») probabilmente, per il fatto che fosse proprio la Maria di Boeto, ex sposa di Erode il Grande dalla quale fuggì. All’epoca di Qumran, Maria non era un semplice nome ma un titolo di distinzione, essendo una variazione di Miriam (il nome della sorella di Mosè e Aronne).

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Le Miriam (Marie) partecipavano ad un ministero formale all’interno di ordini spirituali come la comunità ascetica dei Terapeuti. Maria Maddalena viene prima descritta come una donna “dalla quale usciranno sette demoni” (Luca 8:2) e , più avanti, lo stesso Vangelo dice che era “una peccatrice”. Ma, oltre a ciò, viene ritratta in tutti i Vangeli come una leale compagna preferita da Gesù. Prima del matrimonio, le Marie erano soggette all’autorità del capo degli scribi che, al tempo di Maria Maddalena era Giuda Sicariota. Il capo degli antichi scribi era anche il demone sacerdote Numero 7, e i sette “Sacerdoti demoni” costituivano un gruppo formale di opposizione ai sacerdoti che rappresentavano le “sette luci della Menorah” (il candelabro a sette bracci). Avevano il compito di sorvegliare le donne nubili della Comunità. Come accennato, il suo non era un matrimonio qualunque e Maria fu soggetta a lunghi periodi di separazione dal marito, in cui veniva non considerata come moglie ma come sorella (in senso religioso, come una monaca). Nella sua qualità di sorella, Maria era addetta al Padre (Mago), Simone Zelota (Lazzaro). La differenza fra le Marte e le Marie era che le prime avevano il diritto di possedere beni e le seconde no.

Un’opera di Jacopo di Varazze “Legenda” parla di Santa Marta di Betania e di sua sorella Maddalena. Quanto segue è il sunto in lingua moderna. Santa Marta, ospite del Signore Gesù Cristo, era di famiglia reale. Suo padre si chiamava Siro e sua madre Eucaria; il padre veniva dalla Siria. Come erede della madre insieme a sua sorella, Marta entrò in possesso di tre proprietà: il castello Maddalena, Betania, e parte di Gerusalemme. Dopo l’Ascensione di Nostro Signore, quando i discepoli se ne furono andati, lei, suo fratello Lazzaro e sua sorella Maria, e anche San Massimo, s’imbarcarono su una nave che – grazie alla protezione di Nostro Signore – li portò sani e salvi a Marsiglia. Da lì si recarono nella regione di Aix, dove convertirono gli abitanti alla fede. Il culto più attivo della Maddalena s’insediò infine a Rennes-le-Chateau nella regione della Linguadoca.

Il silenzio su Lazzaro

La soppressione della storia di Lazzaro è il motivo per cui i resoconti nei Vangeli di Marco e Matteo sono ubicati in casa di Simone il lebbroso e non in casa di Lazzaro come nel Vangelo di Giovanni, ma si tratta sempre dello stesso. Attorno al 32 d.C. gli apostoli Simone lo Zelota (Eleazaro/Lazzaro), Taddeo, e Giuda Iscariota avevano capeggiato una insurrezione armata dei loro zelotes contro il regime. Simone, il Padre Mago (sempre Eleazaro/Lazzaro), in questo periodo rivestiva, nella gerarchia ecclesiastica, la carica di Sommo sacerdote Sadoc o Arcangelo Michele o Padre e secondo la tradizione giudaica venne desistito dalla carica sacerdotale e scomunicato, quindi considerato “spiritualmente morto”. Dalle fonti, fu recluso a Qumran, nel sepolcro detto anche Seno di Abramo.

Nel frattempo, ad Erode Agrippa era subentrato Erode Antipa, che, in quel periodo, entrò in conflitto con i romani. Pertanto, graziò il recluso, lo rimise in libertà e gli fece “togliere” la scomunica proprio da Gesù, che ancora non deteneva alcun ruolo sacerdotale, contravvenendo alla legge ebraica, che prevedeva la revoca della scomunica, solo, per intervento del Sadoc, il Sommo Sacerdote. Poiché la scomunica, a tutti gli effetti, era considerata “morte spirituale”, Gesù, di conseguenza, aveva “resuscitato da morte” Simone Eliezero (Lazzaro).

Il grande grido che venne sostituito da Gesù che grida a gran voce nel Vangelo di Giovanni, cambia tutto il senso della vicenda. Nel Vangelo Segreto di Marco, si sente provenire un urlo dal sepolcro. Nel Vangelo di Giovanni, è Gesù che a gran voce grida «Lazzaro, vieni fuori!»

Nel ridare a Lazzaro la vita (spirituale), Gesù aveva suo malgrado ottenuto l’evento cardine che lo avrebbe condotto al termine e, con questo gesto clamoroso alle spalle, gli rimaneva soltanto di essere formalmente unto e di mostrarsi al popolo come il legittimo Messia in modo che lasciasse poco spazio alle dispute. Come il Messia avrebbe ottenuto tale riconoscimento era stabilito da lungo tempo, giacché era stato profetizzato da Zaccaria nel Vecchio Testamento (9:9): “Festeggia grandemente, o figlia di Sion; giubila, figlia di Gerusalemme”.

Giuseppe e Maria, la Vergine

<<Maria è vergine perché così ha voluto Dio» (E. Peretto, Percorsi mariologici nell’antica letteratura cristiana, Lev 2001, p. 259).

Recentemente, i Codici di Nag Hammadi hanno portato alla ribalta alcuni Vangeli, fra cui quelli di Filippo, di Tommaso e di Maria (Maddalena). In alcuni casi i contenuti di singoli fascicoli coincidono con brani del NT, ma in vari casi differiscono, a volte in modo significativo. E’ di particolare interesse il fatto che il Vangelo di Filippo affermi: Alcuni dicono che Maria concepì per mezzo dello Spirito Santo. Sbagliano. Non sanno quello che dicono.

Origene, riteneva che Il Protovangelo di Giacomo, fosse stato scritto da Giacomo, il fratello di Gesù. Questo antichissimo testo cristiano racconta che Maria era una delle sette monache del Tempio di Gerusalemme, un’ almah consacrata. A tutti i fini pratici, alla luce di questo, è giusto (sebbene ambiguo nel senso moderno del termine) dire che una vergine concepì e dette alla luce un figlio. Potrei congetturare che Salomè potesse essere una delle sette monache del Tempio e che , per tale ragione, Maria la considerasse sua sorella.

Potrei anche avanzare l’ipotesi che , per via della sua raffigurazione con copricapo differente dal velo, fosse una persona vicina a lei durante la crescita e, per questo considerata sorella per via di Anna. Ci sono dubbi circa la paternità effettiva di Giuseppe.

Tutto considerato, la divinità di Gesù viene rappresentata in senso figurato negli altri Vangeli, mentre la sua discendenza umana da Davide (“secondo la carne”) viene costantemente enunciata come un dato di fatto. Gesù apparteneva alla stirpe davidica, com’è confermato in numerose occasioni nel NT, attraverso Giuseppe anche se lo definisce “amico”, al contrario di Maria che è “sua madre”. E così persino in Luca 1:32, malgrado il precedente accenno alla verginità fisica di Maria e all’intervento di agenti divini, giacché il Vangelo afferma effettivamente che “il Signore Iddio gli darà il trono di Davide suo padre”. Generalmente, Gesù si definiva “Figlio dell’Uomo” (es. Matteo 16:13). Quando il sommo sacerdote gli chiese se fosse in verità il figlio di Dio, Gesù rispose: “Tu l’hai detto”, intendendo che era stato il sacerdote a dirlo e non lui (Matteo 26: 63-64). Rispose in termini praticamente identici anche in Luca (22:70): “Sei tu dunque il Figliolo di Dio? Ed egli disse: Voi lo dite”. L’appellativo era in diretto rapporto con la struttura “angelica”. Come principale rappresentante del popolo, il dinasta davidico non era legato al sacerdozio. La stirpe reale di Gesù discendeva in definitiva dalla tribù di Giuda e non deteneva alcuna carica ecclesiastica ereditaria: tutti quei diritti erano riservati all’Ordine di Aronne e alla tribù di Levi. Invece l’erede davidico – a quest’epoca, Gesù – aveva un legame laico con la gerarchia angelica quale figlio spirituale dell’Angelo Gabriele (il sottordine di Michele) . Il nome Gabriele significava “Uomo di Dio” (dall’ebraico Gebri-El) e nella raffigurazione delle Creature Viventi contenuta nel AT (Ezechiele 1:10)Gabriele rappresenta la categoria dell’Uomo. Quindi, Gesù era Figlio dell’Uomo (di Dio).

Giuseppe, l’anziano sposo di Maria, era a sua volta fratello di Ruben e Levi, assieme agli altri fratelli e, pertanto, figlio di Giacobbe. La storia di Giacobbe si intreccia con quella del figlio prediletto Giuseppe. Quando quest’ultimo, dopo essere stato venduto dai fratelli, divenne attorno al 1040 a.C. ministro del faraone Tuthmosis IV, fece trasferire le Tribù di Israele, e Giacobbe stesso, in Egitto per salvarli dalla lunga carestia, apparsa in sogno al faraone, sotto forma di 7 vacche magre – sogno che Giuseppe interpretò.

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A vent’anni, Giuseppe il pastore di Canaan, sposò Aseneth (ebraico ‘Āsĕnath: i Settanta ‘Ασε[ν]νέϑ; la Vulgata Aseneth), la figlia di Potifera (Putifare) sacerdote di On, a cui partorì Manassé ed Ephraim (Genesi, XLI, 45-52). E’ errato vedere in questa coppia lo sposalizio “in codice” di Gesù e Maria Maddalena. Non si tratta della fonte dove ricollegare l’evento. Nel Protovangelo di Giacomo Giuseppe specifica che in passato, da giovane aveva avuto altri figli. E’ lo stesso uomo, e il lungo lasso di tempo lascia trapelare che si trattasse di persone prescelte nella storia di Israele e, pertanto, non possono accomunarsi al livello dei comuni mortali. Né unirsi con loro, essendo tutti parte di uno schema che andava a definire una discendenza messianica di tale importanza; ecco perché queste persone erano tutte di alto rango e circoscritte, ed ecco perché è possibile risalire alle loro parentele che risultano intersecate nel tempo, nonostante l’abbondante millennio che li vedrebbe vivi. Giuseppe muore appena è tempo per l’altro Messia , ovvero quando il suo compito nel grande disegno volge al termine, chiedendo di essere seppellito in Egitto. Il suo compito è stato quello consentire a Gesù, al Figlio di Dio, di ereditare la discendenza Messianica.

In Genesi (XLI, 45) si narra che il Faraone diede a Giuseppe “in moglie Aseneth, figlia di Potifera, sacerdote di On”. Su questo fatto gli antichi Ebrei ricamarono non poche leggende; una delle più graziose ci è stata conservata nel Libro della preghiera di Aseneth. Una seconda parte narra la presentazione di Aseneth a Giacobbe quando il patriarca viene in Egitto con i suoi figli, e il tentativo del figlio primogenito di Faraone di rapire Aseneth coll’aiuto di Dan e di Gad. Ma Beniamino, Simeone e Levi la proteggono, e il figlio del Faraone, ferito nella mischia, muore. Anche il Faraone muore, e Giuseppe diventa re d’Egitto.

La prole di Gesù

Nel mese di giugno dell’anno 30 d.C. era iniziato il periodo del fidanzamento dinastico con Magdala, Sacerdotessa e Superiora delle nazaree dell’Ordine di Dan, che assumeva, come futura regina, il rango di Miriam (Maria) e quindi è meglio conosciuta con il nome di Maria Magdalena. Circa tre mesi dopo era stato celebrato il loro matrimonio e la sposa aveva unto i piedi al sovrano coniuge nella casa di Simone. Poiché Magdalena non era rimasta incinta durante il periodo previsto dal codice reale, né in quell’anno né nel corso del successivo, bensì solo dopo tre anni, il matrimonio definitivo si celebrò nel marzo del 33 d.C., quando era già gravida di tre mesi.

Fu lo stesso anno in cui Gesù entrò a Gerusalemme sul dorso di un’asina. Tutti gli ebrei nazionalisti e conservatori si opposero al tentativo del Messia di fare d’Israele una nazione unita, nella quale fossero compresi i gentili, i proseliti e gli altri gruppi analoghi di origine non ebraica. Dopo sei mesi nasceva una femmina, a cui venne dato il nome Tamar. Secondo le regole dinastiche, dopo la nascita di un neonato di sesso femminile, la regia coppia doveva attendere tre anni prima di tentare una nuova gravidanza e nel caso in cui fosse venuto alla luce un maschio vi era l’obbligo di attendere ben sei anni. Nel dicembre del 36 d.C. Gesù riprese il rapporto sessuale con la moglie e nel 37 d.C. veniva alla luce il primo figlio maschio, a cui venne dato il nome Gesù. Nel 46 il suo primogenito Gesù, di nove anni, andò a scuola a Cesarea.

Tre anni dopo, celebrò il rito della Seconda Nascita in Provenza. Secondo l’usanza, era rinato simbolicamente dal grembo materno all’età di 12 anni: il suo “Primo anno” da iniziato. Alla cerimonia era presente suo zio Giacomo (Giuseppe d’Arimatea), che poi condusse il nipote nell’Inghilterra occidentale per un periodo. Nel 53 d.C. Gesù junior venne proclamato ufficialmente principe ereditario della sinagoga di Corinto e ricevette puntualmente il titolo di “Justus” che gli spettava, come principe ereditario davidico. Succedette così a suo zio, Giacomo il Giusto, come erede della corona reale. Quando compì 16 anni, Gesù Giusto divenne anche capo nazareno e come tale ebbe diritto di indossare la veste nera, come quella che portavano i sacerdoti di Iside, la Dea Madre Universale. Nel 43 d.C. Maddalena rimase di nuovo incinta e fu l’ultimo periodo di Gesù e, nel corso dell’anno seguente, partorì in terra straniera, ove si trovava in esilio, il secondogenito che prese il nome di Giuseppe.

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Il culto di Maria di Cleofa. Per completare

E’ molto complesso risalire alla storia di questa figura mariana. Tuttavia, estendendo il proprio sguardo e spostandosi in Inghilterra, si riesce a comprendere che la sua derivazione è antica. Quindi, Maria di Cleofa, moglie di Zebedeo, rappresenta l’Anziana nella simbologia triplice di Maria. Una piccola carrellata di rimandi. L’epoca medievale è stata spesso indicata come il periodo che vide fiorire la “Merrìe England” , la dolce Inghilterra. La descrizione derivava dal fatto che Mary Jacob (Santa Maria La Zingara) era venuta in Europa nel 44 d.C. assieme alla Maddalena e, accanto al culto per quest’ultima, quello di Maria La Zingara era largamente diffuso durante il Medioevo in Inghilterra. Santa Maria Jacopa (moglie di Cleopa secondo Giovanni 19:25), era una sacerdotessa del I secolo e, a volte, viene chiamata Maria L’Egiziana.

Il suo Giuramento Matrimoniale si chiamava il Merrìe, derivato in parte dal nome egiziano Mery (che significava “beneamato”). Da qui , probabilmente, deriva il verbo inglese marry (sposare). Al di fuori della dottrina cattolica, si riteneva che lo Spirito Santo fosse femmina ed era sempre associato all’acqua. Spesso raffigurata con una coda di pesce, Santa Maria era l’originaria merrìmaid (sirena), e le venne dato l’attributo di Marina. E’ ritratta accanto a Maria Maddalena (La Dompna delAquae) in una finestra della chiesa di St. Marie a Parigi. Agli albori del cristianesimo, Costantino bandì la venerazione di Maria la Zingara, ma il suo culto continuò e fu introdotto in Inghilterra dalla Spagna. Maria (Cleofa) Jacopa era sbarcata a Ratis (poi , Saintes Maries de la Mer) insieme a Maria Maddalena (Elena) Salomè, come descritto negli Atti della Maddalena e dell’antica Storia ms d’Inghilterra conservata negli archivi del Vaticano. Il suo emblema più significativo era la conchiglia di pettine, dipinta efficacemente insieme alla sua immagine in veste di Afrodite nella Nascita di Venere del Botticelli. Sacra prostituta e cultrice dell’amore, veniva raffigurata ritualmente dagli anglosassoni come “Regina di maggio” e i suoi danzatori, Mery’s Men, celebrano ancora i loro riti sotto il nome deformato di “Morris Men”.

Le Tre Marie. Vergine, Madre, Anziana.

A qualcuno potrà sembrare strano, ad altri sconvolgente. Ma sembra proprio che Dio, “El”, il Dio-maschio-unico delle religioni della nostra tradizione recente avesse una moglie…prima di diventare il dio-maschio-unico, in tempi più antichi, quando gli uomini sapevano cos’era l’equilibrio.

El e Asherah. Ai suoi “esordi” essa è conosciuta dalla popolazione degli Ungarit come Nostra Signora Athirat dei Mari, più comunemente tradotto come Colei che cammina sul mare. Una altro dei suoi attributi è La generatrice degli Dei. E’ infatti detto che essa abbia generato 70 figli, guarda caso gli stessi 70 figli di El (Dio). Essa è conosciuta anche come Elat, che significa semplicemente Dea ed è il femminile del termine El.

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Tra gli ittiti è nota come Asherdu, ed è la consorte di Elkunrisa, nome ittita/ungarico che deriva da El-qan-ashra: El Creatore della Terra. Asherah (identificata anche come Ishtar , Astarte in tempi e luoghi diversi) è la Grande Madre Semitica. Nella Bibbia, il libro di Geremia la identifica come La Regina dei Cieli. I collegamenti di Maria al mare sono molteplici, anche nella stessa traduzione del nome. Il problema di riferirsi a El (o in seguito Yahweh) e Asherah come a una “coppia divina”, risiede nel fatto che notoriamente una coppia che pro-crea, lo fa attraverso la pratica del sesso. Le associazioni della Grande Madre Semitica alla Grande Madre e quindi alla sua simbologia triplice, richiama la simbologia delle Tre Marie; Vergine, Donna, Anziana. Per gli antichi Egizi, Iside era la sorella-sposa di Osiride, fondatore della civiltà e giudice delle anime dopo la morte.

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Iside era la Dea Universale, in particolare una materna protettrice, e il suo culto era molto diffuso: Veniva spesso ritratta con in braccio suo figlio oro, e la sua immagine ricorda quella della Vergine col figlio Gesù. E’ un fatto ormai assodato che la “Madonna Bianca” si basa sulle pitture di Iside in veste di madre che allatta. Fu sempre lei ad ispirare anche la “Madonna Nera”, di cui esistevano quasi 200 immagini in Francia nel XVI secolo. Vi sono 450 raffigurazioni in tutto il mondo, circa (ad es. l’amata patrona di Parigi, Notre-Dame de Lumière, trae origine dalla Madre Universale). In generale, le fedi che si opponevano al cristianesimo romano e che erano definite pagane ed eretiche da Roma, non erano affatto orrende o feroci o sataniche.

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Per la Chiesa romana, tuttavia, erano tutte queste cose perché accettavano il principio femminile insieme a quello maschile. Per i credenti gnostici, lo Spirito Santo era essenzialmente l’elemento femminile che legava il Padre al Figlio. Il cristianesimo adottò il Dio d’Israele come risultato della missione di Gesù, al pari degli gnostici e dei nazarei, le cui componenti femminili agivano liberamente come insegnanti guaritrici, evangeliste e sacerdotesse. Entro l’ambiente cristiano romanizzato, invece, ogni traccia di opportunità per le donne scomparve rapidamente. Una delle più importanti sette matriarcali del II secolo predicava una fede ereditata direttamente da Maria Maddalena, Marta ed Elena-Salomè e che Tertulliano denunciò così: Queste donne eretiche! Come osano! Sono tanto sfacciate da insegnare, impegnarsi in discussioni, compiere esorcismi, somministrare cure, e (forse) persino battezzare! Il tema della triade appare anche nelle tradizioni folkloristiche medievali cristiane — in particolare con il culto delle Tre Marie. Descrizioni delle relazioni tra la religione greca e la Dea triplice possono essere trovate in molti dei miti tradotti e pubblicati da Robert Graves nei libri I miti greci, La Dea bianca e Mammon e la dea nera. Immagini di dee triplici possono essere trovate anche in raffigurazioni paleolitiche.

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Le stanze del santuario di Çatalhöyük datate 7500 anni a.C. contengono bassorilievi di una dea in tre forme. Concludendo, le Tre Marie potrebbero essere state le tre forme rappresentative e operanti di una sola “divinità”, definita come Spirito Santo, attraverso le quali Dio si è legato alla Terra per mezzo di Gesù, il Cristo (Re), perché fu necessario un intervento che tentasse, almeno, di ricostituire la retta via nel percorso dell’umanità. Purtroppo il dominio di Roma ha stravolto completamente il senso primo del messaggio del Messia , Gesù, camuffandone il senso, sposa e prole, persino la stessa Crocefissione sulla quale sono aperti molti interrogativi circa le sue dinamiche. Vergine è, quindi, Maria la Madre; Donna, Maria Maddalena “Colei che Gesù ama”, Anziana, Maria di Cleofa. Tre donne che sono anche una cosa sola, tre parti di un unico messaggio. Tre elementi che riconducono alla Dea Universale, il femminino di Dio stesso che, in questo modo, è completo nel suo concetto di Uno. Quindi, la compensazione della parte maschile nella figura di Gesù, attraverso cui Dio discese sulla Terra, si attuò grazie alla parte femminile della stessa fonte e, pertanto, l’altro lato della medaglia.

http://ignorando.altervista.org/la-stir ... oro-prole/[/wbf]

Relativamente ad Asherah si guardi anche il thread intitolato "La moglie di Yahweh"
viewtopic.php?t=14718



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GENOMA DEI TOSCANI MODERNI

TRADUCIAMO LE CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE DELLO STUDIO SUL GENOMA DEGLI ETRUSCHI MODERNI DA PARTE DI UN GRUPPO DI STUDIOSI SPAGNOLI

ORIGINE ETRUSCHI INGLESE

Uno studio del completo genoma dei moderni Etruschi: rivalutando la teoria di Erodoto sulle origini degli Etruschi

di: Pardo Seco, A. Gòmez Carbella, J. Amigo, F. Martinòn Torres, A Salas, Ospedale Clinico Universitario, università di Santiago di Compostela, facoltà di medicina, Galizia, Spagna (www.plosone.org).

Riassunto

Tema: le origini della civiltà etrusca (Etruria, Italia centrale) sono da molto tempo soggetto di dibattito tra studiosi di diverse discipline. La somma di informazioni proviene da testi antichi e reperti archeologici e negli ultimi anni dalle analisi di marcatori genetici uniparentali.

Metodi: dalla analisi dei dati sul genoma è stato possibile comparare il modello di genoma degli attuali Toscani con gruppi di altre popolazioni, dell’Europa e del Vicino Oriente.

Risultati: analisi sulla mescolanza del dei geni indicano la presenza di 25-34% di componenti mediorientali nei moderni Toscani. Differenti analisi sono state realizzate usando valori IBS … che puntano su Anatolia e Caucaso meridionale, quale più probabile orine geografica delle principali componenti genetiche mediorientali individuate nel genoma dei moderni Toscani.

Conclusioni: i dati indicano che l’incrocio tra Toscani e mediorientali potrebbe essere avvenuto in Italia centrale intorno al 2600 – 3100 anni fa (circa il IX secolo a.C.). Nel complesso, i risultati convalidano la teoria dell’antico storico Erodoto.

COMMENTO DI TAGES

I genetisti iberici che hanno redatto il precedente schema riassuntivo, hanno pubblicato un dettagliato documento, con tutti i risultati della complessa ricerca da loro condotta.

Nel documento viene citato lo storico Beekes (RSP, the origins of the etruscans, 2003) : “Erodoto di che gli Etruschi venivano dalla Lydia. La questione è se ciò è corretto. La mia risposta è: si, ma i Lidi in quei tempi vivevano anche in un’altra area. Il problema delle origini degli Etruschi è uno dei più dibattuti problemi dell’antichità. Oggi molti studiosi sono convinti che essi venissero dall’Asia Minore (Turchia); solo in Italia una larga parte di studiosi lo nega o ne dubita. Le origini orientali m sembrano certe.

Il genetista italiano Marco Pellecchia, dell’Università di Piacenza, ha condotto ricerche sul genoma etrusco, arrivando a conclusioni analoghe a quelle dei genetisti spagnoli. Analizzando i geni del Bos Taurus (la razza “maremmana”) Pellecchia ha scoperto che “… sia gli uomini che le mandrie raggiunsero l’Etruria, via mare, dall’area orientale del Mediterraneo. Quindi, le origini orientali degli Etruschi, già rimarcate dagli storici dell’Età classica, Erodoto e Tucidide, ricevono ora un forte e indipendente supporto.”

In un’ulteriore ricerca del gene mitocondriale (materno) degli Etruschi i genetisti spagnoli sono giunti a ritenere probabile che l’incrocio tra geni mediorientali e etruschi sia iniziata in un’epoca ancora più remota, almeno nel quarto millennio a.C. l’Epoca corrisponde all’arrivo, dall’Anatolia, della cultura (o civiltà?) di Rinaldone, i primi veri abitanti e civilizzatori dell’antica Etruria, parenti prossimi degli Etruschi che, verso l’anno mille, o prima, avrebbero raggiunte le coste tirreniche, insediandosi negli stessi luoghi dell’Italia centrale dove i Rinaldoniani avevano vissuto.

Nel documento dei genetisti spagnoli viene infine riportato che: “se si mettono insieme tutti i risultati finora ottenuti, sembra chiaro che gli Etruschi non possano essere visti come antenati di tutti i moderni toscani; comunque, quasi tutti gli studi concordano che c’è una proporzione del loro DNA (mt) che può essere rintracciato nell’area del Medio Oriente, a testimoniare di un’antica connessione tra le due regioni.”

Come rimarcato dai genetisti spagnoli, è solo in Italia che si continua a sostenere l’origine autoctona della civiltà etrusca, senza minimamente valutare quanto sostenuto dalle ricerche e scoperte di archeologi. Storici e genetisti che hanno ormai prodotto prove più che convincenti sulle origini orientali degli Etruschi. D’altra parte, ciò è la ulteriore conseguenza di un grave degrado culturale che, in Italia, si protrae ormai da decenni e che ha portato la penisola e il suo patrimonio culturale (e monumentale) a un preoccupante livello di svalutazione e crisi.

http://www.tages.eu/genoma-dei-toscani-moderni/


Ne parlammo anche nella puntata numero 24 del nostro podcast...

Puntata N.24 - "La Stirpe Atlantidea, dai Faraoni agli Etruschi"
http://atlanticast.blogspot.ch/2015/01/p-untata-n.html



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L'Aristocrazia Nera alla Conquista del Mondo

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Molto densa di informazioni, l’opera letteraria di Riccardo Tristano Tuis intitolata ‘L’Aristocrazia Nera – la Storia Occulta dell’Elite che da Secoli controlla la Guerra, il Culto, la Cultura e l’Economia’, edita da Uno editori. La mole di informazioni proposte rende la lettura non proprio scorrevole ma il percorso logico che lega il non semplice contenuto del libro non viene mai meno. Si tratta di un percorso di ricerca che non conosce limiti né confini, così come le credenze, le superstizioni e le stregonerie delle famiglie appartenenti alla cosiddetta ‘Aristocrazia Nera’, una o più linee di sangue che, secondo Tuis, determinano il destino dell’umanità da sempre.

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La loro longa manus è rintracciabile nei millenni, alcune volte in forma palese ed in altre in modo occulto, ed è in grado di acquisire, modificare, distorcere, manipolare e portare al proprio conto ogni movimento di massa, ogni personalità, ogni religione fino a giungere all’oggi in cui tali espressioni spirituali e secolari umane vengono direttamente prodotte da questi signori. La gestione della moneta è da sempre un loro caposaldo mentre è di grande interesse l’azione di personaggi carismatici e di leader spirituali in grado di manipolare le masse, utilizzando spesso il loro braccio armato preferito: l’Ordine dei Gesuiti.

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L’intreccio che ne viene fuori è non solo plausibile ma anche riscontrabile dopo un’attenta rilettura della nostra storia anche contemporanea. Passano i millenni ma l’intento dei rampolli dell’Aristocrazia Nera è sempre lo stesso: soggiogare e manipolare a proprio consumo l’umanità presente sul pianeta. A questo proposito giova leggere l’interessante prefazione quasi autobiografica del regista e compositore Varo Venturi (suo l’avvincente film ‘Sei giorni sulla Terra’) e le tante note di approfondimento che aiutano a districarsi tra i meandri di quel sottomondo di vampiri energetici che convivono con gli aristocratici ‘neri’ fino ad identificarvisi.

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Questo lavoro letterario può ben essere accostato all’opera di Diego Marin, intitolata ‘Il Segreto degli Illuminati’, edito da Oscar Mondadori.

http://offskies.blogspot.ch/2016/03/lar ... a-del.html



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MessaggioInviato: 15/03/2016, 14:34 
Niente male la uno editori :)



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MessaggioInviato: 31/03/2017, 09:13 
Il sangue di Gesù ai giorni nostri

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Ognuno può percepire Dio nella misura in cui ne è capace, dal momento che non esiste niente che non sia Sacro. Solo il punto di vista può essere profano quando quest’ultimo si trova ad essere limitato nella percezione di ciò che osserva.

Il contatto col Sacro è l’osservare e percepire Dio in qualsiasi cosa che ci circonda, la profanità è il non cogliere Dio contemplando tutto quello che è osservabile.

Quando l’Iniziato entra nel Tempio, proprio perchè appunto Sacro è tutto quello che esiste, l’invito è in verità -nei confronti dell’Iniziato stesso- di lasciare fuori dal Tempio (che è un puro simbolo il quale non rappresenta altro se non uno spazio che è dentro di noi), la sua di profanità e non, quindi, l’ambiente materiale in cui si trova.

Dal momento che il Sacro è tutto ciò che è realmente vero, allo stesso tempo è implicito sia il Sacro ad essere in una posizione di forza rispetto al “profano” che, invece, è la visione incompleta o, per meglio dire, l’altrimenti definito “inganno che si scioglie come neve al sole” ed è proprio per questo motivo che il cosiddetto “profano”, quando riferito ad una persona non ancora pronta a ricevere il Sacro, deve esserne difeso, allo scopo di non venirne travolto in un contatto devastante, anzichè benefico e costruttivo.

Per questo motivo, contrariamente a quanto convenzionalmente si pensi, quando si nega a qualcuno l’accesso a gradi superiori in un Ordine iniziatico, non è tanto per proteggere un segreto, ma quanto per proteggere chi non è pronto a riceverlo.

Degli strumenti sono stati affidati all’umanità da una fonte che non è di questo mondo, allo scopo di ordinarne e favorirne il rapporto col Sacro, quindi col “vero”.

I tramiti di questo deposito di conoscenze sono dei nostri fratelli nel creato, i quali hanno affidato questi mezzi ad alcuni rappresentanti nelle nostre società del passato. Ad oggi questa catena, dove non è stata interrotta, si perpetua attraverso Ordini iniziatici che vantano un deposito molto antico, a dispetto di una loro origine istituzionale talvolta più recente: come la Massoneria, il Priorato di Sion, i Templari, i Rosacroce ed altri Ordini che condividono legittimamente lo stesso deposito.
La testimonianza del contatto con questi depositari può emergere da reperti storici come raffigurazioni, o da leggende, che rappresentano incontri o contatti con civiltà che non provengono da questo pianeta.

IL COLLEGAMENTO COI MEROVINGI

La dinastia assume il nome da Merovee, condottiero francese che combatté contro gli Unni, a fianco dell’Impero Romano.

Meroveo non è stato solo un personaggio storico, ma anche mitico e leggendario, difatti una antica leggenda lo dipingeva come figlio di due padri: il Re Clodione e un mostro marino.

Questa leggenda, in realtà, è un mito creato per raffigurare allegoricamente la trasmissione di una conoscenza, che non ha origine umana, alla Dinastia Merovingia, attraverso emissari appunto non terrestri, che sono in realtà collocabili nell’antica Babilonia, essendo il mostro marino -descritto nella leggenda- una antica rappresentazione di Nimrod, colui che fece edificare la torre di Babele e governò Babilonia.

Questi emissari sono coloro i quali, in tempi più moderni, sono stati definiti anche come “Supérieurs Inconnus“.

Stando alla tradizione pervenuta oralmente, Merovee era dotato di poteri che trascendevano l’umano e, come tutti i suoi successori, era un iniziato alle scienze occulte. Da lui in poi tutti i Sovrani merovingi furono di fatti considerati dei Re Sacerdoti, visti come l’incarnazione del divino, non diversamente dagli antichi faraoni egizi o dai regnanti di altre antiche società.

Già in quel periodo esisteva quella fede gnostica, della quale il Priorato di Sion è tuttora depositario attraverso l’eredità merovingia, che descriveva Gesù come un essere umano, asceso al divino attraverso il raggiungimento di “stati superiori dell’essere”.

GLI ATTUALI EREDI MEROVINGI LEGITTIMATI DALLE FONTI STORICHE

Ad oggi l’unica linea di sangue di Gesù provabile storicamente non riguarda la sua discendenza ma quella dei suoi cugini di primo o secondo grado.
Tra loro, diversi apostoli o discepoli: Giovanni, Giuda Taddeo, Giacomo e l’evangelista Matteo. Noti come Desposinyi, la loro discendenza si sarebbe diffusa nell’Impero Romano.

Nella zona di Marsiglia e nell’attuale Provenza esisteva una nutrita colonia ebraica. Il viaggiatore medievale ebreo, Beniamino da Tudela, scriveva che a capo di questa comunità insediata vi fosse proprio un discendente del Re Davide, quindi proveniente dallo stesso ceppo familiare di Gesù.

Gli studi sulla nascita dell’aristocrazia in Europa hanno ampiamente dimostrato come alcune tra le più antiche famiglie della nobiltà francese siano state originate da stirpi gallo-romane. Lo stesso può essere accaduto coi discendenti degli apostoli di Gesù ovvero sembra plausibile l’eventualità che il ramo merovingio si sia intrecciato anche con qualche discendente dei cugini di Gesù, già presenti all’epoca nel territorio francese.

Attraverso rami superstiti dei merovingi o la loro diramazione carolingia, sono numerose le famiglie che potrebbero vantare a buon diritto il sangue degli apostoli, fra le molte ricordiamo: i Clinton, i Clifford, i Devon, gli Howard, i Clare, i Griseley, mentre tra gli italiani i Gravina, i Filangieri, i Sanseverino e i Troiano. Diversi membri di queste stirpi avrebbero come segno distintivo ereditario la famosa voglia rossa a forma di croce (la ebbe, tra gli altri, Luigi XVI° e lo hanno ad oggi alcuni membri della famiglia Troiano).

Volendo citare uno dei più diretti di questi discendenti dei cugini di Gesù, possiamo ricordare, che nell’ottocento, dalla Spagna, si trasferì in Argentina il Principe Enrique Josè de Gavaldà, erede degli antichi conti di Gevaudan e principi di Settimania, lo Stato del sud della Francia dove gran parte della classe sociale più influente era di origine ebraica.

Richiamando le sue ascendenze a Esteve de Gavaldà e al suo antenato Guillermo di Tolosa, appartenente alla stirpe merovingia, Enrique e i suoi eredi hanno rivendicato i diritti della loro contea medievale e restaurato a pieno titolo gli onori dei loro avi, promosso profondi studi storici, genealogici, araldici e la concessione di Ordini cavallereschi, tra cui l’antica Compagnia coloniale di S.Maria di Buenos Aires, che è stata revitalizzata dopo un lungo periodo di riposo.

Il Principe Rubén Alberto de Gavaldà, nato nel 1969, è ad oggi il coltissimo e fiero rappresentante della famiglia. Esperto in diritto nobiliare, araldica, storia, cerimoniale, uomo di vastissima cultura e socio di numerose accademie e associazioni in tutto il mondo; egli è certamente ad oggi tra quelli eredi legittimi che possono vantare il sangue dei Desposinyi.

LA PISTA DI INDAGINE TRADIZIONAL – INIZIATICA

Il deposito tradizionale del Priorato di Sion, ci riporta ad una pista di indagine che verte addirittura sulla possibilità di una discendenza diretta da Gesù, fino ai giorni nostri, attraverso San Dagoberto II Re di Austrasia, che avrebbe avuto come figlio Sigebert IV Plant-Ard “Rejeton” Ardent Prince – Ermite Comte de Rhedae, il quale nel 681 ha ereditato da suo zio i titoli di Conte di Rhedae e Duca di Razès.

Dagoberto II, pur essendo stato ucciso nella fatale imboscata nel 23 Dicembre del 679 nella foresta di Woëvre, vicino a Stenay, avrebbe potuto perpetuare la sua discendenza attraverso Sigisberto IV, avuto con la bella Principessa visigota Gisèle de Rhedae, nel 676.

Questo lascito orale da così vita al cosiddetto “enigma del Razès visigoto”, il quale prende nome proprio dal titolo di Duca del Razès, ereditato da Sigisberto IV° dallo zio.

Successivamente a Sigisberto IV°, quindi, ha origine il cognome Plantard dal soprannome “Plant-Ard”, accostato di fianco al nome dell’antico nobile, che veniva appunto chiamato Sigisberto IV° “Plant-Ard” o “dit le Plantard”; questo nome, in realtà, celava ben due significati nascosti che si riferiscono ad una “Pianta” (Plant) che ha origini robuste, intese come profonde o lontane, quindi (Ard); con profonde si può alludere ad una conoscenza profonda, appunto dalle profonde radici, allo stesso tempo, l’allusione può fare riferimento all’antichità delle radici intese come famiglia dalle antiche origini o come antichità del deposito di conoscenza.

I resti di Dagoberto II sono stati da principio custoditi nella Chiesa di Saint-Dagobert fino al 1591, fino a quando venne distrutta a seguito di un attacco degli Ugonotti. A causa di questa incursione, delle spoglie del Re restò solo il cranio. Al ritrovamento di questo resto, la reliquia fu trasferita nel convento belga di Mons presso le Suore Nere.

Il teschio del Santo è quindi stato depositato in un reliquiario a forma di calice, il quale conterrebbe, oltre al cranio di Dagoberto II, anche una preziosa pergamena dove vi è trascritta la testimonianza di Irmina, altra figlia di Re Dagoberto II d’Austrasia e sorella di Sigisberto IV°, la quale riporterebbe la fuga del fratello, definendo per la prima volta un discendente alla dinastia merovingia “Roi Perdu”. Titolo che inizierà da quel momento a fare parte della tradizione orale e ad essere tramandato a tutti i successivi eredi di quel ramo della dinastia.

Non si esclude che il documento originale attualmente non sia più in possesso del convento, ma che sia stato possibilmente sottratto e/o sostituito.

Per dovere di cronaca, si menziona la pietra nota come “Dalle de Chevaliers”, ritrovata sotto l’altare maggiore all’interno della Chiesa di Santa Maria Maddalena a Rennes-le-Château.

Il ritrovamento ha dato origine ad una non poco controversa ipotesi, essendo assolutamente indimostrabile, che ne interpreta la raffigurazione come quella di un cavaliere che porta in fuga verso il Razès, proprio l’infante Sigisberto IV°.

IL CERCLE SAINT-DAGOBERT II

Viene fondato nel 1983, proprio a Stenay, un circolo culturale di nome “Cercle Saint Dagobert II”, con lo scopo di studiare la storia di San Dagoberto Re d’Austrasia, quella della Dinastia merovingia e di tutto quello che vi gravitava intorno.

Il fondatore è stato Louis Vazart, autore di “Abrégé de l’Histoire des Francs: Les Gouvernants et Rois de la France ” e di “Dagobert II et le mystère de la cité royale de Stenay”.

Louis Vazart ha lavorato a lungo alla ricerca nella storia della dinastia merovingia, anche in collaborazione diretta con Pierre Plantard de Saint-Clair.

Il circolo ha realizzato, ad ornamento della sede, una stele di marmo raffigurante l’Ape Merovingia, l’Alpha e l’Omega.

http://www.altrogiornale.org/il-sangue- ... ni-nostri/


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 Oggetto del messaggio: Re: La Stirpe del Graal
MessaggioInviato: 16/04/2018, 13:49 
Cita:
Elisabetta II è la discendente di Maometto: si riaccende il dibattito
Un settimanale marocchino ricostruisce lʼalbero genealogico che collega la casa di Windsor al Profeta venerato dagli islamici


Il mondo musulmano è in fibrillazione dopo che un settimanale marocchino, Assahifa Al-Ousbouia, ha pubblicato uno studio secondo il quale la regina Elisabetta II è una discendente diretta del profeta Maometto. Una teoria, lo diciamo subito, non nuova visto che già negli anni 80 se ne era parlato. La novità sta nell'intero albero genealogico che il giornale islamico ha pubblicato scatenando un interessante dibattito.

Dibattito che ovviamente è giunto anche a corte dato che il prestigioso Times ha ripreso la notizia citando in causa anche un noto storico del Regno, David Starkey. Lo studioso dice che non ci sono certezze, se non quella che la casa di Windsor ha sicuramente legami con Siviglia.

A Siviglia la congiunzione con l'Islam - Ma perché la città spagnola è così importante? Perché è il legame con il mondo islamico. Facciamo quindi un percorso a ritroso. L'attuale casa regnante discende da Riccardo di Conisburgh, conte di Cambridge e nonno di re Riccardo III, vissuto in Inghilterra tra il XIV e il XV secolo. Il conte di Cambridge era figlio di Isabella di Castiglia, quest'ultima era nata da Pietro "il Crudele", re di Castiglia e Leon fino al 1369.

Immagine

Ed è proprio da Pietro "il Crudele" che parte il filo rosso verso Maometto. Risalendo l'albero genealogico ricostruito dal giornale marocchino si arriva ad Abu al-Qasim Muhammad ibn Abbad, sovrano musulmano di Siviglia morto nel 1042. E quest'ultimo è indicato come discendente di Hasan ibn Ali, ovvero il nipote di Maometto in quanto figlio di Fatima, la figlia più giovane del Profeta.

Zaida, la ribelle - L'anello di congiunzione tra i monarchi islamici e quelli spagnoli (dato per certo da molti storici) è una donna, Zaida, principessa musulmana vissuta attorno all'anno Mille fuggita da Siviglia per congiungersi (come moglie o amante, non è stato stabilito) con re Alfonso VI di Castiglia. Una discendente della loro prole sarebbe invece diventata moglie di Riccardo di Conisburgh, cioè l'avo di Elisabetta.

Una storia affascinante che potrebbe, se fosse vera, costruire un ponte tra le religioni.



http://www.tgcom24.mediaset.it/mondo/el ... 802a.shtml


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