Il discorso sullo stato dell’Unione scaccia lo spettro impeachement
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Il primo Discorso sullo stato dell’Unione della presidenza di Donald Trump si è tenuto. E questa è una notizia. I neocon, infatti, avevano previsto che durasse un anno.
Trump ha esposto le magnifiche sorti e progressive del suo mandato, reincarnazione e rilancio del sogno americano. Al di là della banale propaganda, c’è del vero.
Le funeste previsioni agitate dopo la sua vittoria si sono rivelate infatti fake news. L’America va: è un dato indiscutibile.
E ciò nonostante le politica economica attuata da Trump contrasti i dogmi della globalizzazione, modello economico che si è fatto religione planetaria. Una cocente sconfitta per gli ambiti cultural-finanziari internazionali che avevano imposto tale culto al mondo intero.
Ancor più cocente perché si è consumata nel cuore dell’Impero. La globalizzazione non è più un destino manifesto quanto irreversibile: dato che anche la Ue, strenua sostenitrice di tale religione, dovrebbe iniziare a considerare.
Il tono moderato, sulla scia del discorso di Davos di alcuni giorni fa, l’immagine di una presidenza a guida repubblicana che sa creare prosperità: Trump intende riproporsi come nuovo Reagan, il presidente (recente) più amato dagli americani.
Trump si è presentato agli Stati Uniti e alle sue colonie come un Imperatore in salute e in grado di governare.
Un’immagine diversa da quella che vede una presidenza vacillante, inseguita dagli scandali (ultimo la relazione con una pornostar) e dal Russiagate.
A vacillare, invece, è l’ipotesi di un impeachement, da tempo agognata dai suoi avversari interni e internazionali, che seguono e perseguono con passione il Russiagate.
Ieri si è dimesso, o è stato dimesso, il numero due dell’Fbi, Andrew McCabe, pedina chiave della rete che avrebbe dovuto intrappolare il presidente Usa, ostacolarlo e farlo cadere dopo la vittoria (su tale ipotesi è aperta un’inchiesta negli Usa).
La sua dismissione dall’Fbi il giorno precedente a quello del Discorso sullo stato dell’Unione appare allora del tutto simbolica, simbolo cioè della sconfitta degli oppositori del presidente (certo, il Russiagate non è finito, ma il colpo si è fatto sentire, alto e forte).
Dato importante: ai toni moderati Trump ha accompagnato l’apertura ai democratici. Gli serve il loro aiuto per battere i neocon, molti dei quali sono annidati nel suo partito.
Probabile la mano tesa sia rifiutata: ma se per i liberal-clintoniani tale rifiuto è opzione inevitabile, troppo legati ai neocon, per altri è solo questione di opportunità e di immagine. Così, sottotraccia, qualcosa può accadere (vedi, ad esempio, le aperture pregresse di Sanders).
Infine va segnalato che Trump ha evitato di attaccare frontalmente la Cina e la Russia. Un cenno fugace, niente più, ai “rivali che sfidano i nostri interessi, i nostri valori e la nostra economia”. Peraltro nel giorno in cui la sua amministrazione annunciava che non avrebbe comminato nuove sanzioni alla Russia…
Troppo poco per i neocon, che premono per un urto frontale contro Putin, che farebbe strame delle aperture che Trump aveva fatto a Mosca durante la campagna elettorale.
La fretta con la quale il presidente americano ha liquidato la questione in un discorso di così alta rilevanza politica dice che la prospettiva annunciata allora, nonostante tutti i contrasti, i ri-orientamenti e i cedimenti del caso, resti immutata, sebbene sia da perseguire nel segreto.
http://www.occhidellaguerra.it/discorso ... ent-trump/