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 Oggetto del messaggio: Stato-Mafia, ci hanno messo 20anni..ma alla fine..
MessaggioInviato: 09/06/2012, 17:15 
Trattativa Stato-Mafia: Mancino indagato per falsa testimonianza

Con questa accusa è stato indagato dalla procura di Palermo l'ex ministro dell'Interno. Aveva deposto a processo Mori a fine febbraio

09 giugno, 14:24


Immagine

http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche ... 07660.html

PALERMO - L'ipotesi di reato è quella di falsa testimonianza. Con questa accusa è stato indagato dalla procura di Palermo l'ex ministro dell'Interno, Nicola Mancino nell'ambito dell'inchiesta sulla cosiddetta "trattativa" tra Stato e mafia.

La posizione di Mancino, scrivono alcuni quotidiani (La Stampa e Il Giornale di Sicilia), è cambiata nelle ultime settimane, dopo la sua deposizione al processo al generale Mario Mori il 24 febbraio scorso. In tribunale quel giorno i pm Antonio Ingroia e Nino Di Matteo avevano detto che "qualche uomo delle istituzioni mente". I pm ritengono che Mancino insediatosi al Viminale il primo luglio 1992 sapesse della trattativa che prevedeva di cedere al ricatto dei boss in cambio della rinuncia all'aggressione terroristica e ai progetti di uccisione di altri uomini politici. E che ora l'ex presidente del Senato ed ex vicepresidente del Csm neghi l'evidenza per coprire "responsabilità proprie e di altri".

L'ex ministro della Giustizia Claudio Martelli ha più volte sostenuto di essersi lamentato con lui per il comportamento dei Ros. Nel giugno '92, secondo i magistrati, Mori e il capitano Giuseppe De Donno avrebbero infatti comunicato all'allora direttore degli affari penali del Ministero di via Arenula, Liliana Ferraro l'avvio dell'interlocuzione con Vito Ciancimino "per ottenere una copertura politica - sostengono i pm - dall'ex sindaco mafioso sulla trattativa". Mancino ha sempre negato. Il 24 febbraio aveva però detto che Martelli gli avrebbe accennato di "attività non autorizzate del Ros" e che lui gli avrebbe risposto di parlarne alla procura di Palermo. Mancino inoltre ha sempre negato di avere incontrato il giudice Paolo Borsellino il giorno del suo insediamento al Viminale.

MANCINO: 'NON C'E' UNO STRACCIO DI PROVA. IO INDAGATO? NON MI SORPRENDE MA HO COMBATTUTO COSA NOSTRA? "Non mi sorprende la notizia della mia iscrizione nel registro degli indagati. Il teorema che lo Stato, e non pezzi o uomini dello Stato, abbia trattato con la mafia è vecchio di almeno venti anni, ma non c'è ancora straccio di prova che possa confortarlo di solidi argomenti. Per quanto mi riguarda, sono stato ministro dell'Interno e ho difeso lo Stato dagli attacchi della mafia, che ho combattuto con fermezza e determinazione". Lo sostiene Nicola Mancino in una nota.





Insomma.... meglio tardi che mai eh? [:D]



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"…stanno uscendo allo scoperto ora, amano annunciare cosa stanno per fare, adorano la paura che esso può creare. E’ come la bassa modulazione nel ruggito di una tigre che paralizza la vittima prima del colpo. Inoltre, la paura nei cuori delle masse risuona come un dolce inno per il loro signore". (Capire la propaganda, R. Winfield)

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MessaggioInviato: 09/06/2012, 19:19 
Ooohhhhhhhhh! Eccone un altro BUONO! [:o)]



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MessaggioInviato: 09/06/2012, 19:54 
Venti anni solo per cominciare a indagarlo... Non c' è che dire, efficienza notevole. [:o)]

Comunque come dice giustamente TTE, meglio tardi che mai.

Speriamo solo non ci vogliano altri venti anni per i primi risultati.... sono fiducioso.



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Per quanto possa essere buia la notte sulla Terra, il sole sorgerà quando è l' ora, e c' è sempre la luce delle stelle per illuminarci nel cammino.

Non spaventiamoci per quando le tenebre caleranno, perchè il momento più buio è sempre prima dell' alba.

Noi siamo al tramonto, la notte è ancora tutta davanti, ma alla fine il sole sorgerà anche stavolta. Quello che cambia, è quello che i suoi raggi illumineranno. Facciamo che domani sotto il Sole ci sia un mondo migliore.
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MessaggioInviato: 12/06/2012, 01:30 
I misteri del ’92 e ’93 e i perversi intrecci di oggi

Tratto da: Informare per Resistere
http://www.informarexresistere.fr/2012/ ... z1xWwaSWlL

di Nicola Tranfaglia -

Ci sono otto persone indagate nel processo condotto dalla Procura di Palermo, dai pubblici ministeri Di Matteo e Ingoia, nel processo intrapreso sulle trattative del ’92-93 tra mafia e Stato dopo le grandi stragi palermitane di Capaci e di via d’Amelio e dei Georgofili a Firenze.Tra gli indagati ci sono i capi di Cosa Nostra come Riina, Provengano e Cinà ma anche gli ufficiali dei carabinieri del ROS Subranni, Mori e De Donno, il senatore Marcello Dell’Utri, l’ex ministro Calogero Mannino.
A questi si aggiunge ora l’ex ministro degli Interni e vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura Antonio Mancino. I pubblici ministeri non potevano fare diversamente perché Mancino nel verbale di interrogatorio del primo aprile2011 aPalermo aveva detto: “Non ho mai avuto conoscenza di una trattativa dello Stato con la mafia”. Ma, ora nell’ultima udienza del processo ha ammesso di essere stato informato della trattativa, “non sapendo della decisione di non prorogare i 41 bis per i detenuti” e aggiungendo: “Il mio nome è stato speso per vendicarsi delle scelte di grande rigore che ho fatto.” Ieri, dopo aver ricevuto notizia dell’avviso di garanzia da cui è stato raggiunto, ha dichiarato: “Il teorema che lo Stato, e non pezzi o uomini dello Stato, abbia trattato con la mafia è vecchio di almeno vent’anni ma non c’è ancora straccio di prova che possa confortarlo di solidi argomenti.”

Ma le contraddizioni nella sua testimonianza resa in diversi momenti negli ultimi due anni sono ormai numerose. Dalla negazione assoluta, pur avendo rivestito tra il ’92 e il ’93 l’incarico di ministro degli Interni sia nel governo Amato che nel governo Ciampi – cioè in tutto il periodo delle stragi di cui accennavamo – alle ammissioni sempre più larghe a mano a mano che le sue dichiarazioni appaiono in contrasto sempre più netto con l’ex ministro Enzo Scotti a cui succede e con l’ex ministro della Giustizia Claudio Martelli.

Sia l’uno che l’altro (e il primo ora anche con un libro intitolato Pax mafiosa o guerra che sta per uscire) hanno parlato della sicura conoscenza da parte di Mancino di quelle trattative che andarono avanti per alcuni mesi e si tradussero nella presentazione da parte dei vertici di Cosa Nostra di un papello che conteneva forti e precise richieste da parte dei mafiosi che riguardavano l’allentamento della repressione contro la mafia, di cui l’articolo 41 bis costituiva un requisito importante, e nello stesso tempo un ammorbidimento complessivo dell’azione repressiva pubblica nei confronti dell’associazione siciliana che difatti si realizzò dopo le stragi e che permise a Provengano di proseguire per molti anni la sua lunga latitanza.

Di fronte ai contrasti tra alcuni dei protagonisti di quegli anni e a notevoli elementi oggettivi che è oggi possibile finalmente iniziare a ricostruire sul piano storico, la situazione dell’ex ministro Mancino appare difficilmente difendibile.

Perché l’uomo politico democristiano che ha ricoperto in quegli anni ruoli di primo piano e, in un certo senso, decisivi per le scelte dei governi in materia di giustizia e di lotta alla mafia ha così grande difficoltà ad ammettere di aver saputo e a spiegare le ragioni che lo condussero a restare immobile e silenzioso rispetto a quell’occulto negoziato così importante per il destino del Paese?

Sono interrogativi questi (ed altri che si potrebbero aggiungere) che hanno ancora oggi un peso politico di non scarsa importanza in un momento in cui emergono notizie di conti correnti di Cosa Nostra custoditi dall’Istituto di Opere Religiose del Vaticano presieduto da Gotti Tedeschi? Ed è altresì noto che le associazioni mafiose italiane hanno rapporti indubbi con una parte della classe politica e dirigente presente in Parlamento e negli apparati dello Stato?

A domande di questo genere dovrebbe poter rispondere il processo di Palermo e, per la parte che lo riguarda direttamente, un protagonista politico di quegli anni come fu di sicuro Antonio Mancino.

http://www.articolo21.org/2012/06/i-mis ... -e-93-e-i-
perversi-intrecci-di-oggi/



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MessaggioInviato: 12/06/2012, 01:34 
diciamo che i non ricordo od omissioni non riguardano esclusivamente mancino,ma pure qualkun altro gia'sentito dagli inquirenti,ma molto vaghi con tanti non ricordo..............................[;)]


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MessaggioInviato: 14/06/2012, 12:23 
Per me le cose sono molto più complesse del semplice 41bis. E' chiaro che i vertici dello Stato sapessero cosa stava succedendo (sennò, erano degli incapaci), e non capisco perchè il ministro dell'interno e della giustizia siano coinvolti mentre il ministro della difesa (da cui dipendevano i carabinieri che per primi si mossero in cerca di agganci) sia al di fuori di tutto.

La fase stragista comincia con Falcone: il 41bis all'epoca NON C'ERA (il 41bis per la mafia viene inserito l'8 giugno del 1992, Falcone salta in aria il 23 maggio). Evidentemente, quindi, le stragi sono cominciate non per chiedere l'eliminazione di qualcosa di inesistente, ma per qualcos'altro. E infatti le trattative proseguono anche dopo la famosa sospensione a 400 mafiosi del carcere duro (che evidentemente serviva solo da esca per "rompere il ghiaccio" e partire con la VERA trattativa).

Ancora, Martelli critica Conso, ma Conso, come ministro della giustizia, subentra a Martelli solo nel 1993, e io a Martelli povera vittima sacrificale, scusate, ci credo poco.

Lo stragismo non è altro che politica: non c'entrano nè appalti, nè carcere duro, la mafia col terrorismo ha fatto direttamente politica, e dunque occorre capire com'era la situazione politica di quei mesi.

Leghe meridionali, con dietro ovviamente la mafia ma anche Gelli. Una prima repubblica al tramonto, i partiti di riferimento della mafia sono finiti (e la mafia si sarà chiesta: ma perchè far eleggere dei politici quando possiamo essere noi la politica?), pochi mesi prima viene ammazzato Lima, ci sono contatti tra Lega Nord e leghe mafiose del sud, ci sono trattative con Berlusconi (sempre per appalti? O per creare un nuovo partito in mano mafiosa, che realizzasse il piano della P2?)

Caspita, il discorso è evidentissimo: la trattativa tra Stato e mafia è servito in definitiva a creare la seconda repubblica, per far nascere Berlusconi, per far governare assieme vecchi residui di PSI, di DC, di MSI e lega, altro che 41bis...


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MessaggioInviato: 14/06/2012, 12:29 
Sì... poi, gia che ci sei... passa pure da queste parti....
http://www.ufoforum.it/topic.asp?whichp ... _ID=231974
http://www.ufoforum.it/topic.asp?whichp ... _ID=231971

Ti ringrazio



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MessaggioInviato: 14/06/2012, 13:13 
Cita:
Ufologo 555 ha scritto:

Ooohhhhhhhhh! Eccone un altro BUONO! [:o)]
C'è ne di buoni [:(!]

Cita:
Mafia: pm, "Dell'Utri riferi' a Berlusconi richieste Cosa Nostra"

Vittima consapevole, rappresentante di un governo sotto scacco, ma che mai avrebbe denunciato quanto sapeva. E' questa la figura di Silvio Berlusconi, quale emerge dall'avviso di conclusione delle indagini sulla trattativa fra Stato e mafia. Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca, attraverso Vittorio Mangano, l'ex stalliere di Arcore, e di Marcello Dell'Utri, avrebbero prospettato al neo premier "una serie di richieste finalizzate a ottenere benefici di varia natura, tra l'altro concernenti la legislazione processuale e penale, in materia di contrasto alla criminalita' organizzata, l'esito di importanti vicende processuali e il trattamento penitenziario degli associati in stato di detenzione".

Questi benefici sarebbero stati "la condizione ineludibile per porre fine all'attacco frontale" allo Stato, iniziato con l'omicidio Lima e "proseguito con le stragi del '92 in Sicilia e del '93 a Roma, Firenze e Milano". Un disegno unico, portato avanti da Dell'Utri, indicato come il sostituto di Lima nella qualita' di "interlocutore degli esponenti di Cosa nostra" per far conseguire loro i benefici cui miravano.
Dopo gli arresti di Vito Ciancimino e Toto' Riina, Dell'Utri avrebbe agevolato "il progredire della trattativa Stato-mafia, rafforzando i responsabili mafiosi della trattativa nel loro proposito criminoso di rinnovare la minaccia di prosecuzione della strategia stragista". Non solo. Il manager di Pubblitalia avrebbe anche favorito "la ricezione di tale minaccia presso alcuni destinatari della stessa e in particolare, da ultimo, favorendone la ricezione da Berlusconi Silvio, dopo il suo insediamento come capo del Governo".

La contestazione viene mossa "in Palermo, Roma e altrove a partire dal 1992". Non c'e', come normalmente avviene in atti del genere, un termine finale: come se la trattativa non avesse mai avuto conclusione.
Alla ricostruzione dei pm osta pero' la valutazione della Cassazione, che con la sentenza di annullamento con rinvio della condanna di Dell'Utri (imputato di concorso in associazione mafiosa, in un altro processo), ha stabilito che nei fatti contestati dal '92 in poi all'imputato non emergono condotte penalmente rilevanti. Dovesse esserci un processo pure per la trattativa, contro il senatore del Pdl, scatterebbe l'eccezione del ne bis in idem, nessuno puo' essere giudicato due volte per lo stesso fatto.http://www.agi.it/cronaca/notizie/20120 ... osa_nostra


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MessaggioInviato: 14/06/2012, 13:40 
Buttiamola sempre sul berlusca. Non importa stabilire la verità


ma alle illazioni dei singoli e ai teoremi dei pm , ci sono i fatti come le dichiarazione dello stesso ex ministro della giustizia Conso che dichiarò nel 2010 davanti ai giudici di aver rinnovato il 41bis nel '93 per evitare altre stragi. Oppure ha smentito nel frattempo?

La mafia ha preparato il terreno a Berlusconi?
ok, e con Berlusconi in campo le stragi finiscono? erano finite già prima, ma va bene lo stesso.

Vince Berlusconi, ma dopo 9 mesi cade e resta all'opposizione per 7 anni di fila. Quindi per 7 anni di fila dal dicembre '94 alla primavera del 2001 abbiamo governi di sinistra o governi tecnici espressione della sinistra.

In quei 7 anni le stragi sono riprese? No.


Non è che forse il legame stragi di mafia e berlusconi in politica abbia pochi punti di contatto?

no eh?

Si può convenire che vi sia stato e vi sia ancora un legame tra politici locali del pdl e la mafia, come lo si può concordare per qualsiasi altro partito, PD compreso.



Ma sulle stragi invece fu una partita tutta giocata tra mafia e governo in carica nel periodo '92 -'93, quando berlusconi non era ancora un politico ma solo un imprenditore.



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MessaggioInviato: 14/06/2012, 15:06 
Cita:
Ufologo 555 ha scritto:

Ooohhhhhhhhh! Eccone un altro BUONO! [:o)]


La pubblicità sammontana dice: "I buoni non si fermano mai!"

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Profetica [:o)].

Cita:
Aztlan ha scritto:

Venti anni solo per cominciare a indagarlo... Non c' è che dire, efficienza notevole. [:o)]


E dì pure grazie che se ne sono accorti ora, i ghiri.



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MessaggioInviato: 18/06/2012, 14:05 
Mancino, Napolitano e i tanti punti oscuri di quel ‘92-93

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Tratto da: http://www.informarexresistere.fr/2012/ ... z1y94lQqNo

- di Nicola Tranfaglia -

Mi dispiace ma è difficile non essere d’accordo con il corrispondente del quotidiano di Liberation, Eric Jozsef,che scrive oggi su Il fatto quotidiano, a proposito del ‘92-’93,che ci sono ancora troppi punti oscuri su quello che è successo e soprattutto sulle linee di contatto tra mafia e istituzioni politiche dell’Italia politica di oggi. La lettera, datata 4 aprile 2012, di Donato Marra-segretario generale della Presidenza della Repubblica-al Procuratore Generale della Corte di Cassazione, nella fase di passaggio tra Vitaliano Esposito e Gianfranco Ciani, rispetto alle proteste dell’ex presidente del Senato Nicola Mancino, indagato dalla Procura di Palermo,afferma che il presidente della Repubblica Napolitano condivide le preoccupazioni di Mancino e auspica che possano essere prontamente adottate iniziative che assicurino la conformità di indirizzo delle procedure ai sensi degli strumenti che il nostro ordinamento prevede e quindi anche ai sensi delle attribuzioni del procuratore generale della Cassazione.

La lettera di Marra è, nello stesso tempo, importante e discutibile. Importante perché chiarisce e sottolinea il consenso del Capo dello Stato rispetto alle proteste del privato cittadino ma già presidente del Senato e successivamente vice-presidente del Consiglio Superiore della Magistratura e figura significativa del partito democristiano prima del suo scioglimento traumatico nel 1993.

Ma è anche discutibile perché trattandosi di una questione delicata come quella della politica contro la mafia (per usare un termine che, ricordo,piaceva a Giovanni Falcone come a Paolo Borsellino) avrebbe dovuto esser comunicata anche e contemporaneamente all’attuale procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso.

Peraltro è significativo venire a conoscenza, sempre oggi, da un quotidiano che alcuni tra i maggiori esponenti di Magistratura Democratica-una corrente che si colloca a sinistra nell’Associazione Nazionale Magistrati – come Nello Rossi, procuratore aggiunto di Roma, Giuseppe Cascini, ex presidente dell’ANM e il consigliere di cassazione Giovanni Palombarini giurano sull’innocenza dell’ex Guardasigilli e a lungo professore e mio collega nell’Università di Torino,Giovanni Conso, dall’accusa di aver compiuto falsa testimonianza, spaccando così la linea comune tenuta fino a ieri della corrente ed isolando ancora di più i pubblici ministeri di Palermo Antonio Ingoia e Nino Di Matteo.

Il capo della procura palermitana, peraltro, ha manifestato il suo netto dissenso rifiutando addirittura di firmare, insieme con il sostituto Paolo Guido, la requisitoria elaborata dai due, Ingroia e Di Matteo, contro le dodici persone per ora indagate. Del resto quello che succede oggi è stato per così dire normale nell’Italia berlusconiana ma anche in quella che l’ha preceduta.

Se la popolarità dei partiti politici che reggono oggi la maggioranza montiana è scesa così in basso da sfiorare il rischio che Beppe Grillo,un comico di non grandi qualità, raggiunga (almeno nei sondaggi di cui io non riesco da sempre a fidarmi quando vengono svolti così lontani dal voto) percentuali simili alla maggioranza relativa e vicine a quelle del Partito democratico, che ha raggiunto il primo posto nelle votazioni tenute durante le ultime elezioni amministrative, allora siamo veramente in una crisi che non si può qualificare soltanto come economica e sociale ma anche o soprattutto come culturale,morale e politica. In grado di coinvolgere-devo aggiungere-i vertici come il centro delle nostre diverse classi sociali e della intera società nazionale.

Siamo ormai arrivati in un abisso da cui è impossibile sollevarsi e la frase di pensatori come Godetti, Rosselli e Gramsci che hanno costituito i punti di riferimento essenziali per molti italiani di oggi non servono più?
L’ottimismo della volontà e il pessimismo della ragione non possono convivere di fronte a un degrado così grande da ostacolare in maniera decisiva persino la lotta necessaria contro l’inquinamento mafioso?
Sono interrogativi che vengono in mente di fronte ai troppi punti ancora oscuri in quel difficilissimo 92-93 e ai comportamenti molto criticabili di studiosi e politici importanti come Conso e Mancino ?

Saranno gli italiani e non chi scrive da solo a rispondere a simili interrogativi ma non c’è dubbio sul fatto che stiamo vivendo un momento arduo e cruciale della crisi repubblicana.


http://www.articolo21.org/2012/06/manci ... uel-92-93/



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MessaggioInviato: 19/06/2012, 17:44 
Bufera sul caso Mancino-Colle.
L'ex ministro al Pg: "Uè, guagliò"


Martedì, 19 giugno 2012

Immagine

http://affaritaliani.libero.it/cronache ... refresh_ce

Stato-mafia, emergono fatti sempre più inquietanti. Nelle carte dell'inchiesta le telefonate intercettate dell'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino, indagato per falsa testimonianza al processo Mori. Tormentato, chiama Loris D'Ambrosio. Il consigliere di Napolitano gli suggerisce di "intervenire sul procuratore Grasso, domani gli parlo".

Poi il Quirinale scrive una lettera al Pg della Cassazione che subito convoca il capo della Procura nazionale. Vitaliano Esposito dice a Mancino: "Io sono chiaramente a sua disposizione. Può venirmi a trovare quando vuole". E lui: "Eh, guagliò, come vengo? Vado sui giornali".

"L'UNICO CHE PUO' FARE QUALCOSA E' GRASSO" - Nicola Mancino era preoccupato, molto preoccupato. Lo si evince dalle carte dell'inchiesta sulla trattativa tra Stato e mafia nella quale l'ex ministro dell'Interno era un semplice testimone. Ora invece è indagato per falsa testimonianza al processo Mori. Lo scorso 5 marzo Mancino parla al telefono con Loris D'Ambrosio. Teme il confronto in aula con Vincenzo Scotti, suo predecessore al Viminale. D'Ambrosio gli dice: "Posso parlare col presidente che ha preso a cuore la questione ma mi pare difficile che possa fare qualcosa. L'unico che può dire qualcosa è Messineo. L'altro è Grasso. Ma il pm Di Matteo in udienza è autonomo. Intervenire sul collegio è una cosa molto delicata". Ci sarebbero però anche telefonate con il pm di Palermo Messineo, che nega l'esistenza di qualsiasi pressione.

"QUELLI LI' DANNO SOLO FASTIDIO" - Mancino, in una intercettazione, racconta a D'Ambrosio di un suo incontro con Grasso: "L'ho visto in una cerimonia, stava davanti a me. Mi ha detto: 'Quelli lì danno solo fastidio. Ma lei lo sa che non abbiamo poteri di avocazione'", riferendosi ai pm di Palermo. Il numero uno della Dna, però, smentisce in un'intervista a il Fatto Quotidiano: "Non ho mai risposto in quel modo. Gli ho detto che il solo strumento che può ridurre a unità indagini pendenti a diversi uffici è l'istituto dell'avocazione che, però, è applicabile solo nel caso di ingiustificata e reiterata violazione delle direttive impartite dal Pna al fine del coordinamento delle indagini".

LA LETTERA RISERVATA AL PG DELLA CASSAZIONE - D'Ambrosio assicura a Mancino di parlare con Grasso. Alla fine il Quirinale indirizza una lettera riservata indirizzata al pg della Suprema Corte, con la quale Piero Grasso dice di potersi limitare al coordinamento. Negli scorsi giorni il Colle ha precisato che le telefonate di Mancino hanno portato semplicemente a sollecitare Esposito a coordinare le procure di Palermo, Caltanissetta e Firenze che indagano sulla trattativa Stato-mafia del 1992-1993. Mancino, nel frattemo, ha un contatto anche con Nello Rossi, uno dei leader di Magistratura democratica. E' proprio lui che ha scatenato una polemica pochi giorni fa con la sua dichiarazione sul coinvolgimento dell'ex ministro della Giustizia Giovanni Conso nell'inchiesta del pool di Palermo. Alla fine il confronto in aula tanto temuto da Mancino non avviene.

"SONO A SUA DISPOSIZIONE" - Sempre a marzo, dopo aver ricevuto la celeberrima lettera, Esposito chiede alla procura di Caltanissetta l'ordinanza relativa all'indagine sulla trattativa, ipotizzando le responsabilità politiche. Mancino a questo punto lo ringrazia. E il pg, appena andato in pensione, risponde: "Io sono chiaramente a sua disposizione. Prima o poi io e lei ci parliamo. Può venire a trovarmi quando vuole". La risposta di Mancino: "Guagliò, così, come vengo, vado sui giornali". D'Ambrosio, sentito dai pm, ha spiegato i motivi della telefonata. In quale modo è ancora tutto da capire.

IDV CHIEDE COMMISSIONE INCHIESTA SU 'TRATTATIVA' - Serve una commissione di inchiesta parlamentare sulla presunta trattativa Stato-mafia. Lo chiede Antonio Di Pietro annunciando che la richiesta sara' ufficializzata domani nel question time in cui il governo e' chiamato a rispondere a un'interrogazione Idv all'indomani della pubblicazione sui media delle intercettazioni tra l'ex presidente del Senato, Nicola Mancino, e alcuni alti esponenti della magistratura e delle istituzioni. "Posto che dall'insieme delle telefonate intercettate viene fuori un rapporto 'strano-strano', che non e' necessariamente di rilevanza penale, noi vogliamo comunque dare una valutazione politica a questi comportamenti. Domani depositeremo formalmente una richiesta di commissione di inchiesta".



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Il Colle, campagna di insinuazioni e sospetti

Napolitano: su di me e collaboratori si e' costruito sul nulla

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21 giugno, 13:18

http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche ... 67455.html

L'AQUILA - E' stata costruita "una campagna di insinuazioni e sospetti nei confronti del presidente della Repubblica e dei suoi collaboratori: una campagna costruita sul nulla". Lo ha detto il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, avvicinato dai giornalisti all'Aquila.
Il Capo dello Stato ha spiegato con toni estremamente decisi che questa "campagna" è stata costruita "sul nulla". Cioé, ha spiegato, "si sono riempite pagine di quotidiani con le conversazioni telefoniche intercettate in ordine alle indagini giudiziarie in corso sugli anni delle più sanguinose stragi di mafia degli anni 1992-93". E, ha detto ancora, "sono state fatte interpretazioni arbitrarie e tendenziose, ci sono state talvolta persino versioni manipolate". Ma Napolitano ha voluto anche sottolineare che "coloro che sono intervenuti sulla vicenda, e stanno intervenendo, avendo una seria conoscenza del diritto e delle leggi, e dando una lettura obiettiva dei fatti, hanno ribadito l'assoluta correttezza del comportamento della presidenza della Repubblica". Un comportamento "ispirato soltanto a favorire la causa dell'accertamento della verità anche su quegli anni".

In queste settimane sono comparse sui quotidiani anche "interpretazioni arbitrarie e tendenziose, talvolta persino versioni manipolate" che riferivano di atti di indagini giudiziarie sulle "più sanguinose stragi di mafia degli anni Novanta".

Quella della riforma delle norme sulle intercettazioni è "una scelta che spetta al Parlamento", ma è una questione che già da tempo andava "affrontata e risolta sulla base di un'intesa la più larga possibile". Ha affermato Napolitano.

"Ho reagito con serenità e la massima trasparenza" agli attacchi che hanno investito il Quirinale. Ha garantito Napolitano spiegando che continerà "ad andare avanti nel modo più corretto ed efficace anche attraverso i necessari coordinamenti dell'azione della magistratura".

SEVERINO, LEGGI RISPETTATE, NESSUN INTERVENTO
di Eva Bosco
Sulle stragi di mafia dei primi anni '90 e' doveroso fare "piena verità" "senza guardare in faccia a nessuno", ma nell'iter delle indagini sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia "non appare configurabile alcuna violazioni di legge" e quindi il ministero della Giustizia non interverrà. E' netta la posizione esposta al question time dal Guardasigilli Paola Severino, che chiede di evitare ogni "strumentalizzazione". Netta quanto l'interrogazione del leader dell'Idv, Antonio Di Pietro, che ha firmato il testo e in Aula ha incalzato il ministro, tornando a chiedere con forza un intervento ispettivo. La materia è ormai incandescente. Proprio l'Italia dei Valori, in questi giorni, si è fatta portavoce di una serie di iniziative, tra cui la richiesta di una commissione d'inchiesta. Il caso è quanto mai delicato, perché lambisce il Quirinale, con le telefonate intercorse tra l'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino e il consigliere giuridico del Colle, Loris D'Ambrosio. Conversazioni che sono state intercettate, perché Mancino è indagato per falsa testimonianza dai pm di Palermo che hanno in mano il caso. Su questo punto la Presidenza della Repubblica ha già risposto nei giorni scorsi parlando di "irresponsabili illazioni". Le ricostruzioni giornalistiche, però, si susseguono. L'ultima arriva da Panorama, che nell'anticipazione di un articolo in uscita nel prossimo numero, sostiene che "un sospetto forte irrita il Quirinale": "l'ipotesi che siano state ascoltate anche le telefonate del presidente Giorgio Napolitano mentre parlava con persone intercettate". Il Pd non ci sta e per bocca del segretario Pierluigi Bersani bolla come "operazione inaccettabile" le "insinuazioni nei confronti del Capo dello Stato, basate su distorsioni dei fatti. Respingeremo con fermezza - aggiunge - ogni speculazione nei confronti del Presidente della Repubblica". Fermo anche il segretario Pdl Angelino Alfano: "Occorre sospendere immediatamente - afferma - la campagna mediatica contro la Presidenza della Repubblica, in nome di quella rappresentatività alta che la stessa, istituzionalmente, garantisce al Paese. E' incomprensibile, infatti, come l'uso improprio delle intercettazioni colpisca persino il Colle, prestandosi a usi pericolosamente strumentali che arrivano a sfiorare ogni livello istituzionale oltre il semplice cittadino che ha ben pochi strumenti per difendersi". Ma proprio sul nodo delle telefonate è tornato insistentemente Di Pietro alla Camera, citando anche le conversazioni di Mancino col procuratore generale della Cassazione Gianfranco Ciani. E con l'ex pg della Cassazione, Vitaliano Esposito: "Mancino lo chiamava 'guaglio'", ha rimarcato. Di Pietro legge un testo differente da quello depositato. "Rilevo che l'oggetto dell'interrogazione era formulato in maniera originariamente diversa", esordisce infatti il ministro Severino, che non tocca il tema delle telefonate, ma si concentra sull'aspetto tecnico che avrebbe potuto motivare o meno un intervento del ministero: le procedure applicate dal Procuratore della Repubblica di Palermo, Francesco Messineo. Quest'ultimo, secondo ricostruzioni di stampa, non avrebbe voluto assentire agli atti dei sostituti inquirenti. Di Pietro si chiedeva, nei giorni scorsi, se questo rifiuto non fosse da mettere in relazione "con persuasivi interventi esterni". Cioé, con forme di pressione. Ma al question time, Severino ha passato in rassegna la normativa vigente, che "non prevede che gli atti relativi all'avviso di conclusione indagini siano sottoposti ad alcun visto di approvazione da parte del procuratore capo" quando questi non sia sia co-assegnatario del procedimento. Né il programma organizzativo della Procura di Palermo "prevede l'apposizione del visto". Insomma, norme e regolamenti non sono stati violati. Quindi "non sono attivabili iniziative di carattere ispettivo o di natura ministeriale". Altra cosa è la necessità di far luce, a 20 anni di distanza, sulle stragi di mafia "culminate con la morte di Falcone e Borsellino". Su quest'esigenza il Guardasigilli si dice pienamente d'accordo con Di Pietro nell'intento di "pervenire a una piena e integrale verità". Ma "a tale, incommensurabile debito - avverte - si può assolvere solo nel rispetto delle leggi sostanziali e processuali", "fuori da ogni strumentalizzazione che distorcerebbe soltanto quella ricerca della verità cui tutti aspiriamo".



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“Napolincino” il negoziatore

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di Adriana Stazio

http://www.informarexresistere.fr/2012/ ... z1yQaBgQnZ

E’ notizia di questi giorni che agli atti dell’inchiesta sulla trattativa chiusa nei giorni scorsi, ci sono alcune telefonate del sen. Nicola Mancino. Dopo essere stato ascoltato come testimone dai magistrati di Palermo il 6 dicembre scorso, Mancino telefona ad uno degli uomini più vicini a Giorgio Napolitano, il suo consigliere Loris D’Ambrosio, per chiedere un intervento del Quirinale. Sono rimasto “un uomo solo”, dice, “quest’uomo solo va protetto”, in quanto se resta solo “potrebbe chiamare in causa altre persone”.

A questa telefonata ne sono seguite altre. Secondo quanto riferisce Salvo Palazzolo su Repubblica ce ne sono otto in tutto agli atti, da novembre 2011 fino ad aprile scorso. Mancino chiedeva a D’Ambrosio un intervento di Napolitano per fermare i magistrati di Palermo, lamentava la diversa linea seguita dalla Procura di Ingroia e Di Matteo rispetto a quella morbida verso i politici e gli uomini delle istituzioni delle Procure di Caltanissetta e di Firenze, tanto che, come riferisce Marco Travaglio sul Fatto, avrebbe spinto per dirottare l’inchiesta palermitana verso Caltanissetta o Firenze. Cosa confermata anche dallo stesso D’Ambrosio nell’intervista di ieri al Fatto. Il consigliere riferisce che Mancino lamentava “la disparità di tre procure che indagavano sulla stessa cosa”, “lamentava unaccanimento di Palermo nei suoi confronti“. Ma il consigliere di re Giorgio non vuole parlare di cosa fece Napolitano in seguito a tutte queste pressioni, trincerandosi dietro l’”immunità” presidenziale. Ma – ci chiediamo con Marco Travaglio – che c’entra l’immunità? Avrà mica commesso dei reati il nostro presidente?

Nella serata di ieri il colpo di scena: spinto dalle notizie riportate prima da Repubblica, poi soprattutto dal Fatto Quotidiano di ieri che parla di una lettera del Quirinale indirizzata al Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione Vitaliano Esposito contenuta negli atti dell’indagine sulla trattativa, il Colle esce allo scoperto con una nota e pubblica il testo della lettera inviata il 4 aprile dal fedele segretario generale di re Giorgio Donato Marra al PG Esposito. Nella nota presidenziale si afferma che il presidente Napolitano avrebbe agito “secondo le sue responsabilità e nei limiti delle sue prerogative”. In realtà la nota conferma. Conferma l’avvenuta ingerenza sull’inchiesta di Palermo di Giorgio Napolitano, che ha trasmesso al PG la lettera ricevuta da Mancino il quale “si duole del fatto che non siano state fin qui adottate forme di coordinamento delle attività svolte da più uffici giudiziari sulla “c.d. trattativa”" e “auspica” che siano “prontamente adottate iniziative che assicurino la conformità di indirizzo delle procedure”, chiedendo infine di essere tenuto informato in merito. Al di là dell’assoluta irritualità e del merito sulla legittimità o meno di tale atto, è evidente che lo scopo era fare pressioni per trovare una strada per arginare il lavoro dei magistrati di Palermo, per fermarli.

GLI INTERVENTI DI RE GIORGIO SU QUESTE INCHIESTE NON SONO UNA NOVITA’

Non è la prima volta che abbiamo notizia di ingerenze del Quirinale nelle inchieste. Sappiamo che grande interessamento ci fu da parte del Colle(http://www.foruminsegnanti.it/vociresistenti/?p=535) quando Massimo Ciancimino, testimone principale dell’inchiesta sulla trattativa, fece il nome di Gianni De Gennaro, capo dei servizi segreti (oggi sottosegretario alla presidenza del Consiglio). Lo stesso Massimo Ciancimino ha riferito quasi di sfuggita durante la deposizione del 10 maggio 2011 al processo Mori di una telefonata di Giorgio Napolitano al procuratore capo di Caltanissetta per chiedere la sua incriminazione per calunnia, cosa che prontamente è avvenuta. Ma sappiamo anche da indiscrezioni della stampa di un interessamento in tal senso di Napolitano e di altri personaggi istituzionali di primo piano come Gianni Letta e l’allora premier Berlusconi e dalle intercettazioni di altre indagini anche di una telefonata sull’argomento tra il faccendiere piduista Bisignani e il prefetto Pecoraro.

Insomma è da tempo che l’inchiesta sulla trattativa mette in fibrillazione i vertici dello Stato e degli apparati istituzionali, nel tentativo di fermare ora un testimone come Massimo Ciancimino che sta raccontando fino in fondo i retroscena della trattativa arrivando a parlare degli uomini più potenti e pericolosi d’Italia, ora i magistrati di Palermo Ingroia e Di Matteo decisi ad andare fino in fondo per scoprire la verità e ad applicare la legge senza riguardi per i potenti.

E’ in questo senso che vanno lette le varie bacchettate di Napolitano e soprattutto i vari procedimenti aperti davanti al Csm presieduto da Napolitano stesso contro i magistrati di Palermo e spesso in relazione al “caso Ciancimino”, pare sempre dietro la spinta della “moral suasion” presidenziale. Lo stesso dicasi per tutti i tentativi, in concerto con il procuratore Piero Grasso, di controllare l’inchiesta di Palermo (http://www.foruminsegnanti.it/vociresistenti/?p=538) controllandone ogni singolo atto, la stessa imposizione da parte di Grasso della presenza di Caltanissetta a tutti gli interrogatori della procura di Palermo al teste chiave Massimo Ciancimino (nonostante la stessa procura nissena lo abbia bollato come inattendibile).

IL MANCATO CONFRONTO CON MARTELLI

Ma torniamo alle intercettazioni. Mancino avrebbe spinto per evitare il confronto con Martelli. A tale scopo avrebbe telefonato oltre che a D’Ambrosio, anche al procuratore della Repubblica di Palermo Messineo. Sia il Fatto Quotidiano che Repubblica hanno scritto che però di fatto la cosa non andò porto in quanto il confronto poi ci fu. Lo stesso afferma Messineo in un’intervista di oggi al Corriere della Sera, negando di aver ricevuto pressioni di Mancino in tal senso. E’ vero che il confronto davanti ai pm ci fu e che si svolse, come ricorda oggi Repubblica, l’11 aprile alla presenza tra gli altri anche di Messineo.Ma c’è un piccolo errore di date: si tratta dell’11 aprile 2011, quindi ben prima che questa vicenda avesse inizio, e non dell’11 aprile 2012. Ad impensierire Mancino a marzo-aprile di quest’anno è evidentemente un altro confronto con Martelli a cui rischia di essere sottoposto, dopo la disastrosa performance della deposizione del 24 febbraio: i pm hanno infatti chiesto al giudice il confronto in aula tra i due ex ministri e tra Mancino e Scotti. Confronti questi che effettivamente non si sono tenuti, in quanto rigettati durante l’udienza del 20 aprile dal presidente Fontana che li ha ritenuti irrilevanti.

PARLA ALLA SUOCERA PERCHE’ NUORA INTENDA

Dalle telefonate di Mancino scopriamo anche il senso reale dell’iniziativa intrapresa dal PG Vitaliano Esposito a marzo, quando richiese a Caltanissetta gli atti dell’indagine su via D’Amelio all’indomani dell’ordinanza di custodia cautelare. Ufficialmente lo scopo era verificare che la Procura Generale nissena retta da Roberto Scarpinato avesse esercitato adeguatamente il ruolo di controllo sulla Procura della Repubblica. Ma probabilmente doveva essere un segnale più generale, da dare innanzitutto a Palermo, come si deduce dalle parole di Mancino che si congratula a telefono con Esposito per aver dato “un segnale forte” con questa iniziativa “in difesa dei politici”.

LA PAURA DI MANCINO, IL VERO RUOLO DI NAPOLITANO

Emergono con prepotenza due fatti. Uno già lo abbiamo esaminato ed è il fermento che pervade i più alti vertici dello Stato che temono gli sviluppi dell’inchiesta palermitana e l’incriminazione di esponenti dello Stato che condussero la trattativa. Uno Stato, diceva Sciascia, non può processare se stesso. L’altro fatto è la paura di Mancino che in questi ultimi mesi si è fatta sempre più forte man mano che il cerchio dei magistrati si stringeva, la paura di rimanere da solo con il cerino in mano.

Sono gli stessi giorni in cui Sandra Amurri ascolta la conversazione tra Mannino e Gargani allarmati per la convocazione di De Mita davanti ai pm di Palermo: “Dillo a De Mita – dice Mannino – dobbiamo concordare un’unica linea. I magistrati hanno capito tutto, il figlio di Ciancimino ha detto la verità, il padre su di noi sapeva tutto!”. Tutta la sinistra DC è in subbuglio. Mancino minaccia Napolitano di coinvolgere “altre persone”. Mentre intercettato con la moglie dice che ha taciuto su Gava, un altro dei misteri da appurare. Perché se una parte importante della verità è venuta fuori, è certo che essa è solo una parte e il ruolo di tanti protagonisti tra politici e uomini dei servizi segreti e degli apparati deve ancora emergere.

Ma a questo punto, anche alla luce di quest’ultima considerazione, una domanda è d’obbligo. Qual è il ruolo reale di Napolitano in questa vicenda?Perché Mancino riteneva che la minaccia di coinvolgere altre persone se lasciato solo avrebbe dovuto convincere Napolitano ad intervenire in suo favore per salvarlo dalle grinfie dei magistrati? Aveva qualcosa da temere da questa evenienza colui che fu nominato presidente della Camera al posto di Scalfaro all’indomani della strage di Capaci? L’interesse di Napolitano a contenere le inchieste, la paura che la verità venga fuori in tutta la sua interezza da dove nascono?

Mancino è esasperato, si sente solo e scaricato. Tutte le colpe sembrano ricadere su di lui, lo smemorato che non ricorda l’incontro con Borsellino, accusato di essere il terminale della trattativa da Massimo Ciancimino, che racconta ai magistrati i suoi ricordi e che ha consegnato il “contropapello” manoscritto originale del padre dove risultano due nomi, Mancino e Rognoni. Anche Brusca, risvegliata la memoria da Ciancimino, racconta che il terminale politico della trattativa era Mancino. La sua situazione si fa dunque pesante mentre vede che pezzi più grossi di lui non sono stati coinvolti. Così minaccia di parlare: una sorta di ricatto.

Non possiamo non osservare che alla fine Mancino è l’unico tra gli uomini delle istituzioni indagati a rispondere solo dell’accusa di falsa testimonianza e non della trattativa. Appresa la notizia, si è dichiarato parzialmente soddisfatto. Può darsi che semplicemente al momento non si siano raccolte prove sufficienti sul suo ruolo, ma non possiamo non considerare che c’è stato uno scontro all’interno della procura di Palermo, al termine del quale uno dei titolari dell’inchiesta, Paolo Guido, e il procuratore capo Messineo non hanno firmato l’avviso di conclusione delle indagini. Cosa sarebbe potuto succedere se Mancino si fosse trovato ad essere l’unico tra i politici, oltre Mannino (e Dell’Utri, ma il senatore all’epoca non era un esponente delle istituzioni), a dover rispondere della trattativa in questo stralcio dell’indagine? Anche questa è una domanda importante, nessuno può sapere se chiamato a rispondere nella nuova veste di indagato e di imputato, esasperato, avrebbe potuto parlare. Questa, oltre all’interessamento di Napolitano provato dalla lettera di Donato Marra e al mancato confronto con Martelli, sarebbe un’altra vittoria del sen. Mancino.


da: LaVocediFiore.org

http://www.19luglio1992.com/index.php?o ... &Itemid=20



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Bufera-Napolitano: anche lui teme la verità su Borsellino?

Fonte: http://www.libreidee.org/2012/06/bufera ... orsellino/

«Credo che in via D’Amelio ci fosse qualcuno già pronto a prelevare la sua agenda: uccidere Paolo senza farla sparire non sarebbe servito a niente». Motivo: il 25 giugno, a meno di un mese dalla sua tragica fine, nell’ultima uscita pubblica Borsellino aveva detto di «aspettare di essere chiamato per raccontare quello che aveva scoperto su Capaci», dice il fratello Salvatore, che si schiera con Sonia Alfano: sì, Giorgio Napolitano «merita l’impeachment», per aver cercato di ostacolare le indagini sulla trattativa Stato-mafia avviata nel ’92 dopo l’omicidio di Falcone. Ne parlò Massimo Ciancimino: «Mio padre fu contattato dal capitano De Donno del Ros». Claudio Martelli, allora ministro della giustizia, conferma: furono cercati contatti con Vito Ciancimino e ne fu informato Nicola Mancino, allora ministro dell’interno. Mancino però nega. E non ricorda di aver mai incontrato Borsellino, che invece riferì dell’incontro. E Napolitano?

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Attraverso il suo consigliere giuridico, Loris D’Ambrosio, il presidente della Repubblica avrebbe ora cercato di rassicurare Mancino: fino a “suggerirgli” di concertare con gli altri indagati una versione univoca dei fatti? Nonostante l’ovvia “irritazione” di Napolitano («una polemica montata sul nulla») e le precipitose smentite dei magistrati («nessuna interferenza dal Quirinale»), il caso è scoppiato grazie ai giornalisti d’inchiesta: il “Fatto Quotidiano” ha pubblicato stralci di intercettazioni che documentano i colloqui tra Mancino e D’Ambrosio. Senza contare che lo stesso Napolitano avrebbe parlato personalmente con Mancino: «Risulta che tra le decine di telefonate intercettate, in almeno due casi la squadra di polizia giudiziaria nella sala ascolto della Procura di Palermo avrebbe trascritto in brogliacci, coperti dal segreto, la voce del Capo dello Stato a colloquio con l’ex vicepresidente del Csm», scrivono Marco Lillo e Giuseppe Lo Bianco sul giornale di Travaglio. «Il contenuto è ovviamente segreto, non verrà trascritto e finirà probabilmente distrutto senza mai arrivare agli atti del processo». In quelle telefonate con la voce del numero uno del Quirinale, aggiungono i reporter del “Fatto”, ci potrebbe essere «la conferma del suo diretto interessamento per calmare le angosce di Mancino, avviando di fatto le manovre di interferenza nell’indagine di Palermo».

L’incubo, per Mancino, è il confronto con Martelli: l’ingaggio dei carabinieri del Ros e i loro contatti informali con Ciancimino. «Martelli sostiene di averlo informato, Mancino nega». E nella telefonata del 12 marzo si sfoga con D’Ambrosio, il consigliere del Quirinale: ma che razza di paese sarebbe mai questo, dice Mancino, che non tratta con le Brigate Rosse a costo di far morire uno statista come Moro, mentre poi non esiterebbe a trattare con la mafia, causando la morte di vittime innocenti? Mancino, aggiunge il “Fatto”, teme di pagare da solo un prezzo giudiziario troppo alto. E così, sempre nella telefonata del 12 marzo, pressa D’Ambrosio: «Sto parlando dello Stato italiano: non è possibile che ognuno va per conto suo». L’ex ministro chiede al consigliere di Napolitano di sondare il procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso: «Veda un po’ se Grasso ritiene di ascoltare anche me, sia pure in maniera riservatissima, che nessuno ne sappia niente». E il 3 aprile, subito dopo che il pm ha chiesto il confronto in aula con Martelli, l’angoscia telefonica di Mancino raggiunge il suo punto più alto: il senatore risollecita a D’Ambrosio la lettera ai magistrati della Cassazione: «Veda un poco, la cosa è terribile».


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Ma D’Ambrosio si muove davvero su input del presidente della Repubblica? Il 5 marzo, quando alla fine del colloquio telefonico Mancino si scusa con l’uomo del Quirinale («Mi scusi, io tormento lei»), lo stesso D’Ambrosio replica: «No, no si immagini. Poi il presidente me ne aveva parlato, quindi…». Secondo Sonia Alfano, europarlamentare dell’Idv, ce n’è abbastanza per chiedere le dimissioni di Napolitano: «Il Capo dello Stato non ha capito quali sono le sue prerogative costituzionali», dichiara la Alfano ad “Affari Italiani”. Napolitano «risponde a persone processate mentre fa orecchie da mercante con i parenti delle vittime di mafia». Per la Alfano, da sempre impegnata sul fronte politico dell’antimafia, «siamo in un cortocircuito istituzionale: Napolitano dovrebbe dimettersi, ha dimostrato di non essere imparziale, oppure mal consigliato». Quello che si pone «non è solo un problema etico», sempre «se fossero accertate sue pressioni». Quanto a Mancino, è uno «smemorato ad arte». Mancino e Napolitano che ostacolano la Procura di Palermo? «Mi domando che in paese viviamo».

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E’ un paese, scrive Jester Feed sul blog “Rischio Calcolato”, che fino a ieri – prima cioè che Napolitano togliesse di mezzo Berlusconi con l’operazione-Monti, quella che Paolo Barnard chiama “golpe finanziario” – attribuiva ogni sorta di losca trama, compresa la “trattativa” con Cosa Nostra e la morte di Falcone e Borsellino, all’uomo di Arcore: «Forza Italia non era neanche stata concepita e a governare il nostro paese, durante l’oscuro periodo, vi era il centrosinistra. Chi all’epoca stava al governo, oggi milita o ha militato (perché è morto) nel centrosinistra. Da Amato a Scalfaro, da Mancino a Conso». Oggi i fatti «stanno venendo a galla, seppure con una grande fatica e con una confusione degna dei migliori film americani sul genere thriller politico», scrive Jester Feed. A tal proposito, aggiunge, giova ricordare che tutto è iniziato con Giovanni Conso, l’ex ministro della giustizia, e la strana sospensione dell’articolo 41/bis, il “carcere duro” per i mafiosi, nonché con l’avvicendamento tra Scotti e Mancino al Viminale.

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Proprio Macino, continua Feed, oggi è indagato per falsa testimonianza: un’incresciosa vicenda giudiziaria, sulla quale adesso irrompe il rapporto telefonico tra l’ex presidente della Camera (ed ex vicepresidente del Csm) e il consigliere giuridico del Quirinale, e addirittura – sospetta il “Fatto Quotidiano” – tra lo stesso Mancino e il Capo dello Stato. Manovre di interferenza nell’indagine di Palermo? «Un sospetto alquanto grave, che il Quirinale non ha affatto gradito, ritenendo che si tratti di una manipolazione e di una cattiva interpretazione bell’e buona della vicenda», osserva “Rischio Calcolato”. «Per il Capo dello Stato non v’è nulla di illegale o illegittimo nella telefonata. Tutto è chiaro: il Quirinale ha inteso verificare che l’attività giudiziaria si svolgesse in modo regolare». Senza pretendere di conoscere la verità, conclude Jester Feed, «è però singolare che il Capo dello Stato si irriti per la divulgazione dei brogliacci dei contenuti sulle conversazioni tra il suo consulente giuridico e Mancino, quando non ebbe nulla da ridire (né si sentì in obbligo di intervenire) all’epoca in cui i media divulgarono le conversazioni tra l’ex premier Berlusconi e suoi amici e collaboratori, per finalità tutt’altro che di giustizia».

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Durissimo il fratello del magistrato ucciso, forse perché aveva scoperto la “trattativa” e indovinato che proprio lui, l’erede naturale di Falcone, ne sarebbe stato la principale vittima: «Credo che Napolitano si sia messo di traverso sulla strada della verità, in una vicenda che rappresenta il peccato originale della Seconda Repubblica», dichiara Salvatore Borsellino ad “Affari Italiani”. «Senza una soluzione di questa storia, la nostra repubblica non sarà mai democratica, ma fondata sul sangue di quelle stragi», mentre si ripetono le vuote commemorazioni che il magistrato palermitano Roberto Scarpinato definisce “retorica di Stato”. Intervistato da Lorenzo Lamperti, il fratello di Paolo Borsellino insiste sul significato tenebroso della strage di via d’Amelio: «Dal primo momento mi accorsi che mio fratello non era stato protetto. Il giorno dopo, il prefetto di Palermo e il ministro dell’Interno dissero che via D’Amelio non era considerato un obiettivo a rischio. Questo la dice lunga su come era stata preparata quella strage. All’inizio pensavo solo che la strage fosse stata solo favorita. Negli anni successivi invece ho capito che c’era un’effettiva complicità».

Lo ha sostenuto esplicitamente Massimo Ciancimino, confortato dalle conferme di Martelli. E’ lo scenario-verità che oggi terrorizza Mancino, al punto da invocare l’aiuto di Napolitano. Complicità di settori dello Stato nella “morte annunciata” di Paolo Borsellino? «Questo sta venendo alla luce poco a poco – dice il fratello, Salvatore – grazie al coraggio dei magistrati che stanno provando a togliere questo velo nero sopra quello che è successo». In prima linea le Procure di Palermo, Caltanissetta e di Firenze. «Io da anni avevo un obiettivo perché ero sicuro che mentisse, ed era Nicola Mancino», accusa Salvatore Borsellino. «Sono sicuro che ha partecipato a quella trattativa e non riesco tuttora a capire come possa pervicacemente negare un incontro che sicuramente c’è stato». La prova: «In un’agenda che non è stata sottratta, mio fratello aveva appuntato di un incontro con il ministro».


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Quello che dicono i pentiti come Brusca è chiaro: Riina voleva avere l’assicurazione che dietro i Ros di Mario Mori e del capitano Giuseppe De Donno ci fosse un rappresentante più in alto a livello istituzionale. «E questa figura sono convinto fosse proprio Mancino», dice ancora il fratello di Borsellino. Quindi: l’ex ministro come vero volto della trattativa? «No, ritengo ci fossero personaggi anche più in alto di Mancino». E’ il fosco retroscena che fece da sfondo alla nascita della Seconda Repubblica: un’Italia debolissima, ricattata dalla mafia e travolta da Tangentopoli, che firma quasi sottobanco il Trattato di Maastricht e si affida – in quel passaggio cruciale che la inserirà nell’Eurozona – al potere-ombra dei “governi tecnici” dell’epoca, mentre – col pretesto dell’emergenza istituzionale – si dispiega l’imponente riassetto dei poteri geopolitici dopo la caduta dell’Urss e la fine dalla Guerra Fredda, che nel nostro paese ha significato terrorismo e strategia della tensione, Brigate Rosse e stragi impunite. «Oggi finalmente dopo vent’anni le cose stanno cominciando a venire alla luce», conclude Salvatore Borsellino. «Ci sono uomini delle istituzioni che ammettono l’esistenza di questa trattativa, rompendo la congiura del silenzio. Mi chiedo però in che modo questa congiura sia riuscita a mantenersi per così tanto tempo».



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