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MessaggioInviato: 06/07/2010, 14:52 
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Blissenobiarella ha scritto:

Rmnd, fammi la cortesia di leggere con attenzione:

http://www.eleaml.org/e_book/intervista.pdf


Vedi che continui a postare studi non di storici e studiosi meridionali qualsiasi ma di meridionalisti come questo Nicola Zitara le cui affermazioni dovranno essere valutate criticamente non tanto dal sottoscritto ma dagli storici quelli veri ed equilibrati e meridionali possibilmente per evitare interessi di parte 'nordista'. Storici meridionali e non meridionalisti che ho cercato di trovare e postare in queste pagine.

Nicola Zitara per le sue tesi non è dissimile da un Gianfranco Miglio , il fu ideologo della Lega Nord.

Non a caso questo Zitara lo trovi citato in portali per l'indipendenza del meridione.

Nicola Zitara,
ideaotre e direttore di FORA,
la rivista elettronica
del Movimento Separatista

http://www.eleaml.org/nicola/nicoport.html

http://comitatiduesicilie.org/index.php?option=com_content&task=view&id=1173&Itemid=66

http://www.duesicilie.org/OLDSITE/NZrisponne.html

..e via discorrendo...

Allora devo sentirmi autorizzato per i prossimi post a incollare le teorie di Gianfranco Miglio?



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MessaggioInviato: 06/07/2010, 15:11 
Rmnd, se preferisci, leggi pure quanto postato da barionu. Quello di Nicola Zitara è sostanzialmente un approfondimento di quanto già sostenuto

Oppure ri-citiamo da wikipedia

Carlo Bombrini
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Carlo Bombrini (Genova, 3 ottobre 1804 – Roma, 15 marzo 1882) è stato un banchiere e imprenditore italiano.
Senatore del Regno d'Italia fu amico in gioventù di Giuseppe Mazzini. Fu Direttore Generale della Banca di Genova dal 1845 al 1849, Direttore Generale della Banca Nazionale degli Stati Sardi dalla sua fondazione, 1849, al 1861 ed infine Governatore della Banca Nazionale del Regno d'Italia dal 1861 al 1882.Contribuì all' unità d'Italia finanziando le prime guerre d'indipendenza. Fu amico di Camillo Benso Cavour, del quale condivideva le aspirazioni per una modernizzazione del sistema industriale italiano. È stato tra i fondatori della società industriale Ansaldo. Fu tra i promotori dello smantellamento delle grandi industrie del meridione d'Italia, prima fra tutte quella di Pietrarsa, presentando il piano economico-finanziario che avrebbe alienato tutti i beni del Regno delle Due Sicilie. Famosa la sua frase «Non dovranno mai essere più in grado di intraprendere» riferita ai meridionali. Il suo piano ebbe gli effetti sperati e la sua Ansaldo beneficiò della neutralizzazione di Pietrarsa che non ebbe più commesse, dirottate a Genova.



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MessaggioInviato: 06/07/2010, 15:35 
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Blissenobiarella ha scritto:
Rmnd Goethe risiedette a Napoli e Dickens vi si recò solo in visita. Basta questo a mettere nel giusto rapporto le due "impressioni". Inoltre Goethe si soffermò ad offrire un analisi che porta in luce un FATTO incontrovertibile: la vita al sud si svolge FUORI, all'aperto, tutto la miseria e l'operosità, i momenti di riposo e quelli di svago, il lavoro e lo scherzo avviene sotto il sole generoso del meridione. Chi viene dalle piovose e fredde regioni del nord non può che essere travolto e sconcertato da questo caotico vitalismo che permea ogni aspetto delle persone che vivevano e vivono al sud.
Fu Dickens( che risiedette a Genova) che indugiò su "ritratto impressionistico" del paese ( tutta l'Italia) che di adattava a quello che era il suo umore del momento, senza offrire, e senza avere alcuna pretesa di farlo, alcun tipo di analisi storica o sociale.



Considero più degna di attenzione l'analisi freddda sotto la lente del microscopio di Dickens piuttosto di quella romantica del Goethe..

A me pare che il Goethe non sia il soggetto migliore per capire qualcosa sulla società Italiana preunificazione.

In Goethe ravviso stupore e meraviglia a suo modo provinciale (e se conosci Weimar oggi saprai a cosa alludo) e "il mito del buon selvaggio" o meglio, trasposto nella visione di Goethe, direi "il mito del buon terrone".

Lui dotto tedesco illuminato tra i buon selvaggi che tanta ilarità gli suscitavano, accolto con onore dai principi e intellettuali romani e del regno delle 2 sicilie.

Una realtà filtrata più simile al moderno turista occidentale quando decide di trascorrere le vacanze in una struttura 5 stelle in paesi splendidi ma poveri...e di ritorno da questi l'immancabile 'tiritera'..."non hanno nulla ma sono così felici e si accontentano di poco..."

Allora davvero, preferisco l'analisi impietosa del romanziere inglese a quella Disneyana dell'amico tedesco.


ti propongo alcuni stralci dell'idealismo quasi infantile di Goethe:

Intanto se ben ricordo da un mio breve soggiorno a Weimar, Goethe soggiornò a Roma e non a Napoli, ma poco importa.

Comunque, dal sito http://www.eloyed.com/goethe8.htm, si legge.

17 maggio - 3 giugno: Napoli
"...il soggiorno di Goethe a Roma fu interrotto soltanto da un viaggio a Napoli e in Sicilia durato quattro mesi..."

Goethe: "Conosci il Paese dove fioriscono i limoni?"


Viaggiava sotto falsa identità: Giovanni Filippo Moeller, "commerciante di Lipsia". Ma sembrava che tutti sapessero chi egli fosse in realtà. Pochi giorni dopo il suo arrivo, nell’albergo in cui alloggiava insieme al suo amico Kniep si presentarono due messi del vicerè, che invitarono espressamente lui e solo lui, il celebre autore del Werther, a seguirli nel Palazzo Reale. Goethe faceva parte della libera muratoria, e, poiché il vicerè Caramanico aveva ricoperto a Napoli la carica di Grande Maestro della Massoneria, volle avere a tavola al suo fianco il famoso poeta...

..Nel suo diario di viaggio, l'approccio di Goethe con l'Italia è spesso affettuosamente ilare. A Napoli scrive: "I napoletani credono di possedere un pezzo di paradiso, e del settentrione hanno un concetto alquanto triste: 'Sempre neve, case di legno, gran ignoranza, ma danari assai.' [in italiano nel testo]" Tra le tante escursioni include Caserta, dove si reca per visitare Philipp Hackert, famoso paesaggista suo connazionale. Hackert ha la fortuna di abitare in un'ala del bel Palazzo Francavilla, sotto la diretta protezione del re e della regina...

Goethe ama la Campania, ma soprattutto ama Napoli. E' pieno di ammirazione per questa città e per i suoi abitanti. "Ich finde in diesem Volk die lebhafteste und geistreichste Industrie, nicht um reich zu werden, sondern um sorgenfrei zu leben." E: "Anche a me qui sembra di essere un altro. Dunque le cose sono due: o ero pazzo prima di giungere qui, oppure lo sono adesso."

Insieme alla dettagliata descrizione delle sue esperienze di viaggio, delle sue passeggiate e dei vari pranzi in compagnia di nobili e di artisti (un po' troppo vita mondana per uno che voleva conservare l'anonimato!), trova il tempo di lavorare ai suoi progetti di scrittura.


..."Il Principe [di Waldeck] mi aveva già chiesto, nel nostro primo incontro, di che cosa io mi occupi in questo momento. L' 'Iphigenia' mi era così impressa nella memoria che una sera potei parlargliene con ricchezza di dettagli. Mi ascoltarono; io però credetti di notare che da me si aspettavano qualcosa di più vitale, di più sfrenato." (Napoli, 1 marzo.)

Lo stesso Principe di Waldeck gli promette che attenderà il suo ritorno dalla Sicilia per intraprendere una sortita insieme a lui in Dalmazia e in Grecia. Goethe rifiuta cortesemente, anche se in fondo l'idea non gli dispiace. "Ecco a che punto un viaggiatore può estranearsi da se stesso, o addirittura arrivare ad impazzire." ...


Goethe lavora all'Ifigenia, ma anche al Tasso (in cui descrive, in forma letteraria, la sua relazione con Charlotte von Stein). E' il manoscritto di quest'ultima opera che egli porta con sé sul 'Tartaro', la nave che lo conduce a Palermo. Nel capoluogo siciliano si meraviglia della sporcizia che riempie i corsi principali, ma sa anche cogliere l'umoristica rassegnazione degli stessi palermitani (che dimostravano benissimo di conoscere la corruzione dell'amministrazione cittadina).

E poi siamo nuovamente a Napoli. "E`vero, qui non si può fare qualche passo senza che ci si imbatta in individui mal vestiti, o vestiti persino solo di stracci, ma non per questo loro sono perdigiorno e fannulloni! Anzi, paradossalmente oserei dire che a Napoli il lavoro maggiore viene svolto dalle persone dei ceti bassi."
E: "...il cosiddetto lazzarone non è meno attivo di chi appartiene a una classe agiata, e tuttavia bisogna prendere nota che qui tutti lavorano non solo per vivere, ma anche per godersi la vita; pure nella fatica vogliono essere felici."



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MessaggioInviato: 06/07/2010, 15:56 
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Blissenobiarella ha scritto:
Rmnd, se preferisci, leggi pure quanto postato da barionu. Quello di Nicola Zitara è sostanzialmente un approfondimento di quanto già sostenuto

Oppure ri-citiamo da wikipedia

Carlo Bombrini
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Carlo Bombrini (Genova, 3 ottobre 1804 – Roma, 15 marzo 1882) è stato un banchiere e imprenditore italiano.
Senatore del Regno d'Italia fu amico in gioventù di Giuseppe Mazzini. Fu Direttore Generale della Banca di Genova dal 1845 al 1849, Direttore Generale della Banca Nazionale degli Stati Sardi dalla sua fondazione, 1849, al 1861 ed infine Governatore della Banca Nazionale del Regno d'Italia dal 1861 al 1882.Contribuì all' unità d'Italia finanziando le prime guerre d'indipendenza. Fu amico di Camillo Benso Cavour, del quale condivideva le aspirazioni per una modernizzazione del sistema industriale italiano. È stato tra i fondatori della società industriale Ansaldo. Fu tra i promotori dello smantellamento delle grandi industrie del meridione d'Italia, prima fra tutte quella di Pietrarsa, presentando il piano economico-finanziario che avrebbe alienato tutti i beni del Regno delle Due Sicilie. Famosa la sua frase «Non dovranno mai essere più in grado di intraprendere» riferita ai meridionali. Il suo piano ebbe gli effetti sperati e la sua Ansaldo beneficiò della neutralizzazione di Pietrarsa che non ebbe più commesse, dirottate a Genova.



scusami però, è anche questione di metodo.

Se wikipedia non riporta le fonti o quando le riporta sono quelle di Nicola Zitara o di qualche altro meridionalista neo-borbonico, capisci bene che giochiamo a ping-pong.

Ma fosse anche vero, allora devo riportare nuovamente questa citazione dello storico Angelo Massafra dell'Università di Bari, Dipartimento di scienze storiche e sociali, postato precedentemente:

"...Significherebbe, e ripeto qui ciò che già ho espresso altrove, militare nelle file di coloro che <<abituati ad esagerare particolari>>, a <<cambiare>> in azioni principali gli <<episodi>>, a distorcere i <<fatti dal loro genuino significato>> a <<intessere fantasie>> - come scriveva Croce - vanno alla ricerca di presunti <<Primati del regno di Napoli>> per affermare chissà quale supremazia.

E questo non sarebbe rendere un buon servizio al Mezzogiorno e alla storiografia meridionale: significherebbe correre il rischio di risvegliare quel patriottismo meridionalistico querimonioso e d'accatto fiorito, e anche con fortuna, in un tempo non lontanto..."


Insomma il quadro è composito , un puzzle se non quando un patchwork, ma utilizzare in modo strumentale la tesi degli intrighi 'nordisti' a discapito del meridione per giustificarne la sua condizione passata e presente non aiuta certo a capire e tantomeno risolvere la secolare questione meridionale. Si analizzino pure le trame 'nordiste' a danno del meridione ma non le si usi come alibi per giustificare una situazione sociale che in realtà era preesistente all'unità dItalia.


Ultima modifica di rmnd il 06/07/2010, 15:58, modificato 1 volta in totale.


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MessaggioInviato: 06/07/2010, 16:39 
Indubbiamente si tratta di un puzzle composito in cui vediamo lo storico abbozzarsi di quelli che saranno le cattive abitudini conclamate dei governi italiani e l'istaurarsi del doppio legame sempre più solito e indissolubile tra politica e finanza .
Sull'idagine riguardante la"doppia circolazione dei biglietti bancari" e il "corso forzoso":
http://www.scribd.com/doc/30015234/Lo-s ... nca-Romana

http://books.google.it/books?id=WW4rAAA ... &q&f=false



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MessaggioInviato: 10/07/2010, 11:50 
Vizi e pregiudizi contro lo sviluppo
Le tante bugie tra nord e sud



Non si verrà mai a capo della divisione Nord/Sud se non si aggrediranno certe costruzioni ideologiche che funzionano da schermo, che impediscono di vedere la realtà, e di fatto la legittimano e la perpetuano.

Mi riferisco, in primo luogo, a quella «teoria del colonialismo interno» abbeverandosi alla quale sono cresciute intere generazioni di meridionali.

È la teoria secondo cui, dall’Unità in poi, il Sud sarebbe stato vittima della colonizzazione, con annesso sfruttamento, del Nord.
Come tutte le costruzioni ideologiche, la teoria mescola qualche verità e molte bugie.

Essa ha dato luogo a una «sindrome da risarcimento» che ha legittimato per decenni un colossale trasferimento di risorse pubbliche dal Nord al Sud.
Poco male se si fosse trattato di una «bugia utile», se fosse servita a colmare il divario, a creare nel Sud le condizioni per uno sviluppo economico auto-sostenuto.

Ma quella strada ha portato solo a disastri: dilatazione della intermediazione politica, gonfiamento dei ceti politico- burocratici, parassitismo, corruzione, alimentazione della criminalità.
Il contrario di ciò che serve allo sviluppo.

Ma, nonostante l’evidenza, teoria del colonialismo interno e sindrome da risarcimento sono tuttora vive, influenzano gli atteggiamenti e i comportamenti di molti meridionali.
Quale altra fonte di legittimazione potrebbe avere, ad esempio, la ventilata Lega del Sud?

Anche al Nord, naturalmente, abbondano stereotipi e costruzioni ideologiche.
Nella diffusa idea che il Sud sia solo una palla al piede per lo sviluppo del Nord convivono verità (sull’oggettivo costo del Sud) e bugie.
È falso che il Nord non pagherebbe alti prezzi facendo a meno del Sud.
Amputata del Sud, quanto meno, l’Italia subirebbe un drastico declassamento in Europa, cesserebbe di essere uno dei quattro grandi Stati europei.

È comunque ovvio che il Nord possiede le carte migliori.
È un’asimmetria di cui le classi dirigenti del Mezzogiorno devono tener conto.

Il Sud ha di fronte due strade: la via «brasiliana» e la via «slovacca». Esistono certe interessanti analogie fra la storia dell’America Latina e quella del Sud d’Italia.

Per un lungo periodo, le classi dirigenti latinoamericane coltivarono nei confronti degli Stati Uniti lo stesso atteggiamento di molti meridionali italiani nei confronti del nostro Nord.
Attribuendo all’imperialismo yankee la causa del proprio sottosviluppo i latinoamericani si autoassolvevano da ogni responsabilità e, con i loro comportamenti, perpetuavano il sottosviluppo.

Poi in alcuni Paesi (Brasile, Cile ed altri), le classi dirigenti si sono rinnovate rimuovendo alcuni degli antichi vizi.
Anziché continuare ad imputare ad altri la colpa delle proprie disgrazie hanno inaugurato vere politiche di sviluppo che hanno dato in brevissimo tempo grandi frutti.

Abbandonare la sciagurata teoria del colonialismo interno è necessario perché il Sud possa cominciare a seguirne le orme.
In alternativa, il Sud può scegliere la via slovacca.

La Slovacchia era la parte più povera della Cecoslovacchia.
Gli slovacchi tirarono troppo la corda, pretesero troppe risorse. Minacciarono anche la secessione. I cechi risposero: accomodatevi.
E secessione fu.

Sarebbe assai più utile per il Sud, e per l’Italia tutta, se il Mezzogiorno (magari sfruttando l’occasione del varo del federalismo fiscale) si decidesse ad imboccare la via brasiliana.

Angelo Panebianco
10 luglio 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA

http://www.corriere.it/editoriali/10_luglio_10/panebianco-bugie-nord-sud_2e713ebc-8be4-11df-9aa1-00144f02aabe.shtml



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MessaggioInviato: 10/07/2010, 11:57 
Ok abbiamo le differenti tesi, ora proviamo a fare delle analisi:

Prima dell'untà non esisteva il fenomeno dell'emigrazione dei meridionali.
Sei in grado di spiegarmi il perchè con le tesi che stai proponendo?
Prima dell'unità, le casse del Regno delle due Sicilie erano in attivo, quello delle regioni del nord in passivo.
Come mai questa tendenza si è capovolta?

per ora, a mio parere, possiamo partire da qui.



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MessaggioInviato: 10/07/2010, 12:37 
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Blissenobiarella ha scritto:

Ok abbiamo le differenti tesi, ora proviamo a fare delle analisi:

Prima dell'untà non esisteva il fenomeno dell'emigrazione dei meridionali.
Sei in grado di spiegarmi il perchè con le tesi che stai proponendo?
Prima dell'unità, le casse del Regno delle due Sicilie erano in attivo, quello delle regioni del nord in passivo.
Come mai questa tendenza si è capovolta?

per ora, a mio parere, possiamo partire da qui.




Prima dell'unità esistevano le dogane e le frontiere che non sono colabrodo come quelle odierne.
Un suddito borbonico per spostarsi fino in Piemonte doveva attraversare lo stato pontificio, il gran ducato di Toscana, il ducati di Parma e di Modena fino ad approdare al regno di Sardegna (attraverso la Liguria e infine in Piemonte). Oppure gingere sempre in Piemonte attraversando invece della Liguria la Lombardia , quindi il Lombardo Veneto sotto gli austriaci.
Secondo me non sarebbe mai arrivato a nord. Rispedito indietro , imprigionato, passato per le armi, o peggio giustiziato?.

E poi al nord per quale scopo? Chi avrebbe dato un lavoro a un suddito borbonico. Non penso che fosse nelle corde dell'epoca. Forse nessuno si era mai posto il problema. Ognuno viveva suddito nel regno che la sorte gli aveva riservato.

Inoltre il suddito borbonico, escludendo i mendicanti, i criminali isolati o quelli all'interno di strutture criminali organizzate, avevano a loro modo come al nord un impiego. Pochi fortunati operai ed operaie , nelle poche isole felici di realtà industriali , altri nell'esercito, altri , forse la maggioranza, erano contadini, servi della gleba, o artigiani.
Avevano il minimo per vivere.
Ma penso che a quella illusoria tranquillità, che ti permetteva di sopravvivere, in condizioni che oggi giudicheremmo ben sotto la soglia di povertà non giustificasse la condizione di suddito.
Così anche al nord, benchè qui lo spirito imprenditoriale capitalista era molto più sentito e sviluppato che al sud.
Col mondo che cambiava rapidamente, in ogni caso il sud si sarebbe trovato in condizioni d'inferiorità perchè la sua economia, il suo mercato non era concorrenziale o comunque lo sarebbe stato ancora per poco (non avrebbe funzionato ancora per molto la tecnica dei dazi )
Non dimenticarti Bliss che il mondo, pochi anni dopo , già nel '900 era molto diverso..Un regno borbonico sarebbe stato molto anacronistico , autartico e isolato. Sarebbe caduto comunque.

Riguardo alle casse dello stato, (ma sarebbe interessante capire esattamente in che misura, a dispetto di quanto affermano i 'meridionalisti') , abbiamo un sud che investe poco, incamera molto e non redistribuisce la ricchezza. Se la ricchezza non circola, se non per soddisfare capricci e sfarzi non è vera ricchezza.

Al nord, più imprenditoriale, le casse si svuotano, non solo per campagne militari ma anche per infrastrutture.

Con l'Unità d'Italia le richieste dei coltivatori sono andate disattese, la redistribuzione delle terre non ci è stata, il regno borbonico che garantiva il minimo indispensabile per mantenere lo status quo è andato a farsi benedire. Il sud alla fine è stato abbandonato al suo destino , sia per mancanza di una classe e di una cultura imprenditoriale meridionale siaper una mancanza di volontà dei 'Piemontesi' .
Quello che doveva essere (l'Unità d'Italia) la liberazione dallo straniero si è rivelata invece per il meridione di un'occasione persa.
Occasione persa per responsabilità e motivazioni molteplici. Motivazioni storiche vecchie si secoli che hanno differenziato il mezzogiorno dal resto dell'Italia; responsabilità della classe dirigente meridionale, miopia o menefreghismo di quella settentrionale.

Però come dice Panebianco, penso sarebbe meglio che ora, il sud cambiasse atteggiamento ed evitasse d'imboccare la via slovacca.



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rmnd ha scritto:
...Prima dell'unità esistevano le dogane e le frontiere...



sui confini preunitari

Sui confini nell’Italia preunitaria, di Marco Meriggi


Ultima modifica di rmnd il 10/07/2010, 18:23, modificato 1 volta in totale.


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Cita:
Blissenobiarella ha scritto:

Ok abbiamo le differenti tesi, ora proviamo a fare delle analisi:

Prima dell'untà non esisteva il fenomeno dell'emigrazione dei meridionali.
Sei in grado di spiegarmi il perchè con le tesi che stai proponendo?
Prima dell'unità, le casse del Regno delle due Sicilie erano in attivo, quello delle regioni del nord in passivo.
Come mai questa tendenza si è capovolta?

per ora, a mio parere, possiamo partire da qui.



Anche a questo Governo interessa che le loro casse siano perennemente in attivo a discapito di chi lavora onestamente,forse hanno copiato il Regno delle Due Sicilie?.[;)]


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E pensa che tanti al sud li vedono ancora come dei liberatori.[xx(]



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La spedizione dei Mille tra mito e realtà

Di Benigno Roberto Mauriello.




Presso ogni popolo è possibile trovare dei miti, un’epopea che narra le gesta eroiche dei virtuosi fondatori della nazione. Così presso i troiani venivano raccontate le gesta di Dardano, di Troo e di Laomedonte, i romani veneravano la Lupa capitolina, Romolo e Remo. Allo stesso modo nelle giornate del 5 e dell’ 11 maggio il Presidente della Repubblica Giorgio Napoletano, ha reso omaggio al cosiddetto “eroe dei due mondi”, Giuseppe Garibaldi, il quale partito dallo scoglio di Quarto, presso Genova, la notte del 5 maggio 1860, sbarcò a Marsala l’11 maggio, dando inizio alla “liberazione” delle popolazioni dell’Italia meridionale “oppresse” dalla dominazione borbonica, in nome dell’unità nazionale, del progresso e della civiltà.

La realtà è chiaramente ben diversa. Innanzi tutto il Regno delle Due Sicilie, come allora si chiamava il sud della penisola, non era affatto quello stato arretrato che la storiografia post-risorgimentale ama presentare. La dinastia regnante, i Borbone-Parma, godevano della stima e dell’affetto dei sudditi, sapevano amministrare con giustizia e moderazione, soprattutto si ispiravano a quei valori cristiani che hanno sempre permeato la civiltà occidentale. I meridionali riuscivano a vivere e a prosperare nel proprio stato senza fare ricorso ad alcun tipo di assistenzialismo. Il bilancio dello stato era in attivo e la pressione fiscale blanda. Grazie alla florida situazione delle finanze pubbliche, a partire dalla metà del XIX secolo, sotto il regno di Ferdinando II, fu possibile dare inizio ad un processo di industrializzazione e allo sviluppo dei traffici marittimi, attività che andarono ad affiancare le tradizionali produzioni delle manifatture di stato, come le seterie di San Leucio o le porcellane di Capodimonte, o quelle dei lavori pubblici e dei consorzi di bonifica, opere nelle quali il governo borbonico si era sempre distinto. Così vennero inaugurati dei cantieri navali e degli arsenali a Napoli o nei comuni limitrofi, avviati degli allevamenti di pecore merinos per far fronte alle richieste della nascente industria tessile, mentre l’estrazione e l’esportazione dello zolfo in Sicilia assicurava lauti guadagni. Sicuramente questo processo di modernizzazione non aveva raggiunto tutti gli strati della popolazione, ma anche i contadini privi di proprietà terriera potevano trarre sostentamento coltivando le terre dei conventi e dei nobili, versando al proprietario la decima del raccolto, godendo altresì di vari privilegi che affondavano le radici nel feudalesimo quale il diritto di pascolo, legnatico, etc.

Il Regno delle Due Sicilie, quindi, pur non essendo la Svizzera o gli Stati Uniti, riusciva a vivere dignitosamente e godeva del rispetto degli altri stati, con i quali sviluppava ottime relazioni diplomatiche e commerciali. Eppure questo stato fu vigliaccamente aggredito da una spedizione di banditi venuti a saccheggiarlo. Con l’apertura oramai prossima del Canale di Suez, che favoriva le comunicazioni tra l’Inghilterra e la parte asiatica del suo impero coloniale, il Mediterraneo acquistava una rinnovata importanza e l’Italia meridionale assumeva una posizione strategica per il controllo di queste rotte. Il Regno delle Due Sicilie era alleato delle potenze tradizionaliste, Austria, Russia e Prussia, quindi malvisto dagli inglesi che bramavano anche mettere le mani sulla Sicilia e le sue miniere di zolfo. La guerra di Crimea del 1856 aveva sfaldato la Santa Alleanza e Austria e Russia erano diventate antagoniste per il predominio sulla penisola balcanica, dove la crisi sempre più evidente dell’Impero Ottomano lasciava intravedere delle opportunità di espansione territoriale. L’inimicizia con la Russia costò cara all’Austria che, rimasta isolata sul piano internazionale, fu sconfitta dai franco-piemontesi nel 1859. Nello stesso anno morì Ferdinando II e salì sul trono di Napoli il giovane e inesperto Francesco II. All’improvviso il regno si trovò indifeso e vulnerabile, esposto agli attacchi dei nemici che da tempo ne preparavano la rovina. Gli inglesi e i francesi favorivano il Risorgimento, desiderando che il controllo delle coste italiane andasse nelle mani di un governo amico, mentre l’Austria sconfitta non aveva più la forza necessaria per intervenire negli affari della penisola. Vi erano poi gli interessi della massoneria che desiderava, con il pretesto dell’unità nazionale, spazzare via il potere temporale della Chiesa. L’impresa dei Mille, un vero e proprio atto di pirateria internazionale, nacque sotto il patrocinio delle logge, così come tutto il processo di unità nazionale. “Risorgimento italiano: opera della Massoneria! XX settembre: gloria della Massoneria!”, come si legge nel libro di Guido Francocci, Gran Maestro aggiunto della Massoneria italiana, La Massoneria nei suoi valori storici e ideali, edizioni Bolla, Milano 1950, pag.217.

Il giovane Francesco II non seppe guardarsi le spalle né dai tradimenti di molti suoi alti ufficiali, specialmente quelli di origine murattiana, quasi tutti massoni in sonno, né dagli intrighi internazionali, che avevano come protagonisti Vittorio Emanuele II e il suo ministro conte di Cavour, anche egli massone, tanto per cambiare, definito nel libro di Francocci “il tessitore”, che professavano al Re di Napoli la loro leale amicizia mentre Garibaldi gli muoveva guerra.

Lo stesso “eroe dei due mondi”, ma a questo punto la definizione esatta dovrebbe essere “bandito dei due mondi”, era un frammassone. Introdusse in Italia il cerimoniale esoterico egizio o rito di Menphis-Misraim, il cui fondatore era stato Giuseppe Balsamo, meglio conosciuto come conte di Cagliostro. Garibaldi percorse tutti i gradi iniziatici della Libera-Muratoria fino ad arrivare al 33° e diventò gran maestro della loggia “Propaganda”. La storiografia risorgimentale insiste molto sull’onestà e la morigeratezza di costumi del nizzardo, tanto da essere chiamato “l’eroe sentimentale” dal Francocci. Chiaramente si tratta di leggenda. A parte che era un mediocre comandante militare, tanto da dover corrompere i generali borbonici murattiani, la sua rapacità di danaro lo spinse ad essere coinvolto in molti episodi poco chiari, insieme ai suoi figli, parenti, amanti. I ladrocini ai danni degli istituti bancari meridionali furono molteplici, e “l’eroe”, mentre si schermiva dal voler sedere in Parlamento, accettava di essere eletto deputato e al cumulo delle sue pensioni si aggiunse un sostanzioso vitalizio di 50.000 lire annue, somma ingente per l’epoca. Durante i lavori di un convegno massonico dal titolo La liberazione d’Italia nell’opera della Massoneria, svoltosi a Torino il 24 e il 25 settembre 1988, il Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, Armando Corona, dichiarò: “Garibaldi ebbe sempre un nume tutelare: la Gran Bretagna. Più esattamente la Massoneria inglese”.

Anche l’altro “eroe” del Risorgimento, Giuseppe Mazzini, era massone. Francocci lo definisce “l’apostolo”. Intratteneva una amicizia epistolare con il generale americano Albert Pike, riformatore dei gradi del Rito Scozzese Antico e Accettato nonché ispiratore della nascita del Ku-Klux-Klan.

Dall’episodio dei Mille iniziarono le sventure per l’Italia meridionale, dove nacque un movimento di resistenza all’invasione bollato con il termine spregiativo di “brigantaggio”. Le popolazioni furono perseguitate e affamate. Otto cardinali, 66 vescovi e 200 preti vennero arrestati o esiliati, alcuni dei quali solo per aver pregato pubblicamente per Francesco II, mentre si procedeva alla secolarizzazione dei beni ecclesiastici. Sui terreni così privatizzati fu introdotto il contratto di mezzadria, costringendo i contadini a versare la metà del raccolto al proprietario, contro il 10% del vecchio ordinamento. La tassa sul macinato del 1869 affamò letteralmente la gente, già impoverita dalle distruzioni e dalla rapacità fiscale del nuovo stato.

A questo punto sarebbe opportuno aprire un dibattito serio su quegli eventi, non per sabotare l’unità d’Italia, un dato ormai acquisito, ma per finirla con miti e leggende che fanno male al benessere della Patria. Garibaldi e i Mille non possono essere un simbolo nazionale, nemici delle popolazioni meridionali e della Chiesa. Il problema è che si ha paura della verità. Coloro i quali reggono lo stato, poteri forti acquartierati da decenni nei ministeri, nella burocrazia, nella magistratura, nelle forze armate, nell’economia, non gradiscono che si faccia luce sulle loro origini. Essi ostacolano le riforme, per non perdere i loro privilegi, e la storia per non far emergere verità scomode che finirebbero per delegittimarli.

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Bene..bene...il Nord può cominciare a contare i soldi che saranno miliardi di Euro per risarcire tutti i danni causati al Sud.[;)]


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bleffort ha scritto:

Bene..bene...il Nord può cominciare a contare i soldi che saranno miliardi di Euro per risarcire tutti i danni causati al Sud.[;)]


Pagano Garibaldi e Cavour, noi abbiamo già dato.[;)]



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