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 Oggetto del messaggio: Re: Elkann/Agnelli quei bravi ragazzi
MessaggioInviato: 19/05/2020, 14:29 
barionu ha scritto:

Topic geniale del nostro grandisssssssssssssimo Art !


che dire ...

agnelli-elkan , stirpe dei SAVOIA ...

juventini ....

LADRI .




zio ot [:305]

Vedi che non siamo poi sempre in disaccordo [;)]



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 Oggetto del messaggio: Re: Elkann/Agnelli quei bravi ragazzi
MessaggioInviato: 20/05/2020, 11:06 
"FIAT VOLUNTAS FIAT!"


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Sul caso Fiat, aiuti di stato e la gestione mediatica della vicenda visto il ruolo ormai monopolistico nell'informazione in Italia dell'azienda con sede fiscale in Olanda per non pagare le tasse in Italia, pubblichiamo due note esemplificative. La prima è del Prof. Santomassimo che smaschera alla perfezione l'ipocrisia della "libera" stampa nostrana. La seconda è di Mauro Gemma sulla privatizzazione delle perdite.


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di Gianpasquale Santomassimo


Come ci ha ampiamente insegnato l'apologetica liberale dell'Ottocento, gli alti guadagni del capitalista sono strettamente giustificati dall'esercizio del rischio di impresa.

In parole povere, il capitalista è tale perché mette i capitali e li rischia. Farseli mettere dallo Stato, come è tradizione della famiglia Agnelli, è un po' troppo facile.

Fra l'altro le cifre sono talmente esorbitanti che a questo punto lo Stato italiano potrebbe investire la stessa cifra nell'esproprio oneroso degli stabilimenti italiani dell'ex-Fiat e nazionalizzarli. Già, ma poi chi la sente la "stampa libera" di questo paese?


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di Mauro Gemma



Quando, per l'ennesima volta, si tratta di pubblicizzare le perdite e privatizzare i profitti, dalla FCA si alza il "grido di dolore" per sollecitare il sostegno dello Stato.

Un ritornello che si ripete da tempi immemorabili.

E, immediatamente, nei giornali padronali, nei media di regime, nei sindacati "gialli" e nei partiti a libro paga, si leva solenne il coro di quelli che, quando ero giovane, venivano descritti come "servi più servi dei servi": "FIAT VOLUNTAS FIAT!" è la parola d'ordine. E guai a chi non ci sta!
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 Oggetto del messaggio: Re: Elkann/Agnelli quei bravi ragazzi
MessaggioInviato: 20/05/2020, 14:42 
Il problema non sono gli Agnelli, ma i BOVINI di italioti ignoranti. PErchè se gli Agnelli chiudono gli stabilimenti per andare a guadagnare di più all'estero con chi credete che se la prenderanno i lavoratori? Con loro? NO. Con lo stato.

Di fatto lo stato è tenuto per le palle e perennemente sotto ricatto. O mi dai quanto vogliono chiudo gli stabilimenti e vado a produrre via e poi i babbei riottosi te li piangi tu.

Che fare? BOICOTTARE!

Ma nemmeno così va bene, se boicotti FIAT produce meno e quindi poi deve chiudere gli stabilimenti e siamo punto ed a capo.

Il problema è il sistema capitalisto e l'idea ormai peregrina che per sopravvivere si debba lavorare altrimenti non si è degni di esistere; questo porta le persone a preferire lo sfruttamento e la morte (vedi caso ILVA di Taranto che è molto simile).

L'unica vera soluzione è obbligare le multinazionali che ESERCITANO in italia ad avere una sede distaccata IN ITALIA e che questa paghi le tasse in italia per quanto prodotto qui. MA è pura utopia.



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 Oggetto del messaggio: Re: Elkann/Agnelli quei bravi ragazzi
MessaggioInviato: 21/05/2020, 06:37 
MaxpoweR ha scritto:
... (vedi caso ILVA di Taranto che è molto simile).


Infatti ArcelorMittal vicinissima alla grande fuga.


Un'articolo qui.


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Fca, il problema non sono i soldi ma lo strapotere delle multinazionali


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di Lidia Undiemi* - Fatto Quotidiano
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Sono anni che si dibatte sulle imprese che hanno sede all’estero, e che in tal modo sfruttano il meglio offerto dai vari paesi, tra cui i sistemi di tassazione agevolata.


Il problema è che siamo sempre al punto di partenza: le imprese ‘cattive’ sfruttano le opportunità offerte dalla globalizzazione. Quindi, di tanto in tanto, ci ricordiamo che esiste il problema sol perché qualche impresa continua, come ha sempre fatto, ad approfittare di questo sistema economico globalizzato.


Una volta esaurito lo spazio di visibilità di alcuni casi concreti, si accetta bene o male che esperti e politici vadano in televisione o rilascino interviste ai giornali su quanto sia bella e conveniente la globalizzazione.


Sono decenni che non ci spostiamo di un centimetro da questo stato di cose. In pratica, siamo sempre alla fase uno: la lamentela e l’accettazione.


Oggi ad accendere gli animi è il caso dell’accesso da parte di Fca Italy alle garanzie dello Stato sui prestiti alle imprese messe a disposizione dal Decreto Liquidità.

Chi si indigna per l’accesso a tale aiuto, da parte della società, sostiene che il gruppo Fca nel suo complesso non ha problemi di liquidità e che Fca Italy, che è una controllata del gruppo con sede a Torino, non necessariamente rappresenti gli interessi italiani, e che è effettivamente difficile comprendere quali dinamiche societarie e finanziarie si celino dietro alla richiesta di prestito, ossia che fine faranno i soldi. Ci si chiede anche se la società sarà effettivamente in grado di restituirli, altrimenti, come al solito, paghiamo noi.


Per contro, coloro che sono favorevoli ripetono il mantra a cui siamo ormai abituati, secondo cui il finanziamento salverà la filiera italiana, perché con questi soldi Fca Italy potrà pagare molti fornitori.


Ribattono così quelli che sono contro il prestito, evidenziando che negli ultimi 10 anni in Piemonte sono andati persi 12mila posti di lavoro nel campo automobilistico, e ciò per un motivo molto semplice: le imprese cercano di trarre il massimo profitto dalle proprie attività, e quindi delocalizzano dove la manodopera costa meno.

Il dibattito si è quindi arenato sulla solita irrisolta questione: perché aiutare chi se ne frega delle sorti dell’economia italiana? Perché rischiare di addossare ai contribuenti le perdite di una società di un gruppo internazionale che non ha problemi di liquidità?


Provocatoriamente direi che è giusto aiutarli, perché dopo decenni di lamentele non abbiamo modificato una virgola delle leggi in vigore che consentono ai gruppi internazionali di sfruttare tutte le opportunità della globalizzazione, mai messa seriamente in discussione dai politici.


Più seriamente direi che bisogna andare molto più a fondo e indagare sull’intricato rapporto tra mercato e leggi di mercato per potere arginare lo strapotere delle multinazionali. Perché il problema non è mica solo il finanziamento, ma anche la delocalizzazione delle lavorazioni in paesi dove la manodopera costa molto meno o dove magari si può inquinare di più. Vi è inoltre il problema dell’uso dei soldi presi in prestito, perché chi ha un minimo di conoscenza del funzionamento dei gruppi d’impresa, sa benissimo che tra le società del gruppo si possono instaurare rapporti di credito e di debito, tale per cui è praticamente impossibile comprendere quanto le perdite di una società controllata dipendano dal mercato o da scelte ben precise della controllante.


Il tema è quindi la regolamentazione normativa dei gruppi di società, nazionali ed internazionali che oggi hanno ampissimi margini di discrezionalità nel posizionare le pedine sulla scacchiera mondiale a proprio favore e a scapito dei paesi ospitanti.


E’ un problema vecchissimo, di cui ho ampiamente discusso nel mio libro Il ricatto dei mercati.


A questo punto, il suggerimento è di aprire un serio dibattito su questi temi.

*Articolo pubblicato il 20 maggio 2020. Lidia Undiemi, studiosa di economia e diritto. Saggista, autrice de "Il Ricatto dei mercati"
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 Oggetto del messaggio: Re: Elkann/Agnelli quei bravi ragazzi
MessaggioInviato: 21/05/2020, 13:30 
La situazione ILVA è stata voluta perchè i MITTAL hanno fatto lo stesso ovunque sono andati; quello che si vede è solo squallido teatrino per far sembrare loro responsabili ma in realtà i responsabili sono coloro i quali gli hanno ceduto l'acciaieria ben sapendo quale fosse la politica industriale.

Ed il punto è sempre quello, le persone pur di lavorare e quindi pensare di contare qualcosa sono disposte a prendersi un bel tumore non solo loro ma anche le loro famiglie, figli compreso, e tutta la loro comunità. mi chiedo a cosa gli serva lavorare se per farlo devono sterminare tutti i propri affetti. La stupidità umana non ha limiti.

Fanno bene le multinazionali a sfruttare i lavoratori, siano stati fatti apposta, e se siamo tanto ******** da berci la favoletta "il lavoro nobilita l'uomo" allora ben venga. Che si nobiliti. Non si può avere tutto. Dopotutto "IL LAVORO RENDE LIBERI" no?

Quando a fare il 90% del lavoro saranno le macchine queste stesse persone sono sicuro che preferiranno suicidarsi pur di non lavorare e saranno loro stessi ad eleggere leader alla bill gates che proporranno riduzioni della popolazione e controlli delle nascite... Tanto il lavoro non c'è che si nasce\vive a fare?



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 Oggetto del messaggio: Re: Elkann/Agnelli quei bravi ragazzi
MessaggioInviato: 22/05/2020, 07:53 
L’ultima truffa Fiat del giovane Elkann


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Il servilismo della politica nei confronti del sistema delle imprese è cosa antica. Specie in Italia, dove per oltre un secolo lo Stato ha fatto da maggiordomo – sia durante la dittatura monarchico-fascista, sia nella democrazia repubblicana – alla principale industria del Paese: la Fiat.

Nonostante l’identità e la struttura di questa multinazionale siano cambiate più volte questo rapporto servile è rimasto intatto.

Al punto che l’erede degli Agnelli al vertice del gruppo, John Elkann, ha avuto la sfrontatezza di chiedere allo Stato di farsi garante per i 6,3 miliardi di prestito che Fca ha chiesto a Banca Intesa.

I media, specie quelli del gruppo Gedi (Repubblica, La Stampa, diversi giornali locali, ecc), di proprietà agnellica, parlano di “prestito”. E mentono.

Qualsiasi persona in questo Paese sa che “garantire” un prestito bancario verso terzi (foss’anche il proprio figlio, per l’acquisto di una casa o un pc) significa essere pronti a restituire quel prestito con i propri soldi. Nel caso di Fca, Banca Intesa non si è sentita certa che quel prestito possa rientrare – con la situazione catastrofica del mercato dell’auto in piena pandemia, è una certezza semmai il contrario – e quindi pretende che qualcun altro “garantisca” per quella somma.

A quel punto il giovane Elkann si è signorilmente girato verso l’anziano maggiordomo dicendo “Ambrogio, ci pensi tu come al solito, vero?”.

Saltiamo a piedi pari la polemichetta politica tra servi e aspiranti servi ed ex servi della Fiat, e vediamo qual’è la situazione.

Fiat/Fca non è più un’azienda italiana, ma una multinazionale italo-statunitense con stabilimenti in tutto il mondo (alcuni anche in Italia), sede legale in Olanda e sede fiscale in Gran Bretagna (sigifica che paga le tasse lì, perché conviene). E’ oltretutto in procinto di fondersi con Psa, industria automobilistica partecipata tra l’altro dallo Stato francese (12%) e dalla cinese Dongfeng (12%).

In vista di queste nozze, oltretutto, mr. Elkann e gli altri componenti del consiglio di amministrazione hanno stabilito maxi-dividendo straordinario da 5,5 miliardi alla holding Exor (la finanziaria “di famiglia”).

Quindi, ricapitolando: il signor Elkann prende dalla società Fca, che dirige, 5,5 miliardi e li dà (o meglio, li darà il prossimo anno, quando si celebreranno le nozze con Psa) ad un’altra società che sempre lui controlla pienamente (una finanziaria olandese). Ma siccome “c’è grossa crisi” sul mercato automobilistico chiede un prestito da 6,3 miliardi a Banca Intesa, garantiti però dallo Stato italiano (il 12% del “decreto rilancio”).

A fare l’imprenditore così siamo buoni tutti, confessiamolo… Se i soldi crescono, me li prendo; se mancano, li chiedo allo Stato…

E’ la stessa logica illustrata, si fa per dire, da Carlo Bonomi nel suo primo discorso da presidente di Confindustria: “Più investimenti pubblici, ma no allo Stato padrone in economia”. Che tradotto significa: “dateci soldi pubblici a noi delle imprese, direttamente a fondo perduto o tramite appalti su lavori pubblici, ma non vi azzardate a gestire direttamente un’azienda; per esempio Alitalia”.

Ecco, al signor Elkann uno Stato serio – consapevole che in questo Paese ci sono parecchi stabilimenti Fiat-Fca, con decine di migliaia di dipendenti, alcune centinaia di migliaia nell’indotto e una certa quota di Pil, risponderebbe quanto meno: “Vogliamo in cambio una quota di azioni corrispondente a quella cifra e posti nel cda in proporzione”. In modo da decidere scelte industriali di lungo periodo, controllare e tutelare l’occupazione sul territorio di competenza, incassare i dividendi annuali, ecc.

Come fa la Francia con Psa, insomma.

Il resto sono chiacchiere per la distrazione di massa. Per coprire anche l’ultima truffa Fiat a spese della popolazione di questo Paese.
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P.s.: Circa l'anziano maggiordomo Ambrogio preferisco limitarmi con i commenti. Potrebbe essere pericoloso. Immagine
Ocio a 'sto Ambrogio che signorilmente castiga tutti. Immagine



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 Oggetto del messaggio: Re: Elkann/Agnelli quei bravi ragazzi
MessaggioInviato: 29/05/2020, 10:42 
27 Maggio 2020

Caso Fca Italy, ecco perché l’azienda non paga l’Irap da dieci anni. E perché è necessario render pubblici i «country by country reports»

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L’azienda risulta titolare in Italia di un cospicuo credito di imposta. Secondo gli economisti Faccio e Saraceno, però, potrebbe servire maggiore trasparenza
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di Sara Menafra
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Il primo sì al prestito da 6,6 miliardi di euro chiesto da Fca a Intesa San Paolo, con garanzia della Sace è arrivato ieri: il passo iniziale di una iniziativa economica molto dibattuta, perché l’azienda che controlla la principale casa automobilistica del Paese e il gruppo editoriale Gedi avrà una consistente garanzia sulle prossime spese, sebbene a inizio 2021 abbia già messo in agenda la fusione con Peugeot, con tanto di dividendo già fissato e passaggio del controllo a Parigi sugli investimenti automobilistici. Mentre la polemica politica nazionale sembra aver spostato il suo fuoco altrove, il dibattito non si ferma soprattutto dove l’azienda ha maggiori interessi.

Il 25 maggio il consigliere regionale di Leu e Verdi in Piemonte, Marco Grimaldi, al question time regionale, ha posto il tema dell’Irap, la tassa regionale che tutte le imprese grandi e piccole pagano e che serve a pagare il sistema sanitario nazionale, gestito dalle Regioni. A quel che ha risposto l’assessore regionale al bilancio Andrea Tronzano, Fca non paga l’Irap in Piemonte e non la paga in nessuna regione in cui abbia sede: «Risulta che dal 2011 ad oggi, ultima dichiarazione anno 2018, il gruppo Fca non ha versato Irap su tutto il territorio nazionale in quanto risulta a credito di circa 12 milioni di euro», ha spiegato l’assessore.


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Open ha potuto visionare le dichiarazioni dei redditi ed è effettivamente così. Controllando alla voce imposte, non ci si mette molto a capire che Fca non paga l’imposta sulle attività produttive dal tempo della fusione tra Fiat e Chrysler. Ha una imposta a credito che ha maturato prima della riorganizzazione societaria del 2010 a cui si sono sommati i valori di produzione negativi per il 2011, 2012 e 2013. Anche negli anni successivi la situazione è rimasta immutata. Dalle verifiche sui documenti, al momento l’imposta a credito è di 12.867.473 euro, ma dieci anni fa era di 38.900.385 euro.

«Chi difende il diritto di Fca di chiedere garanzie sul credito, almeno abbia il coraggio di pretendere come noi che il gruppo renda pubblico e consultabile il suo bilancio consolidato», commenta Grimaldi dopo il question time: «Dico di più. È tempo di rivedere la struttura di una tassa che rischiano di pagare solo i piccoli. Dovrebbe far riflettere che Fca si conferma un colosso dei profitti, ma se si guarda alla voce Irap somiglia a un indigente».


Cos’è il profit shifting

Di per sé, almeno dal punto di vista fiscale, il mancato pagamento dell’Irap può non essere uno scandalo: tutte le aziende che sono in perdita o hanno un’imposta a credito possono scaricarla sulla pesante tassa regionale e non pagarla. Come ci viene spiegato informalmente da Fca, l’azienda ha chiuso il bilancio italiano in perdita, senza profitti, da anni. È accaduto a Fca ma sarebbe successo a qualunque altra azienda in passivo, grande o piccola, ribadiscono.


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Secondo alcuni economisti internazionali, però, è possibile anche che l’azienda abbia seguito una prassi – assolutamente legale – particolarmente diffusa nelle multinazionali, il profit shifting. Come spiega a Open l’economista Francesco Saraceno, senior economist alla Sciences Po di Parigi: «Il profit shifting è una prassi diffusa per tutte le multinazionali e non è illegale. L’unico tema su cui si può intervenire, e parlo in generale non in particolare di Fca, è chiedere alle aziende che ricevono finanziamenti pubblici di pubblicare i loro country by country reports. La pubblica opinione saprebbe se stanno contribuendo ad un’azienda che è complessivamente in attivo».

Tommaso Faccio, membro della commissione indipendente Icrict per la riforma della tassazione delle multinazionali, che nel board economisti del calibro di Joseph Stiglitz e Thomas Piketty, ha spiegato a Internazionale come funziona: «I profit shifting sono i trasferimenti di fondi infragruppo», dice Faccio. «Per esempio, il ramo finanziario lussemburghese di un’azienda può fare un prestito a quello brasiliano, e in questo modo, quando il prestito viene restituito con gli interessi, i profitti emergono in Lussemburgo, dove non sono tassati: a quel punto se la casa madre è a Londra, c’è una tassazione secca del 5 per cento, regime molto favorevole rispetto ad altri paesi, compresa l’Italia».

Contattato da Open, Faccio aggiunge che dai bilanci che Fca deposita pubblicamente e mette a disposizione anche sul proprio sito, non è facile capire se ci siano stati spostamenti di capitale tra una sede e l’altra: «Dal bilancio consolidato non si può quantificare l’ammontare di profit shifting e non sempre è possibile identificare se c’è un rischio di profit shifting, appunto, poiché in consolidato le transazioni intra-gruppo vengono cancellate».

Informalmente, Fca spiega che non c’è stata alcuna pratica di profit shifting tra il ramo italiano e la controllante. E ribadisce che l’unica spiegazione sono le perdite.

Tutto risolto? Secondo Faccio e Saraceno il problema potrebbe essere risolto con l’obbligo di pubblicazione dei country by country reports. Carlo Calenda, ma anche Corrado Augias e persino Francesco Giavazzi sul Corriere della sera parlano di maggior controllo pubblico, Giavazzi si è spinto a citare l’ingresso dello Stato nel capitale come azionista, come strumento per controllare non solo come si muovono i profitti ma dove vengono indirizzate le strategie di investimento. Insomma, il dibattito è tutt’altro che chiuso.
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