Certo, ecco perché:
Il Russiagate per ricattare Trump: così
vogliono un presidente deboleIl Russiagate è nato con l’intento di trovare legami diretti e indiretti fra l’elezione di Donald Trump e il governo della Federazione Russa. Più che un’indagine, assomiglia sempre di più a una caccia alle streghe, dal momento che tutti vogliono accusare Trump e i suoi collaboratori di questi legami e tutti, dai democratici, ai neo-con fino alla stampa mainstream, partono già con l’idea che sia già tutto stabilito. In un gioco ormai al massacro nei confronti del presidente e del suo entourage, l’accusato è già mediaticamente condannato. E sembra quasi mancare la necessitò di una prova vera a sostegno della tesi supportata, che diventa, nel tempo, qualcosa di assolutamente certo. Tutti ormai sanno del Russiagate, tutti ne parlano, e tutti, in un modo o nell’altro, sono assuefatti all’idea che in fin dei conti legami tra Trump e il Cremlino per eleggere The Donald e abbattere Hillary Clinton, debbano esserci stati per forza.
Appurato che le indagini continuano, ci si deve domandare però a chi giova tutto questo. Perché è facile dire che siano i rivali di Trump a volerlo denigrare, ma esattamente, qual è il loro scopo? Come segnalato dall’analisi di Dario Fabbri su Limes.it, per ora le indagini del Russiagate stanno assediando, sostanzialmente, Trump, senza però colpirlo direttamente. Lo scopo, a vedere i primi arresti e le prime incriminazioni, più che essere quello di colpire direttamente il presidente Usa, appare più come quello di intaccare una rete d’interessi che può essere dannosa allo Stato profondo. Quel deep-State che è il vero motore dell’America e il suo vero centro decisionale. “L’incriminazione ufficiale di Paul Manafort, già responsabile della campagna elettorale trumpiana, e del suo vice Rick Gates, per fatti precedenti al 2014 quando erano al soldo del dittatore ucraino Viktor Janukovič e dunque non riguardanti i servigi resi al magnate newyorkese, segnalano l’intenzione di esercitare pressione sul presidente, senza coinvolgerlo direttamente” si legge su Limes. A questi due arresti illustri del clan di Donald Trump, si è aggiunto quello di George Papadopoulos, personaggio secondario ma accusato di avere contribuito alla raccolta di dossier del Cremlino contro Hillary Clinton e, soprattutto, l’assalto della giustizia nei confronti di Michael Flynn. Fonti molto vicine alla procura che indaga sui legami del circolo di Donald Trump con il governo di Mosca, segnalano nelle ultime ore che siano già state raccolte prove a sufficienza per incriminare l’ex consigliere per la sicurezza nazionale. Le accuse, come riporta Nbc, vanno dal riciclaggio di denaro sporco all’aver mentito agli organi federali, fino al coinvolgimento nel piano per la rimozione di un avversario di Erdogan.
L’assedio nei confronti di Donald Trump è evidente. Assedio che però potrebbe non volere, in definitiva, l’attacco al presidente stesso, quanto in realtà un suo indebolimento. Quello che sta scaturendo dalle indagini coordinate da Mueller è infatti un quadro di arresti e di accuse che vanno a colpire tutti quanti i possibili legami scomodi del presidente. Legami la cui eliminazione serve a far dormire sonni tranquilli all’establishment americano. Colpendo tutto ciò che ruota intorno a Donald Trump, conviene perché si indebolisce il presidente, lo si rende malleabile, senza amici potenti, e quindi incapace di poter fare troppi danni allo Stato profondo. Chiedere le sue dimissioni, ora, sarebbe un colpo troppo duro per il Partito repubblicano. I nemici di Trump all’interno dell’Old Grand Party sono molti, specie nei cosiddetti neo-con. Ma pur essendo nemici, essi sanno benissimo che è meglio avere “uno dei loro” al potere, per giunta indebolito a tal punto da essere ricattabile, piuttosto che un presidente avversario. E gli stessi democratici, in questo momento, vivono una tale fase di declino e di incertezza per cui è rischioso far cadere Donald Trump, anche per i rischi di risvegliare l’elettorato dell’America profonda che ha già punito severamente il candidato dem. L’impeachment non interessa a nessuno almeno finché sarà possibile colpire Trump ed indebolirlo. L’ascesa del Pentagono all’interno della Casa Bianca è emblematica di questa capacità di manovrare le scelte decisionali del presidente, dal momento che, una volta fatti i fuori i collaboratori più “anti-establishment”, i consiglieri principali del presidente sono diventati Mattis, McMaster e Kelly. Finché possa continuare questo assedio, è un mistero. Finora Trump sta dimostrando di essere malleabile nei settori-chiave della politica neo-con, ma non gli si può chiedere di abdicare totalmente alle sue idee e dimostra tenacia su alcuni punti, gli stessi però con cui c’è convergenza con il deep-State. Negli altri campi, a partire dalla diplomazia, lo iato fra le idee del presidente e quelle dell’establishment sono sotto gli occhi di tutti. Il fatto che si parli di Russiagate non è casuale: è proprio dalla differenza di vedute sul rapporto con Mosca che si è instaurata una delle peggiori fratture fra presidenza e burocrazia.
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