
Lug 27, 2018
Tra il 26 giugno e il 12 luglio a Pechino si è svolto il primo China-Africa Defense and Security Forum, con la partecipazioni delle massime autorità militari della Repubblica Popolare e dei rappresentanti (ministri e capi di stato maggiore) di 50 Paesi su 54 del continente africano. I dialoghi del forum sono stati incentrati sulla cooperazione in materia di sicurezza tra Cina e Africa, fondamentale per rinforzare una relazione già fortemente sviluppata sotto il profilo economico e commerciale, destinata a amplificarsi ulteriormente con l’espansione della “Nuova via della seta” attraverso l’Africa, come testimoniato dalle recenti adesioni alla Belt and Road Initiative di Paesi come Libia e Senegal.
Puntando a confermare le dichiarazioni pronunciate da Moussa Faki, Presidente ciadiano dell’Unione Africana, che a febbraio ha definito la Cina “il partner più affidabile dell’Africa”, la Repubblica Popolare ha invitato i suoi Paesi a sviluppare le proprie capacità militari ispirandosi al modello di Pechino. Il generale cinese Hu Changming, citato dal filogovernativo China Daily, ha dichiarato che “il miglioramento delle capacità di autodifesa dei Paesi africani garantirà un solido fondamento per lo sviluppo della Bri e di una comunità umana con un futuro condiviso”. La Cina è in Africa per restarci, e i segnali lo si notano già da tempo, tanto che anche per l’Unione Europea appare sempre più difficile fare fronte a questioni quali quella migratoria senza considerare una sinergia con Pechino.
La ramificazione della presenza cinese in Africa
Come ha scritto Giorgio Cuscito su Limes, “negli ultimi trent’anni, la Cina ha approfondito con i governi africani i rapporti economici, politici, culturali e militari, ponendo come precondizioni il riconoscimento dell’esistenza di “Una sola Cina” (la Repubblica Popolare, non Taiwan) e il principio di non ingerenza negli affari di altri paesi.
Per l’Africa, la Repubblica Popolare è il primo partner per interscambio commerciale, investimenti e aiuti allo sviluppo. Qui Pechino è interessata in primo luogo all’approvvigionamento di risorse energetiche, minerarie, alla costruzione di infrastrutture (utili allo smaltimento della sovracapacità industriale) e all’esportazione di prodotti manifatturieri di bassa qualità”. Dall’Etiopia all’Angola, dalla Nigeria al Sudafrica, al netto di problematiche quali il land grabbing, l’Africa sta beneficiando economicamente dell’asse con la Cina, come ha dimostrato uno studio di McKinsey del 2017. Tra i Paesi del continente, solo il piccolo Swaziland, oramai, riconosce Taiwan e non la Repubblica Popolare come legittima detentrice della sovranità sulla Cina.
La Cina amplifica la presenza militare in Africa
Logico che a una presenza tanto ramificata faccia da contraltare un dispositivo di sicurezza volto a tutelare i beni, le persone e gli interessi cinesi in tutta l’Africa e, al contempo, un impegno diffuso per permettere ai governi locali di fare lo stesso. Proprio il piccolo Paese del Gibuti, sito sulle strategiche sponde del Mar Rosso, ospita la prima base militare cinese all’estero, che veglia sui traffici commerciali in uno snodo cruciale per la Bri.
La volontà cinese di supportare le forze armate africane si lega alla forte presenza di Pechino nel peacekeeping a guida Onu nell’intero continente. 2.500 uomini sono già schierati in scenari di crisi come Sud Sudan, Darfur e Mali e danno prova delle loro capacità contribuendo a testare l’hard power cinese ma anche a valorizzare il soft power di Pechino, che così potrà in futuro unire i suoi interessi geopolitici con un notevole miglioramento della sua immagine in tutta l’Africa.
Esperienze come il forum di Pechino vanno nella stessa direzione: per dare fondamento a una retorica che punta sulla cooperazione win-to-win la Cina deve garantire sostanziale inclusività a tutti i suoi progetti. L’iniziativa potrebbe, in futuro, essere replicata tanto in Africa quanto in altri scenari regionali: la strada tracciata dai progetti cinesi è ben delineata, e il governo di Xi Jinping appare determinato a percorrerla sino in fondo.
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