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 Oggetto del messaggio: Re: Aldo Moro, quando la verità uccide.
MessaggioInviato: 06/05/2024, 08:49 
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https://www.anniaffollati.it/01%20conte ... ielmi.html









Il colonnello Gugliemi: pranzo alle 9


Perchè il colonnello dei carabinieri Camillo Guglielmi la mattina del 16 marzo si aggira nei pressi di via Fani? Sta andando a pranzo dal suo amico D'Ambrosio o, come affermano alcune pubblicazioni, è li per sovraintendere all'agguato delle BR?


Le dichiarazioni di Pierluigi Ravasio ed il fantomatico interrogatorio del colonnello D'Ambrosio.
foto via fani da destra


Il racconto di Pierluigi Ravasio

Nel Dicembre del 1990 Luigi Cipriani deputato e membro della commissione parlamentare di inchiesta sul terrorismo e sulle stragi, che è tornata ad indagare sull’rapimento di Aldo Moro, viene avvicinato da Emanuele Bettini, impiegato presso la filiale di Cremona della Cassa di Risparmio di Piacenza. Bettini, che è anche corrispondente del settimanale Panorama, racconta un episodio che desta l’interesse del deputato di Democrazia Proletaria.

All’inizio del 1987 Bettini ha avuto delle confidenze da Pierluigi Ravasio una delle guardie giurate che stazionano davanti la banca. Ravasio, un ex carabiniere paracadutista congedatosi nel 1982, gli ha raccontato:

(...) di essersi arruolato nel 1976 nel corpo dei carabinieri paracadutisti di Livorno, di essere entrato nei Gis e di avere partecipato alla repressione della rivolta nel carcere di Trani. Nel 1978, avvicinato da un ufficiale del Sismi, decise di entrare nel servizio e fu assegnato all'ufficio sicurezza interna nella VII sezione dell'ufficio R di Roma (…). Musumeci e Belmonte erano i capi dell'ufficio cui Ravasio faceva riferimento, mentre i diretti superiori erano il colonnello Guglielmi (detto papà) ed il colonnello Cenicola. L'ufficio era situato a Forte Braschi mentre la squadra (sei persone) con la quale Ravasio operava era stanziata a Fiumicino. (…)



(...) di essersi recato diverse volte ad addestrarsi a Cala Griecas (capo Marrangiu) e di avere avuto come istruttori Alfonso (al quale è dedicato il manuale) e Decimo Garau, il primo maresciallo degli alpini, il secondo ufficiale di marina. Disse di far parte di un gruppo di quattrocento persone suddivise in nuclei di sei, il cui compito era di opporsi a sommosse interne da parte della sinistra. (…)



(...) disse che il suo gruppo indagò sul caso Moro e venne a conoscenza del fatto che il rapimento era stato organizzato da una banda di ex detenuti e malavitosi che agiva nella zona di Fiumicino, molto probabilmente la banda della Magliana. Venuti a conoscenza del fatto che Moro era tenuto dai malavitosi e riferito ciò ai superiori, le indagini furono fermate da un ordine proveniente da Andreotti e Cossiga, il loro gruppo sciolto ed i componenti dispersi, mentre i rapporti che quotidianamente venivano compilati furono bruciati (...)



(...)disse anche che Musumeci aveva un infiltrato nelle Br, era uno studente di giurisprudenza dell'università di Roma il cui nome di copertura era Franco, il quale avvertì con una mezzora di anticipo che Moro sarebbe stato rapito. Uno dei superiori diretti di Ravasio, il colonnello Guglielmi -attualmente deceduto- si trovò a passare a pochi metri da via Fani, ma disse di non aver potuto fare niente per intervenire. (....)



Come ricompensa per il rapimento e la gestione del caso Moro, il Sismi consentì alla banda di poter compiere alcune rapine impunemente. Una avvenne nel 1981 all'aeroporto di Ciampino, quando i malavitosi travestiti da personale dell'aeroporto sottrassero da un aereo una valigetta contenente diamanti provenienti dal Sudafrica. Una seconda avvenne in una banca nei pressi di Montecitorio dove furono aperte molte cassette di sicurezza e da alcune, appartenenti a parlamentari, furono sottratti documenti che interessavano il Sismi. Luigi Cipriani, relazione alla CPS, Fondazione Cipriani, https://www.fondazionecipriani.it/Scritti/ilcaso.html

Bettini, visto il personaggio che ha di fronte, non prende troppo sul serio le rivelazioni di Ravasio. Si decide solo tre anni dopo, nel 1990, a raccontare il fatto, sia perché nel frattempo è scoppiato il caso Gladio sia perché Ravasio ha rilasciato un intervista alla giornalista di Panorama Valeria Gandus.



Luigi Cipriani deputato di Democrazia Proletaria nella X legislatura, e membro della commissione stragi. E' morto nel 1992 a 52 anni.

Cipriani, dopo aver incontrato il Ravasio, che conferma quanto già confidato a Bettini, presenta una relazione alla commissione parlamentare che a sua volta segnala la cosa alla magistratura.

La Procura di Roma apre un fascicolo ed interroga il Ravasio. Davanti al magistrato Luigi De Ficchy, l’ex paracadutista smentisce tutto affermando che i discorsi fatti prima a Panorama e poi a Luigi Cipriani erano solo un parlare frutto di fantasia.

De Ficchy interroga anche il colonnello dei carabinieri Camillo Guglielmi che, al contrario di quanto detto da Ravasio, è vivo e vegeto. Guglielmi, nell’interrogatorio afferma:

Per quanto riguarda il fatto che io sono passato il 16 marzo 1978 in via Fani, ricordo che quel giorno ero a Roma e che, essendo stato invitato a pranzo dal colonnello D’Ambrosio in via Stresa 117, passai in strade adiacenti via Fani verso le ore 9.30 del mattino. Ho raccontato tale circostanza ai componenti del mio Ufficio sicurezza ed evidentemente da tale fatto si è costruita ben altra situazione (…)

Tra l’altro, quando mi recai in via Stresa, non mi accorsi di nessuna situazione particolare successa in quella zona e seppi dell’onorevole Moro solo quando arriva a casa del mio ospite, colonnello D’Ambrosio. Interrogatorio di Camillo Guglielmi, del 16/5/1991, in CPM2, seduta del 24/03/2015, pag.23

La Procura in presenza della ritrattazione di Ravasio e non avendo trovato nessun riscontro riguardo l’appartenenza di Guglielmi all’organizzazione Gladio, procede all’archiviazione “del fascicolo “Ravasio - Guglielmi”

Un uomo dei servizi in Via Fani?

Fin qui i fatti. Ma chiaramente per chi è convinto, che a gestire l’agguato di via Fani non siano state le sole BR, le dichiarazioni, seppur smentite, di Ravasio sono musica per le proprie orecchie.

Il colonnello Guglielmi diventa, all’istante, la prova della presenza dei servizi segreti italiani nel caso Moro ed entra a far parte dei misteri di Via Fani.

Come sempre succede in questi casi, con il passare del tempo la realtà lascia il posto al mito. E cosi se nel 1991, nel libro “Sovranità limitata” Antonio e Gianni Cipriani (omonimi, con nessun grado di parentela con il deputato Luigi) si limitano a definire le dichiarazioni di Ravasio “una testimonianza inquietante”, nel 1998, Sergio Flamini in “Convergenze parallele” afferma:

Perché la mattina del 16 marzo, alle ore 9, nei pressi di via Fani, mentre avveniva la strage, si aggirava senza apparente ragione il colonnello del SISMI Camillo Guglielmi?

Il colonnello Guglielmi (…) era stato istruttore presso la base di Gladio di Capo Marrangiu dove aveva insegnato ai “gladiatori” le tecniche dell’imboscata: quella stessa tecnica mirabilmente applicata per sterminare la scorta, catturando Moro illeso. Sergio Flamini, Convergenze parallele, (Milano: Kaos edizioni, 1998), pag. 132.

Flamini si pone ancora delle domande, a trentasei anni dalla strage di via Fani, nel 2014, invece, Carlo D’Adamo scrive, con la massima sicurezza:

il colonnello Camillo Guglielmi della sezione K (killer, tiratori scelti) [Bettini 1996: 92] del SISMI è pronto, e si presenta puntuale sulla scena del crimine, la mattina del 16 marzo, dopo essersi scaldato i muscoli ad Alghero. (…)

Interrogato il 16 maggio 1991 dal sostituto procuratore Luigi De Ficchy sul significato della sua presenza sul luogo del delitto, il colonnello Guglielmi sostiene di essere stato invitato a pranzo da un collega che abita lì vicino (...) forse il colonnello dice proprio la verità, usando il linguaggio allusivo tipico dei mafiosi, dei politici e dei Servizi.(…)

“Sono stato invitato a pranzo” vuol dire che è stato invitato a condividere la responsabilità dell’operazione, a partecipare al blitz. Ogni banda qui fa la sua parte, ma sono tutti compagni di mensa. Alcuni fanno capo al Viminale, altri al Ministero della Difesa. Ci sono poi alcuni carabinieri molto speciali che dipendono direttamente da altrove. E sembra proprio che il 16 di marzo fossero tutti in servizio. Non per guardare. Carlo D’ Adamo, Chi ha ammazzato l’agente Iozzino: Lo stato in Via Fani, (Bologna, Pendragon, 2014), pag. 30

Crediamo quindi sia corretto abbandonare il mito, costruito in 40 anni, e tornare alla realtà esaminando i fatti.

Quanto è attendibile Ravasio?

La vicenda relativa al colonnello Guglielmi si basa sul racconto di Pierluigi Ravasio. Non esiste infatti nessun riscontro oggettivo, sia sulla presenza del colonnello in via Fani, sia alla sua appartenenza a Gladio. E’ quindi d’obbligo porsi preliminarmente una domanda sull’attendibilità delle dichiarazioni di Ravasio.

Che Pierluigi Ravasio sia un personaggio, come minimo, un po’ sopra le righe lo si capisce, malgrado le poche notizie che abbiamo su di lui. Innanzitutto abbiamo visto come Bettini non creda, in un primo momento alle confidenze della guardia giurata. Luigi Cipriani, nella relazione redatta per la commissione parlamentare, ci presenta un Ravasio “fascista deluso” appartenente ad una fantomatica organizzazione di neotemplari, che afferma di essersi recato in Israele per addestrare militari israeliani. “in quanto esiste un'antica alleanza tra templari e Israele derivante dalla comune difesa del tempio di Salomone”.

Durante i colloqui sia con Bettini e la giornalista di Panorama Valeria Gandus. Ravasio, con fare spavaldo, fa sfoggio delle armi in suo possesso.

iniziò a raccontare la propria storia, non senza avere messo in bella evidenza la propria pistola ed un fucile a pompa (...)

incontrato[si] nel novembre 1990 a Cremona con la giornalista Valeria Gandus, dalla quale si era fatto intervistare maneggiando una pistola di grosso calibro di marca israeliana. Successivamente nel proprio appartamento, tra fotografie e fotocopia del tesserino Sismi, Ravasio mostrò un'altra pistola marca Beretta. Cipriani, relazione alla CPS, cit.

Bisogna inoltre notare che trascinato dal suo carattere istrionico, Ravasio, racconta le sue storie più o meno credibili, ma ribadisce sempre che non vuole che quanto da lui detto venga reso pubblico

L'incontro con la Gandus era stato originato dal fatto che su Panorama era uscito un articolo che si rifaceva a quanto raccontato da Ravasio nel 1987, cosa che lo fece infuriare ma non gli impedì di farsi intervistare, salvo minacciare la giornalista se avesse fatto il suo nome.

L'ex agente del Sismi mi disse che non intendeva assolutamente essere coinvolto né dalla Commissione stragi né dalla magistratura e di avere acconsentito ad incontrarmi solo per darmi qualche informazione utile al mio lavoro, stanti le fortissime delusioni avute dalla destra politica e dai servizi segreti; ma che non desiderava io facessi il suo nome. Ibid.

E’ quasi naturale, quindi, che quando viene ascoltato in Procura, Ravasio ritratti. Paura delle conseguenze delle sue dichiarazioni o la coscienza di aver inventato tutto?

Ma cosa racconta Ravasio? Le sue confidenze riguardano due argomenti: la sua appartenenza ai servizi ed il caso Moro. Mentre per la sua militanza nel SISMI ci sono dei riscontri oggettivi. Per la parte riguardante Moro non solo non ci sono riscontri, ma il suo racconto lascia non pochi dubbi.

Ravasio afferma che l’organizzazione e la gestione del rapimento fu della banda della Magliana escludendo del tutto la partecipazione delle brigate rosse. Racconta poi come il suo diretto superiore, il colonnello Camillo Guglielmi, a seguito di una segnalazione di un infiltrato, si trovò a passare a pochi metri da via Fani, ma disse di non aver potuto fare niente per intervenire.

Ora è chiaro che almeno una parte del racconto di Ravasio è chiaramente falso. Nessuno, sano di mente, può oggi sostenere che le brigate rosse non furono coinvolte nel rapimento di Moro. D’altra parte, dell’esistenza di un infiltrato nelle br e dalla presenza di Guglielmi in via Fani non esiste nessun riscontro oggettivo che avvalori le sue dichiarazioni.

Stranamente, al contrario di altre testimonianze in cui per molto meno si invoca l’inattendibilità del testimone, nel caso di Ravasio si considera vero, il racconto relativo all’infiltrato nelle br e al colonnello Guglielmi in via Fani. Il fatto che nello stesso racconto ci sia una palese falsità, la storia della banda della Magliana, inspiegabilmente non scalfisce minimamente la credibilità del testimone.

Noi crediamo che le dichiarazioni di un testimone vanno valutate nel suo complesso per giudicarne l’attendibilità. E francamente troviamo un metodo poco ortodosso quello, utilizzato da certa pubblicistica dietrologica, di estrapolare da una testimonianza, per convenienza, solo le parti che vanno a favore di una precisa tesi.

Quindi riepilogando, Ravasio è un personaggio, a dir poco “molto estroverso”, che fa delle confidenze ma, una volta posto davanti ad un magistrato, si affretta a ritrattare tutto. Inoltre sappiamo che del suo racconto relativo al rapimento Moro, la parte riscontrabile è palesemente falsa, per l’altra: la storia del colonnello Guglielmi, non esiste alcun riscontro oggettivo. A questo punto riponiamoci la domanda: quanto è attendibile Ravasio?

Il verbale del colonnello D’Ambrosio.


Come abbiamo visto, il sostituto procuratore De Ficchy, dopo aver ascoltato il Ravasio, convoca in data 16 maggio 1991, il colonnello Guglielmi, il quale conferma la sua presenza nelle vicinanze di via Fani la mattina del 16 marzo, affermando di essersi recato a casa di un suo conoscente il colonnello D’Ambrosio abitante in via Stresa 117.

La dichiarazione, dopo gli opportuni riscontri, basta al magistrato che di lì a poco archivierà la vicenda.

Ciò, però non può bastare a chi vuole piazzare a tutti i costi un colonnello dei servizi segreti in via Fani.

Il colonnello D’Ambrosio ha dichiarato di non ricordare di aver invitato a pranzo Guglielmi quel 16 marzo 1978, ma di essere certo che il colonnello del Sismi si presento a casa sua, il giorno della strage, verso le 9 del mattino- un orario decisamente strano per un pranzo S. Flamigni, Convergenze parallele, cit. pag. 133



Anche quest’ultimo [D’Ambrosio] venne interrogato confermò di aver ricevuto la visita di Guglielmi, verso le 9 del mattino, ma disse di non ricordare di averlo invitato, confermando una falla nelle spiegazioni di Guglielmi, dato per altro che le nove del mattino sono un orario inusuale per un pranzo. Francesco M. Biscione, Il delitto Moro, (Roma, Editori Riuniti, 1988) pag 127.

Come si vede due sono gli appunti che vengo fatti alla testimonianza di Guglielmi l’orario di arrivo in via Fani, le nove di mattina, e la parziale smentita da parte di D’Ambrosio.

Partiamo dalla testimonianza di D’Ambrosio. Questo è un caso lampante in cui si dimostra come una cosa non vera, ripetuta ed amplificata nel tempo, divenga alla fine verità.

Basandosi sui rilievi sopra esposti, che hanno fatto entrare la figura del colonnello Guglielmi tra i misteri di via Fani, la nuova commissione di inchiesta sul caso Moro ha voluto vederci chiaro convocando in audizione i magistrati che si erano interessati della vicenda.



Per primo viene ascoltato Luigi Ciampoli, procuratore generale presso la corte di appello di Roma.

Luigi Ciampoli

Il magistrato Luigi Ciampoli ascoltato dalla nuova commissione Moro il 12/12/2014

Il magistrato ha indagato sulla lettera anonima recapita all’Ansa in cui si cita Guglielmi quale superiore di due fantomatici agenti segreti presenti in via Fani a bordo della famigerata moto Honda.

A proposito della testimonianza di D’Ambrosio, Ciampoli afferma con la massima sicurezza:

Il colonnello Guglielmi viene identificato come una persona presente sul posto e dà giustificazione della sua presenza alle nove di mattina per un invito ricevuto dal colonnello D’Ambrosio a casa sua per pranzo.

Viste le dichiarazioni del colonnello D’Ambrosio, abbiamo appreso che non soltanto Guglielmi non era stato invitato a pranzo, ma non era assolutamente prevista la sua visita nemmeno a quell’ora. Il colonnello Guglielmi si era presentato a casa sua insalutato ospite e dopo poco, assumendo, con una dichiarazione, che doveva lasciare la sua abitazione perché doveva essere successo a Roma qualcosa di grosso, aveva abbandonato la casa del colonnello D’Ambrosio ed era andato. Luigi Ciampoli, CPM2, seduta del 12/12/2014, Pag. 6

Successivamente viene ascoltato Luigi De Ficchy, l’unico magistrato che nel 1991 interrogo Guglielmi e D’Ambrosio. De Ficchy, riguardo l’interrogatorio di D’Ambrosia afferma:

D’Ambrosio dice – secondo quanto ricordo – che Guglielmi si era recato da lui alle 9, che non c’era alcun invito a pranzo e che di lì a poco se n’era andato e aggiunge di non aver notato nulla. Luigi De Ficchy, CPM2, seduta del 24/03/2015, pag.11

A questo punto, visto la competenza ed il livello dei magistrati, sembrerebbe non esserci più dubbi sulla discordanze tra le dichiarazioni di Guglielmi e D’Ambrosio. Ma la commissione, seppur tardivamente, fa la cosa più semplice di questo mondo: recupera il verbale dell’interrogatorio di D’Ambrosio davanti al giudice De Ficchy e, nella prima relazione sull’andamento dei lavori della commissione, pubblica finalmente il testo dell’interrogatorio di D’Ambrosio:

Verso le ore 09.30 è giunto presso la mia abitazione il colonnello Guglielmi Camillo con sua moglie che anni prima aveva abitato presso lo stesso stabile e con il quale ero in amicizia. Il colonnello stette presso la mia abitazione con la moglie per tutta la mattinata e stette con noi a pranzo e poi nel pomeriggio ripartì per Modena. Non ricordo se nel corso della mattinata si allontanò di casa per salutare altri amici o per altre ragioni. Non ricordo se il Col. Guglielmi venne presso la mia abitazione per un appuntamento datoci in precedenza. Oppure se passò senza appuntamento precedente e poi lo invitai a pranzo. Non ricordo come mai il Col. Guglielmi venne alle 09.30, posso dire che con il Col. Guglielmi vi è una grande confidenza. Faccio presente che alla mia abitazione si può accedere da via della Camilluccia prendendo via Stresa e passando all’incrocio con via Fani sia da via Sangemini scendendo da via Roncegno. Ricordo anche che quando arrivò il col. Guglielmi gli diedi la notizia di quanto era successo CPM2, 1° Relazione sull’attività svolta, 10/12/2015, pag 140

Quindi al contrario di decine di interventi che negli anni hanno insistito sulla discordanze, la testimonianza di D’Ambrosio è perfettamente in linea con quanto dichiarato da Guglielmi. La stessa commissione di inchiesta parlamentare afferma:

Nell’ambito degli accertamenti e delle acquisizioni documentali disposti dalla Commissione (e tuttora in corso), si è riscontrato che il verbale di interrogatorio del colonnello D’Ambrosio conferma le dichiarazioni del collega Guglielmi. Ibid. pag 96

La cosa stupefacente ed allo stesso tempo inquietante, però, è che gli stessi magistrati, che hanno svolto indagini sul colonnello Guglielmi, abbiamo riferito, alla commissione di inchiesta, in mancanza di una memoria pronta, non quello da loro stessi appurato, ma quanto ormai divenuto il pubblico convincimento costruito sulle affermazioni di una pubblicistica spesso poco rispettosa della realtà dei fatti.

Pranzo alle nove

Veniamo all’altro punto contestato presente nella testimonianza di Guglielmi: l’orario in cui Guglielmi si è recato a casa di D’Ambrosio per un invito a pranzo. Crediamo che anche questo sia un esempio tipico, come nel caso delle dichiarazioni di D’Ambrosio, per analizzare come funzionano certi meccanismi tipici delle tesi dietrologiche.

Torniamo all’audizione del magistrato de Ficchy ed ad un intervento del senatore Gotor.

Allora lei [De Ficchy] aveva questa sensazione, cioè che Ravasio fosse attendibile e che poi, di fronte a lei, avesse ritrattato, ma comunque che fosse attendibile, cioè che avesse raccontato qualcosa di vicino al vero (…) Cipriani ci dice una cosa interessante, cioè che Guglielmi si trovava a via Stresa perché il generale Musumeci, dal quale dipendeva gerarchicamente, l’aveva inviato lì perché c’era un infiltrato di nome Franco che aveva detto che a via Fani stava per succedere – sarebbe successa, era successa – una cosa incredibile.

Guglielmi le dice che lui era lì, ma alle 9.30, perché doveva andare a pranzo, che sensazione ha avuto? leggendo le carte ho sempre avuto l’idea che il colonnello Guglielmi la stesse provocando, glielo dico con franchezza, cioè le stesse dando una versione incredibilmente inattendibile e quindi incredibilmente provocatoria: «Sono le 9.30 e devo andare a pranzo dal collega D’Ambrosio.» Miguel Gotor, CPM2, seduta del 24/03/2015, pag.23

Questi due frasi sono pronunciate a distanza di pochi secondi l’una dall’altra. E’ singolare come nel caso di Ravasio, malgrado, come ampiamente esposto in precedenza, abbia ritrattato tutto e dica palesi falsità riguardo la banda della Magliana, per Gotor Ravasio è attendibile.



Il senatore di Liberi e uguali Miguel Gotor membro della nuova commissione Moro

Per Guglielmi il giudizio è assolutamente netto: il colonnello sta provocando asserendo di essere andato a casa di D’Ambrosio, invitato a pranzo, alle 9 di mattina. Eppure non c’è nessun riscontro oggettivo che indichi che Guglielmi stia mentendo, anzi c’è la conferma del diretto interessato D’Ambrosio. Il giudizio quindi si basa solo su presunto senso logico: se si è invitati a pranzo non ci si può presentare alle 9.

Questo fatto dell’orario, ci ha sempre lasciati perplessi. Se si va a pranzo al ristorante c’è un orario di apertura e chiusura da rispettare. Ma quale è l’orario per presentarsi a casa di un amico essendo stati invitati a pranzo? Le dieci, le undici, mezzogiorno? Chi lo decide: il galateo?

Andare a pranzo da un parente o un conoscente nella prassi comune significa passare insieme alcune ore in cui il pranzo vero e proprio rappresenta solo il momento culminante. Tra l’altro presentarsi a ridosso del pasto ed andare via subito dopo è spesso indice di scarsa educazione. Sappiamo di dire cose ovvie ma purtroppo questo è il livello di certe contestazioni.

Nella sua testimonianza, fatta ben 13 anni dopo, Guglielmi mette in rilievo i due fatti principali, ovvero, l’ora d’arrivo in casa di D’Ambrosio: le 9,30, ed il motivo della visita: l’invito a pranzo. Le due affermazioni non sono collegate tra loro. Guglielmi non dice «ho pranzato alle 9,30».

I motivi per cui Guglielmi si reca a casa di D’Ambrosio alle 9 posso essere innumerevoli, lo stesso D’Ambrosio, nella sua testimonianza, ce ne suggerisce alcuni

Il colonnello stette presso la mia abitazione con la moglie per tutta la mattinata e stette con noi a pranzo e poi nel pomeriggio ripartì per Modena.

Potrebbe darsi, per esempio, che Guglielmi, dovendo partire nel pomeriggio (non sappiamo a quale ora), e non potendosi trattenere dopo pranzo abbia anticipato l’arrivo in casa D’Ambrosio per passare insieme all’amico alcune ore.

Esiste anche un’altra possibilità che ci suggerisce sempre D’Ambrosio:
Non ricordo se il Col. Guglielmi venne presso la mia abitazione per un appuntamento datoci in precedenza. Oppure se passò senza appuntamento precedente e poi lo invitai a pranzo.

Quindi, la visita alle 9,30 magari non presupponeva la fermata a pranzo. L’invito a restare potrebbe essere venuto in un secondo momento nel corso della mattinata. Le incertezze di D’Ambrosio, ricordiamo, sono dovute al fatto che l’interrogatorio avviene a tredici anni di distanza.

Quindi come si può vedere nelle dichiarazioni di Guglielmi non c’è niente di illogico né tanto meno di provocatorio.

Del resto non riusciamo a capire come si possa considerare poco credibile la versione di Guglielmi e accettare, invece, come realistiche le alternative proposte negli anni.

Secondo le varie tesi Guglielmi, avrebbe assistito o partecipato ad un agguato cruento come quello di via Fani, e poi, invece, di allontanarsi indisturbato dal luogo dell’azione, dopo aver recuperato la moglie (lo ha aiutato nell’azione o è stata “parcheggiata” in un bar o in auto?), si sarebbe precitato, senza nessun motivo logico, a casa dell’amico D’Ambrosio.
Lasciamo a chi legge giudicare quale, tra le dichiarazioni di Guglielmi e la tesi dietrologica, sia meno realistica.

Il ruolo di Guglielmi nei servizi

Si è molto parlato dell’appartenenza di Camillo Guglielmi alla struttura segreta “Gladio”. Nessuna prova esiste in merito.

Guglielmi non fa parte del famoso elenco dei 622 “gladiatori” reso pubblico all’inizio degli anni 90. Elenco, a dire il vero tutt’altro che attendibile, sia per il numero esiguo, sia per evidenti errori nella compilazione.

Anche tutte le indagini volte ad appurare l’affiliazione di Guglielmi a Gladio hanno dato esito negativo.

Quello che invece si può affermare con certezza è che ha militato a lungo nei servizi segreti

Nel 1965 Guglielmi è nella struttura del SID e più precisamente nel servizio D col grado di capitano dei carabinieri. Come componente di questo servizio partecipa ad un’esercitazione a Capo Marrangiu:

Sergio Dini, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Padova.

Per quanto riguarda Guglielmi, nel 1965 partecipò alla prima esercitazione di personale dell’Ufficio D a Capo Marrargiu. Non c’è solo la citazione «Guglielmi presente a Capo Marrargiu», ma ci sono diversi documenti in cui viene indicato esattamente il programma del corso e, giorno per giorno, quello che è stato fatto. Si andava appunto da tecniche di imboscata e guerriglia urbana a tecniche di trappolamento ed esplosivi su materiale ferroviario. Sergio Dini, CPM2, Seduta del 7/10/2015, pag 8

Successivamente, lascia il SID e rientra nell’arma. Nel marzo del 1978, durante il sequestro Moro è comandante del nucleo carabinieri di Modena. Nell’aprile del 1978 si congeda dall’Arma. Da luglio dello stesso anno inizia a lavorare, come consulente esterno, per il SISMI, il nuovo servizio che ha sostituto, nel gennaio del 1978, il SID. Nel 1979 entra nell’organico del SISMI e viene nominato, alle dipendenze del generale Musumeci, responsabile della sicurezza interna, dedicata al controllo del personale che faceva parte del Servizio.

Quindi, Guglielmi è stato a lungo nei servizi segreti italiani, dove ha ricoperto incarichi di rilievo. Nel corso della sua carriera ha acquisito, come è documentato, conoscenze tecniche definite di “antiguerriglia” ovvero guerriglia urbana, di trappolamento ecc.

Al contrario di quanto scritto da più parti non risulta, invece, che abbia mai svolto il ruolo di addestratore. Lo stesso Ravasio indica in altri nomi: Alfonso e Decimo Garau gli istruttori di Capo Marrangiu.



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UN OTTIMO PUNTO DI SINTESI


https://www.amazon.it/Rapporto-caso-Mor ... 4661173897

QUI RACCOLGO MOLTO MATERIALE


https://originidellereligioni.forumfree.it/?f=10623052




zio ot [:305]



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PIAZZA DELLE CINQUE LUNE


Guarda su youtube.com



https://www.youtube.com/watch?v=UdYogwkEeLE


UNO STRANO COMMENTO ... nick cosedamondo


Erano almeno una ventina gli operativi della strage di Via Fani. Martinelli sottostima questo dato.
E Moro non poteva essere messo a rischio in una operazione comunque che poteva avere varianti esponendolo ad essere colpito e testimone della strage della sua scorta. Per cui fu prelevato prima con "l'amo" del comunicato radio sul presuto sequestro Moro alle 8.30.


Il film di Martinelli è quello che si avvicina di più alla ricostruzione reale, peccato che invece avvallori la tesi ufficiale (e comoda per la scenecCIAtura per il volgo) sulla presenza di Moro in Via Fani. Che animo avrebbe avuto il Presidente Moro dopo aver assistito alla strage della propria scorta? Non di certo il comportamento (che si evince anche dagli scritti) che ebbe nei 55 giorni dopo il "prelevamento". Prelevamento, parola di Moro, che invece avvenne prima. L'itinerario deviato in Via Fani della scorta, nella menzogna impartita dall'alto, doveva servire da copertura.

Anche secondo l'ex Generale Divisione dell’Arma del Genio Piero Laporta: "non era in macchina quella mattina.

Vi furono una serie di preparativi, che partirono da almeno 5 anni prima e fino a mezz’ora prima dell’agguato”; questo spiegherebbe perché in quella caterva di colpi non ebbe neanche un graffio e perché non nominò quasi mai la sua scorta e il suo destino che secondo questa resi ignorava. Se #AldoMoro fosse stato in auto in via Fani sarebbe stato comunque attinto (almeno ferito) dal volume di fuoco. Non ha mai espresso una parola di pietà nei confronti dei suoi angeli custodi.

Ergo: Moro non era in auto e gli agenti dovevano morire perché scomodi testimoni. Laporta si riferisce in particolare alla notizia trasmessa da Radio Città Futura il 16 marzo, poco dopo le 8 del mattino, mentre Moro era ancora a casa in attesa della scorta, di un possibile rapimento dello statista.

Un episodio controverso, ben ricostruito dal giornalista Marcello Altamura in un libro, La borsa di Moro, oggi fuori commercio.

“È probabile che proprio a seguito di questo messaggio radiofonico - ci spiega il generale esplicitando la sua teoria - qualcuno si sia presentato a casa di Moro mentre arrivava la sua scorta. Questo qualcuno potrebbe aver convinto Leonardi, che non era certo uno sprovveduto, della necessità di prevenire un eventuale rapimento prendendo in custodia Moro e facendo comunque sfilare le macchine di scorta lungo il tragitto stabilito quella mattina, magari con l’accordo di ritrovarsi da un’altra parte. A quel punto, i cinque agenti della scorta erano testimoni scomodi. Dovevano morire”.

A questo, Piero Laporta aggiunge una serie di minuziose considerazioni pratiche e balistiche, ma dal suo punto di vista, la prova principe che Moro non si trovasse nella Fiat 130 quando questa venne investita di piombo, sta nelle parole dello stesso rapito. E qui dobbiamo fermarci.


«Benché non sappia nulla né del modo né di quanto accaduto dopo il mio prelevamento, è fuori discussione – mi è stato detto con tutta chiarezza – che sono considerato un prigioniero politico…» E più avanti continua, riferendosi a questo brano: «Soprattutto questa ragione di Stato nel mio caso significa, riprendendo lo spunto accennato innanzi sulla mia attuale condizione, che io mi trovo sotto un dominio pieno e incontrollato…»


Il Presidente Aldo Moro non fu rapito in via Fani, il 16 marzo 1978, alle ore 09.02, com’è raccontato da uomini dello Stato, da investigatori, magistrati, politici, stampa e tivvù. Ce lo assicura lo stesso presidente Aldo Moro nella sua lettera alla sua diletta moglie, Noretta. Lo fa col suo inconfondibile stile. Vediamo come.

In via Fani furono rinvenuti 93 bossoli, 49 dei quali d’una sola arma, d’un tiratore mai identificato, d’altissima perizia, peculiare alle forze speciali, «un gioiello di perfezione», secondo un testimone, intervistato da “Repubblica” il 18 marzo 1978.


93 bossoli, 44 dei quali sparati dai rimanenti sei brigatisti. A detta di Valerio Morucci, «l’unica prova dell’azione era stata compiuta nella villa di Velletri». Ammesso che abbiano sparato, impossibile che abbiano acquisito perizia da tiratori, neppure lontanamente accostabile a quella del professionista.

I brigatisti sono assassini che sparano alle spalle di vittime inermi a brevissima distanza, niente di più.
Il presidente Aldo Moro, come si sa, sarebbe uscito indenne dalla tempesta di fuoco, quindi rapito e trasportato sull’auto che l’avrebbe poi portato alla “prigione del popolo”.

I suoi assassini potevano permettersi un ostaggio ferito? No, perché sarebbe diventato un problema logistico d’asperrima gestione.


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https://www.lastampa.it/cultura/2006/06 ... .37155826/






I misteri di Moro

Alla ricerca del «quinto uomo»


30 Giugno 2006


Il 16 marzo 1978 un commando delle Brigate Rosse rapisce in via Fani il presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro. Durante l'assalto vengono uccisi il maresciallo Oreste Leonardi, caposcorta, e gli agenti Domenico Ricci, Giulio Rivera, Francesco Zizzi, Raffaele Jozzino. Il cadavere di Moro sarà fatto ritrovare il 9 maggio in via Caetani nel bagagliaio di una Renault 4 rossa. Malgrado una serie interminabili di processi, di confessioni, di memoriali, di autobiografie, permangono nella vicenda diversi lati oscuri.




Renzo Martinelli, professione regista.


Tra i suoi film al merito Porzus e Vajont, poi c'è il più bello di tutti, Piazza delle Cinque Lune sul rapimento Moro. Ma la sua ricostruzione, con il coinvolgimento del massimo potere nostrano, la massoneria, si è frantumata contro un muro di silenzio.





Cominciamo dal titolo…

«Al tempo di Vajont la mia società di produzione aveva un ufficio a Roma, in zona Trionfale. Al mattino andavo a prendere i giornali nell'edicola di via Antonio Varisco, il colonnello dei carabinieri ucciso nel suo primo giorno da pensionato.

L'omicidio di Varisco è stato fatto rientrare nel filone di Pecorelli, dei suoi rapporti con il generale Dalla Chiesa, dei misteri sul verbale originale degli interrogatori di Moro. E Varisco frequentava un ufficio dei servizi segreti in piazza delle Cinque Lune. Volendo fare un film sul rapimento Moro, mi sembrava il titolo più suggestivo»

Nei suoi propositi il film deve raccontare il secondo snodo della storia italiana - il primo fu Portella delle Ginestre - nell'ottica di una congiura, di cui le Br furono il braccio armato. Ma durante la lavorazione succede altro...



«Proviamo la scena del rapimento. Arriva la 128 familiare bianca, quella con Moretti, seguita dalla 130 blu con Ricci, Leonardi e Moro, dall'Alfetta bianca con la scorta e dalla 132 scura degli altri brigatisti. All'altezza dello stop tra via Fani e via Stresa la 128 frena di colpo, la 130 la tampona e viene a sua volta tamponata dall'Alfetta.

Secondo copione, i quattro brigatisti acquattati a sinistra escono sparando dal riparo del bar Olivetti. I tre poliziotti nell'Alfetta sono subito ammazzati, soltanto l'agente Jozzino, piazzato a destra sul sedile posteriore, riesce a uscire e a sparare due colpi.

A quel punto lo stunt seduto nella posizione del maresciallo Leonardi - sedile anteriore destro della 130 blu - urla: «Stop, stop… Renzo, ma io che ci faccio qui? Me ne sto spaparanzato ad attendere che quelli mi ammazzano?»




E siamo al primo colpo di scena...




«Cronometriamo più volte il tempo occorrente ai quattro brigatisti travestiti da piloti di aereo, che secondo Morucci e Moretti fecero fuoco, a essere addosso a Leonardi.

Dico addosso perché non possono sparare a Leonardi né frontalmente né da sinistra per evitare di colpire Moro sul sedile posteriore della 130 blu. Lo stunt più veloce impiega sette secondi per raggiungere il maresciallo Leonardi, che dovrebbe starsene buono ad aspettare di essere ucciso mentre intorno i suoi compagni vengono macellati.

Maria Fida Moro ci ha confidato che quella mattina Leonardi aveva messo nel borsello un secondo caricatore della pistola. Il maresciallo era agitato da giorni, in questura aveva segnalato movimenti sospetti in via Savoia, dove Moro aveva lo studio.

Dunque, un poliziotto esperto come Leonardi, già in preallarme, non reagisce per un tempo lunghissimo, quali sono sette-otto secondi, a un tamponamento anomalo, a uomini armati che sparano ai colleghi e intanto corrono verso di lui».



A suo avviso che cos'è accaduto?


«La perizia medico legale depositata al processo Moro quater spiega che Leonardi è stato ucciso da sei colpi sparati da destra, dove ufficialmente i quattro brigatisti giunsero dopo aver spazzato via i tre dell'Alfetta. I famosi setto-otto secondi in cui Leonardi conserva - cito dalla perizia - una “posizione rilassata e serena”, rivolto verso il guidatore, le mani in grembo. Probabilmente stava parlando con Ricci.

Ripeto la domanda di prima: ma vi sembra possibile?

Leonardi, invece, è stato il primo a morire, colpito alle spalle dal brigatista che camminava sul marciapiede di destra. Noi nel film l'abbiamo vestito da pilota come gli altri quattro.

E se posso avanzare un'ipotesi, credo che questo quinto attentatore possa essere lo specialista straniero, sulla cui presenza divampano da anni le polemiche.

Eliminato Leonardi, costui si sposta in avanti per evitare i proiettili degli altri quattro che stanno arrivando: da questa posizione piazza altri due colpi nel petto del maresciallo, un anticipo del colpo di grazia che sarà poi riservato a tutti e cinque i poliziotti. In tale dinamica forse si spiega perché Jozzino sia stato l'unico a balzare fuori e a tentare di opporsi. Dal suo lato ha visto il quinto brigatista aprire il fuoco su Leonardi e dare il segnale dell'assalto.

In dieci secondi vengono esplosi 93 colpi, due dei quali appartengono alla pistola di Jozzino. Degli altri 91 colpi, 49 provengono da un mitra mai ritrovato. Eppure Morucci e Moretti affermano che le armi s'incepparono e nessuna sparò più di 10 colpi».




Ma le sorprese non sono finite...



«Quando ci accorgiamo che i tempi con Leonardi non tornano, proviamo a rigirare la scena seguendo il racconto di Moretti: lui che si fa tamponare allo stop e che tira il freno a mano della 128 per impedire alla 130 di sganciarsi.

Allorché lo stunt alla guida della 130 esegue la manovra descritta da Moretti, la 128 viene spazzata via: d'altronde la macchina di Moro pesava quattro volte più di quella di Moretti.

Eppure nell'unica foto, consegnataci dal senatore Flamigni, in cui la 128 e la 130 sono ritratte da destra, cioè dal lato di Leonardi e del quinto terrorista, le due auto non presentano alcun graffio e sull'asfalto non si nota alcuna frenata.


La 130 addirittura ha intatti i due fari antinebbia piazzati sul paraurti, che in caso di urto, per di più prolungato, sarebbero dovuti essere i primi a rompersi. A questo fatto ineludibile aggiungo un'ulteriore constatazione.

Per aver compiuto quel percorso decine di volte, Ricci sa benissimo che tra via Fani e via Stresa troverà uno stop e di conseguenza è probabile che rallenti l'andatura dando così modo al quinto brigatista di accostarsi alla 130 e di uccidere Leonardi.

E qui devono per forza entrare in scena i due brigatisti sulla moto, mai identificati, che fungono da avvistatori.

Il senatore Flamigni lo sostiene invano da un quarto di secolo




Si è spiegato perché il suo film, che ha cercato di rompere la cortina delle ambiguità, non è stato considerato e quello di Bellocchio - intimistico, noiosetto, indulgente con i brigatisti - è stato invece giudicato alla stregua di un capolavoro?


«Io sospetto che la vera storia dell'agguato sia ancora tutta da scrivere e sia da chiarire per quale motivo da ventotto anni Moretti e Morucci ne raccontano un'altra.

Sono disponibile a dibattere con entrambi dove, come e quando vorranno».






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