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eSQueL ha scritto: E qua una seconda
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Bagnasco, monito sul federalismo "Se disgrega è un disvalore"
CITTA' DEL VATICANO - Il federalismo può essere "una ricchezza" solo se "costruisce l'unità". Se invece "disgrega" o "allontana" allora è sicuramente "un disvalore". E' quando dice, in un'intervista all'Osservatore Romano, il cardinale presidente della Cei Angelo Bagnasco, rispondendo a una domanda sul progetto politico federalista che era stato propugnato nell'800 dal beato Antonio Rosmini.
"La molteplicità, in tutti i campi, è una ricchezza se costruisce l'unità - dice Bagnasco -; se invece disgrega e allontana, allora non diventa più un valore ma un disvalore". "Si vorrebbe, a tutti i livelli e in tutti gli ambiti - aggiunge il presidente dei vescovi italiani -, che le specificità delle persone, come delle culture e delle regioni, diventino una ricchezza per il bene dell'insieme, un bene che deve essere reale per tutti".
Dal cardinale giunge anche una severa critica ai media. Che trasmettono "modelli culturali dominanti che possono impoverire la fede". E anche i cattolici, osserva Bagnasco, "sono chiamati a fare i conti con la crisi dei valori, perchè certe forme culturali dominanti che si respirano attraverso i mezzi di comunicazione, attraverso modelli di comportamento, toccano e possono toccare tutti: credenti e non credenti, cattolici e non cattolici; nessuno è esente da questo clima di possibile contaminazione che potrebbe impoverire strada facendo la fede, ma soprattutto il comportamento degli stessi cristiani".
(20 agosto 2010)
http://www.repubblica.it/politica/2010/ ... e-6395606/ Hola !!!!! Finalmente un prete credibile.
![Davvero Felice [:D]](./images/smilies/UF/icon_smile_big.gif)
E' la scoperta dell' acqua calda, è ovvio che qualsiasi riforma se gestita male puo portare danni.
Magari cominciamo con questo.
Il Federalismo fiscale è legge. La legge n.42 del 5 maggio 2009, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 6 maggio 2009, entrerà in vigore il 21 maggio prossimo.
Il disegno di legge n. 1117-B, collegato alla manovra finanziaria, recante delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione era stato approvato in via definitiva dal Senato con 154 voti favorevoli, 6 contrari e 87 astenuti nella seduta del 29 aprile 2009. Le dichiarazioni di voto finali hanno confermato l'ampio consenso delle forze politiche intorno ad una riforma ampiamente modificata rispetto alla stesura originaria.
Principi fondamentali del federalismo fiscale sono - da una parte - il coordinamento dei centri di spesa con i centri di prelievo, che comporterà automaticamente maggiore responsabilità da parte degli enti nel gestire le risorse. Dall'altra parte, la sostituzione della spesa storica, basata sulla continuità dei livelli di spesa raggiunti l'anno precedente, con la spesa standard.
Il federalismo fiscale per diventare operativo necessita di una serie di provvedimenti che si snodano nell'arco di 7 anni: 2 anni per l'attuazione e 5 di regime transitorio. La legge prevede innanzitutto l'istituzione di una commissione paritetica (DPCM 3 luglio 2009) propedeutica per definire i contenuti dei decreti attuativi che dovranno essere predisposti entro 2 anni dall'entrata in vigore della legge.
E' prevista anche una commissione per il coordinamento della finanza pubblica da istituire con uno di questi decreti. La commissione avrà carattere permanente e opererà in seno alla conferenza unificata.
Il finanziamento delle funzioni trasferite alle regioni, attraverso l’attuazione del federalismo fiscale, comporterà ovviamente la cancellazione dei relativi stanziamenti di spesa, comprensivi dei costi del personale e di funzionamento, nel bilancio dello Stato.
A favore delle regioni con minore capacità fiscale - così come prevede l'art.119 della Costituzione - interverrà un fondo perequativo, assegnato senza vincolo di destinazione.
Il federalismo fiscale introduce un sistema premiante nei confronti degli enti che assicurano elevata qualità dei servizi e livello di pressione fiscale inferiore alla media degli altri enti del proprio livello di governo a parità di servizi offerti. Viceversa, nei confronti degli enti meno virtuosi è previsto un sistema sanzionatorio che consiste nel divieto di fare assunzioni e di procedere a spese per attività discrezionali. Contestualmente, questi enti devono risanare il proprio bilancio anche attraverso l’alienazione di parte del patrimonio mobiliare ed immobiliare nonché l’attivazione nella misura massima dell’autonomia impositiva. Sono previsti anche meccanismi automatici sanzionatori degli organi di governo e amministrativi nel caso di mancato rispetto degli equilibri e degli obiettivi economico-finanziari assegnati alla regione e agli enti locali, con individuazione dei casi di ineleggibilità nei confronti degli amministratori responsabili degli enti locali per i quali sia stato dichiarato lo stato di dissesto finanziario.
Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria diventeranno città metropolitane, contestualmente la provincia di riferimento cessa di esistere e sono soppressi tutti i relativi organi a decorrere dall'insediamento della città metropolitana.
Roma Capitale è un ente territoriale, i cui attuali confini sono quelli del comune di Roma, e dispone di speciale autonomia, statutaria, amministrativa e finanziaria, nei limiti stabiliti dalla Costituzione.
L’attuazione del federalismo fiscale deve essere compatibile con gli impegni finanziari assunti con il patto di stabilità e crescita.
Roma - Il titolo è «un po’ ironico, un po’ serio», premette Michele Santoro. Bugia che il gran buio dello studio non basta a nascondere, perché il titolo ricalca con malizia feroce un film di successo a Cannes e nelle sale, «il Profeta»: storia dura di un giovane che fa carriera in carcere partendo come «servo» di un boss corso. Ma si sa: quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare e in campo ieri sera ad Annozero c’è un Giulio Tremonti tonico e pronto alla battuta di spirito come a quella di peso. Così provvede subito ai puntini sulle «i»: «Prevedo il futuro? Difficile, meglio cercare di far capire il presente».
Il ministro non molla la guardia un attimo: s’aspetta che Santoro le provi tutte per «mettermi in difficoltà». «Non c’è manovrina, mi dispiace deluderla», rintuzza al primo round. E affonda con il temibile gancio destro: «Lo dico soprattutto in virtù dei suoi elevati redditi...». È capace di prevenirlo (un po’ profeticamente), regala «colpi di buonsenso e intelligenza » a conduttore e ospiti della serata, in parti uguali. A cominciare dall’onnipresente Gad Lerner, la cui lunga esposizione socio-ideologica - «la sta buttando in politica», avverte il ministro- finisce polverizzata: «Sembra di stare sul lettino dello psicanalista».
Sotto il bulldozer finirà anche Marco Travaglio, che alla fine del suo sermoncino si sente investire dalla domanda «innocente » del professore, ormai a suo agio, perfido come si conviene: «Mi scusi, Santoro, ma non l’avevate licenziato? Avevo sentito di un divorzio fra voi due...». Ma se Michele batte e ribatte sul chiodo della crisi economica (replica: «Guardi che lo so che c’è la crisi, non è uno scoop, ma la nostra logica di contenimento ha funzionato e andremo avanti così»), la pietanza più piccante della puntata è il federalismo fiscale, la riforma delle riforme.
Il ministro dell’Economia, vero crocevia dei costi di attuazione, spiega senza peli sulla lingua perché «il federalismo o è fiscale o non è». E chiarisce: «Oggi siamo di fronte a un meccanismo che non sta in piedi, peggio che irresponsabile. Un sistema nel quale i poveri delle regioni ricche finanziano i ricchi delle regioni povere ».
Situazione antica, esplosa però per colpa della riforma del titolo quinto della Costituzione «voluta dal governo di sinistra, che ha regalato alle Regioni un enorme potere di spesa senza alcun dovere di presa». Errore fatale: la nostra finanza statale ne è uscita a pezzi, essendosi alimentatala possibilità,daparte degli enti locali, di spendere «in maniera dissennata», senza alcun controllo. Men chemenodaparte dei cittadini, conilvotochepunisceamministratori irresponsabili, inefficienza e spese folli. Proprio per il suo effetto «moralizzatore» Tremonti consideraessenzialeilfederalismofiscale. «Moralizzi la spesa e la rendi efficiente, sottoponendola al controllo dei cittadini, anche nel caso che, incassando poco localmente sia costretto a spendere molto ».
Il secondo effetto benefico della riforma sarà, dice il ministro, la «riduzione dell’evasione fiscale che è pari al Nord e al Sud». Difficile poter scovare la gran mole di cittadini italiani che, «in maniera illogica», dichiarano quasi nulla al fisco ma vivono alla grande. Tanto che «gli italiani sono più ricchi dell’Italia ». Comuni, Province, Regioni hanno invece tutto l’interesse a ridurre l’evasione fiscale: «Con otto milioni di partite Iva non bastano infatti solo gli uffici centrali e statali, serve anche il pilastro locale e quello dei comuni, che meglio conoscono la realtà economica».
Il Paese, aggiunge Tremonti, continua a essere «due volte diviso: un Centro-Nordche se la batte con le regioni più ricche d’Europa e un Sud che invece va indietro. Ma noi vogliamo tenerlo unito». Il ministro rintuzza le accuse sull’eventuale aumento del «gap» tra la parte povera e quella ricca del Paese e rassicura: l’avvento del federalismo fiscale «non sarà improvviso, violento, squilibrato, autoritario». E la riforma sarà attuata in «menodi dieci anni». Anzi, i primi decreti li vedremo «già entro quest’anno », e andranno a modificare anche il «patto di stabilità ».
Un meccanismo «cambiato da Prodi», non manca di ricordare Tremonti, diventando così «patto di stupidità». Le proteste di alcuni sindaci del Nord hanno mostrato «poco buonsenso: fare casino non risolve i problemi, non consiglio questo metodo». Per una volta, anche la macchina da guerra di Santoro fa cilecca.
La vera svolta sarà la definizione dei famosi "costi standard". Per garantire l’autonomia di entrate e spese a Regioni ed Enti Locali e decidere i livelli di perequazione si passerà in maniera progressiva dal criterio della spesa storica a quello del costo standard per garantire che i servizi fondamentali costino e siano erogati in maniera uniforme sul territorio nazionale. Il costo standard consentirà di determinare, per ciascun livello di governo, il fabbisogno di cui necessita un’amministrazione e quindi l’eventuale trasferimento perequativo cui avrà diritto in caso di entrate fiscali insufficienti a garantire i servizi. Ma non finisce qui.
Si punta a un calo complessivo della pressione fiscale. Con i decreti attuativi dovrà essere "garantita la determinazione periodica del limite massimo della pressione fiscale, nonché del suo riparto tra i vari livelli di governo". Il governo si è impegnato a fare in modo che con i decreti attuativi non si superi il livello massimo di pressione fiscale fissato nel Dpef e che entro i due anni successivi alla data in vigore dei Dlgs questa non superi il 42% e il 40% nei tre anni che seguono il primo periodo. Insomma, il federalismo fiscale sta per entrare nel vivo. Una manna anche per la campagna elettorale del Carroccio in vista delle Regionali.
Esso è sempre riferito ad una specifica realtà aziendale, con determinate caratteristiche funzionali, per un periodo di tempo stabilito. Il costo standard, in sede previsionale (en:Forecast), è frutto di una stima verificabile solo a posteriori e/o è determinato sulla base di congetture assunte a priori. In sede consuntiva invece c'è il costo effettivo, che è il costo analitico esatto e che puo' cambiare per molteplici motivi durante la produzione. Dal confronto (differenza) fra costo standard e costo effettivo possono emergere scostamenti più o meno significativi, che vanno sottoposti ad analisi (c.d. analisi degli scostamenti).
Perché usare il costo standard
Ci sono diversi vantaggi nell'uso del costo standard anziché il costo effettivo:
Il costo standard è base per il controllo delle performance. I risultati di unità organizzative, il costo del venduto, le prestazioni di un manager possono essere misurate in confronto con il costo standard.
Il costo standard fornisce un costo mediato a fronte di cambiamenti puntuali nel processo produttivo in materiali, modalità di assemblaggio, mano d'opera.
Per esempio in un reparto produttivo ci sono operai con differente anzianita' e le loro retribuzioni possono essere differenti. Se essi sono impegnati indifferentemente sulla medesima linea di montaggio assumo come costo orario per tutti gli operai il costo orario standard.
Il costo standard semplifica notevolmente le registrazioni e i rilevamenti per la contabilità industriale: nell'esempio precedente, non devo acquisire e tracciare il nome dell'operaio che ha realmente lavorato e calcolare il relativo costo orario in base al diverso costo aziendale del suo stipendio: assumo che il costo orario della mano d'opera sia uguale per tutti. Spesso si utilizza il costo standard perché non sarebbe economicamente conveniente rilevare i costi effettivi.
Inoltre, per valorizzare il magazzino semilavorati viene evitata la fase precedente e, nel contempo, l'esame delle fatture dei fornitori, per sapere il prezzo esatto dei grezzi e finiti di acquisto effettivamente utilizzati per realizzare il semilavorato. Tutti gli scarichi del magazzino sono valorizzati allo stesso prezzo, che viene modificato se cambia il processo produttivo o se cambiano i prezzi correnti di mercato delle materie prime.
Il semilavorato è valorizzato in base a un costo orario medio della manodopera, a una quantità media che tiene conto di un rendimento effettivo/teorico annuale dei centri di costo, e a un prezzo a media mobile degli acquistati necessari, aggiornato annualmente.
Il costo standard è riaggiornato periodicamente. Per costi stabili, può essere determinato in base ai dati consuntivati in un periodo di tempo significativo. Se ci sono delle aspettative di cambiamento dei costi, il costo standard può recepire il costo atteso nel futuro. Solitamente è calcolato in contemporanea al budget, spesso su base annuale. Dal budget il costo standard mutua una delle sue più importanti funzioni, che è quella di realizzare un certo grado di motivazione negli operatori che saranno ritenuti responsabili del raggiungimento o meno dello standard prescelto. Uno standard troppo, o troppo poco, ambizioso potrebbe dare o togliere motivazione all'impegno lavorativo, a seconda della situazione psicologica del personale che con tale standard andrà a confrontarsi: manager molto ambiziosi saranno motivati nel primo caso, demotivati nel secondo (e viceversa). Ma anche cambiamenti importanti all'interno dell'azienda o del mercato delle materie prime possono forzare aggiornamenti del costo standard più brevi di quanto previsto.
Il costo standard è solitamente usato nei budget operativi, e permette di fare analisi di scostamento del costo effettivo, analizzarne le motivazioni e mettere in pratica eventuali azioni correttive
Il costo standard è una metodologia nell’ambito dei progetti di product costing che permette di valorizzare il costo di produzione di un prodotto finito o di un suo componente, sia semilavorato che acquistato. Ogni materiale può essere un make oppure un buy. I prodotto make sono associati ad una distinta base e a un ciclo di produzione. Il costo standard utilizza una logica dell’MRP che utilizza l’anagrafica del materiale e altri due documenti associati ad ogni prodotto finito: la distinta base di produzione e il ciclo di lavorazione/montaggio in stato rilasciato. Le transazioni del calcolo costi esplodono la distinta base e calcolano il prezzo finale del prodotto in questo modo:
-per gli acquistati, che non hanno né ciclo né distinta base, il costo è pari al prezzo del fornitore, generato in automatico dal Sistema Informativo in base a un’analisi delle serie storiche , come una medie pesate degli Ordini di Acquisto del codice chiusi e di quelli ancora in scadenza, oppure imposto a mano, a partire da un’indagine di mercato e da un proprio listino prezzi delle forniture;
-per i componenti della distinta fatti in casa, viene esplosa la porzione di distinta sottostante: il costo sarà pari al prezzo degli acquistati (grezzi e finiti d’acquisto) più il costo di trasformazione, che monetizza le ore di lavorazioni e montaggi necessarie.
Il costo di trasformazione di un materiale è dato da quello per i singoli centri di costo, che è il prodotto di un parametro orario specifico del centro per il totale ore necessarie. L’azienda definisce dei Centri di Costo (CdC) con una relativa tariffa oraria che include tutti i costi diretti, ossia i costi che variano con la quantità prodotta, che sono:
- l’energia;
- il lavoro diretto (non gli impiegati e la struttura amministrativa);
- l’ammortamento annuo (o il costo di noleggio) iscritto a bilancio, di macchinari e attrezzature.
- i materiali indiretti e le ore indirette, per la manutenzione ordinaria e a guasto degli impianti.
Semplificando, un centro di costo può essere un gruppo di macchine oppure un ente organizzativo (funzione aziendale), e dipende dai processi della singola azienda. Il parametro orario applicato è aggiornato periodicamente alla luce delle variazioni di prezzo dei fattori di produzione.
Il ciclo produttivo è una sequenza di operazioni o fasi, di lavorazione o montaggio, alle quali viene assegnata una macchina (un centro di costo), un tempo di set-up e un tempo ciclo. Il tempo di attrezzaggio (set-up), necessario a preparare il macchinario prima della produzione, è ripartito per un lotto minimo o per un lotto ottimale di produzione che è indicato come proprietà anagrafica di ogni materiale. Il tempo totale di una fase è dato dalla somma di tempo ciclo e di set-up, diviso per il lotto.
Quindi, per ogni componente make:
- si calcolano le ore totali per centro di costo, come somma di set-up e tempi ciclo di tutte le operazioni che utilizzano un dato macchinario/centro di costo;
- si moltiplica per il parametro orario specifico del centro di costo, aggregando i risultati.
Il totale ore del centro di costo può essere aumentato tenendo conto del trend del momento, dell’efficienza che il centro di costo manifesta come rapporto fra le ore preventivate nei cicli e negli ordini di lavoro in corso di produzione, e quelle effettivamente impiegate per le lavorazioni.
Il costo standard non tiene conto di alcuni elementi quali:
- una percentuale di scarti, legata alla variabilità naturale del processo produttivo;
- il learning, o economia di apprendimento, che è il maggior numero di ore necessario all’avvio di una produzione, destinato a decrescere con la quantità prodotta.
Il costo totale può essere lo standard, maggiorato con dei correttivi che valorizzano questi elementi.
Il costo standard è anche uno strumento di pianificazione dei costi. Serve a valorizzare mensilmente i materiali per prodotto/commessa, mentre le ore per centro di costo sono quelli ricavabili dai cicli e dagli ordini di produzione emessi. Lo standard è il riferimento al quale dovrebbe avvicinarsi, a consuntivo, il costo di un prodotto, se il processo produttivo è a regime (cioè in condizione normali,in cui i costi sotto controllo). Se l’azienda è dotata di un sistema di rilevazione delle timbrature, il costo standard diviene un metodo di controllo del costo del lavoro.
Un sistema di rilevazione serve anche nell'officina per rilevare le ore di impegno delle macchine e degli operai diretti, legate alle righe di ordine di lavoro per realizzare un certo materiale. Prima di inziare a lavorare un ordine di produzione o libretto di lavoro, l'operatore con una pistola per codici a barre marca la propria matricola, quella della macchina che inizia ad attrezzare, e digita a sistema il numero di ordine e di riga eseguita, corrispondente a una fase del ciclo di lavorazione o di montaggio del pezzo.
A completamento del costo standard, si effettua l'analisi degli scostamenti, fra standard ed effettivo, per input e output, in termini di volume e di costo unitario. L'analisi degli scostamenti consente ad esempio di isolare le responsabilità del marketing da quelle della produzione, valutare il margine per prodotto e se al limite è realizzato in perdita.
Le ore impiegate in più di quelle previste dallo standard, ossia le ore non a ciclo, sono devianze che vanno causalizzate. Le devianze si dividono prima di tutto in quelle che dipendono dalla produzione, oggetto della misura, o dal sistema di rilevazione delle timbrature. Fra le varianze di produzione vi sono quelle imputabili al prodotto che vanno ad aumentare il prezzo al cliente finale, o caricate su commessa; e quelle spesate come costi della struttura, non imputabili al cliente, ma a inefficienze interne.
L'adozione di una contabilità a costi standard avviene in alternativa ai metodi basati sul costo storico di acquisto. Per aggiornare il costo unitario dei centri di produzione il prezzo dei materiali di acquisto, il costo standard richiede un confronto con altre imprese dello stesso settore in un dato periodo di tempo, sia per l'azienda produttrice che per i suoi fonnitori.
Una contabilità basata sul costo storico di acquisto è orientata ad osservare l'andamento dei costi nel tempo, piuttosto che fra aziende diverse.
Una metodologia a costi standard pone l'enfasi sul benchmark con le altre imprese del mercato e le best practice, introduce l'idea che il costo è un fattore variabile da ridurre se troppo si scosta dalle medie di mercato, al di là del fatto che in passato il costo storico di acquisto sia rimasto a determinati livelli.
L'esempio più esteso di utilizzo della contabilità a costi standard è rappresentato dalla pubblica amministrazione.
La contabilità a costi standard è il criterio adottato per l'assegnazione delle risorse per la spesa sanitaria e il federalismo fiscale. È pure il criterio di controllo della spesa pubblica adottato dalla Corte dei Conti.