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Grigio
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 Oggetto del messaggio: Beitar Gerusalemme, la tifoseria più razzista al mondo
MessaggioInviato: 02/02/2017, 20:38 
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Quando il 6 novembre 1986 nacque a Šali, cittadina russa appartenente alla Repubblica Autonoma della Cecenia, Zaur Sadayev non poteva certo immaginare che il suo nome sarebbe stato per sempre legato a doppio nodo ad una delle storie più tristi della storia del calcio: quel calcio di cui lui s’innamorò fin da piccolo come tanti bambini nel mondo e che lo portò nel 2006, a fare il suo esordio nella prima squadra del Terek Groznyi nella quale aveva giocato tutte le trafile delle giovanili.

Nel gennaio 2013 fu proprio una partita amichevole tra il Terek e il Beitar a segnare l’inizio della grottesca vicenda.

Il Beitar Gerusalemme è da sempre riconosciuto come un club “politicamente schierato”.

Fondato, nel 1936, come espressione sportiva del movimento nazionalista israeliano, e più in particolare del Partito revisionista sionista, non ha mai nascosto tutta la propria indole violenta.
Tutt’oggi non è insolito udire dagli spalti cori inneggianti apertamente al razzismo, in particolare in funzione anti – araba e anti – palestinese.

Il punto di svolta moderno per il mondo Beitar è il 2005, quando venne fondata La Familia, che tutt’oggi è uno dei rari casi in cui un gruppo ultras è ufficialmente riconosciuto dal proprio club, che non solo lo giustifica, ma addirittura lo finanzia.

Nonostante La Familia sia nota come gruppo violento e con comportamenti xenofobi, non è raro trovare comodamente seduti tra di loro, esponenti politici israeliani, come nel caso di Miri Regev, il ministro della Cultura e dello Sport.

Nello stesso anno, il 2005, il club fu acquistato dall’oligarca russo di origini israeliane Arcadi Gaydamak, noto trafficante d’armi nonché sodale del controverso presidente ceceno Kadyrov, accusato di tortura e violazione dei diritti umani.

In questo clima così teso fu dunque organizzata l’amichevole tra Terek e Beitar.
Il Beitar tornò da Groznyi con due nuovi acquisti: Kadiyev e, appunto, Sadayev.
Agli occhi di molti questo parve un gesto politico indispensabile per giustificare la strana relazione tra i due club.

Cosa scatenò lo scandalo?
I due ceceni appena acquistati erano di religione musulmana e, quindi, intollerabili dalla tifoseria del Beitar.

Sputi, insulti e cori sulla purezza razziale del Beitar, accoglievano i due giocatori ad ogni allenamento, tanto da costringerli ad una stretta sorveglianza con scorta e protezione a vista 24 ore al giorno.
Tutto per ripararsi dalla violenza dei loro stessi tifosi.

Un clima del genere spinse la maggior parte dei veri appassionati di calcio, ad iniziare ad abbandonare lo stadio sia per dissociazione nei confronti de La Familia, sia per vera e propria paura di coinvolgimento.

La vita di Sadayev prosegue dunque nella più totale incertezza per un ragazzo che, come tanti altri, aveva solo realizzato il suo sogno e aveva fatto della sua passione per quello sport, la sua vita.

Il 3 marzo del 2013 divenne un po’ il simbolo, la bandiera, di quella che la sua carriera offrirà al mondo intero.

Solo pochi giorni prima, dopo il processo per alcuni tifosi arrestati per l’esposizione di uno striscione sulla purezza della razza ebraica, e la conseguente condanna, venne incendiata la sede del club, causando gravi danni e bruciando documenti, vecchie maglie, gagliardetti e memorabilia varia.

Quel 3 marzo, Sadayev, segnò il suo primo ed uno gol con la maglia del Beitar Gerusalemme.

Segnare un gol. Il “lavoro” di ogni attaccante, non fu mai così terribile e inappropriato.

Non corse ad esultare sotto la curva dei suoi tifosi, perché essi iniziarono a fischiarlo.

Mentre una parte, civile e civilizzata, dello stadio acclamava a quel momento di gioia sportiva, gli ultras del Beitar iniziarono ad abbandonare la curva, uscendo dallo stadio in segno di protesta verso quel giocatore impuro, tanto da non meritare applausi e riconoscenza.

Sadayev, con il suo compagno in questa triste avventura Kadiyev, fecero ritorno in Cecenia quattro mesi dopo, vista l’impossibilità di una vita serena e tranquilla.

Tutta la dirigenza, Gaydamak compreso, lasciò il Beitar al termine di quella stagione.

L’ex presidente si consegnò poi alle autorità francesi per scontare una condanna di tre anni e mezzo per traffico illegale d’armi durante la guerra civile in Angola.

Tuttavia il gruppo de La Familia, spinto ed aiutato da i legami con il centrodestra israeliano prima e dagli interessi dell’oligarca poi, è diventata sempre più influente nella gestione del club.

I tifosi abbandonano in massa le gradinate del Teddy Kollek, stadio del Beitar, lasciandolo così in mano a chi ha voluto negli anni fare del calcio e della sua purezza, uno strumento di violenza e affermazione razziale.

Il Beitar è iscritto regolarmente alle competizioni UEFA e scende in campo con la parola “Respect” stampata sulla fascia del capitano.

Questo accade negli anni della lotta al razzismo, negli anni della condanna alle barriere sociali che impediscono di vivere questo gioco tanto amato quanto controverso, per quello che dovrebbe realmente essere: passione, divertimento e godimento puro.

Chissà Sadayev cosa penserà ogni volta che la mente lo riporterà a quel gol tanto cercato quanto maledetto. Chissà se anche noi potremo mai credere ad uno sport pulito e disinteressato, slegato da vincoli sadici come la discriminazione razziale.

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 Oggetto del messaggio: Re: Beitar Gerusalemme, la tifoseria più razzista al mondo
MessaggioInviato: 04/02/2017, 11:05 
A loro tutto è concesso, si sa, con la tecnica "chiagni e fotti" hanno fatto il lavaggio del cervello all'intero Occidente.
Il sionismo ha (ed ha avuto) le mani in pasta ovunque, dalla Rivoluzone francese a quella bolscevica, guerre mondiali, massoneria, controllo sul sistema economico-finanziario, monopolio dell'informazione su scala mondiale... i "Protocolli di Sion" saranno pure un falso, ma qualcuno deve averli usati come canovaccio.


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 Oggetto del messaggio: Re: Beitar Gerusalemme, la tifoseria più razzista al mondo
MessaggioInviato: 04/02/2017, 12:07 
Azz.. con quel "chiagni e fotti", mi sono visto un pezzo d'itaGlia. [:291] [:291] [:291]



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