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 Oggetto del messaggio: Re: Mr. President Trump
MessaggioInviato: 17/07/2018, 15:32 
Beh gli alieni sono i cinesi, su questo non c'è dubbio...



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“Questa crisi, questo disastro [europeo] è artificiale, e in sostanza questo disastro artificiale ha quattro lettere: EURO.”
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 Oggetto del messaggio: Re: Mr. President Trump
MessaggioInviato: 17/07/2018, 15:43 
.. piccoli e .. gialli! [:306]



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Immagine Operatore Radar Difesa Aerea (1962 - 1996)
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 Oggetto del messaggio: Re: Mr. President Trump
MessaggioInviato: 17/07/2018, 20:25 
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Gli alleati potrebbero rispondere affermando che la sicurezza dell’America in patria dipende dalla protezione dell'Europa da minacce che noi non possiamo affrontare da soli, così come avvenuto nelle due guerre mondiali. Tuttavia se cosi fosse la Russia di oggi dovrebbe essere considerata alla stregua di Stalin e Hitler e tutti gli alleati dovrebbero riconoscerla come minaccia esistenziale. La teoria della solidarietà euro-atlantica sulla questione russa è utopia poiché le preoccupazioni e le prospettive di un gruppo di Paesi non diventeranno mai posizioni dell'Alleanza nel suo complesso ed accettate da tutti i membri.
Le divergenze della Nato nella percezione della minaccia

Stati Baltici, Polonia e Romania considerano la Russia come una immediata minaccia esistenziale. Tuttavia tale percezione cambia in Europa meridionale, dove la Russia non rappresenta una minaccia esistenziale. Sarebbe opportuno ricordare i rapporti commerciali tra Turchia (potente alleato della Nato) e Mosca o il massiccio acquisto tedesco di gas russo. E' così che si combatte un avversario? In realtà Francia e Germania non ritengono la Russia una minaccia diretta, sebbene osservino con attenzione l'impatto negativo del Cremlino sull'ordine europeo. Allo stesso tempo, entrambi propongono un approccio a doppio binario, abbracciando sia la deterrenza che l'impegno in relazioni commerciali produttive con la Russia. Per Norvegia e Regno Unito, la Russia è una minaccia, ma anche un partner economico significativo. La Russia non è un principio organizzativo centrale per la politica estera degli Stati Uniti mentre gran parte dell'attenzione tende ad essere episodica, piuttosto che una preoccupazione fondamentale per la sicurezza. I termini della partnership devono essere rinegoziati e ridefinito il terreno comune. Se la Russia è un nemico, la Nato deve prepararsi alla guerra e per vincerla. Se la Russia non è un avversario, la Nato deve cambiare la sua postura, la medesima dalla guerra fredda e plasmare le sue capacità. Prima ancora del burden sharing, la Nato deve identificare all'unanimità i suoi nemici e plasmare di conseguenza le sue difese.
Se la Russia è una minaccia esistenziale, la Nato deve prepararsi alla guerra

Le attuali forze della Nato sul territorio Baltico non rappresentano una minaccia credibile per la Russia. I giochi di guerra della Rand hanno dimostrato l’inadeguatezza dell’Alleanza contro un’offensiva russa sui Pasi Baltici (che non avverrà). In nessun contesto simulato, le attuali forze della Nato sono state in grado di mantenere le capitali come Tallin o Riga per più di 60 ore. In diverse simulazioni, la Nato è stata sconfitta in 36 ore. Un’offensiva russa lascerebbe poche opzioni agli Stati Uniti (il ricorso al nucleare sarebbe inevitabile), travolto l’attore strategico dominante in Europa centrale. Sarebbe un fallimento di quasi 75 anni di sforzi bipartisan americani per sostenere la sicurezza in Europa. Il requisito minimo per la deterrenza e la negazione lungo i confini della Nato con la Russia, è quello di garantire delle permanenti azioni strategiche.

Sarebbero necessarie sette brigate indipendenti, tre delle quali pesanti, supportate da artiglieria ed aviazione. Per essere efficaci, le brigate dovrebbero essere già schierate in Europa: dovranno essere in grado di arrestare la principale forza d’invasione russa stimata in almeno cinquanta battaglioni tattici. Con sette brigate, la Nato sarebbe in grado di difendere i Paesi Baltici per un massimo di 28 giorni.

Fortificata l’Europa bisognerà vincere, poiché la forza delle sette brigate non sarebbe sufficiente per resistere a tempo indeterminato contro le preponderanti forze russe. Il contrattacco della Nato dovrà quindi basarsi su una forza di ulteriori 14 nuove brigate indipendenti. Tale forze è ritenuta in grado di ripristinare il terreno perduto e respingere i russi fino alle loro linee iniziali. Parliamo quindi di 21 brigate. Le sette brigate della Nato dovranno essere schierate in Europa, poiché è impossibile credere che possano essere ridistribuite in tempo di guerra, considerando che le attuali forze non sarebbero in grado di sostenere un attacco ad est del fiume Oder, mentre le principali unità degli Stati Uniti sono localizzate nella Germania sud-occidentale, a più di 1.000 miglia dalla probabile zona di combattimento. Qualsiasi tentativo di supportare logisticamente e rivitalizzare le forze della Nato da quella distanza sarebbe impossibile.

La Nato non sarebbe in grado di spostare e supportare grandi formazioni di combattimento lungo il suo confine orientale ed in particolare in tutti e tre gli Stati Baltici.

La Nato dovrebbe essere riorganizzata e strutturata su 21 brigate indipendenti, organizzate in tre corpi d’armata. Secondo le attuali capacità, gli Stati Uniti sarebbero in grado di fornire fino a 12 brigate indipendenti (a costi esorbitanti).

L’attuale strategia della Nato strutturata su tre brigate è tatticamente assurda ed inutile. La deterrenza minima concepita per difendere realmente gli Stati Baltici richiede una forza di sette brigate, tre delle quali corazzate. Le quattordici brigate supplementari sarebbero necessarie per contrattaccare e respingere le forze russe.
L’errata valutazione della Rand per l’ultima guerra in Europa

“Già 50 anni fa le strade di Leningrado mi hanno insegnato una regola: se lo scontro è inevitabile, colpisci per primo”. E' una delle frasi più famose del Presidente russo Vladimir Putin.

Rappresenta anche la tattica di Putin. Trasliamo queste affermazioni in un contesto tattico. Nei wargame della Rand, la Russia invade l’Europa con forze pesanti, conquistando agevolmente i Paesi Baltici. Tuttavia la domanda è una soltanto: perché? Se nell’assurda ipotesi la Russia dovesse dichiarare guerra all’Europa e quindi alla Nato e cioè agli Stati Uniti, perché Putin dovrebbe comportarsi come nella Seconda Guerra Mondiale?

“Se lo scontro è inevitabile, colpisci per primo”. E colpire per primo, in gergo militare, significa utilizzare l’intero ventaglio delle opzioni disponibili per decapitare la linea di comando nemica ed impedire a quest’ultima di contrattaccare. Posto che la Russia non invaderà l’Europa, se Mosca volesse dichiarare guerra alla Nato non attuerebbe tattiche delle Seconda Guerra Mondiale ma lancerebbe migliaia di testate termonucleari contro gli Stati Uniti ed i siti strategici della Nato. Ed ogni caso, anche se l’attacco preventivo russo avesse successo azzerando le capacità della Nato in Europa, la rappresaglia statunitense sarebbe devastante con danni inimmaginabili. La griglia di rilevazione statunitense consentirebbe di contrattaccare prima ancora di essere colpiti dai russi.

Concepire una guerra con delle regole d’onore sarebbe da stupidi. Tanto varrebbe consegnarsi al nemico. La guerra convenzionale è prerogativa delle potenze non nucleari. Se Putin volesse dichiarare guerra alla Nato lancerebbe un migliaio di testate termonucleari, non ordinerebbe ai carri armati di violare i confini dei Paesi Baltici. Sarebbe comunque l’ultimo ordine di Putin. Le super potenze continueranno a farsi la guerra per procura in scenari asimmettrici.
La Nato deve cambiare la sua postura strategica

L’Europa di oggi non sta lottando per riprendersi dalla Seconda Guerra Mondiale, mentre le sue capacità militari complessive dovrebbero essere alla stregua degli Stati Uniti. L’area di responsabilità della Nato è principalmente focalizzata sull’Europa, ma non vi sono guerre (nel senso stretto del termine) in questa zona. L’intervento russo in Ucraina avrebbe dovuto innescare un’inversione di tendenza per la Nato, ma la costante preoccupazione espressa dai paesi membri dell’Alleanza non si è riflessa nella spesa per la Difesa. In realtà, sia l’Ucraina con lo spauracchio di scenario bellico moderno, ma convenzionale, sia lo Stato islamico ed il suo contesto prettamente asimmetrico che la cyber difesa, rappresentano minacce reali per la sicurezza europea e per la Nato. La Nato non può più definire come sua ragion d’essere la protezione dell’Europa dall’invasione russa. L'Alleanza oggi è mal strutturata, mal equipaggiata e mal finanziata per affrontare i principali problemi di sicurezza della regione europea. Tuttavia è imperativo che la Nato si scrolli di dosso il cadavere della guerra fredda. Prima ancora del burden sharing (la condivisione degli oneri), la Nato deve identificare all'unanimità le minacce esistenziali. Successivamente analizzare non solo gli input (la quantità di denaro speso) ma anche sugli output, le effettive capacità militari che gli alleati possono schierare. La Nato deve innanzitutto essere unanime nei suoi intenti ed essere strutturata sulle reali capacità specifiche plasmate sulle minacce esistenziali percepite e ritenute come tali.
La soglia del 2% va rivista

L'Organizzazione del Trattato dell'Atlantico del Nord è stata concepita per supportare logisticamente la presenza in Europa degli Stati Uniti. Parliamo di una strategia che proviene direttamente dalla guerra fredda. La Nato era un'alleanza con un unico scopo: proteggere l'Europa occidentale da una invasione sovietica. La struttura di base della Nato non è cambiata dal crollo dell'Unione Sovietica nel 1991. E' semplicemente cresciuta fino ad includere gli ex stati satelliti sovietici e gli Stati baltici. Il motivo dietro l'espansione era quello di inglobare questi paesi nel quadro del sistema di difesa occidentale, al fine di dare loro fiducia nella loro indipendenza, così da contribuire a sostenere lo sviluppo delle democrazie.

Con il crollo dell’Unione Sovietica, Stati Uniti, Regno Unito e Francia incoraggiarono le nazioni europee a costruire forze orientate verso missioni di proiezione come in Afghanistan, con l'invio di truppe lontane dai confini nazionali. Convogliando i fondi in questa direzione, la spesa militare interna divenne opzionale.

Dal 1985 al 1989, i membri europei dell’Alleanza investirono una media del 3,3 per cento del PIL per la Difesa. Dal 1990 al 1994 la spesa si ridusse al 2,7 per cento. Nel periodo tra il 1995 ed il 1999, la spesa scese al 2,2 %, fino ad arrivare all’1,9 % tra il 2000 ed il 2004. Entro il 2009, la media scese all’1,7 % per arrivare al punto basso dell’ 1,45 per cento nel 2015.

Al vertice Nato in Galles del 2014, dopo anni di declino, i leader decisero di investire il 2% del PIL nella Difesa. Nel 2014, soltanto Stati Uniti (che da soli rappresentano oltre la metà delle spese militari della Nato) Regno Unito e Grecia spendevano il 2% o più nella Difesa. Quest'anno otto alleati raggiungeranno l'obiettivo. Entro il 2024 almeno 15 alleati dovrebbero spendere il 2% del PIL o più nella Difesa. Negli ultimi tre anni gli alleati europei ed il Canada hanno aggiunto 46 miliardi di dollari ai bilanci della Difesa ed investito 19 miliardi di dollari in più nelle principali attrezzature militari. Entro il 2024, si prevede che 22 dei 29 alleati investiranno il 20% dei loro bilanci della Difesa nelle principali attrezzature militari per migliorare le nostre forze e la loro prontezza operativa.

Calcolare la soglia del 2%

100 miliardi di dollari l’anno. E’ questa la portata dell’investimento se tutti i paesi della Nato (Stati Uniti esclusi ovviamente) raggiungessero il 2% del loro Prodotto Interno Lordo per la Difesa. Tutti i membri dell’Alleanza dovranno raggiungere tale obiettivo. I livelli di spesa derivano direttamente dalle decisioni politiche e dal processo di traduzione degli ingressi fiscali nella spesa militare. Se ad esempio Germania, Italia, Canada, Spagna e Paesi Bassi raggiungessero il 2 per cento del PIL per la Difesa, la Nato toccherebbe un livello di spesa di 80 miliardi di dollari. Se Berlino si impegnasse ad investire il 2 per cento del PIL, aggiungerebbe 30 miliardi di dollari nella difesa europea, una larga fetta dell’obiettivo fissato. La Germania assegna solo l’1,2 per cento del PIL alla difesa e gran parte del suo bilancio è ripartito per il personale. Nonostante le rassicurazioni l’obiettivo dei cento miliardi di dollari è ancora un miraggio. I più importanti e ricchi paesi della Nato sono troppo piccoli o economicamente deboli per avere un effetto sul saldo finale della difesa europea, mentre saranno proprio le scelte della Germania ad essere determinanti per capire la futura capacità dell'Allenza.

L’Italia nel 2016 ha investito nella spesa militare l’1,11% del PIL

Ogni paese membro della Nato avrebbe dovuto investire il 2 per cento del PIL per la Difesa. Il termine del 2 per cento del PIL è stato fissato analizzando il livello medio di spesa dell’Alleanza tra la fine della guerra fredda fino al 2003. Il 2 per cento rappresentava lo standard medio degli alleati, quindi facilmente gestibile. Un obiettivo che, al 2016, è stato raggiunto soltanto da cinque alleati: Stati Uniti (3,61%), Grecia (2,38%), Regno Unito (2,21%), Estonia (2,16%) e Polonia (2%). L’Italia, nel 2016, ha investito nella spesa militare l’1,11% del PIL.

Nel 2016, la Francia è stato il sesto paese dell’Alleanza ad aver investito di più con l’1,78% del PIL. Seguono Turchia (1,56%), Norvegia (1,54%), Lituania (1,49%), Romania (1,48), Lettonia (1,45%), Portogallo (1,38%), Bulgaria (1,35), Croazia (1,23%), Albania (1,21%), Germania (1,19%), Danimarca (1,17%), Olanda (1,17%), Slovacchia (1,16%), Italia (1,11%), Repubblica Ceca (1,04%), Ungheria (1,01%), Canada (0,99%), Slovenia (0,94%), Spagna (0,91%), Belgio (0,85%), Lussemburgo (0,44%).

La Nato dovrebbe abbandonare l'obbligo di spendere il 2% del PIL nella Difesa perché non più realistico. Identificate le minacce esistenziali, la Nato dovrebbe richiedere a tutti i membri di impegnarsi a spendere le risorse necessarie per soddisfare le responsabilità di difesa identificate. In base alla minaccia esistenziale identificata, l'obbligo di spesa potrebbe essere superiore al 2%. Sarebbe sempre una spesa mirata contro una minaccia esistenziale certa e condivisa.
La Nato vista da Trump (e dagli americani)

Attualmente gli Stati Uniti mantengono una forza permanente di 32 mila soldati in Germania. Il punto non riguarda soltanto le forze Nato schierate in Europa (irrilevanti senza gli Usa), ma sul costo qualora scoppiasse un conflitto con la Russia (che non ci sarà). Il burden sharing, cioè l’equa divisione degli oneri tra gli alleati sarà uno dei temi principali affrontati a Bruxelles. Il costo di una guerra convenzionale in Europa sarebbe immenso (concetto ampio). Il costo di una guerra nucleare inimmaginabile poiché le testate termonucleari russe colpirebbero con certezza assoluta le citta americane. Durante la Guerra Fredda, gli Stati Uniti riconobbero ad accettarono il costo dell’enorme sistema militare allestito in Europa, pronto ad ammortizzare l’invasione dell’Unione Sovietica. Dopo la fine della guerra fredda, gli alleati diedero per scontato che gli Stati Uniti mantenessero i medesimi impegni strategici. Oggi gli USA si ritrovano ad affrontare altre regioni prioritarie, in particolare nel Pacifico occidentale. L'opinione pubblica americana si aspetta che i paesi ricchi dell'Europa si difendano da soli, con Stati Uniti in ruolo di supporto strategico in base alle necessità.

Nella Dottrina Trump (una Dottrina Nixon 2.0) il futuro impegno degli Stati Uniti ai sensi dell'articolo 5 è subordinato alla performance europea. Tali capacità fornite dagli Stati Uniti dovrebbero essere specificamente adattate per rafforzare i piani della Nato. Secondo la nuova divisione globale delle responsabilità, gli stati europei si concentrerebbero sulla minaccia meridionale. Per affrontare la minaccia russa nell'Europa nordorientale, gli Stati Uniti dovrebbero guidare e sviluppare i requisiti per le forze in grado di scoraggiare e, se necessario, sconfiggere l'aggressione russa irregolare e convenzionale. Per Trump e gli americani i membri della Nato in Europa sono pienamente in grado di provvedere alla propria difesa.

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/nat ... 51968.html



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 Oggetto del messaggio: Re: Mr. President Trump
MessaggioInviato: 17/07/2018, 21:44 
ma vi pare normale una cosa del genere sul territorio americano? questa immagine campeggia sull'entrata di una galleria d'arte a portland in america, trump con coltello sulla gola. qui dovrebbe intervenire subito l'fbi e arrestare il titolare e chi fa il disegno. o sono troppo permissivi in america a causa di emendamenti e pistolinate varie o non so.
pensate su un disegno così ma fosse uscito ai tempi con obama, sapete che casino sarebbe successo?

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 Oggetto del messaggio: Re: Mr. President Trump
MessaggioInviato: 18/07/2018, 00:16 
Pensa se al posto di trump ci fosse la boldrini e fosse fatto in italia... husduhdssduhsduhsdahudasu lo farei giusto per il gusto di vedere le maglietterosse e savianomerda vari svalvolare alla grande.



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 Oggetto del messaggio: Re: Mr. President Trump
MessaggioInviato: 19/07/2018, 16:32 
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Dopo il summit di Helsinki con Vladimir Putin, Donald Trump è stato accusato da più parti di aver ceduto di fronte al presidente russo. “Traditore” è stato uno degli epiteti più feroci rivolte da una parte rilevante della politica americana. Condannato da un tribunale bipartisan di democratici e repubblicani per avere (dicono) fatto apparire Putin come il vero vincitore dell’incontro nella capitale finlandese.

Nella maggior parte dei casi, l’idea dei suoi detrattori è che il presidente degli Stati Uniti abbia sostanzialmente avallato le idee di Mosca senza difendere una strategia pluridecennale di Washington. Prima ha detto che l’incontro con Putin sarebbe stato più facile rispetto al summit di Nato, di fatto sganciando gli storici alleati europei in favore del nemico esistenziale dell’Alleanza. Poi ha confermato la linea del Cremlino sulle ingerenze russe nelle elezioni americane, bollandole come fake. Infine, a detta di molti osservatori, ha impostato un dialogo troppo supino nei confronti del presidente russo, come se fosse Putin l’unico leader del summit.

Di qui l’accusa di aver tradito l’America. Ma la domanda da porsi è un’altra: che cos’è il tradimento? Ci rifacciamo alla definizione dell’enciclopedia Treccani: “L’atto e il fatto di venire meno a un dovere o a un impegno morale o giuridico di fedeltà e di lealtà”. Venir meno a un dovere e a un impegno di lealtà o di fedeltà. Ma, in questo caso, Donald Trump quale impegno di fedeltà ha negato? E, soprattutto, con chi aveva contratto questo dovere solenne?

L’incontro di Helsinki è solo un incontro. Non è stato certo un vertice in cui è stato siglato qualcosa di estremamente rilevante. Parliamo di un faccia a faccia che entrambi i leader volevano, in particolare quello americano. E in questo gesto, Trump non ha tradito nessuno. Come non ha tradito mostrandosi empaticamente legato al suo interlocutore. Certo, lo si può accusare di essere apparso eccessivamente accondiscendente. Ma dov’è il dovere di lealtà leso, quando si sta discutendo per promuovere la pace fra due superpotenze che decidono la vita di milioni di persone dalla Siria, all’Ucraina allo Yemen?

Trump non ha firmato alcuna resa, seppur in alcuni frangenti abbia pagato la sua scarsa preparazione diplomatica. Ha cercato di trovare una soluzione a problemi atavici. Ha sperato, forse in maniera del tutto utopistica, di trovare una definizione a un rapporto, quello fra Mosca e Washington, che sembra che nessuno abbia interesse a rendere positivo.

Ecco, semmai in questo Trump è un traditore: ha tradito coloro che, dal Deep State, non volevano che lui e Putin si incontrassero. Ma un apparato burocratico complesso e articolato come quello dello Stato profondo americano non rappresenta gli Stati Uniti d’America. Ne rappresenta soltanto un segmento, fondamentale e per certi versi anche pericoloso, di un Paese molto più variegato.

Del resto Trump è stato eletto senza mai aver negato di voler rapportarsi in maniera diversa con la Russia. Quel popolo, che lo ha condotto alla Casa Bianca, non era stato convinto dalla linea dura di Hillary Clinton e di Barack Obama ma da quella linea eccentrica, ma in fondo morbida, del tycoon.

Trump ha tradito il Deep State, non ha tradito l’America. Ha tradito chi sostiene da sempre un filone di indagine fallace come il Russiagate e che ha voluto da sempre colpire l’idea che Casa Bianca e Cremlino potessero dialogare. Che non significa abbandonare le divergenze, ma significa che due potenze nucleari in grado di decidere il destino del mondo, non si vadano a scontrare in maniera ineluttabile. Tra il ritorno alla Guerra Fredda e un dialogo sincero e fuori gli schemi fra Putin e Trump, è difficile credere che sia preferibile la prima opzione.

Questo non significa che Washington debba cedere a Mosca. Significa però che il mondo potrebbe ottenere un qualcosa di positivo da un presidente che ha deciso di cambiare la politica estera Usa basandosi su logiche diverse, scardinate dal Secondo Novecento. Può non piacere, ma non ha tradito. Ha fatto, ancora una volta, i suoi interessi. E forse oggi, gli Stati Uniti, non hanno realmente interesse a fare la guerra alla Russia. I suoi nemici sono altri. E adesso bisogna capire come si tradurrà questo “tradimento” nella scelta dei nuovi avversari e dei nuovi alleati.

http://www.occhidellaguerra.it/trump-traditore-russia/



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 Oggetto del messaggio: Re: Mr. President Trump
MessaggioInviato: 20/07/2018, 11:17 
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L’ascesa dei leader sta cambiando il mondo. Siamo entrati in una nuova fase della politica internazionale dove l’ordine è stabilito non da norme superiori o dalla ricerca del consenso, ma dalla capacità dei capi di Stato e di governo di rapportarsi con gli altri e di imporre la propria linea.

Per anni siamo stati abituati all’idea che il mondo vivesse una sorta di nuovo ordine basato su una struttura legale e politica più o meno comune e accettata. Ma oggi siamo di fronte a un ribaltamento di questi presupposti. La politica si fonda su approcci diversi, diretti. Come se la diplomazia e gli apparati burocratici fossero diventati nel tempo obsoleti o inutili. Non c’è più una struttura, un framework su cui adeguare le proprie politiche. Tutto è rimesso alla volontà di un leader.

Per esprimere una posizione, si parla direttamente con il leader dell’altro Paese, avversario o alleato, senza passare per i gangli della diplomazia. Se si vuole inviare un segnale, si bombarda una base o si muovono missili e truppe. Il diritto internazionale è diventato un ordinamento privo di qualsiasi legittimazione politica. La realtà, in definitiva, stra cambiando. E questa transizione genera opportunità ma anche rischi.
L’inizio di un nuovo ordine mondiale

Il Novecento aveva lasciato in eredità al mondo una sorta di sistema che prevedeva norme superiori a cui i governi dovevano adeguarsi. Chi non faceva parte di questo ordinamento o non voleva accettarlo, era immediatamente escluso dal consesso internazionale oppure diventava oggetti di “punizioni” da parte delle altre potenze, soprattutto dell’Occidente. Ma si dava quantomeno l’apparenza che il mondo agisse in base a regole internazionali.

L’intensificazione di una politica più dura fra le potenze, basata sull’interesse nazionale e sull’interazione diretta fra leader che molto spesso sono privi di solide basi politiche e diplomatiche, comporta che l’ordine internazionale ne sia profondamente scosso.

Gli Stati Uniti sono un esempio perfetto di questo cambiamento. Prima, applicavano la loro politica estera basandosi su una sorta di legittimazione internazionale. Le guerre nascevano da necessità fondate sul diritto internazionale leso, sul terrorismo, su crimini di guerra. Era quell’idea di “gendarmi del mondo”, in cui tutto era fatto in funzione di uno scopo politico, ma si creava un sistema per cui esisteva alla fine un consenso internazionale a una certa campagna militare.

Adesso, la politica trumpiana ha rivoluzionato questo sistema. Oggi la Casa Bianca ha voluto destabilizzare questo apparato creando un sistema per cui se c’è un problema, o lo si risolve in maniera positiva rovesciando gli schemi, o si va allo scontro. L’interesse nazionale prevale su quello collettivo e nessuno ha più la voglia di mostrare l’America come potenza benefica.

Questo nuovo ordine basato sui rapporti più personali che nazionali comporta opportunità, ma anche notevoli rischi. Perché è vero che i leader possono rimuovere le ipocrisie di sistemi ormai obsoleti. Ma dall’altro lato si è entrati in un’era potenzialmente caotica. Se tutti gli Stati, dal più grande al più piccolo, iniziano a esprimere leader che superano barriere legali e di forma, si entra in una situazione difficile da gestire.

Perché le superpotenze possono dialogare da pari a pari e conoscono i rischi dello scontro. Ma potenze emergenti o Stati piccoli potrebbero anche utilizzare questo nuovo ordine per muoversi in direzioni che solo l’ordinamento internazionale può fermare. E senza un diritto o una regola comune, a doverli fermare saranno le superpotenze e i loro leader. E non tutti vorranno la pace.
Il rapporto fra leader ed establishment

Il cambiamento dei parametri su cui si basa la diplomazia corre in parallelo anche con un mutamento del rapporto fra leader ed establishment. Gli apparati sono sempre meno importanti, perché conta la figura carismatica di chi viene eletto. Questo vale in tutti i Paesi occidentali ma non solo. Viviamo un’epoca profondamente leaderistica in cui le burocrazie cedono il passo di fronte a scelte autonome dei propri rappresentanti. O almeno così si crede.

L’incontro fra Trump e Vladimir Putin rappresenta l’apice di questo cambiamento. Due leader forti che esprimono un’idea molto alta di se stessi che si incontrano per parlare a quattrocchi di ciò che divide i rispetti Paesi. Con un presidente, Trump, inviso a buona parte dell Stato profondo americano. E martellato da una tremenda campagna mediatica semplicemente perché desideroso di incontrare il capo del Cremlino. Un incontro in cui sembrano essere venute meno non solo le forme della diplomazia, ma anche e soprattutto le idee degli apparati.

Questo non significa che esista per forza uno scontro. Ma la personalizzazione della politica degli Stati comporta inevitabilmente o uno scontro con l’establishment, che di solito nasce dall’ascesa dei movimenti cosiddetti populisti, oppure una forte saldatura fra leader e classe dirigente, creando un blocco unico. C’è chi cerca di farlo attraverso le maniere forti, per esempio come Recep Tayyip Erdogan dopo il fallito golpe. C’è anche chi lo ottiene attraverso una forte alleanza con media e poteri forti, come Emmanuel Macron. Oppure c’è chi rappresenta il frutto di un sistema consolidato come la Cina di Xi Jinping.

Il rapporto resta comunque difficile. E l’equilibrio, in questo caso, è molto labile. Perché il rischio di far credere che un uomo rappresenti uno Stato, è elevato. Ma è del tutto evidente che il passato ha generato anche dei mostri. Quindi la precarietà del nuovo sistema non è detto che sia peggiore di quella precedente. La saldatura fra Deep State a Casa Bianca ha condotto a disastri geopolitici immani, a iniziare dalla guerra in Afghanistan, Iraq e dalle Primavere arabe. La nuova Guerra Fredda tra Russia e Stati Uniti deriva in buona sostanza da logiche con cui vivono Pentagono e grandi apparati politici americani.

http://www.occhidellaguerra.it/nuovo-ordine-leader/



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 Oggetto del messaggio: Re: Mr. President Trump
MessaggioInviato: 20/07/2018, 19:48 
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Donald Trump non vuole il Montenegro nella Nato. È questa l’ultima novità dello scontro fra la Casa Bianca e l’Alleanza atlantica. Un annuncio arrivato durante un’intervista a Fox News in cui il presidente degli Stati Uniti ha detto testualmente: “Il Montenegro è un paese minuscolo con gente molto forte, molto aggressiva. Potrebbero diventare aggressivi e improvvisamente… congratulazioni! Ti ritrovi nella Terza guerra mondiale“.
Cresce la tensione con la Nato

Parole non certo concilianti con il governo del Montenegro. Ma che pesano soprattutto come un macigno sui già tesi rapporti fra l’amministrazione Trump e la Nato, che da prima del summit di Bruxelles sta barcollando di fronte alle durissime dichiarazioni del presidente americano. Dopo la richiesta di raddoppiare il tetto di spesa al 4%, le frasi sulla facilità del dialogo con Vladimir Putin rispetto a quello con i partner Nato e dopo l’ipotesi, paventata da qualcuno, di una clamorosa uscita di Washington dall’Alleanza, adesso arriva anche il j’accuse di The Donald alla politica di allargamento a Est.

Da un punto di vista formale, il presidente Usa potrebbe anche essere caduto in errore. Questo perché l’intervista faceva riferimento al fatto che l’opinione pubblica americana accetterebbe con fatica l’idea di difendere un Paese così piccolo, lontano e assolutamente slegato dalle logiche Usa. Ma Trump ha parlato di un Paese “aggressivo”, e questo non comporterebbe alcun obbligo di partecipazione da parte di Washington. Il Trattato parla di reciproca difesa se un Paese subisce un attacco da una forza esterna: non vale in caso di offesa.
Il Montenegro come metafora

Tuttavia il concetto espresso da Trump apre a interpretazioni molto più ampie. E l’ingresso del Montenegro è solo una metafora. Specialmente dopo il vertice di Helsinki. La Russia non ha mai nascosto il fatto di considerare l’allargamento a Est della Nato una minaccia alla propria sicurezza nazionale. Il Montenegro è ritenuto uno degli ultimi tasselli del mosaico balcanico per l’Alleanza. E Mosca non ha alcun desiderio di vedere l’Europa tingersi di blu, specialmente in quei Paesi dove c’è sempre stato un legame dai tempi dell’Unione sovietica.

Trump è apparso abbastanza chiaro su questo punto. Per lui, la Russia in sé non è una minaccia. Con la sua amministrazione, la Casa Bianca sembra voler invertire quella politica di nuova Guerra Fredda intrapresa ai tempi di Barack Obama ma sopratutto della segreteria di Hillary Clinton. E il nuovo presidente Usa appartiene a quel mondo conservatore di vecchia scuola che considera l’eccessiva espansione della strategia americana come un problema. Secondo il tycoon, gli interessi americani sono altrove: non nei Balcani. La Guerra Fredda, per Trump, è finita. E l’ha ribadito anche Putin in conferenza stampa.
Un triplice messaggio

In questo senso, il suo è un triplice messaggio: alla Nato, alla Russia e al suo elettorato. Al primo destinatario, l’Alleanza atlantica, il presidente degli Stati Uniti ha lanciato un messaggio chiaro: bisogna evitare di irritare ulteriormente la Russia innescando reazioni a catena da parte del Cremlino.

Una sconfessione della politica dell’allargamento a Oriente ma anche della stessa obbligatorietà dell’articolo 5, quello sulla difesa reciproca, in caso di guerre contro Paesi che per gli Stati Uniti sono lontani, incapaci di contribuire all’alleanza e soprattutto incapaci di far trarre benefici all’America.

Ma sotto questo profilo, la Nato sembra aver trovato di nuovo il modo per sganciarsi dall’amministrazione americana. E forse è proprio dalle ultime notizie arrivate dall’Alleanza, che sono scaturite le frasi di Trump sui Balcani. Jens Stoltenberg ha infatti annunciato che la Georgia sarà prossimo membro dell’Alleanza. Annuncio che ha già provocato la dura reazione di Putin.

Il secondo messaggio è invece rivolto alla Russia. Dopo il vertice di Helsinki, Trump ha ribadito la sua volontà di cooperare con il Cremlino. E questo è un segnale importantissimo che, se unito all’annuncio dell’invito di Putin alla Casa Bianca, dimostra come il rapporto fra i due leader si sia consolidato nonostante le feroci critiche dei media e politici Usa alle aperture di Trump durante il summit.

Un segnale tangibile di cooperazione che però nasconde un effetto negativo per i governi balcanici che non vogliono essere oggetto di scambio. Le due superpotenze si stanno di nuovo spartendo l’Europa? Se sì, l’Europa orientale soffre dalla caduta dell’Urss di una forte difficoltà a relazionarsi in maniera positiva con Mosca. E le promesse di entrare nell’Occidente hanno molta più presa rispetto a quella di essere di nuovo parte di un’orbita più o meno russa.
Rinsaldare un patto elettorale

Il terzo messaggio, quello rivolto alla sua stessa opinione pubblica, è altrettanto importante. Come ribadito più volte, The Donald ha come obiettivo quello di discostarsi completamente dalla politica del suo predecessore. E la contrarietà all’avanzata a Est della Nato e il ritorno a un’America meno interessata a all’Europa rientrano in questa politica.

Ma questa volontà di mostrarsi così diverso ha anche un’altra motivazione, quella di andare dritto al cuore del suo elettorato colpendo uno dei nervi scoperti: le guerre. L’America cui si è rivolto Trump è un Paese profondamente nazionalista ma contrario a guerre lontane in cui sono morti migliaia di soldati. E quella parte di Stati Uniti è molto rilevante nel suo elettorato.

Per Trump valgono solo i Paesi che considera davvero suoi alleati: il resto sono Stati che non ritiene doveroso difendere. È la fine di un’era? Questo non si può dire: ma sicuramente è in atto un profondo cambiamento dei parametri della politica estera Usa. Vedremo se Trump sarà di parola ma soprattutto se durerà tanto a lungo da confermare questa nuova strategia. Al Pentagono non sembrano essere sulla stessa linea, come dimostrato dalle pubblicazioni sul futuro dei conflitti di Washington.

http://www.occhidellaguerra.it/trump-nato-montenegro/



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 Oggetto del messaggio: Re: Mr. President Trump
MessaggioInviato: 21/07/2018, 19:15 
ho letto di un membro dei cosidetti antifa americani (che poi antifascisti? dove sono i fascisti in usa?), è stato beccato con armi, silenziatori e esplosivi. questi ormai sono stati avviati dai dem e dall'elite, la vedo brutta da quelle parti.


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 Oggetto del messaggio: Re: Mr. President Trump
MessaggioInviato: 27/07/2018, 19:10 
DEM: ridicoli dappertutto!



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I democratici statunitensi sono alla disperata ricerca di un leader in grado di battere Donald Trump. A preoccupare sono sì le elezioni di medio termine, ma anche e soprattutto le presidenziali del 2020.

Il modello clintoniano è fallito. Il rischio che i repubblicani finiscano per vincere entrambe le prossime competizioni elettorali è tangibile. Negli States si dice che i neoliberal abbiano chiesto a Barack Obama di mettersi a disposizione per analizzare ogni possibile candidato alla Casa Bianca. L’ex presidente starebbe ricevendo i potenziali avversari del Tycoon presso il suo studio personale. Come se le valutazioni della base militante non bastassero più. Come se servisse un guru in grado d’indicare una strada percorribile per uscire dal pantano.

Il New York Times, nel frattempo che Obama coordina i colloqui per il futuro, ha analizzato le provenienze correntizie di coloro che si presenteranno agli elettori in autunno, quando i cittadini americani saranno chiamati a rinnovare parte del Senato, parte della Camera e parte delle amministrazioni e dei governatori statali. Ebbene: la grande maggioranza dei trecentocinque candidati dem continua a far riferimento alle aree tradizionali del partito guidato, almeno per ora, da Joe Biden. L’ex vice di Obama, però, è considerato da alcuni commentatori parte di un mondo politico datato e non capace di provocare quella scossa necessaria alla risalita.

Non c’è traccia di un cambiamento radicale. Tranne, si intende, per il ‘caso’ di Alexandria Ocasio Cortez, che è stata in grado di trionfare alle primarie contro Joe Cowley nel distretto del Bronx. Quasi nessuno, a dire il vero, se lo sarebbe aspettato. Ma la ventottenne dem ha sbaragliato la concorrenza dell’establishment ottenendo la candidatura per il Senato. I neoliberal, dal momento successivo alla pubblicazione dei risultati, hanno iniziato a strapparsi le vesti: la Cortez è già stata insignita del ruolo di anti-Trump. Un compito complesso per un’attivista alla prima esperienza.

Quello che non le manca è il sostegno di Bernie Sanders, per il quale Alexandria Ocasio Cortez ha lavorato durante le scorsa campagna elettorale. Bernie ha il problema di Biden: per quanto la sua visione del mondo sia considerata più spendibile rispetto alle pressanti richieste della working class, rimane un uomo politico di una certa età. Niente a che vedere con la

I democrat socialists, invece, sono una corrente piuttosto giovane. Bernie li sta guidando dall’alto, mentre esponenti nuovi tentano la scalata ai piani alti del partito. Abdul El Sayes ha trentatré anni e potrebbe divenire il primo presidente musulmano di uno stato americano: è candidato al governatorato del Michigan; Brent Welder, anch’esso sostenuto dal duo Sanders – Cortez, ha optato per un motto obamiamo: “Yes we Kansas”, ma rimane un’espressione dell’ala socialista; Ben Jealous è il capo della Lega nazionale per il progresso delle persone di colore e ha strappato la candidatura per il governatorato del Maryland. Anche da questi nominativi passa il destino politico degli ‘orfani’ di Hillary Clinton.

Sì, perché se i socialisti dovessero spuntarla nelle singole competizioni che li vedono protagonisti, allora Sanders potrebbe presentarsi davanti ai vertici dell’asinello con un pacchetto sostanzioso e un’argomentazione poco smentibile: per battere Trump serve un ritorno al socialismo reale. La Cortez, come notato dal Corriere della Sera, potrebbe essere il volto giovane da lanciare in ticket con l’esperto senatore del Vermont. Biden e Sanders, almeno per ora, restano i due nomi più citati dagli ambienti democratici come futuri candidati alla presidenza. “Selezioni” di Obama permettendo, s’intende. In caso di Sanders contro Biden, popolo versus élite diventerebbe anche il leitmotive delle primarie democratiche.

http://www.occhidellaguerra.it/tornare- ... a-dei-dem/



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 Oggetto del messaggio: Re: Mr. President Trump
MessaggioInviato: 27/07/2018, 19:16 
"Abdul El Sayes ha trentatré anni e potrebbe divenire il primo presidente musulmano di uno stato americano"!

AHAHAHAHAHAH! AUGURI! :D



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 Oggetto del messaggio: Re: Mr. President Trump
MessaggioInviato: 27/07/2018, 19:21 
... zzi amari! [}:)] [:306]



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 Oggetto del messaggio: Re: Mr. President Trump
MessaggioInviato: 04/08/2018, 13:04 
[:D] [:264] [:306]


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Ops! A quanto pare, agli americani piace Trump. Gli piace almeno quanto gli piaceva Obama, se non di più. Negli ultimi mesi il suo indice di gradimento si è attestato intorno al 45%. Più in particolare, il 50% secondo i sondaggi l’istituto Rasmussen, il 46% per quelli di Fox Tv, il 45% nella rilevazione NBC Nws/Wall Street Journal, il 43,5% per Real Clear Politics. Un anno e mezzo dopo l’ingresso alla Casa Bianca, Barack Obama raccoglieva il 45% dei consensi. Non male per il presidente che la cosiddetta “informazione di qualità” ha via via trattato (e continua a trattare) come una specie di minorato mentale eroinomane e schiavo dei russi.

D’altra parte, se voi foste americani, di che cosa potreste lamentarvi? L’Impero, con Donald Trump, colpisce ancora e colpisce duro. Il deficit commerciale degli Usa fa il nuovo record nel 2017, toccando quota 566 miliardi di dollari? E lui scatena la guerra commerciale con la Cina, mette in riga l’Unione europea con un paio di dazi, bastona Messico (sede privilegiata delle delocalizzazioni delle aziende Usa, con perdita di milioni di posti di lavoro) e Canada mandando a monte il trattato commerciale Nafta, fa approvare una riforma fiscale di stampo protezionista che riduce le tasse ai più benestanti e nello stesso tempo penalizza le attività delle imprese straniere.

Risultato? No, non il disastro da tanti preannunciato. La crescita è in rapida ascesa: più 4% nel secondo trimestre del 2018, con qualcuno che si spinge a ipotizzare uno strabiliante 5% sull’anno. Il reddito medio delle famiglie è passato dai 59.471 dollari del gennaio 2017 ai 61.483 del maggio scorso. La disoccupazione è ai minimi, 4%, mai stata così bassa negli ultimi vent’anni. Nel 2017 i tre principali indici di Wall Street hanno stracciato tutti i record (Dow Jones più 25%, Nasdaq più 28,2% e S&P 500 più 19,42%). In generale, l’umore di contribuenti e consumatori è sul bello stabile, come mostra la ricerca della Quinnipiac University pubblicata dal Washington Times: nel 2016, prima della sfida tra la Clinton e Trump, solo 3 americani su 10 giudicavano l’economia del Paese in “buone” o “ottime” condizioni, oggi sono 7 su 10.

Certo, ci sono i bambini separati dai genitori alla frontiera con il Messico. Ed è uscito fuori che nel 2006 Trump ha avuto un rapporto sessuale con tale pornostar Stormy Daniels, e che poi l’ha pagata perché stesse zitta, cosa ovviamente non avvenuta. Ma secondo voi un operaio dell’Ohio che ha ritrovato il posto di lavoro si fa impressionare da questo? Tanto più che Trump, dal cuore dell’Impero, si è mosso con una certa astuzia anche all’estero. Un giorno sì e uno no promette guerra a qualcuno, cosa che gli americani adorano. Ha colpito la Siria a casaccio, ma vedere i caccia che volano e i missili che cadono fa sempre impressione. Ha minacciato la distruzione totale della Corea del Nord e poi ha fatto la pace con Kim Jong-un. Adesso tocca all’Iran, con le sanzioni e chissà che altro. Trump dà soddisfazione all’America che ama menare le mani. E con le mosse in Israele (Gerusalemme riconosciuta come capitale dello Stato) ha recuperato gran parte del sostegno che la comunità ebraica americana (circa 6 milioni di persone) tradizionalmente riservava al Partito democratico.

In questo quadro, ci si avvia verso le elezioni di medio termine, che a novembre rinnoveranno l’intera Camera dei Deputati e un terzo del Senato. Fino a qualche settimana fa tutti erano convinti che i Repubblicani avrebbero perso la maggioranza al Congresso e che Trump sarebbe stato trasformato nella classica “anatra zoppa”, un presidente impossibilitato a veder trasformati in legge i propri progetti. Adesso gli anti-Trump sono meno ottimisti, perché tutto sembra dar loro addosso. Facciamo quindi una previsione: in settembre e ottobre lo stendardo del Russiagate sarà agitato a più non posso. Si accettano scommesse.

http://www.occhidellaguerra.it/gradimento-trump-usa/



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 Oggetto del messaggio: Re: Mr. President Trump
MessaggioInviato: 05/08/2018, 20:27 
[:D]


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 Oggetto del messaggio: Re: Mr. President Trump
MessaggioInviato: 27/09/2018, 19:03 
cioè
ho letto nei giorni scorsi la storia..
una donna sarebbe stata molestata decenni fa
al liceo a una festa..
dall'attuale candidato alla corte suprema
un pò brillo e forse mezzo ubriaco..
praticamente la storia del 90% degli studenti americani..
prove?
nessuna..
ridicolo..


https://www.corriere.it/esteri/18_sette ... f951.shtml

Kavanaugh, parla l’accusatrice Ford: «Ha provato a violentarmi, pensavo mi uccidesse»
E’ iniziata l’audizione al Senato di Christine Blasey Ford, mentre continuano ad emergere denunce: un’altra donna dichiara che in gioventù il giudice la assalì ubriaco su uno yacht. Trump non esclude di “cambiare idea “ sulla nomina per la Corte Suprema

addirttura rincara la dose,
cioè la balla..
pensava che l'infoiato teenager la uccidesse!
ma chi è?
jack lo squartatore??
roba da manicomio..


«Brett mi ha palpeggiata e ha provato a togliermi i vestiti, era ubriaco e ho creduto mi avrebbe violentata». Christine Blasey Ford, davanti alla commissione Giustizia del Senato, ha raccontato giovedì — con la voce rotta dall’emozione — la violenza di quella notte, a un party di liceali, nel 1982, alla periferia benestante di Washington, in cui — è la sua accusa — il giudice Brett Kavanaugh, indicato dal presidente Usa, Donald Trump alla Corte Suprema, tentò di violentarla. «Provai a gridare per chiedere aiuto», ha continuato, «ma quando lo feci, Brett mi tappo’ la bocca con una mano per impedirmi di urlare». «Questo mi ha terrorizzata più di tutto ed è stato l’impatto più duraturo sulla mia vita», è andata avanti la donna con la voce rotta. «Era difficile per me respirare e ho pensato che Brett mi avrebbe accidentalmente uccisa». «Non ricordo tutto quello che vorrei. Ma i ricordi di quella sera che mi portano qui oggi non li dimenticherò mai: sono scolpiti nella memoria e mi hanno ossessionata in diversi momenti della mia vita».

cioè le hanno toccato le tette
a un party di liceali,
traumatizzata a vita!

salta fuori adesso,
dopo 40 anni..

tu guarda il caso..
io a codesta la querelerei..

non sanno più cosa inventarsi..



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https://roma.corriere.it/notizie/politi ... 0b7e.shtml
Conte ripercorre le tappe della crisi: «Vorrei ricordare che con la parlamentarizzazione della crisi la Lega ha poi formalmente ritirato la mozione di sfiducia, ha dimostrato di voler proseguire, sono stato io che ho detto “assolutamente no”perché per me quell’esperienza politica era chiusa».


http://www.lefigaro.fr/international/mi ... e-20190923
il stipule que les États membres qui souscrivent à ce dispositif de relocalisation des personnes débarquées en Italie et à Malte s’engagent pour une durée limitée à six mois - éventuellement renouvelable. Le mécanisme de répartition serait ainsi révocable à tout moment au cas où l’afflux de migrants vers les ports d’Italie et de Malte devait s’emballer.
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