VECCHIE COSE CON NOMI NUOVI
Helena Blavatsky
La Cabala orientale
Esiste in qualche parte, in questo vasto mondo, un vecchio libro, così vecchio che i nostri antiquari potrebbero scervellarsi sulle sue pagine per un tempo indefinito senza giungere ad accordarsi sulla natura del materiale su cui è scritto. E l’unica copia originale oggi esistente. Il più antico documento ebraico sulla scienza occulta — il Siphra Dzeniouta — è stato compilato sulla base di esso, e questo avvenne in un tempo in cui questo libro era già considerato una reliquia letteraria. Una delle sue illustrazioni rappresenta la Divina Essenza che emana da ADAM come un arco luminoso che sta per formare un cerchio; raggiunto il più alto punto della sua circonferenza, la Gloria ineffabile si volge indietro e torna alla terra portando nel suo turbine a un tipo superiore di umanità. Mentre essa si avvicina sempre più al nostro pianeta, l’Emanazione diviene sempre più ombrosa, finché, toccando il suolo è nera come la notte. I filosofi ermetici di ogni periodo, per una convinzione fondata, a quanto essi dicono, su settantamila anni di esperienza, affermano che la materia, nel tempo, a causa del peccato, è divenuta più pesante e più densa che non fosse al momento della prima formazione dell’uomo; che all’inizio il corpo umano era di natura semieterica; e che, prima della caduta, l’uomo comunicava liberamente con l’universo adesso invisibile. Ma da quel tempo la materia è divenuta la formidabile barriera fra noi e il mondo degli spiriti. Anche le più antiche tradizioni esoteriche insegnano che, prima del mistico Adamo, vissero e morirono molte razze di esseri umani, ognuno facendo posto a un’altra. Questi tipi precedenti erano più perfetti? Qualcuno di loro apparteneva alla razza alata ricordata da Platone nel Fedro? Spetta alla scienza risolvere questo problema. Le caverne della Francia e i relitti dell’età della pietra offrono un punto da cui cominciare. Via via che il ciclo procedeva, gli occhi dell’uomo si aprirono sempre più, finché egli giunse a conoscere “il bene e il male” come gli stessi Elohim. Raggiunto il suo vertice, il ciclo cominciò a discendere. Quando l’arco raggiunse un certo punto che lo portava parallelamente alla linea stabilita per il nostro piano terrestre, l’uomo fu fornito dalla natura di “vestiti di pelle”, e il Signore Dio lo “rivestì”. La stessa credenza nella preesistenza di una razza più spirituale di quella a cui oggi apparteniamo può essere fatta risalire alle più antiche tradizioni di quasi ogni popolo. Nell’antico manoscritto quiché, pubblicato da Brasseur de Bourbourg — il Popol Vuh — i primi uomini sono ricordati come una razza che poteva ragionare e parlare, la cui vista era illimitata e che conosceva immediatamente tutte le cose. Secondo Filone Giudeo, l’aria è piena di un invisibile esercito di spiriti, alcuni dei quali sono immuni dal male e immortali, mentre altri sono perniciosi e mortali. “Noi discendiamo dai figli di EL e dovremo tornare figli di EL”. E l’inequivocabile affermazione dell’anonimo gnostico che scrisse il Vangelo secondo San Giovanni: “Tutti coloro che lo hanno ricevuto”, ossia che hanno seguito praticamente la dottrina esoterica di Gesù, “diverranno figli di Dio” (I, 12), indica la stessa credenza. “Non sapete di essere dèi?” grida il Maestro. Platone descrive mirabilmente nel Fedro lo stato in cui l’uomo era una volta, e in cui tornerà a essere: prima e dopo la “perdita delle sue ali”, quando “viveva fra gli dèi ed era un dio lui stesso nel mondo aereo”. Fin dai più remoti periodi le filosofie religiose insegnarono che l’intero universo era pieno di esseri divini e spirituali di diverse razze. Da una di queste evolse, nel corso del tempo, ADAMO, l’uomo primitivo. Anche i Calmucchi e alcune tribù della Siberia descrivono nelle loro leggende creazioni anteriori a quella della nostra razza attuale. Questi esseri, dicono, possedevano una conoscenza quasi senza limiti, e nella loro audacia giunsero perfino a minacciare di ribellarsi contro il Grande Spirito loro Capo. Per punire la loro presunzione e umiliarli, questi li imprigionò nei corpi, e così chiuse i loro sensi. Essi possono evadere da questa prigione solo dopo un lungo pentimento, la purificazione e lo sviluppo. Essi pensano che i loro sciamani godano ogni tanto il divino potere originalmente posseduto da tutti gli esseri umani.
Antiche tradizioni confermate dalla ricerca moderna
La biblioteca Astor di New York si è recentemente arricchita di un facsimile di un trattato medico egiziano, scritto nel XVI secolo a.C (o più precisamente nel 1552 a.C.), il quale, secondo la cronologia comunemente accettata, è l’epoca in cui Mosè aveva esattamente ventun anni. L’originale è scritto sulla scorza interna del Cyperus papyrus, ed è stato riconosciuto dal professor Schenk, di Lipsia, non solo genuino, ma anche il più perfetto mai visto. Consiste di un solo foglio di papiro giallo-bruno, della qualità più raffinata, largo trenta centimetri e lungo più di venti metri, e formante un rotolo diviso in centodieci pagine, tutte accuratamente numerate. È stato acquistato in Egitto, nel 1872-3 dall’archeologo Ebers, da un “ricco arabo di Luxor”. La “Tribune” di New York, commentando la circostanza, dice: il papiro “porta in sé la prova di essere uno dei sei Libri Ermetici di Medicina ricordati da Clemente Alessandrino”. L’editore dice inoltre: “Ai tempi di Giamblico, 363 d.C., i sacerdoti egiziani mostravano 42 libri che attribuivano a Ermete (Thuti). Di essi, secondo questo autore, trentasei contenevano la storia di tutta la conoscenza umana; gli ultimi sei trattavano di anatomia, di patologia, delle malattie degli occhi, degli strumenti chirurgici e di medicine. Il Papiro Ebers è indiscutibilmente una di queste antiche opere ermetiche”. Se un così chiaro raggio di luce è stato gettato sull’antica scienza egiziana dall’accidentale (?) incontro di un archeologo tedesco con “un ricco arabo” di Luxor, come possiamo sapere quale sole meridiano può essere gettato nelle oscure cripte della storia da un egualmente accidentale incontro fra altri prosperi Egiziani e un altro intraprendente studioso di antichità? Le scoperte della scienza moderna non sono in disaccordo con le più antiche tradizioni che attribuiscono un’incredibile antichità alla nostra razza. Negli ultimi anni la geologia, che in precedenza aveva solo concesso di far risalire l’uomo non oltre il periodo terziario, ha trovato irrefutabili prove che l’esistenza umana precede l’ultima glaciazione europea, più di 250.000 anni fa. È una pillola difficile a ingoiare per la teologia patristica, ma un fatto accettato dagli antichi filosofi. Inoltre sono stati esumati utensili fossili insieme a resti umani, i quali dimostrano che l’uomo andava a caccia in quei tempi remoti e sapeva anche accendere il fuoco. Ma non è stato ancora fatto il passo successivo nella ricerca dell’origine della razza; la scienza è arrivata a un punto morto e attende prove future. Disgraziatamente l’antropologia e la psicologia non hanno un loro Cuvier; né i geologi né gli archeologi riescono a costruire, con i frammenti successivamente scoperti, il perfetto scheletro dell’uomo triplo: fisico, intellettuale e spirituale. Poiché si è trovato che gli utensili fossili dell’uomo diventano sempre più rozzi e grossolani via via che la geologia si addentra nelle viscere del suolo, sembra dimostrato alla scienza che quanto più ci avviciniamo alle origini dell’uomo, tanto più egli dovette essere bruto e selvaggio. Strana logica! I resti trovati nella caverna di Devon dimostrano forse che non vi fossero allora razze contemporanee altamente civilizzate? Quando l’attuale popolazione del globo sarà scomparsa e alcuni archeologi della razza a venire, nel lontano futuro scaveranno gli utensili domestici di una delle nostre tribù indiane o delle isole Andamane, sarà forse giustificato se concluderà che il genere umano del XIX secolo “stava appena uscendo dall’età della pietra?” Recentemente era di moda parlare delle “insostenibili concezioni di un passato incolto”. Come se fosse possibile celare dietro un epigramma le cave intellettuali dalle quali sono state tratte le reputazioni di tanti filosofi moderni. Come Tyndall è sempre pronto a denigrare i filosofi antichi — sebbene più di un distinto scienziato abbia derivato onore e credito solo dando una nuova veste alle loro idee — così i geologi sembrano sempre più inclini a considerare sicuro che tutte le razze arcaiche fossero contemporaneamente in uno stato di profonda barbarie. Ma non tutte le nostre migliori autorità concordano con questa opinione. Alcune delle più eminenti sono convinte esattamente del contrario. Max Müller, per esempio, dice: “Molte cose ci sono ancora incomprensibili, e il linguaggio geroglifico dell’antichità ci rivela solo la metà delle inconsce intenzioni della mente. Tuttavia l’immagine dell’uomo, in qualsiasi clima la incontriamo, ci sorge dinanzi sempre più nobile e pura fin dagli inizi. Impariamo a conoscere anche i suoi errori e a interpretare perfino i suoi sogni. Fin dove possiamo seguire le tracce dell’uomo, anche nei più bassi strati della sua storia, vediamo il dono divino di un intelletto sano che gli appartiene fin dal principio, e l’idea di un’umanità che emerge lentamente dalle profondità di una brutalità animale non può più essere sostenuta”. Poiché si pretende che non è filosofico fare ricerche sulle cause prime, oggi gli scienziati si dedicano a considerare i loro effetti fisici. Il campo della ricerca scientifica è quindi limitato alla natura fisica. Una volta che i suoi limiti siano raggiunti, la ricerca deve fermarsi e il loro lavoro deve ricominciare. Con tutto il dovuto rispetto per i nostri dotti, essi sono come lo scoiattolo nella sua gabbia girevole: sono condannati a far girare continuamente la loro “materia”. La scienza è un grande potere, e non spetta a noi, pigmei, discuterla. Ma gli scienziati non impersonano in sé la scienza, così come gli uomini del nostro pianeta non sono il pianeta stesso. Non abbiamo il diritto di chiedere a un “filosofo dei nostri giorni” di accettare senza discussione una descrizione geografica della faccia scura della luna, né possiamo costringerlo a farlo. Ma se, in seguito a qualche cataclisma lunare, un selenita fosse scagliato nel raggio di attrazione della nostra atmosfera e atterrasse sano e salvo alla porta del dott. Carpenter, questi potrebbe essere accusato di venir meno al suo dovere professionale se non si curasse di risolvere questo problema fisico. Per un uomo di scienza, rifiutare l’opportunità di investigare un nuovo fenomeno, sia che gli si presenti sotto forma di un abitante della Luna o di un fantasma apparso nella fattoria Eddy, è ugualmente reprensibile.
Il progresso del genere umano è segnato da cicli
Non dobbiamo fermarci a cercare se vi siano giunti attraverso il metodo di Aristotele o quello di Platone, ma il fatto è che gli antichi andrologi avevano pienamente capito le due nature, interna ed esterna, dell’uomo. Nonostante le superficiali ipotesi dei geologi, cominciamo ad avere prove quasi giornaliere a sostegno delle affermazioni di questi filosofi. Essi dividevano in cicli gli interminabili periodi dell’esistenza umana su questo pianeta, e durante ognuno di questi cicli il genere umano raggiungeva gradualmente il punto culminante della più alta civiltà e ricadeva gradualmente nella più abietta barbarie. A quale eminenza la razza sia più volte arrivata nel suo progresso può essere solo vagamente supposto dai meravigliosi monumenti dell’antichità ancora visibili, e dalle descrizioni date da Erodoto di altre meraviglie di cui oggi non rimane traccia. Già ai suoi tempi le gigantesche strutture di molte piramidi e di templi famosi erano solo una massa di rovine. Disperse dalla instancabile mano del tempo, esse sono descritte dal padre della storia come “venerabili testimoni della gloria, da lungo tempo passata, dei nostri antenati”. Egli “rifugge dal parlare di cose divine” e lascia alla posterità solo l’imperfetta descrizione, per sentito dire, di alcune meravigliose camere sotterranee del Labirinto, dove giacevano — e giacciono ancora — sacri resti dei Re iniziati. Noi possiamo inoltre farci un’idea dell’alto grado di civiltà raggiunto in alcuni periodi dell’antichità, dalle descrizioni storiche dell’età dei Tolomei, e tuttavia in quell’epoca le arti e le scienze erano considerate in via di decadenza, e gran parte dei loro segreti era andata perduta. Nei recenti scavi di Mariette-Bey, ai piedi delle piramidi, sono stati esumati statue di legno e altri relitti, i quali dimostrano che molto prima delle prime dinastie, gli Egiziani, erano giunti a una raffinatezza e a una perfezione che eccita la meraviglia anche nei più ardenti ammiratori dell’arte greca. Bayard Taylor descrive queste statue in una delle sue conferenze, e ci dice che la bellezza delle teste, ornate. di occhi di pietre preziose e con le palpebre di bronzo, è rimasta insuperata. Molto al di sotto dello strato di sabbia in cui giacevano i resti raccolti nelle collezioni di Lepsius, ad Abbott, e del British Museum, furono trovate sepolte le prove tangibili della dottrina ermetica dei cicli, che abbiamo già spiegato. Il dott. Schliemann, entusiasta ellenista, ha recentemente trovato, nei suoi scavi nella Troade, abbondanti prove dello stesso passaggio graduale dalla barbarie alla civiltà e dalla civiltà alla barbarie. Perché dunque dovremmo essere così riluttanti ad ammettere la possibilità che, se gli antidiluviani erano tanto più versati di noi in certe scienze e perfettamente padroni di arti importanti che adesso consideriamo perdute, essi possano egualmente avere eccelso nella conoscenza psicologica? Questa ipotesi deve essere considerata ragionevole come un’altra fino a che non si presenterà una prova contraria che la distrugga. Ogni vero sapiente ammette che, per molti rispetti, la conoscenza umana è ancora nell’infanzia. Può forse darsi che il nostro ciclo sia cominciato in epoche relativamente recenti? Questi cicli, secondo la filosofia caldea, non abbracciano tutto il genere umano nello stesso tempo. Il professor Draper conferma parzialmente questa opinione dicendo che i periodi in cui la geologia ha “trovato conveniente dividere il progresso dell’uomo nella civiltà non sono nettamente distinti e non valgono contemporaneamente per tutta la razza umana”; e dà come esempio “gli Indiani migranti dell’America”, che “solo adesso emergono dall’età della pietra”. Così più di un uomo di scienza ha confermato senza volerlo la testimonianza degli antichi. Ogni cabalista bene al corrente del sistema dei numeri di Pitagora e della sua geometria può dimostrare che le teorie metafisiche di Platone erano fondate sui più rigorosi principi matematici. “La vera matematica”, dice il Magicon, “è qualche cosa con cui sono connesse tutte le più alte scienze; la matematica comune è solo una fantasmagoria ingannevole, la cui troppo celebrata infallibilità sorge solo da questo, che i suoi fondamenti sono fatti di materiali, di condizioni e di rapporti”. Gli scienziati che credono di avere adottato il metodo aristotelico solo perché avanzano a fatica, quando non corrono, dai particolari dimostrati agli universali, glorificano questi metodi di filosofia induttiva, e rifiutano quello di Platone, che considerano non sostanziale. Il professor Draper si lamenta che mistici speculativi come Ammonio Sacca e Plotino abbiano preso il posto “dei severi geometri dell’antico museo”. Dimentica che la geometria, l’unica fra le scienze che proceda dagli universali ai particolari, era precisamente il metodo impiegato da Platone nella sua filosofia. Finché la scienza esatta limiterà le sue osservazioni alle condizioni fisiche e procederà come Aristotele, non potrà certo fallire. Ma, sebbene il mondo della materia sia per noi senza limiti, esso è tuttavia finito; e così il materialismo girerà per sempre in questo circolo vizioso, incapace di salire più in alto di quanto glielo permetta la circonferenza. La teoria cosmologica dei numeri, che Pitagora apprese dagli ierofanti egiziani, è la sola capace di conciliare le due unità, materia e spirito, e permettere all’una di dimostrare matematicamente l’altra.
Antica scienza criptica
I numeri sacri dell’universo nella loro combinazione esoterica, risolvono il grande problema e spiegano la teoria della radiazione e il ciclo delle emanazioni. Gli ordini più bassi, prima di svilupparsi nei più alti, devono emanare dagli ordini spirituali più alti e, arrivati al punto di svolta, essere nuovamente assorbiti nell’infinito. La fisiologia, come ogni altra cosa in questo mondo in costante evoluzione, è soggetta alla rivoluzione ciclica. Poiché sembra oggi emergere appena dalle ombre dell’arco inferiore, si potrà dimostrare un giorno che essa si è trovata nel punto più alto della circonferenza del cerchio molto prima dei tempi di Pitagora. Moco di Sidone, fisiologo e maestro di anatomia, fiorì molto prima del saggio di Samo, e quest’ultimo ricevette le istruzioni sacre dai discepoli e dai discendenti di lui. Pitagora, puro filosofo, intimamente versato nei più profondi fenomeni della natura, nobile erede della scienza antica, la cui grande meta fu di liberare l’anima dai legami dei sensi e costringerla a rendersi conto dei suoi poteri, vivrà eternamente nella memoria umana. L’impenetrabile velo di segretezza arcana fu gettato sulle scienze insegnate nel santuario. E questa la causa dell’attuale disprezzo per le antiche filosofie. Perfino Platone e Filone Ebreo sono stati accusati di assurde incoerenze da molti commentatori, mentre il piano nascosto sotto il dedalo di contraddizioni metafisiche così sconcertanti per il lettore del Timeo è fin troppo evidente. Ma Platone è stato mai letto con vera comprensione da coloro che spiegano i classici? Questa è una domanda giustificata dalle critiche che si trovano in autori quali Stalbaum, Schleiermacher, Ficino (traduzione latina), Heindorf, Sydenham, Buttmann, Taylor e Burges, per non dir nulla di autorità minori. Le velate allusioni del filosofo greco alle cose esoteriche hanno evidentemente sviato al massimo questi commentatori. Essi non solo suggeriscono con sfrontata freddezza, dinnanzi a certi passi difficili, che si voleva evidentemente impiegare un’altra fraseologia, ma fanno mutamenti audaci. Il verso orfico: “Il suo canto chiude l’ordine della sesta razza..”. che può essere interpretato solo in riferimento alla sesta razza evoluta nelle consecutive evoluzioni delle sfere, secondo Burges “era evidentemente preso da una cosmogonia in cui l’uomo era considerato essere stato creato per ultimo”. Chi si accinge a pubblicare le opere di un altro, non dovrebbe almeno capire quello che intende il suo autore? In realtà gli antichi filosofi sembrano essere generalmente considerati dai nostri critici moderni, compresi i più liberi da pregiudizi, come privi di quella profondità e di quella piena conoscenza delle scienze esatte di cui il nostro secolo va così orgoglioso. Si mette perfino in dubbio che essi abbiano inteso il principio fondamentale ex nihilo nihil fit. Se anche sospettarono l’indistruttibilità della materia, — dicono questi commentatori — non fu in conseguenza di una formula fermamente stabilita ma solo per un ragionamento intuitivo e per analogia. Noi siamo di parere contrario. Le speculazioni di questi filosofi sulla materia erano aperte alla critica pubblica, ma i loro insegnamenti sulle cose spirituali erano profondamente esoterici. Legati per giuramento al segreto e al silenzio religioso sui soggetti astratti che riguardavano le relazioni fra lo spirito e la materia, essi gareggiavano fra loro nei metodi ingegnosi per celare le loro vere opinioni. La dottrina della metempsicosi è stata abbondantemente messa in ridicolo dagli uomini di scienza e respinta dai teologhi, e tuttavia se fosse stata propriamente intesa nelle sue applicazioni all’indistruttibilità della materia e all’immortalità dello spirito, si sarebbe capito che è una concezione sublime. Non dovremmo forse considerare la questione mettendoci dal punto di vista degli antichi prima di osar screditare coloro che la insegnano? La soluzione del grande problema dell’eternità non spetta né alla superstizione religiosa né al materialismo grossolano. L’armonia e l’equiformità matematica della doppia evoluzione — spirituale e fisica — sono chiarite solo dai numeri universali di Pitagora che costruì interamente il suo sistema sul cosiddetto “linguaggio metrico” dei Veda indù. Solo recentemente uno dei più zelanti studiosi di sanscrito, Martin Haug, intraprese la traduzione dell’Aitareya Brahmana del Rig-Veda. Fino a quel tempo esso era interamente sconosciuto; le sue spiegazioni stabiliscono in modo indiscutibile l’identità dei sistemi pitagorico e brahmanico. In entrambi il significato esoterico è derivato dal numero: nel primo dalla relazione mistica di ogni numero con tutto ciò che è intelligibile per la mente umana; nel secondo dal numero di sillabe di cui ogni verso dei Mantra è composto. Platone, ardente discepolo di Pitagora, lo comprese così pienamente da sostenere che il dodecaedro era la figura geometrica usata dal Demiurgo nel costruire l’universo. Alcune di queste cifre avevano un significato particolarmente solenne. A esempio il quattro, di cui il dodecaedro è il triplo, fu considerato sacro dai pitagorici. E il quadrato perfetto, e nessuna delle linee che lo limitano sorpassa di un solo punto la lunghezza delle altre. È l’emblema della giustizia morale e dell’equità divina geometricamente espresse. Tutti i poteri e le grandi sinfonie della natura fisica e spirituale sono iscritti nel quadrato perfetto; e il nome ineffabile di Colui che, altrimenti, non avrebbe nome pronunciabile, era sostituito da questo sacro numero 4, il più imperioso e solenne giuramento per gli antichi mistici: la Tetractys. Se la metempsicosi pitagorica dovesse essere completamente spiegata e confrontata con la moderna teoria dell’evoluzione, ci accorgeremmo che verrebbe a supplire ogni “anello mancante” della catena di quest’ultima. Ma chi dei nostri scienziati consentirebbe a perdere il suo prezioso tempo sulle fantasie degli antichi? Nonostante prove in contrario, essi negano che non solo le popolazioni dei periodi arcaici ma anche gli antichi filosofi avessero una effettiva conoscenza del sistema eliocentrico. I “Venerabili Beda”, gli Agostini e i Lattanzi sembrano avere soffocato, con la loro dogmatica ignoranza, ogni fede nei più antichi filosofi dei secoli precristiani. Ma adesso la filologia e una più profonda conoscenza della letteratura sanscrita ci hanno parzialmente permesso di riabilitare quei filosofi da tali immeritate accuse. Nei Veda, per esempio, troviamo una prova positiva che già nel 2000 a. C., i saggi e gli studiosi indù dovevano conoscere la sfericità del nostro globo e il sistema eliocentrico. Quindi Pitagora e Platone conoscevano bene questa verità astronomica; perché Pitagora acquistò la sua scienza in India, o da uomini che erano stati là, e Platone riprese fedelmente i suoi insegnamenti. Citeremo due passi dell’Aitareya Brahmana. Nel “Mantra del serpente”, il Brahmana afferma che tale Mantra è quello che fu visto dalla Regina dei serpenti, in quanto essa è la madre e la regina di tutto ciò che si muove (sarpat). Nel principio essa (la terra) era solo una testa (rotonda) senza capelli, ossia senza vegetazione. Poi essa scorse questo Mantra che conferisce a chi lo conosce il potere di assumere ogni forma che desidera. Essa “pronunciò il Mantra”, ossia sacrificò agli dèi, e in conseguenza ottenne immediatamente un’apparenza screziata; divenne variegata e capace di produrre ogni forma che voleva, cambiando una forma in un’altra. Questo Mantra comincia con le parole: “Ayam gaû pris’nir akramit” (X, 189). La descrizione della terra in forma di una testa rotonda e calva, che in principio era morbida e divenne poi dura solo perché vi soffiò sopra il dio Vâyu, il signore dell’aria, suggerisce necessariamente l’idea che gli autori dei sacri libri vedici sapevano che la terra è rotonda ossia sferica; inoltre che era stata agli inizi una massa gelatinosa, la quale lentamente si raffreddò sotto l’influenza dell’aria e del tempo. Questo per quel che riguarda la loro conoscenza della sfericità del nostro globo; e adesso presenteremo la testimonianza su cui fondiamo la nostra asserzione che gli Indù erano perfettamente al corrente del sistema eliocentrico almeno 2000 anni a.C. Nello stesso trattato l’Hotar (sacerdote) è istruito sul come gli Shastra devono essere ripetuti e come si debbano spiegare i fenomeni dell’alba e del tramonto. Esso dice: “ L’Agnishtoma è colui (il dio) che brucia. Il sole non tramonta né sorge. Quando il popolo crede che il sole tramonti, non è così; ci si inganna. Perché, arrivato alla fine del giorno, esso produce due effetti opposti, facendo giorno per ciò che è sotto e notte per ciò che è sull’altro lato. In realtà il sole non tramonta mai, né tramonta per colui che ha questa conoscenza...“. Questa frase è così conclusiva che anche il traduttore del Rig-Veda, il dott. Haug, fu costretto a notarlo. Egli dice che questo passo contiene “la negazione del sorgere e del calare del sole”, e che l’autore suppone che il sole “rimanga sempre nella sua alta posizione” In uno dei più antichi Nivid, Rishi Kutsa, un saggio indù della più remota antichità, spiega l’allegoria delle prime leggi date ai corpi celesti. Per aver fatto “ciò che non doveva fare”, Anàhit (Analtis o Nana, la Venere persiana) che nella leggenda rappresenta la terra, è condannata a girare attorno al sole. I Sattra, o sessioni sacrificali, provano indubbiamente che già nel diciottesimo o ventesimo secolo a. C. gli Indù avevano fatto notevoli progressi nella scienza astronomica. I Sattra duravano un anno “e non erano altro che un’imitazione del corso annuo del sole. Secondo Haug, erano divisi in due parti distinte, ognuna consistente di sei mesi di trenta giorni; nel mezzo di entrambe vi era il Vishuvan (equatore o giorno centrale), che tagliava il complesso dei Sattra in due metà ecc”. Questo studioso, sebbene faccia risalire la composizione del complesso dei Brahmana al periodo 1400-1200 a.C., è dell’opinione che gli inni più antichi possano essere posti all’inizio della letteratura vedica, fra gli anni 2400-2000 a.C.. Egli non trova ragione per considerare i Veda meno antichi dei libri sacri dei Cinesi. Poiché il Shu-King, o Libro della storia, e i canti sacrificali del Shi-King, o Libro delle odi, sono stati provati risalire al 2200 a.C., i nostri filologi potranno essere costretti, fra non molto, a riconoscere che, in fatto di conoscenza astronomica, gli Indù antidiluviani furono i maestri dei Cinesi. In ogni caso vi sono fatti che provano come certi calcoli astronomici, presso i Caldei del tempo di Giulio Cesare, erano esatti come i nostri attuali. Quando il calendario fu riformato dal Conquistatore, si trovò che l’anno civile corrispondeva così poco alle stagioni che l’estate si confondeva con i mesi d’autunno e questi col pieno inverno. Fu Sosigene, astronomo caldeo, colui che riportò l’ordine nella confusione facendo retrocedere il 25 marzo di novanta giorni così che corrispondesse con l’equinozio d’inverno; e ancora Sosigene fissò la lunghezza dei mesi quale è attualmente. In America l’esercito di Montezuma trovò che il calendario degli Aztechi dava un egual numero di giorni e di settimane a ogni mese. L’esattezza dei loro calcoli astronomici era tale che nessun errore fu scoperto in essi dalle verifiche successive, mentre gli Europei che sbarcarono nel Messico nel 1519 erano, seguendo il calendario giuliano, in anticipo di circa undici giorni sul tempo esatto.
Inestimabile valore dei Veda
Alle inestimabili e attente traduzioni dei libri vedici e alle ricerche personali del dott. Haug dobbiamo la conferma delle affermazioni dei filosofi ermetici. Può essere facilmente dimostrato che il periodo di Zarathustra Spitama (Zoroastro) è di un’antichità incalcolabile. I Brahmana, a cui Haug assegna quattromila anni di età, descrivono le lotte religiose fra gli antichi Indù, che vivevano nel periodo prevedico, e gli Iraniani. Le battaglie fra i Deva e gli Asura — i primi dei quali rappresentavano gli Indù, i secondi gli Iraniani — sono descritte per esteso nei libri sacri. Poiché il profeta iraniano fu il primo a insorgere contro quella che chiamava l’”idolatria” dei brahmani e a indicarli come Deva (diavoli), a quale lontana epoca deve dunque risalire questa crisi religiosa? “Tale contesa”, risponde il dott. Haug, “deve essere apparsa agli autori dei Brahmana non meno antica di quanto i fatti di re Artù appaiano agli scrittori inglesi del XIX secolo”. Non vi è stato un filosofo di qualche notorietà che non si sia attenuto a questa dottrina della metempsicosi quale fu insegnata dai brahmani, dai buddhisti e poi dai pitagorici, in senso esoterico, esprimendola più o meno comprensibilmente. Origene e Clemente Alessandrino, Sinesio e Calcidio, tutti credettero in essa; e gli gnostici, che sono stati incontestabilmente riconosciuti dagli storici come gli uomini più raffinati, eruditi e illuminati, credevano tutti nella metempsicosi. Socrate professava dottrine identiche a quelle di Pitagora; ed entrambi, come pena della loro divina filosofia, furono messi a morte. La plebaglia è sempre stata la stessa in ogni tempo. Il materialismo è stato e sempre sarà cieco alle verità dello spirito. Quei filosofi ritenevano, insieme agli Indù, che Dio avesse infuso nella materia una parte del suo Divino Spirito, il quale anima e muove ogni particella. Essi insegnavano che gli uomini hanno due anime, di nature distinte e del tutto diverse: l’una periscibile — l’anima astrale o il più intimo corpo fluidico l’altra incorruttibile e immortale, l’Augoeides o parte dello spirito Divino. L’anima mortale o astrale perisce a ogni cambiamento graduale sulla soglia di ogni nuova sfera, purificandosi sempre più con ogni trasmigrazione. L’uomo astrale per quanto possa essere intangibile e invisibile ai nostri sensi mortali e terreni, è tuttavia costituito di materia, anche se sublimata. Aristotele, sebbene per ragioni politiche personali abbia mantenuto un prudente silenzio su certe materie esoteriche, espresse molto chiaramente la sua opinione in proposito. Egli credeva che le anime umane fossero emanazioni di Dio riassorbite infine dalla Divinità. Zenone, fondatore della scuola stoica, insegnava che vi sono “nella natura due qualità eterne: l’una attiva, o maschia, l’altra passiva, o femmina. La prima è pura, etere sottile o Spirito Divino; l’altra è completamente inerte in se stessa finché non viene unita al principio attivo. Lo spirito Divino, agendo sulla materia, produce fuoco, acqua, terra e aria, ed è l’unico principio efficiente da cui tutta la natura viene mossa. Gli stoici come i saggi indù, credevano in un riassorbimento finale. San Giustino credeva nell’emanazione di queste anime dalla Divinità, e Taziano Assiro, suo discepolo, dichiara che “l’uomo era immortale come Dio stesso”.
Mutilazioni dei libri sacri ebraici nella traduzione
Quel verso profondamente significativo della Genesi “E a ogni bestia della terra, a ogni uccello dell’aria, a ogni cosa che striscia al suolo ho dato un’anima vivente..”. dovrebbe richiamare l’attenzione di ogni studiose ebreo capace di leggere la Scrittura nell’originale invece di seguire la traduzione errata nella quale si legge: “o in cui vi è vita”. Dal primo all’ultimo capitolo i traduttori dei Sacri Libri ebrei hanno falsamente interpretato il significato del testo. Come dimostra Sir W. Drummond, hanno perfino mutato l’ortografia del nome di Dio. Così El, se scritto in modo corretto, dovrebbe essere pronunciato Al, perché nell’originale vi è Al, e, secondo Higgins, questa parola significa il dio Mitra, il Sole, il conservatore e salvatore. Sir W. Drummond dimostra che BethEl, indica la Casa del Sole nella sua traduzione letterale, e non di Dio. “El, nella composizione di questi nomi cananei, non significa Deus, ma Sol”. Così la teologia ha sfigurato l’antica teosofia e la scienza l’antica filosofia. Per mancanza di comprensione di questo grande principio filosofico, i metodi della scienza moderna, per quanto esatti, non approdano a nulla. In nessuno dei suoi rami essa può dimostrare l’origine e la fine delle cose. Invece di seguire le tracce degli effetti partendo dalla loro sorgente, essa segue il processo opposto. I tipi superiori, secondo il suo insegnamento, sono tutti evoluti da tipi inferiori. Comincia dal basso del ciclo, guidata a passo a passo nel grande labirinto della natura da un filo di materia. Appena il filo si rompe, la direzione è perduta ed essa si ritrae atterrita dall’Incomprensibile confessandosi impotente. Non così fecero Platone e i suoi discepoli. Per lui i tipi inferiori erano solo immagini concrete dei tipi astratti superiori. L’anima, che è immortale, ha un inizio, come riflesso del grande ARCHAEUS universale, è semovente e si diffonde dal centro su tutti i corpi del microcosmo. La triste comprensione di questa verità fece confessare a Tyndall che la scienza è impotente anche sul mondo della materia: “Il primo ordinamento degli atomi, da cui dipende ogni azione successiva, frustra una potenza superiore a quella del microscopio”. “Per la sola eccessiva complessità dello studio e molto prima che l’osservazione possa far sentire la sua voce, l’intelletto più preparato e la più raffinata e disciplinata immaginazione si ritirano perplessi senza osare affrontare il problema. Siamo colpiti da uno stupore che nessun microscopio può dissipare, dubitando non solo del potere nel nostro strumento ma anche di possedere noi stessi gli elementi intellettuali che ci rendano capaci di afferrare le ultime energie strutturali della natura”. La figura geometrica fondamentale della Cabala — quella figura che la tradizione e le dottrine esoteriche ci dicono essere stata data dalla Divinità stessa a Mosè sul monte Sinai — contiene nella sua grandiosa, perché semplice, combinazione, la chiave del problema universale. La figura contiene in se stessa tutte le altre. Per coloro che sono capaci di dominarla non vi è bisogno di esercitare l’immaginazione. Nessun microscopio terreno può essere paragonato con l’acutezza della percezione spirituale. E anche per coloro che ignorano la GRANDE SCIENZA, la descrizione della genesi di un grano, di un frammento di cristallo o altro oggetto, data da un fanciullo psicometra bene addestrato, vale tutti i telescopi e i microscopi della “scienza esatta”. Può esservi più verità nell’avventurosa pangenesi di Darwin — che Tyndall chiama uno “speculatore che sta spiccando il volo” — che nelle caute e limitate ipotesi di quest’ultimo, il quale, al pari di altri pensatori del suo genere, circonda la sua immaginazione “ con delle solide frontiere della ragione”. La teoria di un germe microscopico che contiene in sé “un mondo di germi minori”, si slancia, in un certo senso, verso l’infinito: supera il mondo della materia e comincia inconsciamente a operare nel mondo dello spirito. Se accettiamo la teoria darwiniana dello sviluppo delle specie, troviamo che il suo punto di partenza è posto davanti a una porta aperta. Noi siamo liberi di restare al di qua o di varcare la soglia oltre la quale vi è l’illimitato e l’incomprensibile, o piuttosto; l’Inesprimibile. Se il nostro linguaggio mortale è inadeguato a esprimere ciò che il nostro spirito intravede oscuramente nel grande “Aldilà” — mentre è su questa terra — dovrà rendersene conto in qualche punto dell’Eternità senza tempo. Non così con la teoria della “basi fisiche della vita” del professor Huxley. Senza badare alla formidabile maggioranza di “no” proveniente dai suoi confratelli scienziati germanici, egli crea un protoplasma universale e prescrive alle sue cellule di divenire d’ora in poi le sacre fonti del principio di ogni vita. Rappresentando questo principio come identico in un uomo vivo, in un montone morto, in un’ortica o in un’aragosta, chiudendo nella cellula molecolare del protoplasma il principio della vita, e chiudendone fuori il divino influsso che viene con l’evoluzione successiva, egli serra ogni porta contro ogni possibile scampo. Come un abile tattico, egli trasforma le sue leggi e i suoi fatti in sentinelle a cui fa montar la guardia a ogni uscita. Sulla bandiera sotto cui le raduna è scritta la parola “necessità”; ma, appena l’ha spiegata, deride quella leggenda chiamandola “una vuota ombra della mia stessa immaginazione”. Le fondamentali dottrine dello spiritualismo, egli dice “rimangono fuori dei limiti della ricerca filosofica”. Noi oseremo contraddire questa affermazione sostenendo che sono molto più entro i limiti di questa ricerca che non il suo protoplasma, in quanto esse presentano evidenti e palpabili fatti dell’esistenza dello spirito, e le cellule protoplasmiche, una volta morte, non ne presentano alcuno a indicare che sono le origini e le basi della vita, come vorrebbe farci credere questo autore, “uno dei più importanti pensatori del nostro tempo”. L’antico cabalista non accoglieva un’ipotesi finché non poteva fondarla sulla solida roccia dell’esperienza registrata. Ma un’eccessiva dipendenza dai fatti fisici portò a una recrudescenza di materialismo e alla decadenza della spiritualità e della fede. Al tempo di Aristotele era questa la prevalente tendenza del pensiero. E, sebbene il comandamento delfico non fosse ancora completamente eliminato dal pensiero greco, e alcuni filosofi sostenessero ancora che “per conoscere quello che l’uomo è, dobbiamo conoscere quello che l’uomo è stato”, tuttavia il materialismo aveva già cominciato a rodere le radici della fede. I Misteri stessi erano degenerati notevolmente in semplici speculazioni sacerdotali e frodi religiose. Pochi erano i veri adepti e iniziati, eredi e discendenti di coloro che erano stati dispersi dalle spade conquistatrici dei vari invasori dell’antico Egitto. Il tempo predetto dal grande Ermes nel suo dialogo con Esculapio era giunto: il tempo in cui empi stranieri avrebbero accusato l’Egitto di adorare dei mostri e nulla sarebbe sopravvissuto oltre le lettere incise nella pietra dei suoi monumenti, enigmi incredibili per la posterità. I sacri scribi e gli ierofanti andavano raminghi sulla faccia della terra. Costretti, per la paura di una profanazione dei sacri misteri, a cercar rifugio tra le fraternità ermetiche — conosciute più tardi come Esseni — seppellirono sempre più nel profondo la loro conoscenza esoterica. La spada trionfante di Aristotele spazzò via dalla strada della sua conquista ogni vestigio di una religione una volta pura, e Aristotele stesso, modello e figlio della sua epoca, per quanto istruito nella scienza segreta degli Egiziani, conosceva poco dei risultati che coronavano millenni di studi esoterici. Al pari di coloro che vivevano al tempo di Psammetico, i nostri attuali filosofi “alzano il velo di Iside”, perché Iside non è che il simbolo della natura. Ma vedono solo le sue forme fisiche. L’anima interiore sfugge alla loro vista; e la Divina Madre non ha risposte per loro. Vi sono anatomisti i quali, non riuscendo a scoprire lo spirito che dimora sotto lo strato dei muscoli, la rete dei nervi e la materia terrena sollevati dalla punta del loro scalpello, affermano che l’uomo non ha anima. Essi sono ciechi come lo studioso che, limitando la sua ricerca alla fredda lettera della Cabala, osa dire che non vi è in essa uno spirito vivificante. Per vedere il vero uomo che una volta abitava nel soggetto disteso sulla tavola anatomica dinanzi a lui, il chirurgo deve usare altri occhi che quelli del corpo. Così la gloriosa verità celata negli scritti ieratici degli antichi papiri può essere rivelata solo a colui che possiede la facoltà di intuizione: la quale, se chiamiamo la ragione occhio della mente, può essere definita l’occhio dell’anima. La nostra scienza moderna riconosce un Potere Supremo, un Principio Invisibile, ma nega un Essere Supremo o Dio Personale. Logicamente la differenza fra i due può essere discussa, perché in questo caso il Potere e l’Essere sono identici. La ragione umana non può raffigurarsi un Potere Supremo Intelligente senza associarlo con l’idea di un Essere Intelligente. Non potremo mai aspettarci che le masse abbiano una chiara concezione dell’onnipotenza e onnipresenza di un Dio Supremo senza investire di questi attributi una gigantesca proiezione della loro stessa personalità. Ma i cabalisti non hanno mai considerato l’invisibile EN SOPH altrimenti che come un Potere. Finora i nostri moderni positivisti sono stati anticipati di migliaia di secoli nella loro cauta filosofia. Quello che l’adepto ermetico afferma di dimostrare è che il semplice buon senso esclude la possibilità che l’universo sia il risultato di un semplice caso. Un’idea simile gli appare più assurda che il pensare che i problemi di Euclide siano stati inconsciamente formati da una scimmia che giocava con le figure geometriche. Pochissimi cristiani capiscono, se pure ne sanno qualche cosa, la teologia giudaica. Il Talmud è il più oscuro degli enigmi anche per la maggior parte degli Ebrei, mentre gli studiosi ebrei che lo capiscono non si vantano della loro conoscenza. I loro libri cabalistici sono ancor meno capiti da loro, perché ai nostri giorni vi sono più studiosi cristiani che ebrei impegnati a liberare le grandi verità contenute in essi. E quanto meno ancora è conosciuta la Cabala orientale, o universale! I suoi adepti sono pochi; ma questi eletti eredi dei saggi che per primi scoprirono “le verità astrali sul grande Shemaia della scienza caldea” ( hanno risolto l’”assoluto” e adesso riposano della loro grande fatica. Essi non possono andare oltre ciò che è concesso di conoscere ai mortali di questa terra; e nessuno, nemmeno questi eletti, può passare oltre la linea tracciata dal dito della Divinità stessa. I viaggiatori hanno trovato questi adepti sulle rive del sacro Gange, li hanno sfiorati nelle silenziose rovine di Tebe e nelle misteriose camere deserte di Luxor. Nelle sale sulle cui volte azzurre e dorate fatidici segni attraggono l’attenzione, il cui significato segreto non è mai penetrato dall’osservatore ozioso, quegli adepti sono stati visti ma raramente riconosciuti. Memorie storiche hanno ricordato la loro presenza nei salons brillantemente illuminati dall’aristocrazia europea. Essi sono stati anche incontrati nelle aride e desolate pianure del Sahara come nelle caverne di Elefanta. Possono essere trovati dappertutto, ma si fanno riconoscere solo da coloro che si sono dedicati a uno studio disinteressato e non torneranno facilmente indietro. Maimonide, il grande teologo e storico ebreo, che un tempo fu quasi divinizzato dai suoi concittadini e poi trattato da eretico, fa notare che, quanto più il Talmud sembra assurdo e vuoto di senso, tanto più sublime è il suo significato segreto. Questo dotto ha luminosamente dimostrato che la magia caldea, la scienza di Mosè e di altri eruditi taumaturghi, era interamente fondata su di una vasta conoscenza dei vari e adesso dimenticati rami della scienza naturale. Perfettamente al corrente di tutte le risorse dei regni vegetale, animale e minerale, esperti nella chimica e nella fisica occulte, e anche fisiologi com’erano, non c’è da stupirsi se i diplomati o adepti istruiti nei misteriosi santuari dei templi potevano fare meraviglie che anche ai nostri giorni illuminati apparirebbero soprannaturali. É un insulto alla natura umana marchiare la magia e la scienza occulta col nome di impostura. Credere che per tante migliaia di anni metà del genere umano abbia praticato l’inganno e la frode sull’altra metà, equivale a dire che la razza umana era composta solo di furfanti e di idioti irrecuperabili. Qual è la regione in cui la magia non fu praticata? In qual secolo fu totalmente dimenticata?
La magia è sempre stata considerata una scienza divina
Nei più antichi documenti in nostro possesso — i Veda e le più remote leggi di Manu — troviamo molti miti riti magici praticati e permessi dai brahmani. Il Tibet, il Giappone e la Cina insegnano oggi quello che era stato insegnato dai più antichi Caldei. Il clero di queste regioni dà inoltre la prova di ciò che insegna e cioè che la pratica della purezza fisica e morale e di certe austerità sviluppa il potere vitale dell’anima per raggiungere la propria illuminazione. Permettendo all’uomo di controllare il suo spirito immortale, gli dà poteri veramente magici sugli spiriti elementari a lui inferiori. Nell’Occidente troviamo che la magia ha un’antichità non meno remota che in Oriente. I Druidi della Gran Bretagna la praticavano nelle cripte silenziose delle loro profonde caverne; e Plinio dedica molti capitoli alla “sapienza” dei capi dei Celti. I Semoti, o Druidi delle Gallie; esponevano le scienze fisiche non meno delle spirituali. Insegnavano i segreti dell’Universo, l’armonioso progresso dei corpi celesti, la formazione della terra, e soprattutto l’immortalità dell’anima. Nei loro boschi sacri — accademie naturali costruite dalla mano dell’Architetto Invisibile — gli iniziati si radunavano nell’ora tranquilla di mezzanotte per imparare ciò che l’uomo era stato e ciò che sarebbe divenuto. Non avevano bisogno di illuminazione artificiale né di gas malsano per rischiarare i loro templi, perché la casta dea della notte gettava i suoi più argentei raggi sulle loro teste coronate di foglie di quercia; e i loro bardi, vestiti di bianco, sapevano come conversare con la solitaria regina della volta stellata. Sul morto suolo del passato lontano si levano le loro querce sacre, oggi disseccate e spogliate del loro significato spirituale dal velenoso ‘soffio del materialismo. Ma, per lo studioso delle scienze occulte, la loro vegetazione è ancora verde e lussureggiante, e piena di profonde e sacre verità come nel momento in cui l’arcidruido operava le sue cure magiche e, afferrando il ramo di vischio, lo staccava dalla quercia madre con la falce d’oro. La magia è vecchia come l’uomo. È impossibile indicare il tempo in cui affiorò all’esistenza come lo è indicare il giorno in cui nacque il primo uomo. Ogni volta che uno scrittore ha voluto collegare il suo primo apparire in un paese con qualche personaggio storico, ulteriori ricerche hanno dimostrato l’infondatezza della sua tesi. Molti hanno pensato che Odino, sacerdote e monarca scandinavo, abbia dato origine alla pratica della magia una settantina di anni a.C. Ma fu facilmente dimostrato che i misteriosi riti delle sacerdotesse chiamate Voiler o Vala erano molto anteriori a quest’epoca. Alcuni autori moderni hanno cercato di provare che Zoroastro fu il fondatore della magia, essendo il fondatore della religione dei Magi. Ammiano Marcellino, Arnobio, Plinio e altri storici antichi hanno dimostrato in modo conclusivo che egli fu solo un riformatore della magia praticata dai Caldei e dagli Egiziani. I maggiori maestri di teologia concordano nel pensare che quasi tutti i libri antichi furono scritti simbolicamente e in un linguaggio intelligibile solo all’iniziato. Lo schizzo biografico di Apollonio di Tiana ce ne dà un esempio. Come ogni cabalista sa, esso abbraccia tutta la filosofia ermetica, facendo, per più rispetti, da controparte alle tradizioni a noi giunte del re Salomone. Sembra un racconto di fate, ma, come nel caso di Salomone, a volte i fatti e gli eventi storici sono presentati al mondo sotto i colori di una fiaba. Il viaggio in India rappresenta allegoricamente le prove di un neofita. I suoi lunghi discorsi con i brahmani, i loro saggi consigli e i dialoghi con il corinzio Menippo, se bene interpretati, ci offrono il catechismo esoterico. La sua visita all’impero dei saggi e l’intervista con il loro sovrano Iarca, l’oracolo di Amfiarao, spiega simbolicamente molti dogmi segreti di Ermete. Se capiti, svelerebbero alcuni dei più importanti segreti della natura. Eliphas Levi mette in rilievo la grande rassomiglianza esistente fra il re Iarca e il favoloso Hiram da cui Salomone ottenne i cedri del Libano é l’oro di Ophir. Vorremmo sapere se i massoni moderni, compresi i “Grandi Conferenzieri” e i più intelligenti artigiani delle logge importanti, capiscono chi era Hiram, di cui complottano per vendicare la morte. Mettendo da parte i puramente metafisici insegnamenti della Cabala, se qualcuno volesse dedicarsi solo all’occultismo fisico, la cosiddetta branca della terapeutica, i risultati potrebbero essere utili ad alcune delle nostre scienze moderne come la chimica e la medicina. Il professor Draper dice: “A volte, non senza sorpresa, incontriamo idee che ci lusinghiamo di aver visto nascere nella nostra epoca”. Questa osservazione, fatta a proposito degli scritti scientifici dei Saraceni, si potrebbe applicare anche meglio ai più segreti Trattati degli antichi. La medicina moderna, mentre ha guadagnato molto nell’anatomia, nella fisiologia, nella patologia e anche nella terapeutica, ha perso immensamente per la sua angustia spirituale, per il suo rigido materialismo, per il suo dogmatismo settario. Una scuola, nella sua miopia, ignora completamente ciò che è insegnato da altre scuole; e tutte sono unite nell’ignorare ogni grande concezione dell’uomo e della natura come quelle sviluppate dal mesmerismo o degli esperimenti americani sul cervello, ogni principio che non sia conforme a uno stolido materialismo. Bisognerebbe convocare i medici rivali delle varie e diverse scuole per mettere insieme le attuali nozioni della scienza medica; e troppo spesso accade che, dopo che i migliori praticanti hanno esaurito invano la loro arte su di un paziente, un mesmerista o un “medium guaritore” operi la cura. Gli studiosi dell’antica letteratura medica, dal tempo di Ippocrate a quello di Paracelso e Van Helmont, troveranno un vasto numero di fatti fisiologici e psicologici bene attestati, dei mezzi curativi e dei farmaci atti a guarire, che i medici moderni rifiutano sdegnosamente di impiegare. Anche per quel che riguarda la chirurgia, i praticanti moderni hanno confessato umilmente e pubblicamente la loro totale impossibilità di avvicinarsi alla meravigliosa abilità mostrata dagli antichi Egiziani nell’arte del bendaggio. Le molte centinaia di metri di bende che avvolgono una mummia dalle orecchie a ogni distinto dito dei piedi, sono state studiate dai principali chirurghi di Parigi, i quali, pur col modello dinanzi agli occhi, non sono riusciti a fare nulla di simile. Nella Raccolta Egittologica di Abbott, a New York, si possono vedere numerose prove dell’abilità degli antichi in vari lavori manuali. Fra le altre, l’arte dei merletti. E, poiché gli indizi della vanità femminile vanno di pari passo con quelli della forza maschile, vi sono anche esempi di capelli posticci e di ornamenti d’oro di vario genere. La “Tribuna” di New York, nel considerare i contenuti del Papiro Ebers, dice: “Invero non vi è nulla di nuovo sotto il sole... I capitoli 65, 66, 79 e 89 mostrano che le lozioni per rafforzare i capelli, le tinture, i calmanti, gli insetticidi erano in voga 3.400 anni fa”. Quanto poche delle pretese scoperte recenti siano in realtà nuove, e quante appartengano agli antichi, è stato chiaramente ed eloquentemente mostrato, sebbene solo in parte, dal nostro eminente scrittore e pensatore, il professor John W. Draper. Il suo Conflict between Religion and Science (Conflitto fra la religione e la Scienza) un grande libro con un bruttissimo titolo — pullula di fatti simili. A pag. 13 egli cita alcune scoperte degli antichi studiosi, che suscitarono l’ammirazione di tutta la Grecia. In Babilonia fu fatta una serie di osservazioni astronomiche caldee che risaliva a mille e novecentotrè anni addietro: fu inviata da Callistene ad Aristotele. Tolomeo, il sommo astronomo egiziano, possedeva un’opera babilonese sulle eclissi che risaliva a settecentoquarantasette anni prima della nostra èra. Come il professor Draper fa giustamente notare: “Sono state necessarie lunghe e minuziose osservazioni prima che alcuni di questi risultati astronomici giunti fino a noi abbiano potuto essere controllati. Così i Babilonesi avevano stabilito la lunghezza di un anno tropicale con un’approssimazione di venticinque secondi, e la loro stima dell’anno siderale eccedeva solo di due minuti. Avevano scoperto la precessione degli equinozi. Conoscevano le cause delle eclissi e, con l’aiuto del loro ciclo chiamato saros, potevano predirle. La loro stima del valore di questo ciclo, che è di più di 6.585 giorni, si discostava dall’esattezza solo di diciannove minuti e mezzo”. “Fatti simili forniscono la prova incontrovertibile della pazienza e dell’abilità con cui l’astronomia era stata coltivata in Mesopotamia, e che, pur con mezzi strumentali molto inadeguati, aveva raggiunto una considerevole perfezione. Quegli antichi osservatori avevano fatto un catalogo delle stelle e avevano diviso lo zodiaco in dodici segni; avevano diviso il giorno in dodici ore e così pure la notte. Come dice Aristotele, si erano dedicati per lungo tempo all’osservazione dell’occultamento degli astri da parte della luna. Avevano idee esatte sulla struttura del sistema solare e conoscevano l’ordine della posizione dei pianeti. Avevano costruito orologi solari, clessidre, astrolabi e gnomoni”. Parlando del mondo delle verità eterne, che risiede “entro il mondo delle illusioni transitorie e delle non realtà”, il professor Draper dice: “Quel mondo non sarà scoperto attraverso le vane tradizioni che hanno portato fino a noi l’opinione degli uomini che vivevano all’alba della civiltà, né nei sogni dei mistici che pensavano di essere ispirati. Sarà scoperto dalle investigazioni della geometria e interrogando praticamente la natura”. Esatto. La conclusione non avrebbe potuto essere meglio espressa. Questo eloquente scrittore ci dice una verità profonda. Tuttavia non ci dice l’intera verità perché non la conosce. Egli non ha descritto la natura né la portata delle conoscenze impartite nei Misteri. Nessun popolo successivo è stato versato in geometria come i costruttori delle piramidi e di altri monumenti titanici antidiluviani e postdiluviani. D’altra parte nessuno li ha mai eguagliati nell’interrogare praticamente la natura. Una prova innegabile di questo è il significato dei loro innumerevoli simboli. Ognuno di questi simboli è un ‘idea che ha preso corpo, combinando la concezione del Divino Invisibile con il terreno visibile. L’uno deriva rigorosamente dall’altro per analogia, secondo la formula ermetica “come in alto così in basso”. I loro simboli mostrano una grande conoscenza delle scienze naturali e uno studio pratico della potenza cosmica. Quanto ai risultati pratici che saranno ottenuti con “l’investigazione della geometria”, molto fortunatamente per gli studiosi che vogliono passare all’azione, non siamo più costretti ad accontentarci di semplici congetture. Ai nostri tempi un Americano, George H. Felt, di New York, il quale, se continua come ha cominciato, potrà un giorno essere riconosciuto il massimo geometra dell’epoca, è stato capace, con il solo aiuto delle premesse dagli antichi Egiziani, di arrivare a risultati che esporremo con le sue stesse parole. “Anzitutto”, dice il Felt “è necessario il diagramma fondamentale al quale si può riferire ogni nozione di geometria elementare, sia piana, sia solida; poi produrre sistemi aritmetici di proporzione in modo geometrico; identificare questa figura con tutti i resti di architettura e di scultura, nei quali questa figura è stata seguita in modo meravigliosamente esatto; determinare che gli Egiziani l’avevano usata come base dei loro calcoli astronomici su cui il loro simbolismo religioso era quasi interamente fondato; trovare le sue tracce fra tutte le vestigia d’arte e di architettura dei Greci; scoprirne egualmente le tracce negli annali sacri degli Ebrei così da provare in modo conclusivo che si fondavano su di esso; trovare infine che l’intero sistema era stato scoperto dagli Egiziani dopo ricerche di decine di migliaia di anni sulle leggi della natura, e che potrebbe veramente chiamarsi la scienza dell’universo”. Inoltre egli ha potuto “determinare con precisione problemi di fisiologia finora semplicemente sospettati, e sviluppare per la prima volta una filosofia massonica tale da essere la prima scienza e la prima religione, così come sarà l’ultima”; e, possiamo aggiungere infine, provare con dimostrazioni visibili che gli scultori e gli architetti egiziani ottennero i modelli delle loro bizzarre figure che adornano le facciate e i vestiboli dei loro templi, non da disordinate fantasie dei loro cervelli, ma dalle “invisibili razze dell’aria” e di altri regni della natura, che il Felt, al pari degli antichi Egizi, sostiene di rendere visibili grazie ai loro processi chimici e cabalistici. Schweigger dimostra che i simboli di tutte le mitologie hanno una base e una sostanza scientifiche. Solo mediante recenti scoperte delle forze fisiche elettromagnetiche della natura, esperti di mesmerismo come Ennemoser, Schweigger e Bart in Germania, il barone Du Potet e Regazzoni in Francia e in Italia, poterono tracciare con esattezza quasi impeccabile la vera relazione in cui ogni teomito è con alcune di queste forze. Il dito ideico, che ha tanta importanza nell’arte magica di guarire, ha il significato di un dito di ferro che è attratto e respinto a turno dalle forze naturali magnetiche. Esso ha prodotto, in Samotracia, meraviglie di guarigione riportando organi malati nelle loro condizioni normali. Bart va più a fondo di Schweigger nell’interpretazione degli antichi miti, e studia l’argomento sotto entrambi gli aspetti, spirituale e fisico. Egli parla a lungo dei Dattili frigi, quei “maghi ed esorcisti della malattia”, e dei teurghi cabiri. Egli dice: “Quando parliamo della stretta unione dei Dattili con le forze magnetiche, non siamo necessariamente limitati alla pietra magnetica, e la nostra visione della natura non fa che gettare un colpo d’occhio sul magnetismo nel suo completo significato. Allora è chiaro come gli iniziati che si facevano chiamare Dattili sbigottivano il popolo con le loro arti magiche, compiendo, come fecero, miracoli di guarigione. A questo univano molte altre arti che il clero dell’antichità aveva l’abitudine di coltivare: l’agricoltura, la morale, il progresso dell’arte e della scienza, i misteri e le consacrazioni segrete. Tutto questo veniva fatto dai sacerdoti cabiri, e perché non sarebbero stati guidati e aiutati dai misteriosi spiriti della natura?” Schweigger è della stessa opinione, e dimostra che i fenomeni dell’antica teurgia erano prodotti da poteri magnetici “sotto la guida degli spiriti”. Nonostante il loro apparente politeismo, gli antichi — per lo meno quelli delle classi colte — erano decisamente monoteisti; e questo secoli e secoli prima di Mosè. Nel Papiro Ebers questo fatto è dimostrato in modo conclusivo nelle seguenti parole, tradotte dalle prime quattro righe della Tavola I: “Io sono venuto da Eliopoli con i grandi esseri di Hetaat, i Signori della Protezione, i padroni dell’eternità e della salvezza. Io sono venuto da Sais con le dee Madri che stendevano su di me la loro protezione. Il Signore dell’Universo mi ha detto come liberare gli dèi da ogni morbo mortale”. Gli uomini eminenti erano chiamati dèi dagli antichi. La deificazione di uomini mortali e gli dèi immaginati non sono una prova contro il loro monoteismo più di quanto i monumenti dei cristiani moderni, che erigono statue ai loro eroi, non sia una prova del loro politeismo. Gli Americani del nostro secolo considererebbero assurdo il fatto che la loro posterità, fra tremila anni, li definisse idolatri per avere eretto statue al loro dio Washington. La filosofia ermetica era così avvolta nel mistero da far affermare a Volney che i popoli antichi adoravano i loro grossolani simboli materiali come divini in se stessi, mentre essi erano solo considerati rappresentazioni di principi esoterici. Anche Dupuis, dopo avere dedicato molti anni allo studio del problema, fraintese il circolo simbolico e attribuì la loro religione solo all’astronomia. Eberhart (Berliner Monatschrift) e molti altri scrittori tedeschi dello scorso e del presente secolo, trattano la magia con ancor meno cerimonie e pensano che sia dovuta al mito platonico del Timeo. Ma, senza la conoscenza dei misteri, come era possibile, per questi uomini e per altri non dotati della sottile intuizione di uno Champollion, scoprire la metà esoterica che era celata, dietro il velo di Iside, a tutti coloro che non sono adepti? Nessuno vorrà mettere in dubbio il merito di Champollion come egittologo. Egli afferma che tutto dimostra come gli antichi Egiziani fossero profondamente monoteisti. L’esattezza degli scritti del misterioso Ermete Trismegisto, la cui antichità si addentra nella notte del tempo, è da lui sostenuta nei loro minimi particolari. Anche Ennemoser dice: “Erodoto, Talete, Parmenide, Empedocle, Orfeo e Pitagora si recarono in Egitto per istruirsi nella filosofia naturale e nella teologia”. Là anche Mosè acquistò la sua sapienza, e Gesù passò i primi anni della sua vita. Là si riunivano gli studiosi di tutti i paesi prima che Alessandria fosse fondata. “Come mai”, prosegue Ennemoser, “così poco è stato conosciuto di questi misteri attraverso tanti secoli e in tempi e popoli così diversi? La risposta è che questo è dovuto all’universale e rigoroso silenzio degli iniziati. Un’altra causa può essere trovata nella distruzione e totale perdita di tutti i documenti scritti della conoscenza segreta dell’antichità più remota”. I libri di Numa, descritti da Tito Livio, che consistevano in trattati sulla filosofia naturale, furono trovati sulla sua tomba; ma non era permesso conoscerli per tema che rivelassero i più segreti misteri della religione di Stato. Il senato e i tribuni del popolo decisero che quei libri dovevano essere bruciati, cosa che fu fatta in pubblico. La magia era considerata una scienza divina che portava alla partecipazione degli attributi della Divinità stessa. “Essa svela le operazioni della natura”, dice Filone Giudeo, “e conduce alla contemplazione dei poteri celesti”. In periodi più tardi il suo abuso e la sua degenerazione in stregoneria ne fecero un oggetto di universale orrore. Dobbiamo dunque considerarla quale era solo nel remoto passato, in quelle epoche in cui ogni vera religione era fondata sulla conoscenza dei poteri occulti della natura. Non fu la classe sacerdotale dell’antica Persia quella che stabilì la magia, come si crede comunemente, ma i Magi, che derivano da essa il loro nome. I Mobed, sacerdoti dei Parsi — gli antichi Gheber — sono chiamati ancor oggi Magoi nel dialetto dei Pehlvi. La magia apparve nel mondo con le prime razze umane. Cassiano ricorda un trattato, ben conosciuto nel IV e nel V secolo, che fu attribuito a Cam, figlio di Noè, il quale, a sua volta, si crede che lo ricevesse da Jared, ossia la quarta generazione di Seth, figlio di Adamo.
Scoperta degli adepti della magia e ipotesi dei loro detrattori moderni
Mosè doveva la sua sapienza alla madre della principessa egiziana, Thermuthis, che lo aveva salvato dalle acque del Nilo. La moglie del faraone, Batria, era una iniziata e gli Ebrei devono a lei il loro profeta, “versato in tutta la sapienza degli Egiziani e potente in parole e in fatti”. Giustino Martire, fondandosi sull’autorità di Trogo Pompeo, ci presenta Giuseppe come istruito nella profonda conoscenza dell’arte magica dei sommi sacerdoti dell’Egitto. Gli antichi conoscevano, su certe scienze, più di quanto i nostri moderni scienziati abbiano ancora scoperto. Sebbene molti siano riluttanti a confessarlo, questo è stato riconosciuto da più di uno scienziato. “Il grado di conoscenza scientifica esistente nel primo periodo della società umana era molto superiore a quanto i moderni siano disposti ad ammettere”, dice il dott. A. Todd Thomson, direttore di “Occult Sciences” di Salverte; “ma”, aggiunge, “quella scienza era chiusa nei templi, accuratamente nascosta agli occhi del popolo e comunicata solo al clero”. Parlando della Cabala, il dotto Franz von Baader fa notare che “non solo la nostra salute e la nostra saggezza, ma la nostra stessa scienza ci è giunta dagli Ebrei”. Ma perché non completare l’affermazione e non dire al lettore da chi gli Ebrei ricevettero la loro sapienza? Origene, che era appartenuto alla scuola alessandrina dei platonici, dichiara che Mosè, oltre ai segreti dell’alleanza, aveva comunicato ai settanta anziani alcuni importantissimi segreti “tratti dalle nascoste profondità della legge”. E ingiunse loro di comunicarli solo alle persone che giudicavano degne. San Gerolamo parla degli Ebrei di Tiberiade e di Lidda come dei soli insegnanti del metodo mistico di interpretazione. Infine Ennemoser esprime la sua ferma opinione che “gli scritti di Dionisio Areopagita sono evidentemente fondati sulla Cabala giudaica”. Quando consideriamo che gli gnostici, ossia i primi cristiani, non erano che seguaci degli antichi Esseni sotto un nuovo nome, la cosa non ci fa meraviglia. Il professor Molitor riconosce alla Cabala il suo giusto diritto. Egli dice: “Il tempo dell’inconseguenza e della superficialità, nella teologia come nella scienza, è
passato, e, da quando il razionalismo rivoluzionario non ha lasciato dietro di sé che la sua vuotezza dopo avere distrutto tutto ciò che era positivo, sembra adesso essere venuto il momento di dirigere nuovamente la nostra attenzione a quella misteriosa rivelazione che è la fonte vivente da cui deve scaturire la nostra salvezza... i Misteri dell’antica Israele, che contengono tutti i segreti dell’Israele moderna, sono particolarmente calcolati... per offrire la base alla teologia sui più profondi principi teosofici e per procurare un solido fondamento a tutte le scienze ideali. Questo aprirebbe una nuova via... all’oscuro labirinto dei miti, dei misteri e delle costituzioni delle nazioni primitive... Solo in quelle tradizioni è contenuto il sistema delle scuole dei profeti, che il profeta Samuele non fondò ma solo restaurò. Il suo scopo fu solo quello di condurre gli studiosi alla saggezza e alla più alta conoscenza, e, quando ne fossero divenuti degni, di introdurli ai più profondi misteri. Fra questi misteri figurava la magia, che era di doppia natura: magia divina e magia diabolica, o arte nera. Ognuna di esse è a sua volta distinta in due tipi, la attiva e la visiva; nella prima l’uomo cerca di mettersi in rapporto con il mondo per apprendere cose nascoste; nella seconda tenta di avere potere sugli spiriti; nella prima mira a compiere atti buoni e benefici; nella seconda di fare ogni sorta di azioni diaboliche e innaturali”. Il clero delle tre principali chiese cristiane, la greca, la cattolica e la protestante, disapprova ogni fenomeno spirituale che si manifesti attraverso i cosiddetti “medium”. In realtà non è trascorso molto tempo da quando queste due ultime corporazioni ecclesiastiche bruciavano, impiccavano o comunque uccidevano qualsiasi sciagurata vittima attraverso il cui organismo si manifestavano gli spiriti e, talora, cieche e ancora sconosciute forze della natura. A capo di queste tre chiese preminenti sta la Chiesa di Roma. Le sue mani sono macchiate dal sangue innocente di innumerevoli vittime, versato in nome di quella divinità simile a Moloch che è alla testa del suo credo. Ed essa è pronta a ricominciare. Ma è legata mani e piedi dallo spirito di progresso e di libertà religiosa proprio del XIX secolo, che essa avvilisce e condanna ogni giorno. La Chiesa grecorussa è la più mite e la più cristiana nella sua fede semplice e primitiva per quanto cieca. Nonostante il fatto che non vi è stata praticamente alcuna unione fra le Chiese greca e latina, e che esse si sono divise molti secoli fa, i pontefici romani sembrano regolarmente ignorarlo. Essi si sono arrogati la giurisdizione non solo sulle regioni della comunione greca ma anche su tutti i protestanti. “La Chiesa”, dice il professor Draper, “insiste nel pensare che lo Stato non ha diritti su ciò che essa dichiara essere suo dominio, e che il protestantesimo, in quanto pura ribellione, non ha diritti affatto, pretendendo che anche nelle comunità protestanti il vescovo cattolico sia il solo pastore spirituale legittimo”. Essa non si cura che i suoi decreti non siano ascoltati, che le sue encicliche non siano lette, che i suoi inviti a concili ecumenici vengano ignorati e le sue scomuniche derise. La sua insistenza è solo eguagliata dalla sua sfrontatezza. Nel 1864, il culmine dell’assurdo fu raggiunto quando Pio IX scomunicò l’imperatore di Russia e scagliò pubblicamente contro di lui i suoi anatemi come “scismatico espulso dal seno della Santa Madre Chiesa”. Né l’imperatore né i suoi antenati, né la Russia quando fu cristianizzata mille anni fa, hanno mai consentito a unirsi ai Cattolici Romani. Perché non reclamare la giurisdizione ecclesiastica sui Buddhisti del Tibet o sulle ombre degli antichi Hyksos? I fenomeni medianici si sono manifestati in tutti i tempi, in Russia come in altre regioni. Questa forza ignora le differenze religiose, ride delle nazionalità, invade non richiesta ogni individualità sia essa quella di una testa coronata o di un povero mendicante. Nemmeno l’attuale Vice-Dio, Pio IX stesso, può evitare questo ospite non gradito. Negli ultimi cinquant’anni, Sua Santità è stata notoriamente soggetta ad accessi molto straordinari. All’interno del Vaticano sono stati definiti visioni divine; fuori di lì, i medici li chiamano attacchi epilettici; e una voce popolare li attribuisce a un’ossessione dei fantasmi di Perugia, Castelfidardo e Mentana.
“Le luci diventano blu: è ormai notte fonda, Gelide e spaventose gocce imperlano la mia carne tremante, Ho creduto che le anime di tutti coloro che ho ucciso Venissero……. “ (Shakespeare, Riccardo III)
Il principe di Hohenlohe, così famoso durante il primo quarto del nostro secolo per i suoi poteri di guaritore, fu lui stesso un grande medium. In realtà questi fenomeni e questi poteri non appartengono ad alcuna età né ad alcuna regione in particolare. Formano una parte degli attributi psicologici dell’uomo, il Microcosmo. Per secoli i Klikouchy (lett. ululanti), gli Yourodevoy (idioti) e altre miserabili creature sono stati afflitti da strani disordini che il clero russo e il volgo attribuiscono a possessione da parte del demonio. Essi si affollano sugli ingressi delle cattedrali senza osare entrare temendo che i demoni che li controllano li gettino violentemente a terra. Voroneg, Kiew, Kazan e altre città che posseggono le reliquie taumaturgiche di santi canonizzati, abbondano di questi medium inconsapevoli. Si possono sempre trovare in gran numero, raccolti in gruppi repellenti o vagabondi per i portali e i portici. In certi momenti della celebrazione della messa da parte del clero officiante, come all’apparizione dei sacramenti o all’inizio della preghiera corale “Ejey Cherduvim”, questi mezzi maniaci e mezzi medium cominciano a cantare come galli, ad abbaiare, a muggire, a ragliare, e, finalmente, si abbattono in terribili convulsioni. “L’impuro non può sopportare la santa preghiera”: è questa la pia spiegazione. Qualche anima caritatevole, mossa a pietà, offre qualche ristoro e distribuisce qualche elemosina a questi “afflitti”. Ogni tanto un prete è invitato a esorcizzarli, nel qual caso egli compie la cerimonia per amore e carità o perché allettato da una moneta d’argento da venti copechi, a seconda dei suoi impulsi cristiani. Ma quelle miserabili creature — che sono medium perché a volte profetizzano e hanno visioni, quando l’attacco è genuino — non sono mai molestati a causa della loro disgrazia. Perché il clero dovrebbe perseguitarli o il popolo odiarli e denunciarli come odiosi stregoni? Evidentemente il comune buon senso e la giustizia suggeriscono che, se qualcuno deve essere punito non sono certo le vittime incapaci, ma il demonio che, a quanto si crede, controlla le loro azioni. Il peggio che possa capitare al paziente, uomo o donna, è che il prete lo inondi di acqua santa e gli provochi un raffreddore. Se il rimedio non è efficace, il Klikoucha è abbandonato alla volontà di Dio e ci si prende cura di lui per amore e carità. Per quanto superstiziosa e cieca, una fede fondata su tali principi merita certamente un qualche rispetto e non può mai essere offensiva, né per l’uomo né per il vero Dio. Ma non è così per i cattolici; e per questo essi, e secondariamente il clero protestante — con l’eccezione di alcuni pensatori eminenti fra gli uni e fra gli altri — saranno criticati in questa opera. Vogliamo sapere su quali basi fondano il loro diritto di trattare gli spiritualisti e i cabalisti indù e cinesi così come fanno, denunciandoli insieme con gli infedeli — creature da loro stessi inventate — come tanti dannati al fuoco inestinguibile dell’inferno. Lungi da noi l’idea della minima irriverenza — e tanto meno bestemmia — verso il Divino Potere che ha chiamato alla vita tutti gli esseri, visibili e invisibili. Non osiamo nemmeno pensare alla sua maestà e alla sua infinita perfezione. Ci è sufficiente sapere che esiste e che è tutto saggezza. Ci basta avere, in comune con le altre creature nostre sorelle, una scintilla della Sua essenza. Il supremo potere che noi riveriamo è illimitato e infinito: è la grande ANIMA SPIRITUALE CENTRALE dai cui attributi e dai visibili effetti del cui VOLERE noi siamo circondati, il Dio dei veggenti antichi e dei moderni. La sua natura può essere studiata solo nei mondi evocati dal suo potente FIAT. La sua rivelazione è tracciata dal suo stesso dito in figure imperiture di armonia universale sulla faccia del Cosmo. È l’unico vangelo INFALLIBILE che noi riconosciamo. Parlando degli antichi geografi, Plutarco fa notare, nel Teseo, che essi “raccolgono ai margini delle loro mappe le parti del mondo che non conoscono, aggiungendo note a lato per indicare che più oltre non vi è altro che deserti di sabbia pieni di animali selvaggi e di paludi inavvicinabili”. I nostri teologi e i nostri scienziati non fanno forse lo stesso? Mentre i primi popolano il mondo invisibile di angeli e di demoni, i nostri filosofi cercano di persuadere i loro discepoli che, dove non vi è materia, non vi è nulla. Quanti dei nostri inveterati scettici appartengono, nonostante il loro materialismo, alle logge massoniche? I fratelli della Rosacroce, misteriosi praticanti dell’età di mezzo, vivono ancora, ma solo di nome. Essi possono “versare lacrime sulla tomba del loro rispettabile Maestro, Hiram Abiff”; ma invano cercheranno il vero luogo “dove fu posto il ramo di mirto”. Rimane solo la lettera morta: lo spirito è fuggito. Essi sono come i cori inglesi o tedeschi dell’opera italiana, che, nel quarto atto dell’Ernani, scendono nella cripta di Carlomagno cantando la loro cospirazione in una lingua per loro assolutamente sconosciuta. Così i nostri moderni cavalieri dell’Arca Santa possono scendere ogni notte, se vogliono, “attraverso i nove Archi nelle viscere della terra”, ma “non scopriranno mai il sacro Delta di Enoch”. I “Signori Cavalieri della Valle del Sud” e quelli della “Valle del Nord”, possono cercare di convincersi che “la luce sorge sulle loro menti” e che, mentre progrediscono nella massoneria, “il velo della superstizione, del dispotismo, della tirannia” e così via, non oscura più la visione delle loro menti. Ma queste sono solo vuote parole finché essi trascurano la Magia loro madre e voltano le spalle al loro fratello gemello, lo Spiritualismo. In verità, “Signori Cavalieri dell’Oriente”, potete “lasciare i vostri seggi e sedervi a terra in atteggiamento di dolore prendendovi la testa fra le mani”, perché avete ampie ragioni di gemere e piangere sul vostro destino. Da quando Filippo il Bello distrusse i Cavalieri Templari, nessuno è apparso a chiarire i vostri dubbi malgrado ogni pretesa in contrario. In realtà voi siete “raminghi lungi da Gerusalemme cercando il tesoro perduto del sacro luogo”. Lo avete trovato? Ahimè no, perché il sacro luogo è profanato; i pilastri della saggezza, della forza e della bellezza sono distrutti. Quindi “dovete errare nell’oscurità”, e “viaggiare in umiltà” fra i boschi e le montagne in cerca della “parola perduta”. “Passate!” non la troverete mai finché limiterete il vostro pellegrinaggio al sette o anche al settevolte sette; perché andate “vagando nell’oscurità” e questa oscurità non può essere dissipata che dalla luce della brillante torcia della verità, portata solo dai legittimi discendenti di Ormasad. Essi soli possono insegnarvi la vera pronuncia del nome rivelato a Enoch, a Giacobbe e a Mosè. “Passate”! Finché il vostro R. S. W. non abbia appreso a moltiplicare 333 e a battere invece 666, il numero della Bestia apocalittica, farete bene a osservare la prudenza e ad agire “sub rosa”. Per dimostrare che le nozioni di cui si valevano gli antichi per dividere la storia umana in cicli non erano del tutto prive di base filosofica, chiuderemo questo capitolo presentando al lettore una delle più antiche tradizioni dell’antichità relative all’evoluzione del nostro pianeta. Alla fine di ogni “grande anno” chiamato da Aristotele, che seguiva Censorino, il più grande, e che consiste di sei sar, il nostro pianeta è soggetto a una completa rivoluzione fisica. I climi polare ed equatoriale cambiano gradatamente di posto. Il primo, muovendo lentamente verso la linea equatoriale e la zona tropicale, sostituisce, con la loro esuberante vegetazione e la straripante vita animale, i deserti ghiacciati dei poli. Questo cambiamento di clima è necessariamente accompagnato da cataclismi, terremoti e altre convulsioni cosmiche. Poiché il fondo dell’oceano viene spostato, alla fine di ogni decamillennio e circa un neros, avviene un diluvio semiuniversale come quello leggendario di Noè. Questo anno era detto eliacale dai Greci; ma nessuno, fuori del santuario, sapeva qualche cosa di certo sulla durata o sui suoi particolari. L’inverno di questo anno fu detto il Cataclisma del Diluvio, l’estate la Ecpirosi. La tradizione popolare insegna che in queste stagioni alternate il mondo fu di volta in volta arso e inondato. Questo, almeno, è ciò che apprendiamo dai Frammenti astronomici di Censorino e di Seneca. I commentatori erano così incerti circa la lunghezza di questo anno, che nessuno si avvicinò alla verità eccetto Erodoto e Lino, che gli attribuirono, il primo, 10.800 anni, e, il secondo, 13.984. Secondo le affermazioni dei sacerdoti, confermate da Eupolemo, “la città di Babilonia deve la sua fondazione a coloro che furono salvati dalla catastrofe del diluvio; essi erano i giganti e costruirono la torre di cui parla la storia”. Questi giganti, che erano grandi astrologhi e avevano ricevuto dai loro padri, “i figli di Dio”, ogni istruzione pertinente alle cose segrete, istruirono a loro volta i sacerdoti, e lasciarono nei templi tutti i racconti del cataclisma periodico di cui erano stati testimoni. Così i sommi sacerdoti vennero a conoscenza dei grandi anni. Se inoltre ricordiamo che Platone, nel Timeo, parla di un vecchio sacerdote egiziano che rimproverò Solone perché ignorava che vi erano già stati parecchi diluvi come il grande diluvio di Ogige, possiamo facilmente capire che questa credenza nell’Eliaco era una dottrina propria dei sacerdoti iniziati di tutto il mondo. I neros, i vrihaspati, o i periodi chiamati yugas o Kalpa, sono problemi vitali da risolvere. I Satya-yug e i cicli buddhisti della cronologia mozzerebbero il fiato a un matematico per la sfilata delle cifre. Il Maha-kalpa abbraccia un numero infinito di periodi che risalgono molto addietro nelle età antidiluviane. Il loro sistema comprende un kalpa o grande periodo di 4.320.000.000 anni, che viene diviso in quattro yuga minori come segue:
1 ° - Datya-yug - 1.728.000 anni
2° - Trêtya-yug - 1.296.000 anni
3° - Dvâpa-yug - 864.000 anni
4° - Kali-yug - 432.000 anni
Totale 4.320.000 anni che costituiscono un’età divina o Maha-yug. Settantun Maha-yug fanno 306.720.000 anni, a cui si aggiunge un sandhi (o il tempo in cui il giorno e la notte confinano, il mattino e il crepuscolo) eguale a un Satya-yug, 1.728.000 anni: il tutto forma una manwantara di 308.448.000 anni; quattordici manvantara fanno 4.318.272.000 anni, ai quali bisogna aggiungere un sandhi per cominciare il kalpa, 1.728.000 anni, facendo il kalpa, o un grande periodo, di 4.320.000.000 di anni. Poiché siamo ora solo nel Kaliyug della ventottesima età del settimo manvantara di 308.448.000 anni, abbiamo dinanzi a noi tempo sufficiente per raggiungere anche la metà del tempo concesso al mondo. Queste cifre non sono fantastiche, ma fondate su positivi calcoli astronomici come è stato dimostrato da S. Davis. Molti scienziati, fra cui Higgins, nonostante le loro ricerche, sono rimasti totalmente perplessi di fronte al decidere quale di questi fosse il ciclo segreto. Bunsen ha dimostrato che i sacerdoti egiziani che fecero le notazioni cicliche, le tennero sempre nel più profondo mistero. Forse la loro difficoltà sorse dal fatto che i calcoli degli antichi si applicavano egualmente al progresso spirituale dell’umanità e a quello fisico. Non sarà difficile capire la stretta corrispondenza stabilita dagli antichi fra i cicli della natura e quelli del genere umano, se ricordiamo la loro credenza nelle costanti e onnipotenti influenze dei pianeti sulle vicende dell’umanità. Higgins crede giustamente che il ciclo del sistema indiano di 432.000 anni sia la vera chiave del ciclo segreto. Ma il suo fallimento nel tentare di decifrarlo è evidente, perché, appartenendo al mistero della creazione, questo ciclo era il più inviolabile di tutti. Esso fu riprodotto in cifre simboliche solo nel Libro dei numeri caldeo, il cui originale, se esiste, non si può certo trovare nelle biblioteche, in quanto costituiva uno dei più antichi Libri di Ermete, il cui numero è oggi indeterminato. Con il calcolo del periodo segreto dei grandi Neros déi Kalpa indù, alcuni cabalisti, matematici e archeologi, che non sapevano niente dei calcoli segreti, cambiarono il numero di 21.000 anni in quello di 24.000 per la durata del grande anno, perché considerarono l’ultimo periodo di 6.000 anni applicato solo ai rinnovamenti del nostro globo. Higgins ne dà una spiegazione: nell’antichità si pensava che la precessione degli equinozi avvenisse solo ogni 2000 anni invece di 2.160 nel segno; e così si avrebbe, per la durata del grande anno, quattro volte 6.000 ossia 24.000 anni. “Di qui”, egli dice, “deriverebbero i loro cicli immensamente lunghi; perché avverrebbe la stessa cosa col grande anno come con l’anno comune, così il grande anno avrebbe percorso un cerchio immenso prima di tornare al suo punto di partenza”. Egli spiega dunque i 24.000 anni nel modo seguente: “Se l’angolo che il piano dell’ellittica fa con il piano dell’equatore fosse diminuito gradualmente e regolarmente, come si supponeva fino a tempi recenti, i due piani sarebbero venuti a coincidere in circa dieci età, ossia 6.000 anni; in altre dieci età (6.000 anni) il sole si sarebbe trovato relativamente nell’emisfero sud, come è adesso rispetto all’emisfero nord; dopo altre dieci età (6.000 anni) si sarebbe trovato dove è adesso, dopo un periodo di ventiquattro o venticinquemila anni in tutto. Quando il sole fosse giunto all’equatore, le dieci età di seimila anni sarebbero finite, e il mondo verrebbe distrutto dal fuoco; arrivato al punto sud, verrebbe distrutto dall’acqua. E così verrebbe distrutto ogni 6.000 anni, o dieci neros”. Questo metodo di calcolare mediante i neros, senza considerare il segreto in cui gli antichi filosofi, che appartenevano esclusivamente all’ordine sacerdotale, tenevano le loro conoscenze, fece sorgere grandissimi errori. Esso fece credere agli Ebrei, come ad alcuni platonici cristiani, che il mondo sarebbe stato distrutto al termine di seimila anni. Gale dimostra come questa credenza fosse profondamente radicata negli Ebrei. Essa ha anche indotto gli scienziati moderni a screditare totalmente le ipotesi degli antichi, e ha fatto sorgere diverse sette religiose che, come gli Avventisti del nostro secolo, vivono sempre nell’aspettativa della prossima distruzione del mondo. Poiché il nostro pianeta gira ogni anno attorno al sole, e gira una volta ogni ventiquattro ore attorno al proprio asse, attraversando così cicli minori all’interno di un ciclo più grande, l’opera dei periodi ciclici minori viene compiuta e ricominciata entro il Grande Saros. La rivoluzione del mondo fisico, secondo l’antica dottrina, è accompagnata da un’eguale rivoluzione nel mondo dell’intelletto: così l’evoluzione spirituale del mondo procede per cicli come l’evoluzione fisica. Di conseguenza vediamo nella storia un regolare alternarsi di flusso e riflusso nella marea del progresso umano. I grandi regni e imperi del mondo, dopo avere raggiunto il culmine della loro grandezza, scendono nuovamente in accordo alla stessa legge che li ha fatti salire; finché, raggiunto il punto più basso, l’umanità si riafferma e sale ancora a un’altezza che, per questa stessa legge di progressione per cicli, è un poco superiore a quella da cui era discesa. La divisione della storia umana in età d’Oro, d’Argento, di Bronzo e di Ferro, non è una finzione. Vediamo la stessa cosa nella letteratura dei popoli. Un’epoca di grande ispirazione e di produzione inconscia è invariabilmente seguita da una di critica e di coscienza. La prima porta materiale per le analisi e la mentalità critica della seconda. Così tutte le grandi figure che torreggiano come giganti nella storia umana, come Buddha-Siddârtha e Gesù, nel regno dello spirito, e Alessandro il Macedone e Napoleone nel regno delle conquiste fisiche, non furono che immagini riflesse di tipi umani esistiti diecimila anni prima, nel decamillennio precedente, riprodotte dai misteriosi poteri che controllano i destini del nostro mondo. Non vi è un personaggio eminente in tutti gli annali della storia sacra e profana il cui prototipo non si possa trovare nella tradizione, per metà fittizia e per metà reale delle antiche religioni e mitologie. Come le stelle che scintillano a incommensurabili distanze sopra di noi nell’infinita immensità del cielo, si riflettono nelle calme acque di un lago, così le immagini degli uomini delle epoche antidiluviane si riflettono nei periodi che noi possiamo abbracciare nella retrospettiva storica. “Come in alto così in basso. Ciò che è stato tornerà ancora. Come in cielo così in terra”. Il mondo è sempre ingrato verso i suoi grandi uomini. Firenze ha eretto una statua a Galileo, ma ricorda appena Pitagora. Il primo ebbe una guida sicura nei trattati di Copernico, il quale fu costretto a lottare contro il sistema tolemaico universalmente stabilito. Ma né Galileo né l’astronomia moderna hanno scoperto la postazione dei corpi planetari. Migliaia di anni prima di loro essa era insegnata dai sapienti dell’Asia centrale, di dove Pitagora la portò non come speculazione ma come scienza dimostrata. “I numeri di Pitagora”, dice Porfirio, “erano simboli geroglifici, con i quali egli spiegava tutte le idee relative alla natura delle cose”. (De vita Pythag.) In verità, dunque, solo all’antichità dobbiamo rivolgerci per conoscere l’origine delle cose. Hargrave Jennigs si è espresso perfettamente parlando delle piramidi, e le sue parole sono assolutamente vere quando egli domanda: “E forse ragionevole concludere che, in un periodo in cui la conoscenza era al suo sommo e i poteri umani erano, paragonati ai nostri, prodigiosi, tutti questi insuperabili e appena credibili effetti fisici, come le imprese degli Egiziani, siano stati consacrati a un errore? È ragionevole credere che miriadi di uomini del Nilo fossero dei folli che operavano al buio, che tutta la magia dei loro grandi uomini fosse inganno, e che solo noi, disprezzando ciò che chiamiamo la loro superstizione e la loro sperperata potenza, si sia nel vero? No! Con ogni probabilità vi è molto di più in quelle antiche religioni di quanto nell’audacia della negazione moderna, nella sicurezza di questi tempi di scienza superficiale e nella derisione di questi nostri giorni senza fede non sia supposto. Noi non comprendiamo l’antichità... Così vediamo come possano conciliarsi le pratiche classiche e gli insegnamenti pagani, come perfino gli Ebrei e i Gentili, la dottrina mitologica e la dottrina cristiana si accordino nella fede generale fondata sulla Magia. Che la Magia sia in realtà possibile è la morale di questo libro”. E possibile. Trent’anni fa, quando i primi “picchi” di Rochester risvegliarono la sonnecchiante attenzione per la realtà di un mondo invisibile, quando il modesto flusso di “picchi” divenne gradualmente un torrente che si riversò sull’intero globo, gli spiritisti dovettero lottare solo contro due potenze, la teologia e la scienza. Ma i teosofi hanno dovuto far fronte, oltre che a queste, al mondo in generale e agli spiritisti in particolare. Il predicatore cristiano tuona: “Vi è un Dio personale e vi è un Diavolo personale! Sia anatema chi osa negarlo!” “Non vi è alcun Dio personale eccetto la materia grigia del nostro cervello”, risponde sdegnosamente il materialista, “e non vi è alcun Diavolo. Chi lo afferma è un triplice idiota”. Frattanto gli occultisti e i veri filosofi non fanno attenzione né all’uno né all’altro dei due combattenti, ma perseverano nel loro lavoro. Nessuno di loro crede nell’assurdo, passionale e volubile Dio della superstizione, ma tutti loro credono nel bene e nel male. La nostra ragione umana, emanazione della nostra mente limitata, è certamente incapace di comprendere una intelligenza divina, una entità illimitata e infinita; e, secondo la stretta logica, ciò che trascende la nostra comprensione e rimane interamente incomprensibile per i nostri sensi, non può esistere per noi; quindi non esiste. Fin qui la ragione limitata concorda con la scienza e dice: “Dio non esiste”. Ma dall’altro lato il nostro Ego, quello che vive, pensa e sente indipendentemente da noi nel nostro scrigno mortale, fa qualche cosa di più che credere. Esso sa che esiste un Dio nella natura, perché il solo e invincibile Artefice di tutto vive in noi e noi viviamo in Lui. Nessuna fede dogmatica e nessuna scienza esatta può sradicare questo sentimento intuitivo inerente nell’uomo, quando esso lo ha pienamente sperimentato in se stesso.
L’aspirazione umana all’immortalità
La natura umana è simile alla natura universale nel suo orrore per il vuoto. Sente un’aspirazione intuitiva per il Potere Supremo. Senza un Dio, il cosmo le apparirebbe come un corpo senza anima. Impedito di cercarLo là dove solo si potevano trovare le sue tracce, l’uomo riempì questo vuoto penoso con il Dio personale che i suoi maestri spirituali avevano costruito per lui con le rovine dei miti pagani e le decrepite filosofie dell’antichità. Come spiegare altrimenti il pullulare di nuove sette alcune delle quali assurde oltre ogni misura? Il genere umano ha un bisogno innato e irresistibile, che deve essere soddisfatto in ogni religione che voglia soppiantare la dogmatica, indimostrata e indimostrabile teologia dei nostri secoli cristiani. É l’aspirazione a prove di immortalità. Come ha scritto Sir Thomas Browne: “la più pesante pietra che la malinconia possa scagliare a un uomo è dirgli che si trova alla fine della sua natura, o che non vi è per lui alcuno stato futuro nel quale quella natura sembri procedere, e senza il quale tutto è vano”. Se si presentasse una religione qualsiasi capace di offrire queste prove in forma di fatti scientifici, il sistema stabilito sarebbe tratto all’alternativa di rafforzare i suoi dogmi con questi fatti, o di perdere il rispetto e l’affetto della cristianità. Molti sacerdoti cristiani sono stati costretti a riconoscere che non vi è una fonte autentica da cui l’uomo possa trarre la sicurezza di uno stato futuro. Come, dunque, tale credenza si può essere mantenuta per innumerevoli secoli se non perché in tutte le nazioni, civilizzate o no, è stata concessa all’uomo questa prova dimostrativa? L’esistenza stessa di questa credenza non è forse una prova che filosofi pensanti e selvaggi irrazionali sono stati egualmente costretti a riconoscere la testimonianza dei loro sensi? Se, in alcuni casi isolati, apparizioni spettrali possono essere derivate da cause fisiche, d’altra parte, in migliaia di casi, apparizioni di persone hanno conversato contemporaneamente con più individui che le videro e le udirono insieme e che non potevano avere tutti la mente in disordine. I maggiori pensatori della Grecia e di Roma considerarono queste apparizioni come fatti dimostrati. Essi distinsero le apparizioni coi nomi di mani, anima e umbra: i mani scendevano, dopo la morte dell’individuo, nel mondo inferiore; l’anima, o puro spirito, saliva al cielo; e l’umbra inquieta (lo spirito legato alla terra) vagava intorno alla sua tomba perché prevalevano in lei le attrattive della materia e l’amore per il suo corpo terreno, e le impedivano di salire alle regioni più alte.
“Terra legit carnem, tumulum circumvolat umbra, Orcus habet Manes, spiritus astra petit”, (La terra accoglie la carne, l’ombra vola attorno alla tomba, l’Orco ospita i Mani e lo spirito cerca le stelle)
dice Ovidio parlando dei triplici costituenti dell’anima. Ma tutte queste definizioni devono essere sottoposte all’attenta analisi della filosofia. Troppi dei nostri pensatori non considerano che i numerosi cambiamenti di linguaggio, la fraseologia allegorica e l’evidente segretezza degli antichi scrittori mistici, che in genere avevano l’obbligo di non divulgare i solenni segreti del santuario, possono avere malamente sviato i traduttori e i commentatori. Essi leggono letteralmente le frasi dell’alchimista medievale; e perfino la velata simbologia di Platone è generalmente male interpretata dagli studiosi moderni. Un giorno essi impareranno a capire meglio, così da rendersi conto che il metodo dell’estrema necessità era praticato dall’antica come dalla moderna filosofia: che fin dai primi secoli dell’umanità le verità fondamentali di tutto ciò che ci è permesso conoscere sulla terra era sotto la sicura custodia degli adepti del santuario; che la differenza delle credenze e delle pratiche religiose era solo esteriore; e che quei custodi della primitiva rivelazione divina, i quali avevano risolto ogni problema concepibile dall’intelletto umano, erano legati insieme da una frammassoneria universale di scienza e di filosofia che formava una catena continua attorno al globo. Spetta alla filologia e alla psicologia trovare l’estremità del filo. Fatto questo, sarà accertato che, slacciando un solo anello degli antichi sistemi religiosi, tutta la catena del mistero può essere districata. L’aver trascurato o respinto queste prove ha condotto uomini eminenti come Hare e Wallace e altri pensatori di talento, a impigliarsi nelle pieghe dello spiritismo moderno. In egual tempo ne ha costretti altri, congenitamente privi di intuizione spirituale, ad accettare un materialismo grossolano che si presenta sotto vari nomi. Ma non vediamo l’utilità di insistere su questo argomento. Perché, sebbene nell’opinione della maggior parte dei nostri contemporanei non vi sia stato che un solo giorno di sapere alla cui alba assistevano i più antichi filosofi e il cui radiante mezzogiorno è tutto nostro; e sebbene la testimonianza di innumerevoli pensatori antichi e medievali è risultata inutile per gli sperimentatori moderni come se il mondo fosse cominciato nell’anno 1 della nostra èra, noi non perderemo la speranza e il coraggio. Il momento è più opportuno che mai per la revisione delle antiche filosofie. Archeologi, filologi, astronomi, chimici e fisici si avvicinano sempre più al punto in cui saranno costretti a prenderle in considerazione. La scienza fisica ha già raggiunto i suoi limiti di esplorazione; la teologia dogmatica vede inaridirsi le fonti della sua ispirazione. Se non interpretiamo male i segni, si avvicina il giorno in cui il mondo otterrà la prova che solo le antiche religioni erano in armonia con la natura e l’antica scienza abbracciava tutto ciò che può essere conosciuto. Segreti a lungo custoditi possono essere rivelati; libri dimenticati da tempo e arti da lungo tempo perdute possono essere portati ancora alla luce; papiri e pergamene di inestimabile importanza verranno a trovarsi nelle mani di uomini che dichiareranno di averli srotolati da mummie o rintracciati in cripte segrete; tavolette e pilastri possono essere esumati e interpretati, le cui rivelazioni scolpite meraviglieranno i teologi e confonderanno gli scienziati. Chi conosce le possibilità del futuro? Presto comincerà un’èra di disincantamento e di ricostruzione, anzi, è già cominciata. Il ciclo ha quasi compiuto il suo corso; un nuovo ciclo sta per avere inizio e le pagine future della storia metteranno in piena evidenza e daranno piena conferma che
“Se l’antichità può essere creduta in tutto, Degli spiriti sono scesi a conversare con l’uomo E gli hanno detto i segreti del mondo sconosciuto”.