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 Oggetto del messaggio: Re: Il Presupposto del NWO: il Patriarcato
MessaggioInviato: 20/01/2016, 15:16 
Quelle società durate migliaia di anni avevano 1\10 della popolazione attuale primo punto e secondo mi piacerebbe sapere quale sia il MEZZO attraverso il quale riorganizzare la società secondo il tuo modo di vedere le cose "circolare" ma nel concreto.

che non possano funzionare è un mio dogma? dimostrami il contrario. Ma devono funzionare ed essere attuabili ora; che lo erano EONI fa non è di nessun interesse \utilità. anche i dinosauri funzionavano 65 milioni di anni fa ma ora non ci sono più...

Sentire: dobbiamo instaurare un nuovo paradigma bla bla bla salto vibrazionale bla bla bla presa di coscienza bla bla bla per me non una risposta che rende credibile e\o condivisibile la tua tesi e te lo dico senza nessun tipo di intento polemico o di scherno sia chiaro.

Da come la descrivi e da come ne scrivi è così che la identifico "società dei miny pony" è questa la sensazione che ho quando leggo ciò che scrivi in merito. Mi sembra una favoletta per bambini, tutto qui. Se ti infastidisce il termine ne userò un altro ma il concetto è lo stesso ed altri termini abbastanza sintetici da stare in due parole non me ne vengono ma mi sforzerò di trovarlo.



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 Oggetto del messaggio: Re: Il Presupposto del NWO: il Patriarcato
MessaggioInviato: 23/01/2016, 17:47 
Molti credono che il matriarcato fosse una società governata da donne, invece si trattò di una società semplicemente diversa da quella patriarcale, la quale era ed è fondata sul possesso, il controllo e l'uso delle donne e dei figli da parte dell'uomo. La società matriarcale aveva la logica conseguenza dell'adattamento umano all'ambiente, con una precisa distribuzione dei compiti.

I millenni che seguirono però ribaltarono completamente questo stato di cose, una nuova economia, una nuova società, nuovi popoli che arrivavano dalle steppe del centro Asia e dai deserti mediorientali, portando divinità guerrieri, la vendetta degli dèi maschi si preannunciò terribile, relegarono la Grande Dea, passo dopo passo, in un angolo del focolare e la privarono di ogni potere.

La Grande Madre testimonianza della fecondità.

Negli uomini primitivi, era sostanzialmente reale la consapevolezza, di considerare la femmina una divinità che generava nuove creature, per questo le dee femmine per millenni, nei pantheon religiosi, furono le indiscusse signore.

Come testimoniano i ritrovamenti di statuine dagli attributi femminili esageratamente evidenziati, e moltissimi disegni e graffiti che riproducono vulve, vagine e seni gonfi di dee in gravidanza, durante il parto o in allattamento. Anche quando fecero l’apparizioni le divinità maschili, il massimo della potenza per questa divinità era il generare la vita da se stessa, poiché non si conoscevano i meccanismi biologici della fecondazione come oggi noi li conosciamo.

La femmina-dea era riconosciuta come fonte di vita e assunse una miriade di forme e di nomi, disseminando il suo culto ai quattro angoli della terra. Alla dea era associato il ciclo lunare e, per analogia con i cicli rigenerativi delle fasi lunari, la morte era vista come momento necessario alla rigenerazione della vita. Il seppellire i morti nella terra, stava ad indicare, venir messi nel ventre della Grande Madre, dalla quale rinascevano, come avveniva per il ciclo vegetale.

Al tempo della Grande Madre essa era venerata sotto la forma trinitaria di fanciulla, di donna gravida e di anziana, tre figure femminili che venivano identificate con le tre fasi lunari mensili.

La Grande Madre fu la prima autentica trinità nella storia religiosa dell'uomo, perché l'unica che riunisce in una sola persona divina tre diverse manifestazioni divine: la femmina impubere (Luna crescente), la femmina fertile (Luna piena), la femmina infeconda (Luna calante).

Ai tempi del culto della Grande Madre la donna, immagine vivente della dea, simile alla Luna, cresceva e decresceva, dall'adolescenza alla senilità, senza soluzione di continuità e la sua perpetuità non era in discussione perché la fanciulla-luna-crescente diveniva madre-luna-piena, e infine vecchia-luna-calante, per sparire dal cielo per qualche giorno e ritornare sotto forma di nuova fanciulla.

L'idea di un dio maschile che impersona la vegetazione , che nasce e muore annualmente, sembra essersi formata attorno al quinto millennio a.C., epoca nella quale si cominciò a celebrare con veri e propri riti la nascita e la morte umana e vegetale. Il rito, nel quale i due personaggi principali erano la donna (la Grande Dea) e l'uomo (la vegetazione) doveva ripetere il più fedelmente possibile ciò che accadeva in natura e per questo la rappresentazione della nascita e della morte vegetativa avveniva con drammatico realismo attraverso un sacrificio, quasi sempre umano.

Dato che la dea, per la sua natura generatrice, doveva per forza essere eterna e non poteva quindi soccombere nel sacrificio, era logico ed appropriato che a morire fosse la divinità maschile/vegetale, che sarebbe rinata l'anno seguente e che era decisamente minore rispetto all'onnipotente divinità femminile/generatrice.

Nacque così la prima forma di ierogamia, il matrimonio sacro tra la dea e un giovane dio delle stagioni. Questi, dopo essersi accoppiato a lei con l'unico scopo di arrecarle piacere, doveva morire per lasciare posto, l'anno seguente, ad un nuovo giovane dio. La dea era immutabile, mentre il suo sposo cambiava ogni anno, e dal momento che, nel frattempo, era inevitabile che ella rimanesse incinta e che partorisse, poteva accadere che qualcuno dei suoi giovani sposi annuali fosse anche un suo figlio.

La supremazia femminile durò molto tempo dopo la preistoria e la donna non perse il suo potere divino nemmeno quando gli uomini compresero che, in qualche modo, le nuove nascite avvenivano anche con il loro contributo.

Uno dei più antichi resoconti di ciò che avveniva nella società matrilineare si può rilevare nel mito greco di Edipo, il giovane principe aggredisce il re Laio, suo padre, lo uccide e sposa la regina vedova.

La storia, tramanda quella che era una usanza radicata e cioè che il giovane uccide il vecchio re e ne sposa la vedova, che qui gli è anche madre, per diventare re. Il mito si può leggere in due modi: Edipo è realmente il figlio carnale del vecchio re e di Giocasta, che rappresenta quella che in passato era considerata la Grande Dea, e che pertanto detiene la regalità; la seconda interpretazione potrebbe significare che il giovane principe non è geneticamente figlio dei due monarchi, ma è semplicemente figlio, come tutti i viventi, della Grande Madre, qui rappresentata da Giocasta/regina. In entrambi i casi il mito racconta esattamente ciò che avveniva nelle società matriarcali, così persistendo nella nostra psiche ad emblema del più conosciuto dei complessi freudiani.

Molti credono che il matriarcato fosse una società governata da donne, invece si trattò di una società semplicemente diversa da quella patriarcale, la quale era ed è fondata sul possesso, il controllo e l'uso delle donne e dei figli da parte dell'uomo. La società matriarcale aveva la logica conseguenza dell'adattamento umano all'ambiente, con una precisa distribuzione dei compiti. All'interno della tribù i gruppi famigliari erano composti dalla donna e dai suoi figli, maschi e femmine, queste ultime con la loro prole.

La famiglia matrilineare era composta dalla matriarca, dai suoi fratelli e sorelle più giovani coi loro figli, i nipoti della prima generazione, dai figli maschi della matriarca, dalle sue figlie femmine e dai figli delle figlie ,i nipoti della seconda generazione. I maschi preparavano e partecipavano alle grandi cacce per procurarsi la carne, che doveva sostenere il gruppo durante i periodi invernali, mentre per il resto dell'anno le donne erano in grado di sopperire alle esigenze del gruppo famigliare con la loro raccolta di erbe, bacche, radici, tuberi, cereali selvatici e con la caccia di piccoli animali. All'interno di questo ordinamento le donne in età fertile avevano rapporti sessuali con i maschi che componevano le famiglie di altre matriarche, ma anche con i maschi del loro stesso gruppo famigliare.

Nella società primitiva si può affermare che fosse proprio così, la donna/divinità, e attorno alla figura femminile gravitava il gruppo familiare. Questo è suffragato dal fatto che le numerosissime rappresentazioni femminili, neolitiche e seguenti, non esisterebbero se la donna non fosse stata tanto venerata da spingere i suoi contemporanei a scolpirla e dipingerla con tanta insistenza, come del resto in futuro, è pensabile che, ci saranno una grande quantità di statue e dipinti di Madonne con o senza Gesù bambino.

Era la donna, che si incaricava dell'approvvigionamento giornaliero. Fu la donna che, con il suo contatto quotidiano con la vegetazione, fu la prima a conoscere le proprietà delle piante, ella imparò a distinguere le piante venefiche, che portavano la morte, da quelle allucinogene, che ampliavano le facoltà della mente. Era la donna che per prima seppe entrare in contatto con il mondo ultraterreno, col mondo degli spiriti e della divinità.

Fu la donna che trasmise il suo sapere all'uomo, oltre a nutrire quotidianamente la sua famiglia, sapeva come curare le malattie e le ferite. La società matriarcale, a differenza di quella patriarcale, non sentì l'esigenza di assicurarsi l’uso esclusivo dell’altro sesso, gli accoppiamenti erano liberi, e neppure sentì il bisogno di avere la certezza della paternità, dal momento che erano le madri che provvedevano alla prole. Esse sapevano, ovviamente, che i figli che partorivano provenivano dai loro uteri, a differenza degli uomini, che non avevano la certezza della paternità.

Quando il patriarcato prese il sopravvento divenne essenziale, per l'uomo, assumere il controllo genitale della donna, per avere la certezza che i figli partoriti da lei fossero stati concepiti attraverso il suo seme.

La società matrilineare durò così a lungo e si impresse tanto profondamente nella coscienza collettiva che, secoli dopo la trasformazione della società da matrilineare a patriarcale, ancora sopravviveva l'usanza della trasmissione del potere attraverso la linea femminile: in Egitto, originariamente, i faraoni salivano al trono attraverso la linea matrilineare e, nelle dinastie più recenti, il sovrano cercò sempre di legittimare se stesso sposando la sorella o la nipote e, a volte, la figlia. Anche l'ultimo faraone d'Egitto per poter regnare, dovette sposare sua sorella di sangue, Cleopatra.

I millenni che seguirono però ribaltarono completamente questo stato di cose, una nuova economia, una nuova società, nuovi popoli che arrivavano dalle steppe del centro Asia e dai deserti mediorientali, portando divinità guerrieri, la vendetta degli dèi maschi si preannunciò terribile, relegarono la Grande Dea, passo dopo passo, in un angolo del focolare e la privarono di ogni potere.

La Dea perse ad essere l’unica divinità, conservando però la sua regalità. A lei doveva unirsi un uomo, non necessariamente nobile, che diventava re e governava, era lei a trasmettere il potere, ma era lui che esercitava con le leggi, i nuovi invasori si unirono alle popolazioni stanziali e imposero, nuovi usi e nuova religione.

Ormai, l'autorità governativa era stata travasata in mani maschili, ed era chiaro che la nascita di nuove creature aveva qualcosa a che fare col seme maschile, essendo questo legato alla fertilità e alla nascita, quindi al potere, era ovvio che i maschi avanzassero le loro pretese sul governo delle cose. Un esempio tra tanti cito quando, nel periodo della Repubblica (aristocratica)Genovese, il Doge (eletto ogni due anni) in alcuni casi indossava la corona e lo scettro.

Questa cosa che potrebbe essere un contro senso, non lo fu poiché era resa possibile dal fatto che la Madonna era stata proclamata regina di Genova, e quindi il Doge poteva indossare le vestigia regali.

http://www.riccardobrunetti.it/grandmadr.htm



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 Oggetto del messaggio: Re: Il Presupposto del NWO: il Patriarcato
MessaggioInviato: 24/01/2016, 14:24 
Il lento passaggio dal matriarcato al patriarcato raccontato attraverso il linguaggio del mito nella tradizione culturale gallese.

Blodeuwedd: la dea vergine
http://anticamadre.altervista.org/blog/ ... a-vergine/



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 Oggetto del messaggio: Re: Il Presupposto del NWO: il Patriarcato
MessaggioInviato: 25/01/2016, 15:30 
Lo posto qui perché la globalizzazione è il naturale epilogo di 6000 anni di storia fondato sui valori e principi introdotti dal patriarcato e veicolati attraverso i maggiori testi sacri fondanti le grandi religioni abramitiche in primis...

La globalizzazione e il suo declino
di Vandana Shiva

Né prosperità, né pace

La globalizzazione è stata imposta al mondo con la promessa di pace e prosperità. Invece ci troviamo di fronte alla guerra e alla crisi economica. Non solo la prosperità si è dimostrata inafferrabile, ma anche le sicurezze economiche minime delle persone e di interi paesi stanno rapidamente scomparendo.

La morte per fame ha cominciato a verificarsi in paesi come l'Argentina,

dove la fame non è mai stata un problema, e l'inedia è tornata in paesi come l'India, che aveva superato carestie come quella del 1942 che uccise due milioni di persone nel periodo coloniale, e che aveva fornito sicurezza alimentare attraverso politiche pubbliche modellate sul processo democratico di un paese indipendente e sovrano. Perfino le prospere economie di Stati Uniti, Europa e Giappone stanno affrontando un declino. La globalizzazione ha chiaramente fallito nel migliorare il benessere dei cittadini e di interi paesi.

E' servita ad alcune grandi aziende per aumentare i profitti e allargare il mercato, ma molte grandi aziende come la AOL/Time Warner e la Enron, la cui crescita non sostenibile era basata sulla deregolamentazione che accompagna la globalizzazione, o sono andate esse stesse in bancarotta o hanno perso le loro quotazioni. Seguire il cammino della globalizzazione si sta dimostrando essere la ricetta della non sostenibilità per i ricchi e dell'impoverimento e dell'indigenza per i poveri.

La pace era l'altra promessa della globalizzazione, ma terrorismo e guerra è ciò che abbiamo ereditato. La pace doveva essere il risultato dell'aumento complessivo della prosperità attraverso il processo di globalizzazione. Un aumento della povertà è la realtà che si dispiega ai nostri occhi. E l'insicurezza e l'esclusione economica stanno creando le condizioni per l'ascesa del terrorismo e del fondamentalismo.

L'esclusione politica ed economica, e l'erosione della sovranità economica nazionale stanno facendo sì che molti giovani si rivolgano al terrorismo e alla violenza come mezzi per raggiungere i loro scopi. L'erosione del nazionalismo economico e la crescita dell'insicurezza economica sta anche fornendo un terreno fertile per l'ascesa della politica fondamentalista delle destre, con partiti che usano la realtà dell'insicurezza economica per alimentare il fuoco dell'insicurezza culturale, e riempire il vuoto lasciato dal collasso del nazionalismo economico e della sovranità economica, con l'agenda pseudo nazionalista del "nazionalismo culturale".

A livello globale, la retorica dello "scontro di civiltà", e la guerra contro l'Islam, svolgono la stessa funzione svolta a livello nazionale dalle agende politiche, mirate all'esclusione, del nazionalismo culturale e dell'ideologia fondamentalista.

La convergenza del fondamentalismo

Due forme di fondamentalismo sembrano convergere e diventare reciprocamente il rinforzo e il sostegno l'una dell'altra.

La prima è il fondamentalismo di mercato della globalizzazione stessa. Questo fondamentalismo ridefinisce la vita come merce, la società come economia, e il mercato il mezzo e il fine dell'iniziativa umana. Il mercato è reso principio organizzativo del rifornimento di cibo, acqua, salute, istruzione e di altri bisogni basilari, è reso principio organizzativo dell'autorità governativa, è reso misura della nostra umanità.

La nostra umanità non discende più dai diritti umani fondamentali custoditi in tutte le costituzioni e nella dichiarazione dei diritti umani dell'O.N.U.. Ora è condizionata dalla nostra capacità di "comprare" la soddisfazione ai nostri bisogni sul mercato globale, dove le condizioni di vita - cibo, acqua, salute, conoscenza - sono diventati la merce suprema controllata da una manciata di multinazionali. Nel fondamentalismo di mercato della globalizzazione, ogni cosa è merce, ogni cosa è in vendita. Nulla più è sacro, non c'è più nessun diritto fondamentale dei cittadini e nessun dovere fondamentale per i governi.

Il fondamentalismo di mercato della globalizzazione, con l'esclusione economica intrinseca in esso, sta dando origine, e allo stesso tempo ne è rinforzato e sostenuto, a politiche di esclusione che emergono in forma di partiti politici basati su "fondamentalismo religioso"/xenofobia/pulizia etnica e sul rafforzamento del patriarcato e della divisione in caste. La cultura della mercificazione ha fatto crescere la violenza contro le donne, con l'aumento della violenza domestica, l'aumento degli stupri, con il feticidio epidemico da parte delle madri, con un crescente traffico di prostituzione.

La globalizzazione come progetto patriarcale ha rinforzato l'esclusione propria del patriarcato. Anche le atrocità contro i dalit hanno registrato un aumento come conseguenza della globalizzazione, mentre le caste più alte godono di nuovi poteri grazie alla loro integrazione nel mercato globale, e vogliono anche usurpare le risorse dei poveri e degli emarginati, specialmente dei dalit e dei tribali, per lo sfruttamento commerciale. La riforma agraria che avrebbe reso inalienabili i diritti sulla terra dei dalit REFNOTE(1) , non è stata fatta. E' in corso invece un tentativo di annullare la protezione costituzione dei diritti sulla terra delle tribù, sancita dall'articolo V della costituzione.

Sono soprattutto donne, dalit, tribali, minoranze le vittime dell'impatto sociale ed economico della globalizzazione. Nuovi movimenti di solidarietà, come Indian People's Campaign against W.T.O., stanno formando nuove alleanze tra diversi movimenti. Tuttavia i movimenti popolari sono battuti dalle politiche di esclusione emergenti.

L'insicurezza economica rende i cittadini vulnerabili alle politiche basate sull'esclusione. Per coloro che sono al potere, o che vogliono raggiungerlo, la politica di esclusione è diventata una necessità politica. Diventa necessaria per riempire il vuoto lasciato dalla fine della sovranità economica e dello stato sociale, e sostituire l'identità politica con una politica basata sui diritti economici.

Diventa necessaria per sviare l'attenzione pubblica dall'impatto negativo della globalizzazione e per spiegare la carenza di lavoro e di mezzi di sostentamento, e la mancanza delle soddisfazioni ai bisogni di base come risultato dalla globalizzazione economica in termini di competizione per i lavori e per le risorse scarse da parte delle "minoranze" e degli "immigrati". Fondamentalismo e xenofobia nascono come serve della globalizzazione delle multinazionali, in modo da dividere, distogliere e distrarre la gente, dispensando meschinità e protezione dal progetto della globalizzazione.

In India, ogni votazione dal 1991 è stata una votazione contro la globalizzazione e la liberalizzazione del commercio che sta creando 10 milioni di nuovi disoccupati all'anno, sta riducendo alla miseria i contadini e negando ogni concessione agli emarginati. Questo è cambiato nel 2002 con l'elezione di Gujarat che è seguita al massacro di 2000 mussulmani e con la violenta manomissione dell'agenda elettorale a danno dei bisogni primari, per porla nel contesto e nel conflitto tra maggioranza e minoranza. L'aritmetica ha garantito la vittoria al partito che ha creato una divisione tra le comunità di maggioranza e di minoranza, seminando paura e odio reciproci con violenze e assassini. Questa agenda politica basata su violenza ed esclusione viene ora messa a punto per tutte le prossime elezioni.

E mentre erano in corso gli assassini, e l'interesse nazionale era incentrato sulla lotta al comunalismo e al fondamentalismo, l'agenda della globalizzazione è stata velocemente messa in primo piano. Sono stati autorizzati gli OGM, sono cambiate le leggi sui brevetti per consentire brevetti sulle forme viventi, è stata introdotta una nuova politica idrica basata sulla privatizzazione, e sono state introdotte nuove politiche per smantellare la sicurezza di mezzi di sussistenza per i coltivatori e di cibo per le persone. Gli stanziamenti per il 2003 hanno ulteriormente imposto l'agenda della globalizzazione, utilizzando il diversivo delle divisioni religiose e tra comunità, e così dissipando l'opposizione democratica.

Negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, la guerra contro l'Iraq è diventata un conveniente diversivo dai problemi della globalizzazione e dalla crescita della disoccupazione e dell'insicurezza economica. Una politica di odio sta diventando il sostegno indiretto per i progetti della globalizzazione che sono falliti e che stanno fallendo.

Abbiamo bisogno di una nuova politica di solidarietà e pace che affronti simultaneamente la violenza e l'esclusione intrinseche nella globalizzazione, la violenza del terrorismo e del fondamentalismo e la violenza della guerra. Le diverse forme di violenza e le diverse forme di fondamentalismo hanno radici comuni, e hanno bisogno di una risposta comune. La globalizzazione è intollerante nei confronti della decentralizzazione economica, della democrazia economica e della diversità economica. Il terrorismo e il fondamentalismo sono intolleranti verso la diversità culturale. E la macchina di guerra è intollerante nei confronti di tutto ciò che è "altro" e rispetto ad una soluzione pacifica del conflitto.

La risposta alla globalizzazione è la protezione e la difesa delle nostre economie diverse, a livello locale e nazionale. La risposta al fondamentalismo è nel celebrare la nostra diversità culturale. La risposta alla guerra sta nel riconoscere che l'"altro" non costituisce una minaccia, ma è il prerequisito stesso della nostra esistenza.

Immaginate quanto sarebbe diverso il mondo se fosse basato sulla concezione della dipendenza reciproca, anziché sull'attuale concezione dominante riassunta nell'assunto: "Se io devo esistere, allora tu devi essere sterminato", oppure "La tua esistenza è una minaccia alla mia esistenza".

In un mondo basato sulla dipendenza reciproca anziché sul dominio, l'esclusione, lo sterminio, la Monsanto non avrebbe fatto pressioni per l'accordo TRIPS REFNOTE(2) che minaccia come "ladri" i coltivatori le cui sementi sono state brevettate dalla Monsanto. Monsanto, Syngenta, Ricetec e altri bio-pirati riconoscerebbero che le loro riproduzioni sono basate sul precedente lavoro dei coltivatori.

Se le multinazionali delle biotecnologie potessero capire che l'umanità dipende dalla biodiversità, che la sicurezza alimentare ha bisogno dell'impollinazione e di diverse specie di piante, non avrebbero usato l'ingegneria genetica per produrre le sementi Bt, che uccidono le api e le farfalle, non avrebbero creato piante resistenti agli erbicidi cancellando la biodiversità della flora.

Se il presidente Bush potesse vedere il Tigri e l'Eufrate e la civiltà della Mesopotamia come nostri antenati e riconoscere le nostre radici comuni in un'evoluzione comune, non si precipiterebbe verso la distruzione delle radici storiche con missili teleguidati e armi di distruzione di massa.

Se coloro che controllano il capitale potessero vedere che la loro ricchezza incarna la creatività della natura e il lavoro dell'uomo, non creerebbero regole di commercio che distruggono la natura e i mezzi di sostentamento.

Il fondamentalismo dei mercati e il fondamentalismo delle ideologie dell'odio e dell'intolleranza hanno le loro radici nella paura - paura dell'altro, paura delle capacità e della creatività dell'altro, paura della sovranità dell'altro.

Stiamo assistendo alla peggiore espressione di violenza organizzata dall'umanità contro l'umanità, perché stiamo assistendo alla cancellazione dello spirito di inclusione, di compassione e di solidarietà. Questo è il costo più alto della globalizzazione - sta distruggendo la nostra stessa umanità. La riscoperta della nostra umanità è l'imperativo più alto per resistere e per capovolgere questo progetto inumano. Il dibattito sulla globalizzazione non riguarda il mercato o l'economia. Riguarda il ricordare la nostra comune umanità. E il pericolo di dimenticare il significato del concetto di essere umano.

Fonte: ZMag - http://www.zmag.org/Italy/shiva-globalizzazione1.htm

Note del Traduttore:

(1) Dalit: infimo grado del sistema di caste indiano. In India vi sono oltre 160 milioni di Dalit, che svolgono i mestieri considerati più degradanti spesso in condizioni di vera e propria schiavitù. (torna al testo)

(2) TRIPS: Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights, cioè Aspetti riguardanti la proprietà Intellettuale legati al Commercio (si veda: http://www.kontrokultura.org/archivio/trips.html)


http://www.ecologiasociale.org/pg/dum_glob_declino.html



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 Oggetto del messaggio: Re: Il Presupposto del NWO: il Patriarcato
MessaggioInviato: 25/01/2016, 20:31 
Come tutte le cose anche questo attuale sistema di civilizzazione vedrà la sua fine a prescindere che lo si consideri giusto o sbagliato. La natura è così si nasce si cresce e si muore.



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 Oggetto del messaggio: Re: Il Presupposto del NWO: il Patriarcato
MessaggioInviato: 26/01/2016, 12:13 
Persino nel film "Il Pianeta delle Scimmie" viene condannato il 'patriarcato'....

Guarda su youtube.com


"Guardati dalla bestia uomo, poiché egli è l'artiglio del demonio. Egli è il solo fra i primati di Dio che uccida per passatempo, o lussuria, o avidità. Si, egli uccide il suo fratello per possedere la terra del suo fratello. Non permettere che egli si moltiplichi, perché egli farà il deserto della tua casa. Sfuggilo, ricaccialo nella sua tana nella foresta, perchè egli è il messaggero della morte." Il Legislatore, XXIX Pergamena, 6° versetto.



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 Oggetto del messaggio: Re: Il Presupposto del NWO: il Patriarcato
MessaggioInviato: 30/01/2016, 11:52 
Il video che tutti dovremmo sapere a memoria
Da Claudio Messora

Come è suddivisa la ricchezza mondiale? Ci hai mai pensato? Adesso puoi vedere graficamente quanto vali tu, insieme all’80% delle persone del pianeta Terra, rispetto ai buoni pastori che amministrano il gregge: scompari, sei un puntino invisibile. Questa animazione, prodotta da TheRules.org e doppiata da Massimo Mazzucco, ti mostra meglio di qualunque parola, o trattato sulla diseguaglianza sociale, a chi appartiene la tua vita. Che tu ne sia cosciente, oppure no, “un gruppo di persone che può stare dentro un aereo di medie dimensioni possiede più ricchezza dell’intera popolazione dell’India, della Cina, degli Stati Uniti e del Brasile messi insieme“.

Guarda su dailymotion.com


E se vuoi avere una panoramica ancora più accurata di quali sono le 147 banche che possiedono e controllano tutto, dalle compagnie petrolifere all’industria farmaceutica, dalla produzione alimentare alle telecomunicazioni, leggi “Il dio quattrino esiste“.

“Non sarai tanto ingenuo da credere che noi viviamo in una democrazia: vero, Buddy? È il libero mercato” (Gordon Gekko, Wall Street)

Intanto, Oxfam ci mostra la situazione in Italia.

Nel 2015 il 20% più ricco della popolazione italiana deteneva il 67,7% della ricchezza nazionale mentre al 60% più povero è rimasto soltanto il 14% della torta. Non sono i numeri di un paese in via di sviluppo, ma della nostra industrializzata e democratica Italia. L’iniqua distribuzione della ricchezza a livello globale non risparmia infatti anche il Bel Paese con una forbice larga che separa i ricchi dai poveri. Il risultato è una situazione paradossale, in cui il 10% più ricco degli italiani possiede quasi otto volte la ricchezza detenuta della metà più povera della popolazione.

Numeri che diventano ancora più sconfortanti se si osserva con la lente d’ingrandimento quanto denunciato da Oxfam nel rapporto “Un’economia per l’1%”, diffuso alla vigilia del World Economic Forum di Davos, che inizierà domani. In linea con il trend globale infatti, anche nel nostro Paese l’1% più ricco l’anno scorso deteneva il 23,4% della ricchezza nazionale netta: praticamente, 39 volte quello che si riuscirebbe a ricavare frugando nelle tasche del 20% più povero dei nostri connazionali.

Chi ha beneficiato della crescita della ricchezza?

Tra il 2000 e il 2015, in valore nominale, la ricchezza complessiva degli italiani è cresciuta di ben 4.528 miliardi di dollari. Ma, come si può facilmente intuire, tutta questa crescita è stata quasi totalmente appannaggio di una piccola percentuale dei cittadini del nostro paese. Oltre la metà dell’incremento di ricchezza (53,7%) è andata infatti al 10% più ricco della popolazione, mentre la metà più povera degli italiani ha dovuto accontentarsi di appena un settimo della cifra. Stesso risultato anche se si guarda all’1% più facoltoso della popolazione, che nel periodo considerato ha potuto beneficiare di un incremento di ricchezza 20 volte superiore a quello riservato al 20% più povero degli italiani.

La situazione non cambia se si guarda al reddito.

Secondo i dati del World Panel Income Distribution Database di Lakner e Milanovic, fra il 1988 e il 2011 infatti, il reddito nazionale pro-capite è cresciuto di 220 miliardi di dollari. Ma, come per la ricchezza netta, anche la crescita del reddito ha riguardato soprattutto la fascia più ricca della popolazione: quasi la metà della crescita (45%) è fluita verso il 20% più facoltoso degli italiani e, più nello specifico, il 10% più ricco ha goduto del 29% dell’incremento complessivo, una percentuale superiore a quanto sia fluito alla metà più povera degli italiani. Un dato che diventa ancor più allarmante, se si considera che il 10% più povero degli italiani ha beneficiato soltanto di un misero 1% dell’incremento di reddito nazionale complessivo: praticamente, 4 dollari a testa ogni anno, negli ultimi ventiquattro anni.

http://www.byoblu.com/post/notiziedalwe ... -a-memoria


Riprendendo il discorso di MaxpoweR... questo è davvero il miglior "Sistema" possibile?! Sì, certo ... ma solo per quel gruppo di persone che può stare dentro un aereo di medie dimensioni e che possiede più ricchezza dell’intera popolazione dell’India, della Cina, degli Stati Uniti e del Brasile messi insieme.

Altro che mentecatti e babbei... i babbei siamo noi, solo noi, che ancora con il nostro consenso e i nostri comportamenti reiteriamo l'errore atavico di aver delegato ad altri la nostra vita in tutti i suoi aspetti.

Cosa dice la mia firma?

[:305]



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 Oggetto del messaggio: Re: Il Presupposto del NWO: il Patriarcato
MessaggioInviato: 30/01/2016, 13:36 
Trovane uno migliore che funzioni per tutti allora :) Per il momento l'unico che funziona è questo. Funziona per pochi? Pazienza, meglio per pochi che per nessuno :)



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 Oggetto del messaggio: Re: Il Presupposto del NWO: il Patriarcato
MessaggioInviato: 04/02/2016, 13:21 
Penso sia interessante leggere questo documento...

http://www.ilcovile.it/raccolte/Sei_pol ... imeteo.pdf



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 Oggetto del messaggio: Re: Il Presupposto del NWO: il Patriarcato
MessaggioInviato: 05/02/2016, 09:59 
“SPOSATI E SII SOTTOMESSA”

Oggi veniamo a sapere, dalle colonne dei principali quotidiani, che palpeggiare sul luogo di lavoro le parti intime di colleghe non consenzienti, non costituisce reato.

A stabilirlo è stata la sentenza del Tribunale di Palermo, che ha assolto il 65enne Domenico Lipari, impiegato all'Agenzia dell'Entrate, denunciato da due colleghe per, appunto, palpeggiamenti e molestie. Assolto non per non aver commesso il fatto (Lipari ha sempre confermato di aver palpeggiato le due donne), ma proprio perché “il fatto non costituisce reato”. Motivazione della sentenza: “il gesto è da ritenersi come inopportuno e immaturo atteggiamento di scherzo”.

No, non ho fatto alcun errore di battitura, è andata proprio così: il Tribunale ha ritenuto un 65enne “immaturo”.

Contemporaneamente, a Latina, una donna di 42anni è stata denunciata dal marito e rinviata a giudizio per “maltrattamenti in famiglia”. Nello specifico, i maltrattamenti consisterebbero nel fatto che la donna “non effettuava con regolarità le pulizie di casa” e “non preparava la cena al marito”. Il processo, in questo caso, deve ancora iniziare, ma dal rinvio a giudizio veniamo a sapere che una donna può finire in tribunale – e rischiare una condanna da due a sei anni – se non prepara manicaretti al consorte e non gli fa trovare ogni giorno la casa linda e splendente.

Per entrambi i casi, sui social, pioggia di truci commenti di maschi entusiasti.

Per la storia di Palermo, cito in ordine sparso: “e che vuoi che sia una pacca sul culo”; “poi ste troie vengono a lavorare vestite in un modo che le palpate te le tirano via dalle mani”; “tutta sta storia per una tastata di tette”; “la sentenza è giusta: ste donne hanno rotto il cavolo”. E via dicendo.

Per quella di Latina, sempre in ordine sparso: “io avrei fatto di peggio, l'avrei ammazzata”; “era ora”; “si merita quindici anni, sta stronza”. Cito anche due commenti di donne: “del resto è venuta meno al suo compito”; “il marito ha soltanto voluto riconoscere un suo diritto sacrosanto”.

Intanto, ci ricorda un bellissimo articolo di Michela Murgia apparso oggi su “Repubblica”, dall'inizio del 2016 contiamo una vittima ogni tre giorni per femminicidio. Tra le tante, la donna morta a Catania strangolata dal marito davanti al figlio di quattro anni, la ragazza incinta di nove mesi e ridotta in fin di vita dal compagno che le ha dato fuoco, la donna che proprio ieri è stata decapitata dal marito. Su di loro, il silenzio.

Per non contare le innumerevoli vittime di stupro, sulle quali no, non regna il silenzio. Regna al contrario il dubbio. Il dubbio strisciante, nell'opinione pubblica, che sia colpa loro, delle vittime: troppo discinte, troppo provocanti. Troppo donne.

Nel primo pomeriggio di sabato scorso, al Circo Massimo, durante il Family Day, al momento clou della manifestazione, è salita sul palco la giornalista, scrittrice e blogger Costanza Miriano, autrice del best-seller “Sposati e sii sottomessa”. Un libro che esorta le donne di tutto il mondo a riprendere il proprio ruolo naturale, che è quello, appunto, di totale sottomissione all'uomo: “Rassegnati, ha ragione lui – scrive l'autrice – obbediscigli, sposalo, fate un figlio, trasferisciti nella sua città, perdonalo, fate un altro figlio”.

Il libro ha venduto 150mila copie. Vale a dire lo stesso numero di copie che otteniamo sommando cinque (cinque!) recenti pubblicazioni che denunciano la violenza sulle donne, si interrogano sul ruolo delle donne e, soprattutto, denunciano lo strisciante e incredibile maschilismo che ancora permea la nostra società: “Ferita a morte” di Serena Dandini, l'antologia “Questo non è amore” edita da Marsilio, “Regina Nera” di Matteo Strukul, “Sebben che siamo donne” edita da Derive&Approdi e “Mia per sempre” di Cinzia Tani.

Dal palco del Family Day, la Miriano ha gridato: “Riprendiamoci questo ruolo che stiamo dimenticando per emanciparci, torniamo a essere vere donne capaci di accoglienza, e se lo faremo i nostri uomini torneranno a essere capaci di grandezza”.
L'hanno applaudita, entusiasti, due milioni di persone. Un numero imprecisato l'ha applaudita da casa. Nessuno, a quanto risulta, si è scandalizzato.

Chissà perché l'opinione pubblica insorge contro la “segregazione” e la “sottomissione” della donna solo quando si parla di Islam.

Forse sarebbe il caso, noi uomini per primi ma anche molte, moltissime (troppe) donne, ogni volta che denunciamo il velo, le lapidazioni, l'orrenda, spietata e inaccettabile condizione in cui l'intero universo femminile viene tenuto in tantissime aree del mondo, ci ricordassimo di guardare anche tra le pieghe del nostro amato “mondo libero”.

Un mondo che, spesso e volentieri, si rivela paritario solo formalmente. Ma che nella pratica resta ferocemente e spietatamente machista e maschilista.

E sarebbe il caso di cambiarlo davvero, questo nostro amato “mondo libero”.
Cambiarlo una volta per tutte.

Sono stanco di vergognarmi per essere un uomo.

Riccardo Lestini


Mi permetto di riportare le parole di una mia carissima amica con la quale sto collaborando su alcuni progetti a commento di quanto sopra e che ritengo conciliarsi con l'argomento del thread.

Cita:
Devo fare una importante premessa: io credo nella totale parità fra esseri umani, ovvero - non mi interessa essere uomo o donna, ateo o religioso, bianco o nero, vecchio o giovane, operaio o professore, ricco o povero, etero, bisex, omosessuale è così via: - non mi interessa: TUTTI nascono con gli stessi diritti e con i doveri relativi a ciò che sceglieranno per se stessi. TUTTI.

Non c'è differenza: il genio si trova fra gli Africani come fra gli Americani e parimenti il ******** salta fuori dall'Islamico come dal Buddista. TUTTI ABBIAMO IL DIRITTO NATURALE DI REALIZZARE LA NOSTRA VERA VOLONTÀ.

Questo è un principio illuminista a cui non verrò mai meno.

Devo inoltre premettere che credo fortemente che la realizzazione di moltissime persone transiti dalla libertà di potersi realizzare anche al di fuori di un classico matrimonio con figli. Dico ANCHE poiché vi sono molti esseri umani che trovano la propria inalienabile Gioia al di fuori di questo parametro: che siano o meno la maggioranza non mi interessa - poiché SONO vanno rispettati: TUTTI HANNO I MEDESIMI DIRITTI.

Ciò detto, è fondamentale fare chiarezza su un aspetto fondamentale della questione della donna che raramente viene messo in luce: parlo del fatto che l'idea di donna-madre-moglie-casalinga deve essere RIGOROSAMENTE scisso dall'idea della sottomissione della donna.

In che senso? Nel senso che non in tutte le società la "divisione dei ruoli" è stata sinonimo di sottomissione di uno dei due generi, poiché non sempre è stata divisione di "ruoli" ma divisione di "compiti", che è diverso...

Il discorso è complesso e delicato: cercherò di spiegarmi meglio.

La "divisione dei ruoli" nasce come "divisione dei compiti": poiché è più facile per me, maschio, uccidere un nemico nerboruto o correre dietro a un cinghiale, scelgo di occuparmi PREVALENTEMENTE di questo; poiché è più facile per me, donna, organizzare le attività del villaggio e occuparmi della raccolta e della semina, scelgo di occuparmi PREVALENTEMENTE di questo. Così ceneremo con cinghiale, pane e frutta e mentre una parte del villaggio difende fisicamente i confini, l'altra parte lo organizza e lo educa a partire dalla figliolanza.

Questa, appena descritta, è una logica, pacifica e sensata "divisione di compiti", all'interno della quale non vi è una sopraffazione o una sottomissione. E soprattutto non vi è una idea aprioristica di divisione a prescindere.

Vi sono alcune tribù indie nelle quali TUTTE le donne - proprio perché si occupano prevalentemente della prole e della casa - vengono inserite nel Concilio degli Anziani a deliberare sulle decisioni del villaggio insieme ad alcuni saggi maschi.

Perché, allora, una divisione di compiti è diventata una divisione di RUOLI con carattere di sottomissione/prevaricazione?

Perchè, purtroppo, il naturale e progressivo corso della storia e dell'economia ha determinato uno SVILUPPO del tradizionale compito del maschio in senso di "detenzione dei mezzi di produzione" (in sostanza, se prima ero quello che portava a casa il cinghiale, adesso sono quello che porta a casa il Dio Denaro = sono più importante di te); mentre il compito della donna si è progressivamente svuotato, incancrenito e, soprattutto, si è allontanato dal suo originario valore effettivo è quantificabile (in sostanza, se prima ero quella che si occupava dell'agricoltura, dell'educazione e dell'organizzazione della comunità, adesso sono quella che sta a casa ad aspettare che il Signore torni con il mio unico mezzo di sopravvivenza, cibo e soldi. Ergo, io sono una schiava).

Cosi, evolvendosi la civiltà patriarcale in senso storico, e scomparsa l'economia di villaggio, l'uomo - che era FUORI casa - ha diversificato i suoi compiti impadronendosi delle redini economiche, religiose e politiche della società; il suo compito si è così reso più complesso e obiettivamente importante; la donna - che era DENTRO casa - ha invece impoverito sempre di più il suo ruolo, cedendo al maschio sempre più terreno e circoscrivendosi cosi al l'occupazione e al servizio di famiglia e figli; il compito femminile ha così perso il senso originario ma anche il valore originario, e si è trasformato in un compito di fatto servile ed elementare. Di poco pregio, assimilabile a quello della servitù e per il quale non occorre alcuna dote.

In questo lento ma inesorabile cambiamento, anche il significato originale della divisione dei compiti é naturalmente andato perduto ed è stato rimpiazzato dall'idea di una divisione aprioristica di ruoli tali per cui la donna - essendo incapace di fare altro - può SOLO figliare e servire, mentre il maschio - più forte, intelligente - manda avanti il mondo.

Se, infatti, l'uomo non avesse evoluto una struttura sociale di tipo patriarcale, con il conseguente svilimento del compito femminile, al venir meno delle condizioni iniziali di divisione dei compiti sarebbe venuta meno la stessa divisione dei compiti: in parole povere, nel momento in cui il cinghiale non lo devo ammazzare ma lo trovo al mercato, non ha più senso che sia il maschio a portarlo a casa; nel momento in cui l'economia o la spartizione territoriale sono decise in sede di consiglio e non più a mazzate in testa, non ha più senso che sia il maschio a farsi avanti mentre la donna difende la prole e il nido: maschio, femmina, prole e anziani si riuniscono a discutere alla pari.

Questa divisione di compiti è però sfociata, come illustrato, in divisioni di ruoli e, quindi, la minorità fisica della donna è stata subdolamente equiparata a minorità mentale e animica, affinché l'uomo potesse - al venir meno di determinate condizioni - CONTINUARE a detenere INNATURALMENTE il controllo sulla sfera comunitaria ed economica della vita.

Per questo, spiacente per il Family-Day, da un punto di vista strettamente antropologico (nonché biologico) È PROPRIO LA FAMIGLIA CLASSICA della società patriarcale ad essere contro-natura!

E non il contrario.

C.Z.


Dai commenti successivi ben si evince come la struttura patriarcale si sia ben consolidata anche, e forse soprattutto, attraverso la forma-pensiero dominante definita da religioni e filosofia (ahimè). Non è un caso se ritengo oggi il Vaticano l'istituzione tutelare del "patriarcato" in Occidente... Non esisterebbe infatti sistema economico né socio-politico se lo stesso non si fondasse su una base culturale, filosofica e anche, passatemi il termine, "spirituale" in grado di influenzare il pensiero comune determinando l'idea di ineluttabilità e di assolutismo dell'attuale status quo.

E' altresì vero però che il misogino Aristotele è diventato fondamentale nel pensiero occidentale per l'esaltazione che la Chiesa delle origini fece del suo pensiero. Nell'antica grecia abbiamo esempi di donne pensatrici molto importanti Aspasia di Mileto della scuola, Diotima, sacerdotessa di Mantinea ricordata da Platone nel "Simposio" in cui Socrate dice di aver appreso da lei la teoria dell’amore. Ipparchia, paragonata addirittura a Platone... forse vale la pena ricordare una frase di Kant:

"Tutto ciò che è stato scritto dagli uomini sulle donne deve essere ritenuto sospetto dal momento che essi sono ad un tempo giudici e parti in causa"

Persino l'intero sistema economico fonda le sue basi e le sue radici antropologiche e culturali in quel momento storico; possiamo quasi affermare che lo svilimento del ruolo della donna sia stato il presupposto del sistema nel suo complesso. Un sistema che come C. ha giustamente sottolineato si presenta come "contronatura" così come peraltro sottolineato anche da alcuni economisti

Così come importante e fondamentale é la considerazione della divisione di ruoli tra uomo e donna a soddisfazione di funzioni parimenti necessarie e dignitose per l'equilibrio sociale, culturale ed economico del villaggio. Un errore che spesso oggi si fa, e che fanno le donne é confondere la parità tra uomo e donna con il diventare "maschie" trasformandosi in "patriarche"....

Ottimo è l'esempio di caccia (maschile) e agricoltura (femminile), poiché ci ricorda ancora una volta i presupposti della condivisione tipica dell'economia del dono. Poi subentrò la struttura piramidale e la "delega", della donna in questo caso che, costretta dalla logica patriarcale diventa come abbiamo visto oggetto, proprietà e quindi sottomissione... il cinghiale inoltre non veniva più messo "a disposizione" ma diventava oggetto di "scambio". Le mandrie dei pastori delle steppe orientali diventano gli asset produttivi delle multinazionali, e chi ha il gregge più grande, chi é più forte vince e mangia gli altri... tipico atteggiamento maschile del, scusate la volgarità, "chi ce l'ha più grosso vince", cultura fallocratica



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 Oggetto del messaggio: Re: Il Presupposto del NWO: il Patriarcato
MessaggioInviato: 05/02/2016, 10:07 
Cita:
la Miriano ha gridato: “Riprendiamoci questo ruolo che stiamo dimenticando per emanciparci, torniamo a essere vere donne capaci di accoglienza, e se lo faremo i nostri uomini torneranno a essere capaci di grandezza”.


Il problema delle donne sono donne come questa.



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 Oggetto del messaggio: Re: Il Presupposto del NWO: il Patriarcato
MessaggioInviato: 05/02/2016, 14:42 
MaxpoweR ha scritto:
Trovane uno migliore che funzioni per tutti allora :) Per il momento l'unico che funziona è questo. Funziona per pochi? Pazienza, meglio per pochi che per nessuno :)


Certo, si, ora mi guardo nelle tasche e vedo se trovo un sistema che funzioni per tutti, dammi solo qualche minuto! [:D]
Maddai Max che cavolo di pretese! Sai bene che per disfare e rifare un sistema sociale non è uno scherzo..Intanto iniziamo a mettere in discussione questo sistema provando a fare ipotesi, non accontentiamoci del fatto che questo funziona per poche teste di ciolla sanguinari..
Sei sicuro che altri sistemi non funzionerebbero per nessuno? [:291]



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 Oggetto del messaggio: Re: Il Presupposto del NWO: il Patriarcato
MessaggioInviato: 05/02/2016, 14:45 
MaxpoweR ha scritto:
Cita:
la Miriano ha gridato: “Riprendiamoci questo ruolo che stiamo dimenticando per emanciparci, torniamo a essere vere donne capaci di accoglienza, e se lo faremo i nostri uomini torneranno a essere capaci di grandezza”.


Il problema delle donne sono donne come questa.


Quella una donna?
Si ma colta da sindrome masochista acutissima!
Se solo avesse detto una cosa del genere negli anni70/80 l'avrebbero messa al palo!
Ha addirittura esaltato la POTENZA del maschio dominante... cribbio, allucinante ! [:297]



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 Oggetto del messaggio: Re: Il Presupposto del NWO: il Patriarcato
MessaggioInviato: 05/02/2016, 14:52 
shighella ha scritto:
MaxpoweR ha scritto:
Trovane uno migliore che funzioni per tutti allora :) Per il momento l'unico che funziona è questo. Funziona per pochi? Pazienza, meglio per pochi che per nessuno :)


Certo, si, ora mi guardo nelle tasche e vedo se trovo un sistema che funzioni per tutti, dammi solo qualche minuto! [:D]
Maddai Max che cavolo di pretese! Sai bene che per disfare e rifare un sistema sociale non è uno scherzo..Intanto iniziamo a mettere in discussione questo sistema provando a fare ipotesi, non accontentiamoci del fatto che questo funziona per poche teste di ciolla sanguinari..

Sei sicuro che altri sistemi non funzionerebbero per nessuno? [:291]


Di esempi ce ne sono a bizzeffe... la mancanza di applicazione degli stessi deriva soltanto dalla nostra pigrizia...

[:305]

Più comodo DELEGARE ai livelli superiori della "Piramide"... ma ogni delega concessa ti trattiene al livello più basso della medesima.

EMANCIPAZIONE è la parola d'ordine... per questo ho creato il nuovo gruppo facebook "L'Orto di Atlanticus"... proprio per promuovere e presentare esempi di "Sistemi" alternativi.

Come questi...

http://www.eticamente.net/40192/ecovill ... talia.html

http://www.naturopatia.org/ecovillaggio/



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 Oggetto del messaggio: Re: Il Presupposto del NWO: il Patriarcato
MessaggioInviato: 07/02/2016, 12:50 
Nel mio blog ebbi a scrivere che nei Misteri Antichi, la Donna e la Natura erano un’Unica Cosa …

« Ciò che si fa alla natura, si fa alle donne e ciò che si fa alla donne, si fa alla Natura. »

Da sempre, le donne sono state considerate le fedeli rappresentanti della Terra, nostra Madre Natura e origine feconda. Intuitivamente percepiamo questa analogia come vera, come qualcosa che incarna una realtà evidente e ci parla direttamente dell‟Essenza del Femminile…

Vi invito pertanto a leggere con mente aperta e con una visione di insieme più ampia il seguente articolo

La cultura dello stupro non è quello che pensate

Nel marasma di informazioni che riceviamo quotidianamente, un termine che ultimamente si sta ripetendo spesso tra stampa e opinione pubblica è quello della “cultura dello stupro”. Il problema è che, come succede per molti lemmi presi in prestito dalla letteratura di settore e trasportati in quella divulgativa generalista, non è chiaro a tutti cosa si intenda con questa perifrasi e il suo utilizzo finisce per generare dibattiti estenuanti, privi della minima cognizione di causa.

Che senso ha parlare di pere e mele, se non si è d’accordo sul macro-contesto di frutta? Nessuno, ovviamente. Eppure, non si può neanche pretendere che certi argomenti restino in una scatolina asettica in balia solo dei più criptici teorici: vanno date in pasto a tutti, nella speranza che suscitino per lo meno un promettente “ma che vuol dire?”

Che cosa si intende allora per cultura dello stupro? Da dove arriva questo termine e come si applica al mondo in cui viviamo oggi? Qual è il filo che lega Ovidio, Robin Thicke e i fatti di Colonia?

Immagine

“Il patriarcato fa leva su una forma di violenza di specifica natura sessuale e che prende forma completamente nel’atto dello stupro. [...] Nello stupro, le emozioni di aggressione, odio, disprezzo e il desiderio di spezzare o violare la personalità, assumono una forma appropriata alle politiche sessuali.”

Il concetto di “rape culture”—o, appunto, cultura dello stupro—viene coniato all’interno della letteratura femminista degli anni Settanta, corrente di pensiero che sposta l'analisi delle disparità sociali di genere sul piano specifico della sessualità e della sua interpretazione politica. Nel 1970, Kate Millett scrive il testo "Sexual Politics," come critica al patriarcato nella società e nella letteratura occidentale. In altre parole, introduce l'idea di una cultura patriarcale, che esercita il proprio dominio politico tramite una repressione della sessualità femminile. La cultura dello stupro definisce quindi un tipo di violenza di genere endemica e sistematica, al punto da far parte del tessuto culturale di una determinata società; Un tipo di violenza che non è incidentale, ma politica e normalizzata: dalle società in cui lo stupro non è considerato un reato a quelle in cui, nonostante lo stupro sia riconosciuto come un crimine dalla legge, viene sminuito, condonato e giustificato regolarmente.

Il primo caso—quello che riguarda paesi in cui lo stupro non è riconosciuto come un crimine—non è ciò che ci interessa analizzare in questo momento, banalmente perché non riguarda la cultura in cui viviamo tutti noi; la violenza sessuale, in Italia come in tutti i paesi occidentali, è punita per legge. Il problema, come in molte questioni politiche e legali, è il passaggio alla pratica. Ecco perché è il secondo caso a interessarci, quello più subdolo.

Il concetto di cultura dello stupro, abbiamo detto, è stato formulato all’interno della corrente di pensiero del femminismo di seconda ondata, un momento specifico del femminismo che discute la sessualità femminile su un piano politico, e che mette radicalmente in discussione i ruoli sociali di genere. Vale a dirsi, tutte quelle regole e definizioni strette come corsetti ottocenteschi che ci siamo imposti per chissà quale motivo—non è vero, i motivi sono stati teorizzati ampiamente, ma non mi lancerò in questa digressione ora—e che hanno tenuto separati i “doveri” delle donne da quelli degli uomini per secoli, finché la bolla non si è decisa ad esplodere e siamo arrivati alla rivoluzione dei sessi.

Questo è il macro-contesto che dobbiamo riconoscere per poter parlare delle presenti tematiche in modo sensato: è da circa cento anni che i ruoli di genere tradizionali subiscono una picconata dopo l’altra, cosa che, da un lato, ci sta faticosamente e finalmente portando a una società più equa—pensate alla legalizzazione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso avvenuta quest’anno in tantissimi paesi, per dirne una—dall’altro comporta tutta una serie di risacche reazionarie secondo cui la rivoluzione dei generi sarebbe alla base di ogni male sociale, e che reiterano discorsi sessisti radicati più profondamente di quanto ci piace pensare.

Queste risacche sono giustificate dal fatto che determinati stereotipi, per quanto possano essere stati criticati, sono tutt’altro che superati. La corrente di pensiero che 40 anni fa ha teorizzato l’esistenza di una cultura dello stupro sostiene che la nostra sia ancora una società in cui il rispetto dovuto a un uomo è direttamente proporzionale alla sua forza e alla sua aggressività sessuale e personale, mentre per le donne è doveroso essere remissive, sia sessualmente che socialmente. Volendo essere molto pratici, l'esempio più immediato è quello delle riviste che sbrodolano consigli su come essere un vero uomo, un uomo migliore—dove “migliore” fa riferimento a un mix di prestanza fisica, rigore caratteriale e benessere economico—su come conquistare un uomo senza “spaventarlo” o su cosa intenda davvero una donna quando dice “no”.

Immagine

“Se una donna dice ‘no’, intende ‘forse’; se dice ‘forse’ intende ‘sì’; e se dice ‘sì’, non è una donna.” L’ansia. via
L’interpretazione del “no” di una donna sembra essere talmente difficile per certe persone, che qualcuno ha pensato fosse meglio risolvere il problema con una app. Per determinare il consenso di una persona ci affidiamo più volentieri a un mentore meccanizzato, che all’opinione di chi si trova effettivamente lì con noi. In altre parole, pur di evitare il dialogo e l’empatia tra esseri umani, arriviamo a delegare la questione alla burocrazia.

Ancora, pensate al giudizio comune associato a una ragazza che vive la propria sessualità in modo esplicito e disinibito—è promiscua, non tiene a se stessa, lo fa per guadagnarci qualcosa, nessun uomo la prenderà mai sul serio. La pretesa di un’interpretazione della sessualità femminile altra da “sono emeriti cavoli suoi” è propria di una cultura che considera ancora il corpo di una donna come proprietà altrui, il cui valore è inversamente proporzionale al “consumo” che si fa di esso.

Se pensate che il mio discorso non sia al passo coi tempi, che le cose siano diverse ora, che le donne occidentali siano ormai completamente emancipate, vi ricordo che il succo dell’educazione sessuale che ho ricevuto nelle laicissime scuole che ho frequentato era sempre lo stesso—tienitela stretta, meglio se fino al matrimonio—e che proprio nell’ultimo anno, il tentativo di portare nelle scuole un’educazione sessuale progressista è stato accolto molto duramente non solo dalle famiglie cattoliche più rigorose e dalle fazioni politiche di estrema destra, ma anche da docenti di scuole pubbliche.

Guarda su youtube.com

South Park, come sempre, centra il punto in pieno.

Per fare un esempio più “istituzionale”, prendiamo le affermazioni dell’ex ministro Giovanardi fatte un paio di anni fa, in riferimento alla violenza di gruppo su una minorenne, avvenuta a Modena: il suo discorso verteva sul fatto che non possiamo indignarci per una violenza del genere se lasciamo che il sesso per i giovani sia “semplice divertimento” e non un atto limitato a contesti di “amore e rispetto”. Il fatto che Giovanardi contrapponga il divertimento al rispetto è il vero problema di questa dichiarazione, come se la presenza di uno significasse l’assenza dell’altro, come se il piacere nel sesso fosse possibile solo in presenza di un sentimento d’amore beato quanto raro—da qui la necessità di confinare l’atto carnale a tali situazioni. La violenza è generata sì da una mancanza di rispetto, ma la faccenda non ha nulla a che vedere con una visione del sesso più aperta e priva di moralismi. Ha a che vedere con un’idea del corpo altrui come di qualcosa di cui è legittimo appropriarsi. Tutto un altro paio di maniche.

Sempre in Italia, nonostante la violenza sessuale sia punita come delitto contro la libertà personale, la sfiducia nelle istituzioni porta la maggioranza delle vittime a non denunciare i colpevoli. Nel 2003, la sentenza di un caso di stupro su una minore decretò che, poiché la vittima aveva già avuto rapporti prima dell’abuso, questo costituisse un trauma meno grave, perché i danni ricevuti sono “più lievi” se si è già attivi sessualmente.

Uno dei temi ricorrenti negli studi sulla cultura dello stupro riguarda l’attribuzione di una responsabilità totale o parziale alla vittima stessa di un abuso (altrimenti detto, victim blaming): le polemiche che scaturiscono ogni volta sui vestiti indossati da una persona che ha subito una violenza sono un esempio ridondante della cosa. “Se l’è andata a cercare,” è il ritornello che compare un po’ ovunque, come se, per evitare uno stupro, esistesse una formula matematica che qualche poveretta non ha ancora studiato. Allo stesso modo, anche il fatto di avere una vita sessuale attiva diventa una colpa e, contemporaneamente, un’attenuante per l’aggressore. Si legittima insomma un discorso implicito secondo cui, di nuovo, il sesso svilisce una donna, mentre l’integrità fisica diventa troppo spesso sinonimo di integrità morale.

L’idea di una violenza sessuale legittima, d’altronde, fa effettivamente parte delle radici della nostra cultura da sempre. Nell’Ars Amatoria, Ovidio spiega come le ragazze amino essere forzate al rapporto, perché la cosa fa parte dei meccanismi di seduzione. Un concetto su cui ancora sbattiamo la testa, grazie agli illuminati consigli forniti dalle riviste che ripropongono allo sfinimento il paradigma gatto-topo come unica dinamica seduttiva possibile.

Il sessismo—legato ovviamente a doppio filo con questa teoria—costella svariati aspetti della cultura pop in cui siamo immersi.

Tornando su un piano più internazionale, negli ultimi anni sono stati associati alla rape culture diversi casi, in cui comportamenti sessuali aggressivi o l’uso di termini sessisti sono apparsi all’interno di istituzioni—politiche o culturali—che dovrebbero condannarli.

L’avvocato di Donald Trump—candidato repubblicano alle prossime elezioni presidenziali—ha dichiarato, in seguito alle accuse di violenza formulate dalla ex-moglie di Trump, che all’interno di un matrimonio lo stupro non possa esistere. Questo assunto ha le sue radici nel concetto—proprio della cultura occidentale—di dovere coniugale, per cui il sesso è un diritto che una persona ha facoltà di esercitare sul proprio coniuge. Lo stupro maritale è diventato illegale negli Stati Uniti a partire dalla metà degli anni Settanta, ma non in tutti gli stati prima del 1993: la definizione di sesso come diritto assoluto all’interno di una coppia legata per via istituzionale, relega un corpo allo stato di bene materiale di cui fruire, in quanto merce “acquistata."

Questa visione del corpo (soprattutto di quello femminile) come soggetto a una proprietà altrui è ribadito anche dalle congreghe pro-vita: il diritto all'aborto è ancora un argomento molto discusso e in alcuni casi non ancora riconosciuto, tanto che un legislatore degli Stati Uniti nel 1990 è arrivato a dire, “se le donne hanno il diritto di abortire, perché gli uomini non dovrebbero poter imporsi su di loro con la forza? Almeno la ricerca di libertà sessuale di uno stupratore non porta (nella maggior parte dei casi) alla morte di nessuno.”

Per quanto a simili affermazioni possano seguire scandali nell’opinione pubblica e scuse ufficiali, offrono uno scorcio esplicativo su una forma mentis che è tutt’altro che estirpata e che dà, forse, il diritto di parlare di una effettiva cultura dello stupro.

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Il sessismo—legato ovviamente a doppio filo con questa teoria—costella svariati aspetti della cultura pop in cui siamo immersi. Dalla musica italiana, al cinema passando per la letteratura e le serie televisive: opere dal grande successo internazionale come Twilight e 50 Shades of Grey reiterano il mito della vergine pura—e quindi degna—e di una violenza impari sul piano della sessualità che è necessaria al mantenimento di una relazione. Il fatto che questi casi siano normali agli occhi di un pubblico di massa, il fatto che percepiamo una forma di violenza sessuale in modo romantico o semplicemente accettabile rientrano nella definizione stessa di rape culture.

Blurred Lines di Robin Thicke, fino a qualche anno fa in rotazione nelle radio, ha scatenato un polverone considerevole sia per il contenuto del video della canzone—in cui modelle completamente nude sono assoggettate a uomini completamente vestiti—sia per il testo, il cui titolo di per sé è un rimando palese a quella difficoltà di cui parlavamo prima, per cui sembra che per gente come Thicke sia impossibile comprendere le dinamiche basilari del consenso sessuale (NO=NO). Il testo prosegue rinforzando l’idea che il sesso sia qualcosa con cui si addomestica una donna (che è un animale), qualcosa che lei non sa di volere finché non le viene somministrato, qualcosa che fa anche un male cane. Una sfilza di concetti progressisti, insomma. Thicke è stato accusato di promuovere una visione malsana e giustificatoria, mentre alcuni suoi difensori sostenevano che il video fosse effettivamente liberatorio per la figura femminile.

Il punto da chiarire qui è che una donna nuda, di per sé, non è né liberatoria né oggettificata. Ciò che determina la differenza tra un caso e l’altro è il discorso intorno al suo corpo. Ci sono video che esaltano pienamente la sessualità femminile e queer, anche in modo estremamente esplicito. Ci sono video che parlano della sua oggettificazione in modo provocatorio e critico. Ci sono video, come quello di Blurred Lines, che restano problematici nel contesto di una cultura—quella americana—che è ben lungi dal dichiarare la violenza di genere un problema passato. Ecco perché, se ragioniamo secondo il paradigma della cultura dello stupro, questo video non è solo una questione di cattivo gusto.

La cultura dello stupro è stata evocata anche in altre vicende: Elliot Rodger, responsabile del mass-shoting di Isla Vista, prima di commettere il massacro aveva pubblicato un video su YouTube e redatto un manifesto in cui attribuiva la responsabilità della propria miseria alle donne che lo avevano respinto—negandogli l’esperienza sessuale che sarebbe stato suo diritto fare—e in cui dichiarava intenti punitivi nei confronti del genere intero. Sono almeno tre i fattori in questo discorso che è possibile ricondurre al paradigma della rape culture: il primo, è l’idea che il sesso sia un diritto da esigere. Il secondo, che sia una responsabilità femminile risolvere la frustrazione sessuale maschile e diritto di un uomo punirne il mancato assolvimento. Il terzo, che il valore di un uomo nella società sia proporzionale alla sua esperienza sessuale. Una cultura che condona lo stupro come meccanica sociale “naturale”—perché il sesso è visto come un atto di conquista violenta e il corpo dell’altro come un bene di cui si può disporre a piacimento—è anche una cultura che promuove una visione della mascolinità esagerata e stereotipica, tossica, che non accetta l’evoluzione dei ruoli di genere in corso e la cui degenerazione è forse individuabile in esempi come quello di Rodger.

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Ancora, nel 2014 Twitter e il mondo della stampa videoludica sono stati monopolizzati dal #GamerGate, un caso in cui una facciata di plausibilmente sincero interesse per l’eticità nel giornalismo è stata grandemente strumentalizzata da un rancore di matrice sessista, con lo scopo di attaccare le donne (e non solo) coinvolte in modo critico nell’industria dei videogiochi.

Quando nel 2014 sono affiorate in rete centinaia di foto private trafugate dai profili iCloud di alcune celebrità, il discorso dominante per quell’occasione—oltre al parere privo di logica di un mio conoscente, secondo cui “se lo meritano perché sono ricche”—è stato “se non vuoi che qualcuno le trovi, non scattare foto di nudo” che, come al tempo ha sottolineato l’attrice e autrice Lena Dunham, suona terribilmente come “se non vuoi che ti mettano le mani addosso, non indossare una gonna.” Il problema è che il discorso della Dunham cerca di evidenziare la pochezza di un argomento paragonandolo a una situazione che dovrebbe essere scontata, ma che non lo è. Così, la critica mossa dalla Dunham, non condivisa da una massa che ha ancora grossi problemi di slut-shaming, cade con un tonfo sordo, rivelandoci anche qualcosa in più: non parliamo tutti la stessa lingua quando si tratta di violenza di genere.

Per parlare di dinamiche socio-culturali in maniera sensata, è necessario arrivare a un accordo comune su termini e strumenti. Ci vuole una auto-consapevolezza culturale, che, per esempio, non si illuda che la violenza sessuale e la violenza di genere siano retaggio soltanto di paesi lontani—la cui teorizzazione come “cultura dello stupro” sia solo furbamente strumentalizzata per fomentare forme di razzismo, come è stato per le vicende di Colonia di questo mese.

Il che non significa accettare una teoria a priori—una delle critiche principali mosse al concetto della rape culture, per esempio, è l’idea che la responsabilità dello stupro sia delegata eccessivamente a un sistema di norme culturali, che rende più difficile una persecuzione giudiziaria specifica. Che è qualcosa su cui vale la pena riflettere.

Non è necessario avere la stessa opinione su qualcosa, ma ammettere l’esistenza di un problema è il primo e più fondamentale passaggio per aprirsi alla sua interpretazione, anziché a disquisizioni sterili un commento sui social dopo l’altro. La nostra cultura è una cultura che giustifica—in modo esplicito o implicito—la violenza sessuale? Che ne nega spesso l’esistenza? Che ne fa ricadere la responsabilità sulle vittime? Quel che è certo è che è possibile individuare un elenco inquietante di esempi in cui sembra proprio che sia così.

http://motherboard.vice.com/it/read/che ... llo-stupro



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