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SALVATAGGIO DI UN PDF MOLTO IMPORTANTE
OP DI MINO PECORELLI
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Indice
I. Introduzione
II. La Lista di Michele Sindona
L’ascesa di Michele Sindona p. 10
I rapporti con la mafia e l’alleanza con la Loggia Propaganda Due p. 15
«Osservatore politico» e Michele Sindona p. 19
La lista dei 500 p. 23
III. Carmine Pecorelli e la Loggia Propaganda Due
La massoneria italiana e la prima fase della Loggia P2 (1965 – 1974) p. 27
Le infiltrazioni e la seconda fase della Loggia P2 (1974 – 1981) p. 33
Il «Piano di Rinascita» p. 42
Il sequestro di Castiglion Fibocchi p. 44
La Gran Loggia Vaticana p. 48
Carmine Pecorelli piduista atipico p. 50
Fascicolo COM.IN.FORM p. 54
IV. Sette anni di guerra: «Op» contro Leone
Chi ha avuto ha avuto. Chi ha dato ha dato p. 60
Se non si dimette Leone, se Leone si dimettesse p. 65
Hic sunt Antilopes p. 69
V. «Osservatore politico» ed il caso Moro
Il viaggio in Usa di Aldo Moro e l’avvicinamento al Pci p. 74
Carmine Pecorelli contro il Governo: il rapimento Moro p. 79
«Osservatore politico» per la trattativa p. 87
2
VI. Il memoriale di Aldo Moro
Le tre parti del memoriale p. 98
«Osservatore politico» contro lo Stato p. 104
Tracce del memoriale negli articoli di «Osservatore politico». Pecorelli sapeva?
p. 108
VII. Bibliografia p. 121
3
«Vidi Pecorelli per l’ultima volta un paio di mesi prima che venisse ucciso. Mi parve tranquillo e molto
sicuro di sé. Ricordo che gli dissi, l’ultima volta che lo vidi, di calmarsi e di smetterla con la sua
incontinentia pubblicandi, ammonendolo che qualcuno l’avrebbe ucciso». Alla mia ammonizione
Pecorelli rispose: «Viva la libertà, me ne fotto, si campa una volta sola!».
Nicola Falde in SERGIO FLAMIGNI, Dossier Pecorelli, Kaos, Milano 2005, p. 16.
Introduzione.La sera del 20 marzo 1979, Carmine Pecorelli, appena uscito dalla redazione di «Op –
Osservatore politico», venne ucciso nella sua Citroën verde parcheggiata all’angolo tra
via Tacito e via Orazio a Roma. Il giornalista, all’interno della vettura, venne raggiunto
in bocca da un proiettile sparato attraverso il finestrino sinistro e successivamente da
altri tre colpi esplosi a portiera aperta. I due colleghi del giornale Franco Patrizi e
Franca Mangiavacca, compagna di Pecorelli, ed il carabiniere ausiliario Ciro Formuso
furono i primi ad arrivare sul luogo del delitto. Il colonnello Antonio Cornacchia1,
comandante del Reparto operativo di Polizia giudiziaria dei Carabinieri di Roma,
insieme ai magistrati Eugenio Mauro e Domenico Sica, al capitano dei Carabinieri
Antonino Tomaselli, ed al maresciallo Pietro Laurenti perquisirono la redazione di
Osservatore politico poche ore dopo l’omicidio. A distanza d’anni l’operazione si
dimostrò apparentemente confusa ed approssimativa per le modalità in cui venne
eseguita. In base agli atti non fu possibile stabilire chi entrò per primo negli uffici, ne il
numero di persone che poterono accedere alla redazione di «Osservatore politico».
Risultarono incongruenze anche in merito ai reperti sequestrati durante le tre
perquisizioni svoltesi il 20, il 22 ed il 24 marzo. Il materiale cartaceo sequestrato venne
sistemato in appositi scatoloni, ma non venne compilato il relativo verbale sebbene i
documenti trattassero affari di Stato classificati come «segreti». Sigillati e trasportati
presso gli uffici del Reparto operativo dei Carabinieri, questi due contenitori vennero
aperti il 29 marzo, come descritto nel verbale apposito. Nei documenti di Pecorelli si
trovarono fascicoli sul caso Borghese, appunti sull’organizzazione «Rosa dei venti» e
fotocopie di corrispondenza segreta e riservata del Sid mentre, tra i documenti non
considerati di rilevante interesse ed inizialmente non inventariati, il rapporto ispettivo
della Banca d’Italia sull’Italcasse ed il fascicolo Com.In.Form contenente valutazioni
1 «Il colonnello Antonio Cornacchia, affiliato alla Loggia Propaganda Due, si trovava nelle vicinanze di
via Orazio in borghese per ragioni di servizio. Al processo rifiuterà di specificare quale servizio»,
SERGIO FLAMIGNI, Dossier Pecorelli, Kaos, Milano 2005, p. 41.
4
dei Servizi segreti su Licio Gelli. Nell’abitazione del giornalista venne anche ritrovato il
fascicolo Mi.Fo.Biali, documentazione non autorizzata dalla magistratura effettuata dai
Servizi segreti su richiesta del ministro Andreotti, per avere informazioni su Mario
Foligni, segretario del Nuovo Partito Popolare. Da tale dossier Carmine Pecorelli
scrisse, tra il novembre ed il dicembre 1978, una serie di articoli sul traffico dei petroli
che influì nella sostituzione dei vertici della Guardia di Finanza. Le informazioni, molto
spesso coperte da segreto di Stato, fluirono non soltanto dai Servizi segreti, Sifar prima
e Sid poi, ma da altre molteplici fonti ignote, oltre che dai contatti con ambienti della
massoneria italiana. Proprio grazie alle sue fonti, Carmine Pecorelli venne considerato il
braccio giornalistico dei Servizi segreti oltre che uno strumento per le faide all’interno
di essi, mentre «Osservatore politico» venne etichettato come fonte poco affidabile e di
parte. Lo sviluppo della testata «Op» può essere diviso in due fasi: il decennio 1968 –
1978, agenzia stampa limitata a pochi abbonati e la trasformazione in settimanale,
acquistabile in edicola, fino alla morte del giornalista nel 1979. Dopo un anno di lavoro
presso il settimanale politico «Nuovo Mondo d'oggi», il 22 ottobre 1968 Pecorelli
registrò, presso il tribunale di Roma, l’agenzia di stampa «Osservatore politico
internazionale» in collaborazione con il collega Franco Simeoni2. L’intesa fra i due
giornalisti fu destinata a durare pochi mesi; Pecorelli mal tollerava d’essere
strumentalizzato dai Servizi segreti i quali, tramite i contatti di Simeoni con il capo del
Sid Eugenio Henke e del controspionaggio Giuseppe Fioriani, gli avrebbero passato le
notizie da pubblicare. Il giornalista lo scrisse direttamente nel numero di «Op» dell’8
ottobre 1974:
Nell’ottobre del 1968 il giornalista Franco Simeoni, che conoscemmo ai tempi di
«Mondo d’oggi», ci espose un progetto per la realizzazione di un’agenzia
giornalistica, contrassegnata con la sigla “Op”, che sarebbe stata confortata, dopo la
sua uscita, dall’aiuto di amici politici (nostri) e amici militari (suoi). Per la verità
l’impresa editoriale si manifestò particolarmente onerosa (per noi) e particolarmente
vantaggiosa (per lui). Così, l’iniziativa dopo pochi mesi, nel maggio del 1969, subì
un brusco arresto, perché una volta meglio precisati i collegamenti di Simeoni [con il
2 «Proprietaria dell’agenzia risultava la prestanome Marina Bradstetter, sostituita pochi mesi dopo da
Silvia Marina Limongelli: la prima era la segretaria di Pecorelli, la seconda la madre del giornalista, il
quale era l’effettivo titolare dell’agenzia», FLAMIGNI, Dossier Pecorelli, p. 10.
5
capo del Sid ammiraglio Henke, ndr] lo allontanammo dal lavoro e finimmo per
denunciarlo alla magistratura ordinaria3.
Dal maggio 1969, dunque, Carmine Pecorelli proseguì il suo progetto affiancato dal suo
nuovo collega Dante Meschino, nominato direttore dell’agenzia. Il giornalista allacciò
un confidenziale rapporto con il generale Vito Miceli, allora capo dell’ufficio D del Sid
e destinato a sostituire Henke nella guida dei Servizi segreti dal 1970. Si trattò della
prima vera fonte giornalistica di Pecorelli. Dopo un anno come capo ufficio stampa
dell’onorevole democristiano Fiorentino Sullo, incarico svolto tra il febbraio 1972 e il
luglio 1973, Carmine Pecorelli tornò ad occuparsi dell’agenzia, momentaneamente
gestita dall’ex ufficiale del Sid Nicola Falde. La collaborazione tra il giornalista e Falde
si rivelò impossibile ed il 31 marzo 1974 l’ex colonnello lasciò la direzione. Nonostante
Pecorelli fosse politicamente vicino alla destra, scelse come redattore Paolo Patrizi,
militante del gruppo dell’ultrasinistra Potere operaio4. L’agenzia mantenne un assetto
stabile ed «Osservatore politico» fu riservato a pochi abbonati fino al 1978, anno in cui
divenne rivista settimanale distribuita nelle edicole.
Questo settimanale non nasce all’improvviso o per caso ma trova le sue radici in una
agenzia di informazioni che, giunta al suo decimo anno di vita, ha deciso di uscire dal
Palazzo e andare tra la gente, per le strade. In questi anni di lavoro Op ha rivelato ai
suoi lettori in anteprima o in esclusiva moltissimi dei più grossi avvenimenti che
hanno poi occupato le cronache della stampa quotidiana. Ma se il Palazzo legge, i
grandi giornali hanno invece ritardato, edulcorato o addirittura omesso di trattare le
nostre informazioni. La situazione è tale che nessuno può illudersi di non rischiare
restandosene chiuso nel suo guscio, quasi i fatti del Paese non lo riguardino in prima
persona5.
Nelle ricostruzioni di quel periodo, la figura del giornalista viene presentata
sinteticamente, una comparsa nel tragico scenario degli anni del terrorismo. Ho inteso
invece cercare di comprendere il ruolo di Pecorelli a partire da una lettura il più
3 ibidem.
4«L’estremismo rivoluzionario di Patrizi e l’atlantismo di Pecorelli si armonizzarono magnificamente, al
punto che il redattore, a Roma, viveva come ospite fisso nella casa del direttore», Ivi, p.16.
5 «Osservatore politico», 28 marzo 1978.
6
possibile accurata della sua produzione giornalistica, sebbene la totalità degli articoli di
«Osservatore politico» si sviluppi su questioni economiche, politiche e di cronaca che
avvennero tra il 1968 e il 1979. La denuncia dell’importazione illecita di carne dai paesi
comunisti contro la Torresana Veneta di Jesolo fu una delle prime battaglie di «Op». Un
dossier che descrisse le modalità delle importazioni clandestine in Italia di partite
bovine non controllate e della conseguente evasione fiscale dell’azienda. Un’altra
importante campagna di «Osservatore politico» fu quella contro la Sip e la Società
Finanziaria Telefonica S.p.A., un’ampia ricostruzione storica dei due gruppi con un
costante commento nei graduali aumenti tariffari. Importanti anche i reportage sullo
scandalo del contrabbando del petrolio e sul tacito scambio di armi con i paesi
dell’Africa, in particolare con la Libia, dove Carmine Pecorelli fu in grado di
documentare ai lettori una lista di forniture dettagliate di armi e veicoli prodotti dalla
Oto Melara, dalla Agusta e dalla SNIA – Viscosa. Dalle tangenti delle mani pulite del
Pci6, allo scandalo Italcasse, dal crack Fassio ed Egam all’affare Lockheed; quasi
sempre a margine del giornalismo nazionale, Pecorelli descrisse alla sua maniera le
vicende di quegli anni. Molti articoli furono enigmatici, spesso di parte, satirici, fino a
sfiorare un giornalismo, a volte, di basso profilo. Le analisi delle commissioni
parlamentari sviluppatesi negli anni Ottanta portarono ad una rivalutazione storica degli
articoli della testata di Pecorelli, mettendo in evidenza il suo elevato grado di
conoscenza su questioni coperte da segreto di Stato. L’elaborato presenta uno studio
approfondito su una selezionata serie d’articoli del giornalista, riportando parti degli
scritti originali, mentre le tematiche sono in correlazione tra loro e vertono sul mondo
politico italiano. Per non rendere il lavoro troppo dispersivo l’elaborato si concentra su
quattro importanti fatti di quegli anni.
L’inchiesta sulle attività di Michele Sindona ed il probabile contatto con il giornalista,
per una possibile pubblicazione della «lista dei 500». Da un appunto trovato nei taccuini
di Pecorelli sembrerebbe che Sindona avesse provato a strumentalizzare «Osservatore
politico» per pubblicare la lista dei correntisti, appartenenti al mondo politico italiano,
che usufruirono dei conti esteri del banchiere con i soldi destinati ai partiti. Uno degli
6 VINCENZO IACOPINO, Pecorelli Op, storia di una agenzia giornalistica, SugarCo, Milano 1981, p.
23.
7
ultimi tentativi del banchiere di sfuggire alle condanne gravanti su di lui in Italia e negli
Stati Uniti dopo il colossale crack bancario.
La campagna denigratoria di Carmine Pecorelli, probabilmente influenzata dalla P2,
sugli usi ed abusi della famiglia Leone e sul possibile coinvolgimento del presidente
della Repubblica Giovanni Leone con lo scandalo delle tangenti Lockheed.
Un ampio specchio sulla massoneria italiana e sulla nascita della Loggia Propaganda
Due, alla quale Pecorelli aderì dal 1972 al 1977. Nel 1972 Licio Gelli invitò gli iscritti a
fornire ogni notizia utile ad «Osservatore politico», nell’intento di sfruttare gli articoli
del giornale per l’interesse della Loggia. Dal 1977 alla sua morte, Carmine Pecorelli
scrisse dell’organizzazione massonica ed attaccò duramente Licio Gelli, svelando una
lista di centoventuno nominativi di cardinali, vescovi ed alti prelati vaticani iscritti a tale
organizzazione.
Pecorelli scrisse anche di Aldo Moro e del suo tentativo d’avvicinamento alle sinistre
italiane, fornendo un’ampia sintesi politica. Favorevole all’atlantismo ed alla politica
statunitense predisse una possibile uscita di scena dell’uomo democristiano. A seguito
del rapimento di via Fani si fece portavoce del partito della trattativa per la liberazione
di Moro, attaccando con aggressività lo Stato, i partiti politici ed in particolar modo la
Democrazia cristiana. Descrivendo in un ampio scenario i giorni del rapimento e della
ricostruzione politica dopo l’assassinio del leader democristiano, «Osservatore politico»
gettò ombre sulla «ragion di Stato» e sulla realtà presentata dalla Stampa italiana. Dal
carcere delle Brigate rosse Aldo Moro rispose in forma scritta ai quesiti posti dai
terroristi. A trentacinque anni dai fatti restano duecentoquarantacinque fotocopie di
quello che venne definito il memoriale Moro, le carte vennero ritrovate in tre diversi
momenti, nell’arco di dodici anni. Otto pagine vennero allegate al comunicato numero
cinque delle Brigate rosse, del 10 aprile 1978, mentre quarantanove fogli furono
ritrovati durante il sequestro dei carabinieri nel covo brigatista in via Monte Nevoso, il 1
ottobre dello stesso anno. Durante dei lavori di ristrutturazione nello stesso
appartamento, tenuto per anni sotto sequestro, il 9 ottobre 1990 venne recuperata la
terza parte. Attraverso gli articoli di «Osservatore politico» il giornalista lasciò
intendere d’aver visionato già dal 1978 la versione ritrovata ufficialmente nel 1990.
Secondo diverse testimonianze, inoltre, Pecorelli ed il generale Carlo Alberto Dalla
Chiesa si misero a cercare ulteriori parti mancanti del memoriale Moro. L’Ur –
8
Memoriale, un testo tutt'oggi censurato e coperto da segreti di Stato. La bibliografia sul
giornalista Carmine Pecorelli risulta modesta e riconducibile essenzialmente a quattro
autori, sebbene le ricerche più meritevoli siano principalmente attribuibili al senatore
Sergio Flamigni; chiamato a far parte della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla
strage di via Fani, il sequestro e l'assassinio di Aldo Moro e il terrorismo in Italia nel
1980, nella Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia nel 1982 e
della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla loggia massonica P2 nel 1983. Per
una ricerca specifica attraverso le fonti di «Osservatore politico» la Biblioteca
Nazionale Civica di Firenze e di Roma presentano documentazioni parziali mentre
l’archivio Flamigni ad Oriolo Romano (VT), conservato nella casa del senatore
Flamigni, presenta invece la collezione completa ed originale della testata di Carmine
Pecorelli, da cui ho potuto sviluppare il mio lavoro.
9
Capitolo I
La lista di Michele Sindona.
Negli uffici di «Osservatore politico» venne ritrovato un appunto sulle attività di Licio
Gelli classificato riservatissimo. Allegato alla pagina di tale documento c’era un foglio
battuto a macchina, un messaggio anonimo che Pecorelli ricevette probabilmente pochi
giorni prima della sua morte.
Telefoni controllati. Silenzio totale per un paio di settimane. Per qualche novità, in
cassetta e non di sera. E’ da ritenersi da non escludere di essere seguiti in tutti i
movimenti. Arriverà il seguito per i 500. Nessuna urgenza per un eventuale seguito
all’incontro di ieri sera. Escludere con tutti, anche l’amico di Arezzo: una
partecipazione ad esaltare la nota persona indebolisce la posizione nell’eventuale
discussione e crea notevoli ed inutili difficoltà7.
L’ex redattore di «Op», Paolo Patrizi, consigliò d’indagare sulle questioni di cui si
occupò il giornalista negli ultimi mesi della sua vita per trovare le cause del suo
omicidio. Sempre Patrizi, in un’intervista rilasciata all’«Espresso» il 4 luglio 1993,
dichiarò che Carmine Pecorelli attendeva con ansia importanti documenti contenenti
rivelazioni sul caso Michele Sindona. Numerosi gli articoli pubblicati dal giornale a
riguardo; la vicenda del banchiere venne considerata il peggiore crack bancario degli
anni Settanta, screditando un uomo ai vertici dell’alta finanza. «Osservatore politico» si
occupava da anni di Sindona con un’impostazione molto spesso innocentista. Secondo
l’ex redattore una fonte sconosciuta avrebbe dovuto consegnare a Pecorelli un dossier
che sarebbe servito a scagionare il banchiere, imputando la responsabilità del crack a
personaggi che avrebbero tentato di prenderne il posto come Roberto Calvi e Paul
Marcinkus.
Negli ultimi tempi Pecorelli attaccava pesantemente la Loggia e Gelli. Non è
fantasioso ritenere che Sindona per difendersi avesse stabilito far pervenire al mio
7 RITA DI GIOVACCHINO, Scoop mortale. Mino Pecorelli. Storia di un giornalista kamikaze, Pironti,
Napoli 1994, p. 100.
10
direttore materiale che potesse mettere in difficoltà i suoi alleati, Gelli e Calvi e far
emergere la vicenda della Loggia segreta8.
Difficile capire cosa potesse contenere il dossier segreto e da chi venne consegnato,
molto probabilmente si trattava della lista degli iscritti alla Loggia P2. Ma l’appunto
ritrovato nell’ufficio di Pecorelli, il riferimento alla «lista dei 500», aprì l’ipotesi che il
banchiere avesse realmente necessità di «Osservatore politico» per fini personali,
sfruttando informazioni importanti che avrebbero potuto aiutarlo in un momento per lui
molto difficile. Nel 1979 la Franklin Bank era sull’orlo del fallimento, Sindona era già
stato arrestato negli Stati Uniti ed era sotto inchiesta in Italia.
L’ascesa di Michele Sindona.
Negli anni Cinquanta Michele Sindona possedeva uno studio di consulenza tributaria a
Milano, grazie al quale divenne uno dei commercialisti più ambiti della città. Si lanciò
in rischiose operazioni borsistiche che gli si rivelarono favorevoli ed allo stesso tempo
utili per le basi della sua futura carriera di banchiere e finanziere e che gli permisero
d’acquisire competenza in diversi settori quali l’evasione fiscale, l’esportazione di
capitali e paradisi fiscali. Nel 1950 collocò in Liechtenstein la sede della sua prima
società, la Fasco AG, che controllò per anni un discreto patrimonio immobiliarista9.
Grazie alla sua crescente notorietà di fiscalista, nello stesso anno, il suo studio divenne
il più importante d’Italia, iniziando ad investire il denaro affidatogli dalla sua clientela.
Nel 1955 avvenne il primo incontro con l’arcivescovo Giovan Battista Montini, durante
il quale Sindona offrì la sua consulenza ed aiuto al futuro papa per la costruzione di una
casa di riposo per anziani nel milanese, assistendolo nel finanziamento dello stabile
edificato successivamente nel 1959. É datato 1952 il primo viaggio negli Stati Uniti,
incontro fruttuoso che consolidò i rapporti d’amicizia all’interno di Cosa Nostra, in
alcuni settori dei Servizi segreti americani e negli ambienti finanziari. Al termine di
questo confronto Sindona cominciò ad operare anche come incaricato d’affari di società
8 Intervista a Paolo Patrizi, «L’Espresso», 4 luglio 1993.
9 GIANNI SIMONI - GIULIANO TURONE, Il caffè di Sindona. Un finanziere d’avventura tra politica,
Vaticano e Mafia, Garzanti, Milano 2009, p. 34.
11
oltreoceano, entrando in rapporto con il padrone della SNIA Viscosa10, collaboratrice
dei servizi segreti alleati nella seconda guerra mondiale11. Per conto di tale società iniziò
ad operare in borsa con l’appoggio di Ernesto Moizzi, azionista della Banca Privata
Finanziaria, alla quale risolse la condizione economica disastrosa di una delle sue
aziende trovandogli un compratore disposto a versare il triplo del valore di mercato12.
Grazie alla vendita dell’industria siderurgica di Miozzi, Sindona si guadagnò la fiducia
di quest’ultimo divenendo suo socio. Il 28 ottobre 1960 la Fasco AG acquistò dallo
IOR13 il pacchetto di maggioranza della Banca Privata Finanziaria e tramite la
mediazione di John McCaffery14 riuscì a vendere il 24,5% del capitale alla londinese
Hambros Bank Ltd di Jocelyn Hambro. In questa maniera Michele Sindona entrò a
pieno titolo nell’alta finanza internazionale collusa con i diversi Servizi segreti,
allacciando rapporti con il capo della Cia John McCone ed il caposezione Cia in Italia
William Harvy. Il banchiere italiano diventò socio di un importante istituto di credito, la
Continental Illinois National Bank che, proprio come la Hambro, acquistò il 24,5%
della Banca Privata. Con il 51% Sindona ne mantenne il controllo. Il suo nascente
impero continuò a crescere nei diversi settori: società commerciali, complessi
immobiliari, industrie, nuove banche15. Nacquero nuovi rapporti societari con la
General Foods Corporation, con la Bank of America, con la Nestlè, con la Banque de
Paris et des Pays-Bas e la Bruxelles Lambert. Nel 1964, la Fasco Ag ebbe un patrimonio
stimato 50 milioni di dollari. Mentre in Italia Sindona cominciò a destare ostilità nei
settori della finanza, negli Stati Uniti invece è sugli altari. Il settimanale «Time» gli
dedicò un lungo articolo nel settembre del 1964, due settimane dopo il «Business
Week» lo presentò come superdinamico operatore del mondo degli affari ed il più
geniale finanziere italiano del Dopoguerra, la rivista «Fortune» lo definì uno dei più
geniali uomini d’affari del mondo. Il capo della International Criminal Police
10 Fondata a Torino nel 1917 con il nome di Società di Navigazione Italo Americana (SNIA), la sua
funzione iniziale fu quella di controllare i trasporti marittimi tra Italia e Stati Uniti.
11 MAURIZIO DE LUCA, Sindona. Gli atti d’accusa dei giudici di Milano, Editori Riuniti, Roma 1986,
p. XIII.
12 Tale Daniel Porco, uomo d’affari americano che rappresentava una società controllata da una grande
multinazionale produttrice di armi. SIMONI - TURONE, Il caffè di Sindona, p. 35.
13 Istituto per le Opere di Religione.
14 John McCaffery fu il rappresentante per l’Italia della Hambros Bank Ldt.
15 Banca di Messina, Finbank a Ginevra, la Banca Unione di Milano, SERGIO FLAMIGNI, Trame
atlantiche. Storia della loggia massonica segreta P2, Kaos, Milano 2005, p. 135.
12
Organization di Washington Fred J. Douglas, nel novembre del 1967, informò la
Criminalpol di Roma del coinvolgimento di Daniel Porco e Michele Sindona in un
traffico di stupefacenti tra Usa, Italia ed Ovest europeo. Il questore di Milano Giuseppe
Parlato confermò il rapporto d’affari tra i due uomini escludendo il loro possibile
coinvolgimento nel possibile traffico di droga16. Sindona continuò a svolgere i suoi
traffici finanziari, articolati in società collegate tra loro con la tecnica delle scatole
cinesi e domiciliate in paradisi fiscali in Liechestein, a Panama, nelle Antille, in
Lussemburgo, alle Bahamas, ad Hong Kong ed in Svizzera. I giri di denaro manovrati
dal banchiere compresero anche il riciclaggio di capitali sporchi17. Il 14 luglio 1969, nel
Frusinate venne costruita la fabbrica «Patty», destinata alla produzione di valigie da
viaggio. Alla cerimonia inaugurale del complesso partecipò l’onorevole Giulio
Andreotti, il quale nel suo discorso non mancò d’elogiare il coinvolgimento finanziario
del gruppo Sindona.
Leggiamo con interesse le notizie degli acquisti e vendite di partecipazioni
finanziarie effettuate per il tramite del gruppo Sindona. Ma è ancora con più grande
interesse, e soprattutto con più diretta soddisfazione, che assistiamo oggi alla
realizzazione di una nuova impresa industriale da parte dello stesso gruppo18.
La partecipazione d’Andreotti all’apertura di una normalissima fabbrica può essere
considerata come il primo indizio del legame tra Michele Sindona e la Democrazia
cristiana. Non furono le sue uniche amicizie politiche. Alla fine degli anni Sessanta
Sindona divenne il più potente banchiere italiano per i suoi legami con il Vaticano, con
la Democrazia cristiana, con Giulio Andreotti, con il presidente Nixon e con il
segretario al tesoro David Kennedy19. Vantava contatti nella Cia, nei servizi segreti
atlantici, nella Massoneria internazionale ed all’interno di Cosa Nostra. In seguito
all’abolizione delle esenzioni fiscali di cui beneficiavano in Italia le società vaticane, nel
1968 Paolo VI decise di monetizzare gli investimenti italiani della Chiesa e di
16 Ivi, p. 136.
17 Ibidem.
18 Ivi, p. 140.
19 David Kennedy, anche ambasciatore presso alla Nato a Bruxelles, divenne consulente di Sindona nella
Fasco, Ibidem.
13
reinvestire capitali all’estero20. Il banchiere divenne socio e consigliere del Papa21 e del
nuovo presidente dell’Ufficio amministrativo dello Ior, Paul Marcinkus, rilevando al 50
per cento con gli Hambro una parte cospicua dei beni vaticani: la Società Generale
Immobiliare, la società Condotte d’Acqua e le Ceramiche Pozzi. I beni immobili e
mobili del Vaticano vennero stimati in 5 miliardi di dollari, di cui 3 amministrati dallo
Ior. Il monsignor Marcinkus divenne il padrino di Sindona e lo Ior azionista delle
banche sindoniane, le quali conservarono i patrimoni della Chiesa acquisendo
partecipazioni in numerose società domiciliate in paradisi fiscali. Sfruttando
l’extraterritorialità dello Stato vaticano crearono canali per l’esportazione di capitali
dall’Italia all’estero attraverso Città del Vaticano.
Lo Ior apriva un conto corrente con l’istituto di credito italiano che voleva
esportare lire in nero. Il cliente della banca italiana depositava i soldi liquidi sul
conto e lo Ior provvedeva ad accreditarglieli all’estero, nella valuta e presso la
banca che gli erano state indicate. Nell’eseguire l’operazione lo Ior distraeva una
commissione poco più alta della normale. La Banca d’Italia ed altre autorità non
hanno mai interferito. Sono al corrente di queste cose perché lo Ior agiva in questa
veste per conto di miei clienti della Banca Privata e della Banca Unione. Il
vescovo Marcinkus, una volta arrivato a capire tutta la faccenda, si convinse che il
sistema usato dallo Ior per esportare fondi fosse una specie di delitto perfetto22.
Da un appunto del Sid datato 1971 e classificato riservatissimo, emerse che Sindona
oltre alla proprietà di tre banche23 era presidente del comitato esecutivo della Centrale
finanziaria Spa, della società editrice «Rome Daily American24» e d’altre otto società
per azioni. Inoltre rivestiva cariche di amministratore unico, vicepresidente, socio
accomandatario o consigliere in numerose società. In gruppo con Roberto Calvi, nuovo
20 PAOLO PANERAI - MAURIZIO DE LUCA, Il crack, Sindona, la Dc, il Vaticano e gli altri amici,
Mondadori, Milano 1975, p. 72.
21 Paolo VI avrebbe salutato Michele Sindona con queste parole: «Si dice, avvocato Sindona, che lei ci sia
stato inviato da Dio. Si dice, avvocato Sindona, che lei è l’uomo di Dio», NICK TOSCHES, Il mistero
Sindona, SugarCo, Milano 1986, p. 141.
22 Michele Sindona cit. in Ivi, p. 154.
23 Banca Unione, Banca di Messina e Banca Privata Finanziaria, DI GIOVACCHINO, Scoop mortale, p.
140.
24 Quotidiano acquistato da Michele Sindona nel 1972, finanziato e sovvenzionato dalla Cia allo scopo
d’influire sull’opinione pubblica e per la copertura dei propri agenti in territorio italiano, ANGELO
VENTURA, Per una storia del terrorismo italiano, Donzelli, Roma 2010, p. 148.
14
direttore generale del Banco Ambrosiano e lo Ior nel 1971 Sindona fondò, nel paradiso
fiscale delle Bahamas, la Cisalpine Overseas Bank. Nell’aprile del 1972 gli ispettori
della Banca d’Italia scrissero un rapporto relativo ad un’ispezione alla Banca Privata
Finanziaria ed alla Banca Unione.
Nettamente sfavorevole il giudizio complessivo. Irregolare, alterato o omessa
registrazione di fatti di gestione; tenuta di una seconda contabilità economica
riservata; riserva obbligatoria inferiore al dovuto; consegna di libretti al portatore
senza ritiro di ricevuta; acquisto di proprie azioni. La gravità e la quantità delle
irregolarità riscontrate è tale che gli ispettori hanno concluso il loro rapporto
proponendo per la Banca Privata Finanziaria il commissariamento, la liquidazione
coatta e lo scioglimento degli organi amministrativi e per la Banca Unione il
commissariamento25.
Nonostante il rapporto degli ispettori della Banca d’Italia, nel luglio del 1972, il
finanziere acquistò il pacchetto di controllo della Franklin National Bank, gruppo al
ventesimo posto nella graduatoria delle banche americane. In Italia la relazione non
portò a nessuna inchiesta dell’autorità giudiziaria, consentendo a Michele Sindona di
proseguire con le sue attività finanziarie. La protezione politica del governo di centrodestra,
presieduto da Giulio Andreotti, indusse il governatore Guido Carli a non
intervenire, ritardando l’esposto26. Poiché la legge italiana gli negava la possibilità
d’utilizzare i depositi delle banche per finanziare le società del suo gruppo, decise
d’aprire depositi fiduciari in banche estere le quali versarono il denaro alle società
sindoniane in attività all’estero. Il denaro che venne depositato venne fatto affluire
verso banche in accordo, nell’apparente rispetto delle normative del periodo. Allo
stesso tempo tali banche venivano impegnate a versare, a nome proprio ma a rischio
del depositante, il denaro depositato alle società estere di Sindona. Operazioni di
autofinanziamento che infrangevano ogni regola bancaria. Questi depositi vennero
utilizzati da Sindona per azioni di speculazione e per finanziamenti politici27.
25 SERGIO FLAMIGNI, Storia della loggia massonica segreta P2, Kaos, Milano 1996, p. 144.
26 Ivi, p. 142.
27 Finanziamenti alla Democrazia cristiana, alla giunta militare dei Colonnelli in Grecia nel 1970-71 e
fondi per la rielezione di Richard Nixon alla presidenza degli Stati Uniti D’America, Ivi, p. 144.
15
I rapporti con la mafia e l’alleanza con la Loggia Propaganda Due.
Nel 1972 vennero pubblicati alcuni articoli di denuncia nei confronti di Michele
Sindona28 riguardanti i suoi legami con il mondo mafioso, seppur destinati a restare
isolati. La maggior parte della stampa americana continuò ad esaltare l’immagine del
banchiere definendolo un «self made man», un «geniale finanziere fattosi dal nulla» in
grado di risollevare anche le finanze del Vaticano. Realmente i legami di Sindona con
Cosa Nostra divennero sempre più stretti e frequenti, in particolar modo con le
famiglie di New York dei Gambino, con i Macaluso ed i Bonanno. A Milano Sindona
fu in continuo contatto con il boss latitante Luciano Leggio; presso la sindoniana
Banca Unione vi furono depositati dieci miliardi di Lire dell’Ente minerario siciliano a
nome del suo presidente Luciano Verzotto, mentre altri finanziamenti furono dati ad
alcune organizzazioni eversive nere29. Nel 1973 Michele Sindona entrò in rapporti con
l’allora capo del Sid Vito Miceli.
Io condividevo i timori del generale Miceli che s’instaurasse una dittatura
comunista in Italia; in Miceli, però, quei timori sembravano così profondamente
radicati da renderlo quasi paranoico. Gli dissi che non potevo aiutarlo [per
finanziare la rivista anticomunista per militari che curava] con denaro delle società
che controllavo perché i loro preventivi di spesa erano fatti da altri. Lui disse che
sapeva tutto dei sistemi di tripla contabilità delle società italiane e si lamentò che
inventassi semplicemente una scusa. Alla fine gli diedi denaro di tasca mia30.
Alcuni mesi dopo il generale lo presentò a Licio Gelli, durante un incontro al Grand
Hotel di Roma. Il banchiere, affiliato alla Loggia coperta Giustizia e libertà, entrò a far
parte della P2 l’estate dello stesso anno.
Cominciò la conversazione ringraziandomi d’aver dato una mano ad un caro ed
importante amico massone. Gelli mi intrattenne per circa un’ora, raccontandomi
28 Il giornalista americano Jack L. Begon denunciò apertamente i legami di Sindona con la mafia, Ivi, p.
143.
29 Il nome di Michele Sindona emergerà nell’inchiesta sulla «Rosa dei venti», Ivi, p. 144.
30 Michele Sindona cit. in TOSCHES, Il mistero Sindona, p. 199.
16
scopi ed ideologie della sua Loggia. Disse che condivideva in pieno le mie idee
sull’economia ed il libero mercato31.
Nel 1973 Sindona cercò nuovi depositi per la Privata Finanziaria ed Unione che
ricevette dall’Iri e da altri enti statali. I nuovi depositi vennero remunerati con tassi di
favore, anche per poter creare fondi neri con i quali sovvenzionare i vertici
democristiano-piduisti appartenenti a tali enti32. Nei depositi con tangenti furono
coinvolte la Democrazia cristiana della frangia Andreotti - Fanfani e la Loggia
Propaganda Due che trovò in Michele Sindona un partner ideale. Altri iscritti alla P2
emersero conseguentemente al crac delle banche di Sindona.
Essi occupano un posto rilevante in una lista di ottantotto titolari di conti cifrati
presso la Geomes Società generale immobiliare, collegata con le finanziarie estere
in Lussemburgo, nelle isole Cayman e a Nassau, attraverso cui passavano
operazioni speculative finanziarie. Per non parlare dei nominativi che sono stati
fatti a proposito dell’altra lista, quella dei “500”, anch’essi in buona misura
dell’allegra compagnia gelliana33.
Nell’agosto del 1973 l’impero finanziario di Michele Sindona accusò una crisi di
liquidità e per fronteggiarla il banchiere tentò un aumento di capitale della società
Finambro a 160 miliardi. Ugo La Malfa34, ministro del Tesoro del governo Rumor e
fautore d’una rigorosa politica economica, impedì tale manovra nonostante l’appoggio
al progetto sindoniano di Andreotti e Fanfani. Nel febbraio del 1974 La Malfa rassegnò
le dimissioni e la nuova carica di ministro del Tesoro venne affidata al democristiano
Emilio Colombo. La nomina di Mario Barone, uomo di fiducia d’Andreotti e Sindona,
ad amministratore delegato del Banco di Roma portò un finanziamento di cinquanta
milioni di dollari alla Società Generale Immobiliare. Il banchiere sperò nella vittoria
31 Michele Sindona cit. in Ivi, p. 200.
32 Fu il caso dei depositi del finanziere piduista Umberto Ortolani provenienti dall’Italcasse e dall’Icipu-
Crediop, dell’ Iccrea di Enzo Badioli e Giancarlo Buscarini, del Consorzio nazionale per il Credito
agrario di Maurizio Parasassi e della Società finanziaria idrocarburi dell’Eni di Renato Marnetto, CpicS,
relazione di minoranza D’Alema-Minervini-Cafiero, pagg. 239-243.
33 CpicS, relazione di minoranza dell’on. Massimo Teodori, volume delle relazioni, p. 585.
34 «Mezza Italia si sta muovendo per questa operazione, il che mi rende ancora più diffidente», Ugo La
Malfa cit. in FLAMIGNI, Trame atlantiche, p. 146.
17
referendaria della Democrazia cristiana, consegnando denaro al partito. Un «do ut des»
che mirava all’aumento di capitale della Finambro che, nella consultazione
referendaria di maggio, venne vanificato dalla sconfitta Dc. In America la Franklin
National Bank accusò enormi perdite e le prime voci allarmistiche fecero precipitare il
titolo da quattordici ad otto dollari35. La Security and Exchange Commission sospese il
titolo dalla Borsa bloccando il pagamento dei dividendi, creando il panico tra i
correntisti della Franklin che in una settimana ritirarono più di trecento milioni di
dollari. L’eco americana provocò il ribasso delle azioni italiane delle società
sindoniane quotate, mentre i correntisti dell’Unione e della Banca Privata
cominciarono a ritirare i loro depositi. Sindona chiese ed ottenne un prestito di cento
milioni di dollari garantito dalla Generale Immobiliare e dal pegno del 51% della sua
Banca Privata Finanziaria; il Banco di Roma erogò il prestito salvandola dal crac36 ed
il 5 agosto le due banche si fusero in un unico istituto creditizio chiamato Banca
Privata Italiana. Come la sconfitta democristiana in Italia vanificò l’aumento di
capitale della Finambro, nella stessa maniera il termine del mandato del presidente
Nixon bloccò il salvataggio della Franklin Bank. Sindona chiese altri prestiti al Banco
di Roma che, grazie all’influenza democristiana e piduista al suo interno, tentò un
nuovo piano di salvataggio per la Privata Italiana. Ma i correntisti pochi giorni dopo
ritirarono depositi per duecento miliardi di lire mentre le quotazioni delle società di
Sindona precipitarono drasticamente37. Il 27 settembre 1974 la magistratura milanese
decretò la messa in liquidazione coatta della Banca Privata Italiana, nominando
l’avvocato Giorgio Ambrosoli liquidatore. Ad inizio ottobre la Federal Reserve
americana bocciò il progetto di salvataggio della Franklin National Bank,
dichiarandola insolvente. Il giorno seguente, il 4 ottobre 1974, la procura di Milano
annunciò due mandati di cattura nei confronti di Michele Sindona per falsità in
scritture contabili, false comunicazioni ed illegale ripartizione degli utili. Ricevuta la
notizia il banchiere riparò dapprima a Taipeh per qualche giorno, dall’amico Chiang
35 Ivi, p. 149.
36 «Mentre si nega il denaro alle aziende impegnate nell’attività produttiva, giustificandosi con la stretta
creditizia messa in atto dalla Banca d’Italia, si trovano milioni di dollari per salvare il finanziere più
discusso e misterioso», «L’Espresso», luglio 1974.
37 «Inconcepibile che il Parlamento sia stato tenuto fino ad ora all’oscuro di tutto. Non è ammissibile che
sull’affare Sindona il governo stenda un velo pietoso», presidente della Camera dei deputati Sandro
Pertini cit. in FLAMIGNI, Trame atlantiche, p. 150.
18
Kai-sek e successivamente a New York per organizzare la sua difesa. Il 14 ottobre la
Banca Privata Italiana venne dichiarata insolvente, con conseguente mandato di cattura
a carico di Michele Sindona per bancarotta fraudolenta. Nell’ispezione svolta dalla
Banca d’Italia nell’ottobre del 1974 emerse un ammanco di duecento miliardi di lire,
oltre ai raggiri che portarono illecitamente centotrentasei miliardi di lire nelle casse di
alcune società sindoniane e perdite non contabilizzate di trenta miliardi per operazioni
speculative sui cambi38. Il 2 luglio il giudice istruttore del tribunale di Milano
confermerà il mandato di cattura, a quel punto a favore del banchiere si schierarono la
massoneria e la mafia. L’obbiettivo della Loggia P2 fu quello d’impedire l’estradizione
dall’America di Sindona e la revoca della liquidazione coatta della Banca Privata
Italiana: «Esposi la mia situazione e chiesi a Gelli d’intercedere per me con l’aiuto dei
suoi amici massoni al governo. Lui si disse ottimista39». Si decise di trasformare la
vicenda in un caso politico, tentando d’avvalorare la tesi secondo cui dietro il crac
finanziario ci sarebbe stata una cospirazione di stampo comunista e che gli stessi
magistrati impegnati contro il banchiere vi facessero parte. Nel 1975 Giorgio
Ambrosoli riuscì ad entrare in possesso delle quattromila azioni al portatore costituenti
l’intero capitale sociale della Fasco Ag, la restante parte dell’impero del banchiere
sfuggita ai controlli40. Sindona denunciò il liquidatore per appropriazione indebita,
denuncia che venne successivamente archiviata, ed inviò due esposti al governatore
della Banca d’Italia nei quali si lamentò d’Ambrosoli definendolo una persona
incompetente e disonesta. Il banchiere fu convinto di poter superare indenne il crac
delle sue banche. Appoggiato da Licio Gelli della Loggia P2, allo scopo di sottrarsi alla
giustizia, pensò di sfruttare i numerosi segreti del mondo politico e finanziario per
esercitare pressioni e ricatti.
38 «Un capitolo della relazione degli ispettori è riservata ai finanziamenti occulti alla Democrazia
Cristiana. Altri ammanchi sono relativi a crediti inesigibili accordati a privati e ad altre banche
successivamente fallite. La relazione evidenzia anche un conto di venti miliardi con intestazione di
comodo riferibile al Vaticano: il camuffamento del conto è talmente sofisticato che la Santa sede, quando
ne rivendicherà la proprietà successivamente, non riuscirà giuridicamente a dimostrarla. Ciò di cui gli
ispettori non trovano traccia sono i centotrenta miliardi intascati da Sindona nel 1973, dopo la cessione
del pacchetto di controllo della Società generale immobiliare alla Finambro», Ivi, p. 151.
39 Michele Sindona cit. in TOSCHES, Il mistero Sindona, p. 201.
40 «Nella Fasco Ag vennero transitate diverse somme distratte dalle banche italiane, di lì si sono dipanati
tutti i labirinti societari, lì sono affluiti i capitali mafiosi da riciclare», FLAMIGNI, Trame atlantiche, p.
154.
19
«Osservatore politico» e Michele Sindona.
«Osservatore politico» si occupò di Michele Sindona precedentemente al crac
finanziario ed alle vicende giudiziarie che coinvolsero le sue banche, segnalando gli
strani legami con esponenti politici italiani e con la malavita americana. Uno degli
argomenti più seguiti da Carmine Pecorelli fu il rapporto tra il banchiere e Giulio
Andreotti, in diversi articoli scritti tra il 1974 ed il 1979. «Da fonte bene informata ci
risulta che Giulio Sindona si è incontrato con Michele Andreotti41». L’incontro tra il
Banchiere e Andreotti, durante un viaggio negli Stati Uniti nel 1971, fu l’occasione per
Pecorelli di tornare sull’argomento: «Ad inventare il proverbio “patti chiari ed amicizia
lunga” sono stati Sindona ed Andreotti42». Su «Osservatore politico» cominciarono a
comparire brevi articoli, quasi sempre enigmatici o di difficile comprensione,
riguardanti la dubbia solidità dell’impero di Michele Sindona. In particolar modo dopo
il mancato finanziamento di capitale della Finambro.
Il più brillante affare condotto a termine dall’ex finanziere italo-americano, resta, a
detta degli esperti, il finanziamento di cento milioni di dollari ottenuto dal Banco
di Roma in cambio di un buco di quattrocento miliardi di lire italiane43.
Sebbene il giornalista e Michele Sindona fossero in buoni rapporti sembrerebbe, anche
secondo la testimonianza di Paolo Patrizi, che Pecorelli non si facesse scrupolo
d’attaccare il banchiere soprattutto quando poteva presentarsi l’occasione per denigrare
Andreotti.
Dal buio dell’affare Sindona emerge una villa lussuosissima che, sotto un cielo di
stelle, illumina il volto, diafano e pensoso, di un’alta personalità del mondo.
Inventato finanziere da Lucky Luciano, i due si conobbero in Sicilia nel ’43 quando
per conto dell’agente dell’Oas Luciano, Sindona fece sparire diversi milioni di
dollari che il servizio segreto americano aveva destinato alla preparazione dello
sbarco alleato. Nel meeting di Palermo (1952 hotel delle Palme) lo nominò
41 DI GIOVACCHINO, Scoop mortale, p. 106.
42 Ibidem.
43 «Osservatore politico», 10 ottobre 1974.
20
amministratore di due miliardi di dollari che all’epoca i boss fecero riciclare per le
loro operazioni europee attraverso opportune banche svizzere44.
Per dare un senso di veridicità agli articoli fino ad allora pubblicati, venne esposto un
documento di notevole rilevanza del Ministero dell’Interno, indirizzato alla Questura di
Milano e misteriosamente pervenuto in possesso di Carmine Pecorelli. Trattasi di
un’indagine della polizia americana sul traffico d’allucinogeni tra l’Italia e gli Stati
Uniti45. Sindona sembrerebbe coinvolto.
Ministero degli Interni – Interpol – 16 novembre 1967 prot/123 516404 alla
Questura di Milano. Oggetto: traffico di di allucinogeni tra l’Italia e Stati Uniti. Nel
commercio sarebbero implicati con i cittadini Usa Porco Daniel, Gengarella Ernest, i
cittadini italiani Sindona Michele, nato a Patti l’8/5/1920, residente in via Turati e
Vio Rolf, non meglio indicato. Si prega di esperire le opportune indagini sul conto
dei predetti comunicandone l’esito46.
Venne in possesso anche del protocollo 306571 del 31 gennaio 1968, con cui la
Questura di Milano rispose al Ministero dell’Interno. E lo pubblicò a sua volta.
Il cittadino statunitense Porco Daniel risulta alloggiato varie volte presso il Palace
Hotel di questa piazza della Repubblica e da ultimo nell’anno 1967 dal 12 al 16
ottobre. Da accertamenti svolti è risultato che il medesimo intrattiene in questa città
stretti rapporti di amicizia con l’avvocato Sindona Michele. I rapporti di affari
risalgono al 1960 quando entrambi erano consiglieri della Spa “Fonderie Acciaierie
Milanesi” con sede in Milano via Privata Nevesa 1, della quale società era direttore
amministrativo prima e direttore generale poi l’ing. Vio Rolf. Allo stato degli
accertamenti qui svolti non sono emersi elementi per poter affermare che le persone
di cui innanzi e soprattutto Porgo e Sindona siano implicati nel segnalato traffico di
stupefacenti47.
44 «Osservatore politico», 25 ottobre 1974.
45 Indagine di Fred J. Douglas, capo della International Criminal Police Organization di Washington,
FLAMIGNI, Trame Atlantiche, p. 136.
46 IACOPINO, Pecorelli Op, p. 120.
47 Ivi, p. 121.
21
Il questore di Milano Giuseppe Parlato confermò il rapporto d’affari tra Sindona e
Porco escludendone ogni coinvolgimento nel traffico di droga, non considerando la
segnalazione americana48. L’occultamento o la scarsa attenzione a questa indagine
della questura milanese portò Pecorelli a credere che dietro Michele Sindona vi fossero
personalità di rilievo e protezioni politiche. Considerate le amicizie e le frequentazioni
del giornalista, i rapporti con le associazioni massoniche ed i suoi contatti che
fornivano costanti notizie riservate, risulta difficile credere che il giornalista non
conoscesse anche parzialmente la dinamica sindoniana. È probabile che gli articoli
scritti su «Osservatore politico» servissero a colpire terze persone legate alla vicenda.
A prescindere da tale osservazione, «Op» continuò a pubblicare brevi articoli di
denuncia nei confronti delle sospette e dubbie azioni del banchiere di Patti.
Dall’esame dei libri contabili della Banca Privata Finanziaria e della Banca
d’Unione, sarebbe emersa la partecipazione, per altro molto interessante, alla
proprietà dei due istituti di credito di un uomo politico di prima grandezza. Lo
stesso personaggio sarebbe, ma in epoca successiva, venuto in possesso di notevoli
quantità di Montedison. Entrambe le operazioni sarebbero state consigliate da un
funzionario della Banca Nazionale dell’agricoltura molto vicino a quel Pietro
Macchiarella49 a sua volta molto vicino a Michele Sindona50.
Nel maggio del 1975, ad esempio, uscì un nuovo articolo riferito all’inaugurazione
della fabbrica sindoniana Patty nel 1969. Secondo Pecorelli sarebbe una palese
manifestazione del legame tra Sindona e la Democrazia cristiana, in particolare modo
con Giulio Andreotti.
Il 14 luglio del 1969 nei dintorni di Frosinone fu inaugurata la sede della Patty,
una nuova industria di proprietà di Michele Sindona, specializzata nella
produzione di valigie in fibra rigida brevettate dalla Saifex, anch’essa di proprietà
del finanziere siculo-meneghino. Presente alla cerimonia, oltre a Sindona e a
monsignor Marcinkus, c’era anche Giulio Andreotti (per intendersi quello che dice
di non aver mai visto e conosciuto Sindona) che emozionatissimo precedette al
49 Presidente della Banca Nazionale dell'Agricoltura.
50 «Osservatore politico», 25 marzo 1975.
22
rituale taglio del nastro tricolore. Purtroppo però lo stabilimento navigò sempre in
cattive acque e nella mente del finanziere era già nata l’idea di chiuderne i battenti
quando d’un tratto intervenne in suo favore la fata turchina che con la sua
bacchetta magica fece sì che gli venissero elargiti a larghe mani prestiti dell’Imi e
della Cassa per il Mezzogiorno. Morale della favola, ad inventare il proverbio
“patti chiari, amicizia lunga” sono stati Sindona ed Andreotti51.
Ed ancora:
I due magistrati che indagano sul crack, Urbisci e Viola, avrebbero ricostruito
erogazioni nere per oltre un miliardo che l’ex finanziere siculo-meneghino in più
riprese avrebbe rilasciato a favore di un noto e meridionale esponente della
corrente fanfaniana52.
Ed è proprio delle indagini del Giudice Istruttore Dott. Olivio Urbisci che venne
proposto un reportage dal titolo Caso Sindona, pubblicato in due numeri speciali,
rispettivamente datati il 19 marzo e 23 marzo 1976. Un’ampia ricostruzione, di cinque
pagine a parte, dei movimenti economico-societari del banchiere. Ma è chiaro che
principalmente Carmine Pecorelli tentò di ricostruire gli illeciti giri di denaro che
avvennero tra Michele Sindona ed il mondo politico, la Democrazia cristiana ed in
particolar modo, il suo più grande obbiettivo giornalistico, Andreotti.
Siamo entrati in possesso di un documento relativo all’istruttoria Sindona. In
particolare della parte che si riferisce al professionista che percepì dal Salvatore
della lira il miliardo da girare al presidente del Consiglio. Esistono infatti le prove
documentali che il presidente del Consiglio ha percepito un miliardo da Michele
Sindona. Che un altro miliardo è stato pagato ad un ex segretario politico di un
partito. Che ben quindici miliardi sono stati versati nelle casse di un partito
politico (lo stesso del presidente del Consiglio e dell’ex segretario politico in
questione). Insomma la testa di Sindona è troppo decisiva per gli equilibri del
Mediterraneo perché possa restare ancora troppo a lungo ancorata alle spalle53.
51 «Osservatore politico», 14 maggio 1975.
52 Ivi, 11 luglio 1975.
53 Ivi, 17 settembre 1976.
23
In un articolo del dicembre del 1976 si continuò a parlare di coinvolgimento della
Democrazia cristiana:
Corre voce che un certo consulente finanziario di un notissimo e molto influente
senatore democristiano abbia inutilmente varcato per ben due volte l’oceano,
destinazione Usa Hotel Pierre, per tentare di piazzare settecento milioni di titoli
Finambro di cui è portatore presso Michele sindona. Il quale si sarebbe dichiarato
disponibile all’operazione a patto che gli venga ripristinata la sua precedente
situazione economica e politica in Italia. È stato a quel punto che al consulente s’è
rizzata la criniera in testa54.
L’ultimo articolo di «Op», dopo un anno di silenzio in merito ai fatti del banchiere, è
datato 16 aprile 1978. La data coincise con il settimo comunicato, falso, delle Brigate
rosse annunciando l'esecuzione di Aldo Moro e la reperibilità del cadavere nel lago
della Duchessa.
La più recente vittima del disordine e dello sfacelo morale in cui il nostro paese è
caduto, è Aldo Moro: vittima anche lui, però, prima e oltre che dei terroristi, di una
ferrea logica d’omertà politica che gli ha impedito di rivelare cose che certamente
sa, di indicare quali e quanti scheletri sono nascosti negli armadi. Nel ministero
degli Affari Esteri, per esempio sarebbe il momento d’aprire gli armadi etichettati
Sindona55.
La lista dei 500.
Il 3 agosto 1979 la segretaria di Michele Sindona a New York ricevette una telefonata
anonima, la voce comunicò che Sindona era stato rapito: «Michele Sindona è nostro
prigioniero, presto riceverete altre notizie56». Il finto rapimento fu l’ultimo tentativo
del banchiere di risolvere le sue problematiche di bancarotta fraudolenta, estorsione ed
incriminazione per l’omicidio dell’avvocato e commissario liquidatore Giorgio
54 Ivi, 13 dicembre 1976.
55 Ivi, 16 aprile 1978.
56 SIMONI-TURONE, Il caffè di Sindona, p. 11.
24
Ambrosoli. La messinscena del finto rapimento, che durò due mesi e mezzo, venne
preparata con meticolosa cura dal banchiere e dalla mafia siculo-americana. Volendo
essere sicuro che nessuno dubitasse del sequestro programmò diversi impegni
professionali per i giorni successivi, un appuntamento con un petroliere americano ed
un principe arabo saudita. La simulazione prevedeva dei finti comunicati di giustizia
proletaria e delle lettere ai famigliari, nelle quali non mancò di mostrarsi vittima
indifesa. Dal suo finto carcere rivoluzionario di Palermo, il 25 settembre si fece sparare
alla gamba sinistra. Sindona affermò che i presunti giustizieri proletari pretesero
documenti d’operazioni finanziarie illecite del padronato.
Evidentemente qua mi hanno sopravvalutato e credono che io sappia tutto su tutti e
che abbia elementi o documenti di tutta importanza da creare importanti
coinvolgimenti. Ho già chiarito che posso dare qualche documento di cui posso
venire in possesso solo se liberato. D’altra parte le persone implicate non hanno
mai sollevato un dito per difendermi e non mi sento in nessun modo di proteggerli.
Ho fatto presente che l’elenco dei 500 non esiste se ci si intende riferire ai nomi di
persone che hanno depositato all’estero nelle banche da me controllate delle
specifiche somme57.
La «lista dei 500» rivelava i nomi di coloro che esportarono capitali dall’Italia
attraverso la Finbank di Ginevra, nella lista figuravano persone collegate ai partiti
politici tra cui la Democrazia cristiana. Il possesso di tale lista costituiva un forte
strumento di ricatto nei confronti degli interessati, per indurli a corrispondere a Sindona
favori o denaro che avrebbe utilizzato per saldare il debito che aveva accumulato nei
confronti di Cosa Nostra58. Fingendo d’essere messo sotto torchio dai terroristi il
banchiere fece intendere che, messo ormai alle strette, avrebbe finito per confessare.
Michele Sindona era infuriato con gli “amici” che non furono in grado di tutelare i suoi
interessi, lasciando che la Banca d’Italia continuasse ad indagare su di lui. Dalle
numerose lettere inviate alla famiglia dalla prigionia fornì un elenco delle notizie che
interessavano ai rapitori. Il banchiere non voleva rivelare solo la lista dei 500, ma anche
57 Lettera di Michele Sindona all’avvocato Rodolfo Guzzi, Ivi, p. 18.
58 Tribunale di Palermo, sentenza 23 ottobre 1999, cap. IV, p. 1918.
25
tutti i fondi esteri controllati dalla Democrazia cristiana, le operazioni irregolari per
conto di determinati politici, alcuni finanziamenti a politici appartenenti al Partito
socialista italiano ed al Partito socialista democratico, tutti i falsi bilanci e le
speculazioni bancarie. Da questa lista sarebbe potuto nascere uno scandalo dalle
proporzioni gigantesche. Probabile, dunque, che la prima attuazione di questo piano
fosse quella di rivelare questi contenuti a Carmine Pecorelli, piano fallito per la
prematura morte del giornalista.
26
«Osservatore politico», 12 settembre 1978.
27
Capitolo II
Mino Pecorelli e la Loggia Propaganda Due.
Carmine Pecorelli risultava iscritto alla loggia Propaganda Due, la motivazione che
spinse il giornalista a far parte di questo gruppo segreto resta a noi sconosciuta. Alcune
fonti lo definirono un «massone con riserva»59, altre un «piduista atipico»60, molto
probabilmente aderì per poter trarre informazioni riservate. Sappiamo che nel 1972
Licio Gelli, nella cornice dell’hotel Baglioni a Roma, invitò gli iscritti a fornire ogni
notizia utile ad «Op», nell’intento di sfruttare gli articoli dell’ambizioso cronista per
l’interesse della Loggia. Nove mesi prima della sua morte, il 18 maggio 1977, con una
lettera dai toni aspri61, il giornalista si separò definitivamente dalla P2 riuscendo a
pubblicare rilevanti informazioni che anticiparono d’anni la scoperta secondo la quale,
dietro antichi rituali, si sarebbe in realtà nascosto un patto strategico tra settori deviati
delle istituzioni.
La massoneria italiana e la prima fase della Loggia P2 (1965 – 1974).
La massoneria italiana si componeva di due gruppi maggioritari, indicati nominalmente
con il riferimento alla sede che occupavano, ossia Palazzo Giustiniani e Piazza del
Gesù, in seguito alla scissione dell’unico gruppo nel 1908. La separazione avvenne per
contrasti ideologici attinenti l’atteggiamento da assumere sulla legislazione concernente
59 MARCO CORRIAS – ROBERTO DUIZ, Mino Pecorelli un uomo che sapeva troppo, Sperling &
Kupfer, Milano 1996, p.88.
60 RITA DI GIOVACCHINO, Scoop mortale, p.73.
61 «Caro Licio, ho atteso invano una tua comunicazione riguardo Fratello Gigi. All’atto di sollecitare il
tuo autorevole intervento, ti aveva rappresentato anche la mia premura per l’imminenza del processo. Se
la risposta non è arrivata vuol dire che nella famiglia è venuta meno, o forse non c’è mai stata, la solidale
assistenza dei suoi componenti o che nella migliore delle ipotesi essa è indirizzata verso un’unica
direzione. Esistono per caso fratelli di serie A o fratelli di serie B, oppure quello che è in alto non è uguale
a quello che è in basso? Ho notizia che Fratello Gigi almeno in due occasioni ha evitato guai per merito
della famiglia. Io invece potrei essere punito per aver esercitato un diritto sancito dalla legge comune. Nel
constatare siffatta disparità ti rassegno la mia decisione di uscire definitivamente dall’organizzazione. Ho
fatto una breve ma significativa esperienza che mi conforta nel credere che non ci sono templi da
edificare alla Virtù, solo all’ingiustizia e all’arroganza. Per quanto riguarda i nostri personali rapporti, mi
auguro se lo desideri, che essi possano rimanere immutati», Carmine Pecorelli, lettera di dimissioni dalla
P2 a Licio Gelli in Ivi, p. 37.
28
l’insegnamento religioso nelle scuole62. I massoni scissionisti di Piazza del Gesù
abbandonarono l’anticlericalismo e si avvicinarono al mondo cattolico, per difendere gli
interessi dei ceti dominanti dall’avanzata delle sinistre. Uno spostamento che portò
l’istituzione a schierarsi con il fascismo, considerato un sicuro argine antisocialista. Nei
confronti di Mussolini la massoneria di Palazzo Giustiniani assunse una posizione
d’incertezza, tra il rifiuto delle violenze dello squadrismo fascista e il consenso per
l’ordine promesso dal Duce. Successivamente le leggi fasciste abolirono le
organizzazioni massoniche, con lo scioglimento delle Logge del 22 novembre 1925,
lasciando la struttura segreto-elitaria inerme fino al termine del secondo conflitto
mondiale. Di notevole rilevanza fu l’interconnessione della massoneria italiana con
quella britannica, francese ed in particolar modo statunitense. Con gli Stati Uniti
troviamo legami in momenti particolarmente significativi nella storia recente di Palazzo
Giustiniani, rapporti che vennero stabiliti per il tramite di Frank Gigliotti. agente della
Sezione italiana dell’OSS63 dal 1941 al 1945 e della CIA, nonché appartenente all’alta
massoneria americana. Sarà grazie alla sua intercessione che il Grande Oriente d’Italia
otterrà il primo riconoscimento della Circoscrizione del Nord degli Usa. Mosso da
radicati sentimenti antisocialisti, impose l’unificazione tra Grande Oriente e Supremo
Consiglio della Serenissima Gran Loggia degli Alam, gruppo il cui vertice risulterà poi
legato a vicende mafiose e golpiste, in cambio dell’intervento nelle trattative con il
Governo italiano riguardanti Palazzo Giustiniani64. Tenendo in considerazione solo
questi due gruppi principali, appunto Palazzo Giustiniani e Piazza del Gesù, si nota una
scala gerarchica, composta dall’Ordine, comprendente i primi tre gradi, ed il Rito, dal
quarto al trentatreesimo. Tutti coloro facenti parte del Rito sono membri dell’Ordine,
mentre non necessariamente vale il contrario. Non si può appartenere alla massoneria
se non attraverso l’iscrizione ad una loggia, divise nelle diverse distribuzioni su base
62 Relazione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla loggia massonica P2, Doc. XXIII n.2,
Senato della Repubblica, Roma 1984, p. 7
63 Office of Strategic Service, servizio segreto che verrà sciolto alla fine del 1945 e che verrà ripristinato
nel 1947 come Cia (Central Intelligence Agency).
64 L’accordo tra lo Stato italiano e il Grande Oriente venne raggiunto il 7 luglio 1960. L’unificazione tra il
Grande Oriente e il Supremo Consiglio della Serenissima Gran Loggia degli ALAM fu la condizione
posta da Gigliotti in cambio dell’intervento americano nelle trattative per tale accordo. La Gran Loggia
degli Alam, fondata dal principe siciliano Giovanni Alliata di Montereale, godeva di riconoscimenti da
parte della circoscrizione sud americana da tempo ed avrebbe dato una forte accentuazione conservatrice
al Grande Oriente. CpiP2, Doc. XXIII n.2, La massoneria di Palazzo Giustiniani e le altre famiglie
massoniche, p.11.
29
territoriale. Nel sistema veniva contemplato il possibile accesso per iniziazione diretta
ad opera del responsabile supremo, il Gran Maestro, senza sottostare alle votazioni
d’iniziazione. Questa tipologia d’iniziati non apparteneva a nessuna loggia, ed essendo
noti solo al Maestro tali iscritti venivano designati come «coperti» ed inseriti in una
loggia anch’essa coperta. Ogni loggia appartenente a questa tipologia veniva
contrassegnata da un nome ed un numero, tale sarebbe la spiegazione fornita dai
responsabili massonici per il termine Propaganda Due. Le caratteristiche fondamentali
della struttura massonica si basavano sui principi di segretezza e solidarietà. Il
fenomeno della copertura era comune anche in tutti gli altri ordini, interessando sia i
singoli iscritti che intere logge. Molto frequente l’utilizzo di nomi fittizi per coprire
l’attività all’esterno65 sia per quanto riguarda i locali di gestione ed effettuazione degli
incontri che nei registri di appartenenza, dove possiamo leggervi pseudonimi o
soprannomi degli affiliati. L’attività delle logge non verteva unicamente sullo studio di
questioni puramente esoteriche, ma s’espandeva in diversi campi ed interessi che
trovavano il loro momento d’espressione nella pratica massonica della solidarietà tra
fratelli. Tale atteggiamento si riferiva all’appoggio tra gli associati nei confronti delle
relazioni con il mondo esterno o «profano». La mutua assistenza nel costituire
preferenza rispetto alle persone non iscritte in ogni ambito sociale ed istituzionale oltre
che economico; ovvero una discriminazione verso le persone esterne oltre che una
violazione della parità costituzionale di tutti i cittadini di fronte alla legge e alle pari
opportunità nel godere dei diritti e nell’accesso ai servizi pubblici. L’influenza
americana nella vita politica italiana influì nella nomina del Governo democratico -
liberale di De Gasperi del 1947. Ma il condizionamento anticomunista degli Stati Uniti,
gestito dal controspionaggio italiano e dalla Massoneria, dirò fino ai primi anni
Sessanta66. Nonostante gli elementi di divisione tra le forze di sinistra e nonostante il
perdurare della discriminante anticomunista, i risultati delle elezioni politiche del 1968
videro il Pci al 26,9 per cento dei suffragi e il Psiup al 4,5 per cento67. Emerse come le
manovre interne alla Massoneria tradizionale fossero inadeguate a fronteggiare
65 «Era consuetudine intitolare a generici centri studi i contratti d’affitto per i locali necessari all’attività
della loggia; ed è dato rilevare come gli statuti di tali organismi non contenessero alcun riferimento alla
massoneria e alle attività massoniche nel designare l’oggetto dell’attività dell’ente», Ivi. p. 8.
66 SERGIO FLAMIGNI, Trame atlantiche, p. 31.
67 Ivi, p. 33.
30
l’avanzata della sinistra d’opposizione e come fosse necessario elaborare una nuova
strategia anticomunista. Nacque l’esigenza di una struttura occulta più efficace, una
Loggia che fosse in grado di istituire una rete di collegamenti nazionali ed
internazionali, una struttura anticomunista coperta da segretezza per incidere nella realtà
italiana. Come sottolineato dalla Commissione parlamentare P2, l’attività italiana di
Frank Gigliotti parve concludersi con l’avvento di Gelli nell’organizzazione massonica.
Licio Gelli, volontario nella guerra di Spagna a diciassette anni a fianco dei Franchisti,
responsabile dei GUF fascisti di Pistoia e membro della brigata autonoma Ettore Muti
della Repubblica Sociale, nel 1944 decise di collaborare con i partigiani e col servizio di
controspionaggio americano in Italia di James Angleton. Il generale americano reclutò
diversi ufficiali della Repubblica Sociale, tra i quali Gelli stesso, allo scopo di
fronteggiare il pericolo rosso. Licio Gelli firmò la domanda d’ammissione
all’iniziazione massonica il 6 novembre 1963, ma i suoi trascorsi ne rallentarono
l’accoglimento. Sembrò inverosimile l’ingresso di un ex gerarca fascista all’interno di
un’organizzazione che per anni era stata perseguitata e che venne sciolta proprio dal
Fascismo. Poi, nel 1965, venne ammesso alla Loggia Romagnosi grazie all’intervento
del vertice massonico di Palazzo Giustiniani, il Gran Maestro Giordano Gamberini, al
quale Gelli venne raccomandato dal Gran Maestro aggiunto della Loggia Propaganda
Due Roberto Ascarelli. Gamberini, uomo di fiducia della Cia, vide il passato di Gelli
come un elemento di garanzia per la linea anticomunista dell’organizzazione ed il 28
novembre 1966 decise d’inserirlo nella Loggia P2 elevandolo al grado di Maestro.
Sebbene non avesse alcuna carica rilevante al vertice del Grande Oriente, nel 1969
venne incaricato d’operare per l’unificazione delle varie comunità massoniche. A pochi
anni dalla sua partecipazione all’Ordine, dunque, Gelli si trovò a ricoprire un ruolo di
rilievo ed in modo completamente personale, sia per la responsabilità delle questioni
affidate alla sua gestione, sia per il prestigio della sua posizione. Quando nel giugno
1970 il nuovo Gran Maestro Lino Salvini gli delegò la completa gestione della Loggia
P2, conferendogli la facoltà d’iniziare nuovi iscritti, Licio Gelli aveva già svolto un
intenso lavoro di reclutamento. Nel settembre successivo verrà nominato segretario
organizzativo, assumendo la possibilità di predisporre un piano per la ristrutturazione
della stessa Loggia. Un organismo, dunque, che assunse le caratteristiche di forte
personalizzazione anche nella denominazione, che divenne quella di «Raggruppamento
31
Gelli-P2»; un processo che diede l’avvio all’appropriazione personale della struttura
stessa. Nel giro di pochi anni ed attraverso posizioni di rilievo strategico la condizione
occupata nella massoneria di Gelli aumentò di prestigio e potere per consapevole
volontà dei massimi responsabili della comunione, i quali, affidarono la Loggia
Propaganda ad un elemento dalle idee ben precise e chiare. Posto al vertice della Loggia
P2 col potere d’affiliazione, Gelli s’impegnò ad incrementare il reclutamento,
soprattutto tra gli appartenenti dei servizi segreti e tra gli ufficiali delle forze armate e
riorganizzò la Loggia adottando nuove misure di segretezza. La P2 divenne il gruppo
massonico con il maggior numero d’adesioni d’Italia68. La Loggia subì una marcata
trasformazione e venne impostata su criteri di assoluta segretezza, inoltre venne istituito
uno schedario in codice la cui chiave era nota solo a Gelli. Caratteristiche basilari della
massoneria furono riservatezza ed aiuto reciproco. Gelli procedette ad accentuare questi
due fattori69, in particolar modo rafforzando maggiormente l’indispensabile segreto di
copertura, necessario per proteggere tutti coloro che per varie motivazioni dovevano
restare occulti70. Nella Massoneria la Loggia è la struttura di base territoriale e sono i
suoi aderenti a decidere, attraverso votazioni, l’ammissione di nuovi adepti; la P2,
invece, ha base nazionale, ed è solo il Gran Maestro a stabilire le nuove affiliazioni. Il
«diritto di visita», ovvero la possibilità d’entrare in qualsiasi altra Loggia e conoscerne
l’attività, verrà abolito da Gelli. I massoni hanno l’obbligo di riunirsi periodicamente;
gli affiliati P2, a dispetto della nota di Salvini71, non si riunirono molto spesso, per non
conoscersi tra di loro. Solo Gelli, in casi eccezionali, organizzò incontri riservandosi il
diritto di scegliere i partecipanti. Il 5 marzo 1971 Gelli organizzò una di queste rare
riunioni. Secondo il verbale furono presenti trentasette massoni piduisti; le tematiche
68 Dal momento che nessuna Loggia italiana ha mai superato i duecentocinquanta affiliati, FLAMIGNI,
Trame atlantiche, p. 37.
69 Nei confronti del rapporto verso il mondo esterno venne redatto un documento intitolato «Sintesi delle
norme», in cui venne sottolineata l’importanza del silenzio nell’impegno di ciascun nuovo iscritto a non
rivelare i segreti dell’iniziazione muratoria.
70 «Sono lieto di informarti che la P2 è stata adeguatamente ristrutturata in base alle esigenze del
momento oltre che per renderla più funzionale, anche, e soprattutto, per rafforzare ancor più il segreto di
copertura indispensabile per proteggere tutti coloro che per determinati motivi particolari, inerenti al loro
stato, devono restare occulti. Se fino ad oggi non è stato possibile incontrarci nei luoghi di lavoro, con
questa ristrutturazione avremo la possibilità ed il piacere, nel prossimo futuro, di avere incontri più
frequenti, per discutere non solo dei vari problemi di carattere sociale ed economico che interessano i
nostri Fratelli, ma anche di quelli che riguardano tutta la società», Lino Salvini, Circolare in data 11
dicembre 1972, CpiP2, Doc. XXIII n.2, p. 16.
71 Ibidem.
32
all’ordine del giorno furono la minaccia del Partito comunista italiano, in accordo con il
clericalismo, per la conquista del potere; la mancanza di potere nelle Forze dell’ordine;
quali rapporti avere con lo Stato italiano; quale posizione assumere in caso d’ascesa del
potere clerico-comunista.
La situazione politica ed economica dell’Italia, la minaccia del Partito comunista
italiano, in accordo con il clericalismo, volta alla conquista del potere, la carenza
di potere delle forze dell'ordine, il dilagare del malcostume, della sregolatezza e di
tutti i più deteriori aspetti della moralità e del civismo, la nostra posizione in caso
di ascesa al potere dei clerico-comunisti, i rapporti con lo Stato italiano72.
Il documento che venne redatto durante la riunione, una sintesi d’ideologie similari alla
destra golpista, si concluse in questa maniera:
Si è giunti alla conclusione che il nostro paese è di fronte ad un bivio decisivo: o
orientarsi verso una dittatura clericale di estrema destra, oppure verso un ancor
meno auspicabile regime di estrema sinistra. Molti hanno chiesto - e non ci è stato
possibile dar loro nessuna risposta perché non ne avevamo - come dovremmo
comportarci se un mattino, al risveglio, trovassimo i clerico-comunisti che si
fossero impadroniti del potere: se chiuderci dentro una passiva acquiescenza,
oppure assumere determinate posizioni ed in base a quali piani di emergenza73.
Gelli inviò una copia del documento a ciascun affiliato della Loggia P2 con una lettera
d’accompagnamento nella quale precisò che ogni filosofia massonica era stata messa al
bando per affrontare unicamente argomenti concreti e d’interesse per la vita nazionale.
Lo sviluppo autonomo della Loggia Propaganda nell’ambito della comunione di
Palazzo Giustiniani non mancò di creare ripercussioni all’interno della famiglia stessa.
La reazione di un gruppo di dissidenti interni denominati: «massoni democratici», unì la
parte politicamente meno interessata al progetto P2, promotrice d’almeno due
iniziative74 di portata ufficiale nell’ambito massonico assolutamente a danno della
gestione Gelliana e la delibera del 1974 in cui il Grande Oriente decise di prendere le
72 CpiP2, Doc. XXIII n.2, p. 17.
73 Ibidem.
74 Tavola d’accusa firmata da Ferdinando Accornero, membro della Giunta esecutiva del Grande Oriente
e la denuncia da parte del Grande Oratore Ermenegildo Benedetti nella Gran Loggia Ordinaria, Ivi, p. 19.
33
distanze da ogni iniziativa della P2 e del suo capo. Simbolo di una precisa volontà di
separazione e del desiderio di sbarazzarsi di Licio Gelli, la cui presenza veniva avvertita
come un peso ingombrante per i suoi coinvolgimenti in eventi politici inquietanti e per i
rapporti equivoci che la sua loggia intratteneva con ambienti e situazioni fuori della
legalità politica.
Le infiltrazioni e la seconda fase della Loggia P2 (1974 – 1981).
Nel 1974 vennero alla luce alcuni gravi scandali che ebbero per protagonisti uomini
affiliati alla Loggia P2 come, ad esempio, il banchiere Michele Sindona ed il generale
Vito Miceli, capo del Sid, che venne arrestato nell’ambito dell’inchiesta
sull’organizzazione eversiva «Rosa dei venti» e sul «Sid parallelo». Temendo un
coinvolgimento del Grande Oriente nelle indagini, il Gran Maestro Lino Salvini decise
di prendere le distanze da Gelli. La maestranza di Palazzo Giustiniani paventava infatti
che l’istituzione venisse coinvolta, nel caso le trame piduiste fossero state scoperte. Fu
così che nella Gran Loggia75 tenutasi a Napoli il 14 dicembre 1974, con voto quasi
unanime, venne stabilita la demolizione della Loggia segreta P2. Il 30 dicembre Salvini
abrogò gli ordinamenti speciali della Loggia e le deleghe che lui stesso aveva conferito
a Gelli nel 1970. Chiese agli appartenenti della Loggia coperta se volessero confluire in
organismi regolari o se desiderassero mantenere la loro posizione: nonostante fosse stata
votata ufficialmente la demolizione, Salvini desiderò mantenere in vita la P2,
escludendone solo Licio Gelli76. Il 20 febbraio 1975 Licio Gelli sottopose ad alcuni
massoni dei documenti secondo i quali il Gran Maestro Salvini sarebbe stato coinvolto
in una manovra d’indebita appropriazione di denaro. Questa congiura si concluse con
l’incarico affidato all’avvocato Martino Giuffrida, anche lui aderente alla massoneria,
d’accusare il Gran Maestro nel corso della successiva Gran Loggia che si sarebbe tenuta
a Roma il 22 marzo77. All’Hotel Hilton di Roma l’avvocato svolse il suo incarico
accusando Salvini d’avere incassato in nome della Massoneria mezzo miliardo di lire e
d’aver tenuto tale quantitativo per sé. Dirà successivamente l’avvocato Giuffrida alla
Commissione d’inchiesta sulla Loggia Propaganda Due: «In sostanza, io ero stato
75 La Gran Loggia è l’assemblea generale dei rappresentanti di tutte le Logge.
76 CpiP2, volume 3, tomo 1, p. 609.
77 Ivi, pagg. 625-26.
34
reclutato per un basso gioco di potere all’interno della Massoneria, e dovevo servire
soltanto per portare a un capovolgimento all’interno delle istituzioni»78. Non a caso
Gelli stazionò nei corridoi dell’albergo; e non appena Salvini uscì dalla sala
dell’assemblea fu pronto a proporgli un accordo garantito da lui e dall’ex Gran Maestro
Gamberini. La proposta venne accettata e subito dopo la breve pausa della Gran Loggia,
venne presentata una mozione di fiducia nei confronti del Gran Maestro. Il ricatto
funzionò; il 9 maggio 1975 Salvini nominò Licio Gelli Maestro Venerabile della Loggia
P2, mentre tre giorni dopo avvenne la ricostituzione della Loggia. Una carica ed un
grado che nessun maestro ha mai conferito ad alcuno nell’intera storia della Massoneria
italiana, una violazione dei principi base: secondo gli antichi statuti massonici, infatti, i
dignitari di una Loggia devono essere eletti dalla base dei fratelli. Gelli diventò il
padrone assoluto della Loggia segreta mentre il Gran Maestro si limitò ad un finto
diritto d’ispezione, impossibilitato nei confronti dei possibili ricatti gelliani. I nuovi
provvedimenti varati da Gelli diedero luogo ad una doppia P2: una ufficiale, con una
lista di pochi iscritti depositata presso Palazzo Giustiniani come solida copertura; e una
segreta con molti più iscritti79. In futuro Salvini, interrogato dalla Commissione
Parlamentare, tenterà di giustificarsi affermando: «d’essersi mosso nell’intento di
salvaguardare l’unità dell’Istituzione, in quanto Gelli era in grado di provocare una
scissione portando con sé nella Loggia di Montecarlo tutti gli affiliati P2»80. In sette
anni l’attività di missione di Gelli pervenne a dimensioni di gran lunga superiori la
portata dell’iniziale progetto conosciuto dal Grande Oriente. Rilevanti le adesioni, tra
cui spiccarono figure importanti a livello nazionale dei settori della pubblica
amministrazione, del settore civile, economico, militare, editoriale e politico.
Nonostante l’associazione avesse un vertice, il Dominus assoluto nella figura del
Venerabile Maestro Licio Gelli, la sua struttura venne modellata al fine di realizzare una
notevole suddivisione della vita sociale e dei rapporti tra i soci81. Un assetto piramidale
78 Ibidem.
79 «Rimane inteso che detta loggia avrà giurisdizione nazionale ed i fratelli, per la loro personale
situazione, non dovranno essere immessi nell’anagrafe del Grande Oriente», Licio Gelli cit. in CpiP2,
Doc. XXIII n.2, p. 22.
80 FLAMIGNI, Trame atlantiche, p. 109.
81 «Per una maggiore e più assoluta sicurezza non sarà mai indicato il numero degli iscritti che prestino
servizio nello stesso ente, organismo o amministrazione […] tutt’al più l’elemento preposto a quel
determinato ente dovrà venire a conoscere i nominativi di circa un cinque per cento degli iscritti a lui
sottoposti», Licio Gelli cit. in CpiP2, Doc. XXIII n.2, p. 48.
35
caratterizzato dall’assenza o dall’estrema limitazione dei rapporti orizzontali tra affiliati
e Gran Maestro82. Va comunque sottolineato, con riferimento alla sede, che la loggia
usufruì sempre di un punto di riferimento stabile in Roma (Via Cosenza, Via Lucullo,
Via Condotti, Via Vico, Via Romagnosi) e nella sua ultima fase la gestione
amministrativa e contabile venne fissata come punto di base presso la segreteria
personale di Gelli, a Castiglion Fibocchi in provincia d’Arezzo. Venne confermata,
inoltre, come vero centro dell’attività del Venerabile e della loggia la suite dell’Hotel
Excelsior a Roma. Tutti gli affiliati furono responsabili d’appartenere ad una
associazione che come fine ultimo ebbe l’intenzione d’influire nella vita del paese in
modo illegittimo e attraverso una manipolazione invisibile dall’interno del sistema. Di
certo si può affermare che la maggioranza degli iscritti ne era sostanzialmente ignara,
quantomeno per la sua concreta pericolosità nei confronti della società civile. Non solo
la Loggia P2 era un’organizzazione strutturata segretamente ma come tale venne
riconosciuta ed accettata da tutti coloro che vi fecero parte, sebbene considerata dedita
ad attività d’illecita pressione sui più importanti settori della vita pubblica ai fini
dell’arricchimento, del profitto e dell’incremento del potere personale e massonico83. La
consapevolezza del fine ultimo non poteva che essere graduata a seconda del ruolo degli
affiliati, in base alle funzioni che essi ricoprivano all’interno della società. Da
sottolineare che molti iscritti giustificarono successivamente la loro adesione scaricando
le loro azioni verso i propri sopra-ordinati, i quali avrebbero fatto intendere che
l’ingresso nell’ordine avrebbe costituito un processo necessario per l’avanzamento di
carriera. Nel modulo di domanda per l’affiliazione alla Loggia P2 veniva inserito, oltre
alle richieste d’informazione del richiedente84, un’annotazione che lo stesso poteva
eventualmente compilare e riguardante eventuali ingiustizie subite nel corso della
82 «Colgo l’occasione per ricordarti che per qualsiasi tua necessità dovrai metterti sempre in contatto con
me e che nessuno che non sia stato da me esplicitamente autorizzato, della qualcosa ti darò preventiva
comunicazione, potrà venire ad importunarti: qualora si dovesse verificare la deprecabile ipotesi, che del
resto è assai remota, per non dire impossibile, di un tentativo di avvicinamento da parte di persona che si
presenti a te facendo il mio nome, sarei grato se tu respingessi decisamente il visitatore e mi dessi
immediata notizia dell’accaduto». Lettera circolare di Licio Gelli ai nuovi iscritti, Ivi, p. 49.
83 «Tra i compiti principali dell’ente vi sono sia quello d’adoperarsi per far acquisire agli amici un grado
sempre maggiore d’autorevolezza e di potere perché quanta più forza ognuno di essi potrà avere, tanto
maggior potenza ne verrà all’organizzazione stessa intesa nella sua interezza, sia quello di elargire ai
componenti la massima assistenza possibile», da Sintesi delle norme.
84 Oltre ai normali dati anagrafici e familiari veniva chiesto l’eventuale possesso di proprietà immobiliari,
l’orientamento politico, le convinzioni religiose e se facente parte di cariche o incarichi civili e/o politici.
LICIO GELLI, La verità, Demetra Edizioni, 1989 Bologna. p. 142.
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carriera con danno conseguente e la possibilità d’attribuire la colpa di tale danno ad
eventuale ente o persona. Un malsano intreccio d’interessi che Gelli proponeva dalle
prime fasi e che gli iscritti accettavano, mentre allo stesso tempo denunciavano
tacitamente la loro sfiducia verso un sistema affidandosi ad un’organizzazione
clandestina e parallela. La Loggia P2 si poneva come scopo finale il condizionamento
politico, radicandosi grazie ai suoi affiliati nei più disparati organi dello Stato. Le
infiltrazioni nella pubblica amministrazione coinvolsero le sedi periferiche, le banche, le
società, gli istituti e le aziende a partecipazione statale. Analizzando i Ministeri si
constata che quello dell’Interno presentava ben diciannove iscritti, tra i quali quattro
questori, tre prefetti, tre vice questori, un ispettore di Pubblica Sicurezza, un direttore
della polizia di frontiera, un direttore della squadra mobile e tre commissari di Pubblica
sicurezza; il Ministero degli affari esteri contava quattro affiliati, di cui un
ambasciatore; trentaquattro persone per la pubblica istruzione e quattro per il Ministero
dei lavori pubblici; tre iscritti per la sanità, sessanta nel tesoro, ventuno per le
partecipazioni statali tra dipendenti dell’IRI ed ENI; per il Ministero dell’industria e
commercio risultarono affiliati tredici elementi tra cui il vice presidente del CNEN,
l’amministratore delegato dell’INA ed il primo dirigente del ruolo del personale
dell’energia nucleare NATO a Bruxelles; per concludere con il Ministero delle finanze
di cui fecero parte cinquantadue affiliati ed il Ministero di grazia e giustizia con ventuno
iscritti totali. Seguirono poi i ministeri con bassa rappresentanza d’iscrizione tra i
dipendenti tra cui sottolineiamo quello dell’Agricoltura, dei Trasporti, del Lavoro, del
Commercio con l’estero, dei Beni culturali, quello della Ricerca scientifica e
tecnologica, per gli Interventi straordinari nel Mezzogiorno, il Ministero della Marina
mercantile e quello per gli Affari regionali. Riferendosi ad altri enti o istituti si
annoverarono Piduisti all’interno della Corte dei conti, nel Consiglio di Stato e
nell’INPS. Effettuando una prima analisi, lo schema complessivo del livello
d’infiltrazione P2 negli apparati pubblici contò circa quattrocentoventidue iscritti
effettivi, situati a diversi livelli gerarchici. Sembra chiaro dunque, dal breve elenco
sopra citato, la presenza penetrante e diffusa di tali uomini praticamente in tutti i settori
della pubblica amministrazione, sebbene le alte sfere privilegiassero e curassero in
maniera particolare alcuni settori determinanti per la vita politica dello Stato come i
Ministeri del Tesoro e del Commercio con l’estero. Inoltre diversi uomini s’infiltrarono
37
in importanti istituti come la SACE85 o la Banca d’Italia, determinanti nelle funzioni
decisive nei rapporti finanziari con altri paesi. In tale maniera si inseriva una forma di
controllo attraverso un settore chiave dell’amministrazione statale dalla quale passavano
tutte le operazioni di natura valutaria. Licio Gelli sviluppò relazioni con paesi esteri, in
modo particolare con l’America latina, furono molti infatti gli incontri con le alte sfere
di Governo e della Pubblica amministrazione civile e militare degli stessi86. Da parte
degli organi centrali e periferici del Ministero venne stesa diverse volte una cortina
protettiva nei confronti delle sue attività oltre oceano. Diverse informative del SISDe87
confermarono le attività economiche e finanziarie in Argentina, Brasile, Paraguay ed
Uruguay. Risultarono iscritti alla P2 diciannove magistrati, sottoposti a procedimento
disciplinare dal Consiglio Superiore della magistratura88, di cui solo quattro assolti
completamente. Altri infiltrati della Loggia furono diversi presidenti di tribunali e
uomini all’interno degli uffici di procura della Repubblica e della Suprema Corte di
cassazione. Capillare e concentrata fu la penetrazione realizzata all’interno del
Consiglio Superiore. Un altro settore influenzato da tale fenomeno massonico fu quello
delle Forze Armate tra cui cinquantadue ufficiali dei Carabinieri, nove dell’Aeronautica,
ventinove della Marina, sei della Pubblica Sicurezza, trentasette della Guardia di
Finanza e cinquanta dell’Esercito. I dati dicono che tra centonovantacinque esponenti
del mondo militare ben novantadue ricoprirono il grado di generale o colonnello89. Si
delinea una mappa del potere militare più qualificato, con personaggi che spesso furono
centrali in vicende di particolare significato nella storia recente della Repubblica
italiana, anche in relazione ad avvenimenti di carattere eversivo. Vanno ricordate le
dichiarazioni rese da esponenti della massoneria90 circa i massicci reclutamenti di
militari operati sulla fine del mandato di Gamberini, circa quattrocento militari
85 La SACE è una agenzia di credito all'esportazione, ed assume in assicurazione e/o in riassicurazione i
rischi a cui sono esposte le aziende italiane nelle loro transazioni internazionali e negli investimenti
all'estero. Nata nel 1977 in seguito alla Legge 227/77 come Sezione speciale per l'Assicurazione del
Credito all'Esportazione dell'Istituto Nazionale Assicurazioni. Con il Decreto Legislativo 143/98 diventa
Istituto per i Servizi Assicurativi del Commercio Estero, diventando in seguito Ente Pubblico Economico.
Nel 2004, con la Legge 326/2003 (art. 6) diventa Sace S.p.a., con effetto dal 1 gennaio 2004.
86 Si veda i rapporti di Licio Gelli con il generale Peron e Massera in CpiP2, Doc. XXIII n.2, pagg. 108-
28.
87 Il SISDe, Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Democratica, fu un servizio segreto italiano, in
attività fino alla riforma normativa del 2007 quando venne sostituito dall'AISI.
88 Sentenza del 9 Febbraio 1983.
89 CpiP2, Doc. XXIII n.2, p. 77.
90 Dichiarazioni di Siniscalchi e Brilli in Ivi, p. 78.
38
presentati dal Gelli. Pur considerando il dato appena esposto come probabilmente
esagerato e gonfiato è comunque certo che lo sviluppo della Loggia P2 venne segnato
da una forte e qualificata presenza di militari, dato questo non particolarmente rilevante
data la tradizionale propensione dell’ambiente militare verso istituzioni di tipo
massonico; Licio Gelli diede molta importanza alla connotazione politica di tali
affiliazioni91. Attraverso loro Gelli e la P2 furono in grado di condizionare scelte
importanti di molti settori delle Forze Armate con riferimento ai loro fini politici;
indubbiamente alcune personalità militari agirono anche per interessi personali o
parteciparono a traffici illeciti in cui furono principalmente implicati e riguardanti
politici ad essi collegati. Tra gli stessi alti comandi dei Servizi segreti risultarono degli
iscritti, che spesso provocarono il rallentamento delle diverse indagini che avrebbero
potuto condurre alla pubblica scoperta del raggruppamento Gelli - P2. Fu possibile
contraddistinguere i collegamenti tra Licio Gelli, Loggia P2 ed il complesso mondo
dell’eversione nera. Dal materiale in possesso della Commissione parlamentare
d’inchiesta si dedusse la convinzione che la Loggia P2, attraverso il suo capo ed i suoi
vertici, si sia collegata più volte con gruppi ed organizzazioni eversive, incitando e
favorendo i loro propositi criminosi con un’azione che mirava ad inserirsi ad infiltrarsi
anche in quelle aree. Attendibile l’ipotesi di coinvolgimento nel golpe Borghese attuato
nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970 sotto la spinta degli esponenti del Fronte
Nazionale. Molti dei protagonisti di tale vicenda ebbero un ruolo non secondario
all’interno della massoneria e della P292, evincendo come gli ambienti massonici si
fossero posti in posizione di concomitanza ed appoggio con i gruppi che a Borghese
fecero capo. Nessuna inchiesta giudiziaria riuscì a chiarire le circostanze
dell’improvviso contrordine impartito ai congiurati, lasciando spazio a numerose teorie
e possibili protagonisti che vedrebbero come soggetto anche Gelli93. Si trovarono
91 Da una missiva che non sappiamo se venne inviata diretta a tutta la categoria o solo agli elementi di
maggior spicco ed in cui si traeva la conclusione che solo una presa di posizione molto precisa poteva
porre fine al generale stato di disfacimento e che tale iniziativa poteva essere assunta soltanto dai militari.
Ibidem.
92 Vito Miceli, Duilio Fanali, Sandro Saccucci, Lo Vecchio, De Jorio, Casero, Salvatore Drago.
Nominativi che figurarono nelle liste di Castiglion Fibocchi ed attori del golpe Borghese.
93 «Fabio De Felice valutò che Gelli fosse stato parte nel contrordine che venne dato durante l’esecuzione
del golpe Borghese», Testimonianza del militante Paolo Aleandri del gruppo eversivo «Costruiamo
l’azione» al giudice istruttore Ferdinando Imposimato del 16 ottobre 1982, CpiP2, volume 3, tomo 4,
parte I, pagg. 47-55.
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nominativi di uomini appartenenti alla loggia anche nell’inchiesta condotta dal giudice
Tamburino di Padova in merito al movimento denominato «Rosa dei Venti». In questa
indagine vi furono due importanti testimonianze. La prima farebbe riferimento a
Giorgio Zicari, giornalista che collaborò con l'Arma dei carabinieri e con i Servizi
segreti, entrando in contatto agli inizi degli anni settanta, con elementi di spicco del
gruppo dei MAR94, ed ottenendo da costoro informazioni per i detti apparati
investigativi. Nel 1974 Zicari venne formalmente convocato dal giudice Tamburino e
nel giro di poche ore subito contattato dal generale Palumbo95. Questa iniziativa del
generale si collegherebbe all’osservazione del generale Dalla Chiesa riguardo la scarsa
collaborazione degli ambienti della divisione Pastrengo nell’azione che il generale
conduceva contro il terrorismo. Sempre nel corso del 1974 il giudice Tamburino
raccolse alcuni testimonianze sul cosiddetto SID parallelo, il cui procedimento si chiuse
infine con la richiesta di archiviazione formulata dal Procuratore della Repubblica di
Roma, accolta dal giudice istruttore in data 22 febbraio 1980. E’ di particolare interesse,
nel contesto di tali deposizioni, quanto ebbe a dichiarare il generale Siro Rossetti96,
uscito nel 1974 dalla Loggia P2 in posizione polemica nei confronti di Licio Gelli. La
Loggia Propaganda Due venne collegata anche a gruppi estremistici toscani, autori di
numerosi attentati che imperversarono sull’Italia tra il 1969 e il 1975 e sulla strage del
treno Italicus, ordigno esploso nella notte fra il 3 ed il 4 agosto 1974 che provocò dodici
morti e quarantaquattro feriti. La pista della Loggia P2 e di Licio Gelli venne seguita in
fase istruttoria dai magistrati bolognesi che indagarono sulla strage e che chiesero
informazioni utili al SID, il servizio che, era certamente più che documentato in
proposito, ma che riferì d’essere a conoscenza solamente di quanto venne diffuso dalla
stampa. Il processo si concluse con l'assoluzione di tutti gli imputati sebbene,
l'impossibilità di determinare concretamente le personalità dei mandanti e dei materiali
94 Il MAR, Movimento di Azione Rivoluzionaria, fu un'organizzazione terrorista italiana di estrema destra
guidata da Carlo Fumagalli e Gaetano Orlando.
95 «Il tema centrale fu che io non dovevo parlare, che poteva succedermi qualcosa, dei fastidi, che io
avevo tutto da perdere dalla vicenda, che i magistrati stavano tentando di sostituirsi allo Stato, riempiendo
un vuoto di potere, che non si sapeva che cosa il giudice Tamburino volesse cercare, che non ero
obbligato a testimoniare», dalla dichiarazione del giornalista Giorgio Zicari sull’incontro con il generale
Palumbo, CpiP2, Doc. XXIII n.2, p. 90.
96 «La mia esperienza mi consente di affermare che sarebbe assurdo che tutto ciò non esistesse, a mio
avviso l'organizzazione è tale e talmente vasta da avere capacità operative nel campo politico, militare,
della finanza, dell’alta delinquenza organizzata», dalla dichiarazione del generale Siro Rossetti, Ivi, p. 91.
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esecutori, la sentenza di assoluzione attesti comunque la correttezza dell'attribuzione
della strage a Ordine Nero e alla P2, definendo come pienamente comprovata una
notevole serie di circostanze del tutto significative e univoche in tal senso, al punto da
venire esplicitamente richiamata dalla Relazione della Commissione Parlamentare per
via delle circostanze relative alla strage e indirizzanti verso l'eversione neofascista e la
Loggia P297. Dall'esame delle liste pervenute da Castiglion Fibocchi risultarono
invischiati con la Loggia P2 trentasei membri del Parlamento, più un certo quantitativo
di ex parlamentari e d’esponenti politici di rilievo locale, nonché personaggi che,
seppure in apparenza di rilievo marginale rispetto al mondo politico, poterono essere ad
ogni modo di grande aiuto per i disegni e le attività della loggia, quali appunto segretari
personali e capi di gabinetto di Ministri. Un centinaio di nominativi in totale, tra i quali
ministri, segretari di partito, capigruppo parlamentari e responsabili di importanti uffici
di partito. I collegamenti della P2 influenzarono anche il mondo degli affari;
sessantasette gli iscritti appartenenti al ministero del Tesoro, a banche e ad ambienti
finanziari; contatti con esponenti di numerose banche pubbliche e private, come per la
Banca nazionale del lavoro, il Monte dei Paschi di Siena, la Banca Toscana, l'Istituto
centrale delle casse rurali ed artigiane, l'Interbanca, il Banco di Roma ed il Banco
Ambrosiano. Collegamenti diretti ad assicurare contatti con dirigenti situati in punti
chiave della amministrazione, per far conseguire al gruppo stabili agganci con ambienti
di rilevante influenza sia nell'ambito nazionale sia in quello internazionale. Michele
97 «Tanto doverosamente premesso ed anticipando le conclusioni dell'analisi che ci si appresta a svolgere,
si può affermare che gli accertamenti compiuti dai giudici bolognesi, così come sono stati base per una
sentenza assolutoria per non sufficientemente provate responsabilità personali degli imputati,
costituiscono altresì base quanto mai solida, quando vengano integrati con ulteriori elementi in possesso
della Commissione, per affermare: che la strage dell'Italicus è ascrivibile ad una organizzazione
terroristica di ispirazione neofascista o neonazista operante in Toscana; che la Loggia P2 svolse opera di
istigazione agli attentati e di finanziamento nei confronti dei gruppi della destra extraparlamentare
toscana; che la Loggia P2 è quindi gravemente coinvolta nella strage dell'Italicus e può ritenersene anzi
addirittura responsabile in termini non giudiziari ma storico-politici, quale essenziale retroterra
economico, organizzativo e morale», «La statuizione, che non spetta alla Commissione valutare, appare
ispirata al principio di personalità della responsabilità penale ed a quello di presunzione di innocenza:
letta in controluce e con riferimento alla responsabilità storico-politica delle organizzazioni che stanno
dietro agli esecutori essa suona ad indiscutibile condanna della Loggia P2. Una condanna rafforzata dalle
enunciazioni contenute nella prima parte della sentenza ove si esterna il convincimento del giudice sulla
matrice ideologica ed organizzativa dell'attentato, una matrice ovviamente irrilevante in sede penale
finché non si individuino mandanti, organizzatori od esecutori ma preziosa in questa sede», «Concludono
peraltro malinconicamente i giudici bolognesi con la constatazione di un limite invalicabile alla loro
indagine, costituito dal fatto che l'imputazione riguarda solo esecutori materiali e non, ahimè, lontani
mandanti», CpiP2, Doc. XXIII n.2, p. 92-103.
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Sindona mise chiaramente in risalto come gli interventi operati a favore del banchiere
stesso fossero sviluppati nell'ambito d’accordi, esistenti nel mondo finanziario e
bancario tra molti esponenti di primo piano che contribuirono ad agevolare l'attuazione
di operazioni speculative, finalizzate ad estendere il potere di determinati gruppi
economici. La difesa di Sindona fu un segnale molto vigoroso; accadde qualcosa al di
sopra d’una semplice gestione d’interessi da proteggere magari con l'uso della forza:
venne a consolidarsi il potere del sistema P2 che collegava ed unificava tanti personaggi
operanti in diverse collocazioni. Quando Sindona, trasferì la sua attività nei paesi
americani, in Italia s’affermò Roberto Calvi, nominato direttore generale del Banco
Ambrosiano nel 1971, che ne acquisì l'eredità, oltre che la tutela condizionante di Gelli.
Nel 1972 la Compendium S.A. Holding, finanziaria del Banco Ambrosiano che nel
1976 muterà nome in Banco Ambrosiano Holding, venne trasferita in Lussemburgo.
Venne così a formarsi un modulo operativo tra Calvi e Sindona che, all'estero, venne
gestito unitamente a Sindona e che in Italia fu articolato in diversi comparti sempre più
complessi ed intrecciati man mano che accresceva la fiducia in Calvi dei più importanti
gruppi economici. Quando Sindona venne arrestato, si estese la rete P2 nel settore degli
affari e Calvi diventò il principale braccio operativo nel settore finanziario per tutte le
necessità previste dai programmi della loggia. Il gruppo Ambrosiano si estese in Italia
ed all’estero in una serie di società bancarie e finanziarie. L’ingente quantità di azioni
risultate di pertinenza di tale banca sono la testimonianza di un'attenta acquisizione che
consentiva di spostare dall'Italia all'estero e viceversa, una grande disponibilità,
mascherando tali movimenti come operazioni di compravendita di titoli per le quali
ignoti intermediari fruivano di consistenti provvigioni. L'azione così sviluppata
permetteva anche d’avere l'effetto di coinvolgere in traffici illeciti numerosi operatori
che, una volta intervenuti a fare da schermo a tali irregolari transazioni, si ponevano
nelle condizioni idonee per essere ricattati ed utilizzati. Molto importante fu
l'operazione d’infiltrazione e di controllo del gruppo Rizzoli; la Loggia P2 intravide la
possibilità di mettere in atto un’operazione inquadrata nelle previsioni del piano di
rinascita democratica per quanto concerne il mondo della stampa e dell’editoria98. In
98 «E' infatti disponibile una struttura da utilizzare per il coordinamento di tutta la stampa provinciale e
locale in modo da controllare la pubblica opinione media nel vivo del paese», Licio Gelli cit. in CpiP2,
Doc. XXIII n.2, p 121.
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quel frangente storico il gruppo Rizzoli era, con esponenti poco capaci e scarsamente
virtuosi nel ruolo imprenditoriale, gestita come azienda a carattere familiare. Un
quotidiano di grandi tradizioni ma appesantito da una difficile situazione finanziaria che
nel 1975, attraverso il Banco Ambrosiano, la P2 manovrò mediante un’azione di
condizionamento finanziario trasformandolo in un polo aggregativo di un sempre
maggior numero di testate. In contemporanea vennero effettuati interventi
d’acquisizione di numerose testate a carattere locale99nell'ambito d’un collegamento con
il Corriere della Sera e destinato a raggiungere il maggior numero di lettori ed
influenzare così l'opinione pubblica. Nella vicenda si denotò la funzione puramente di
facciata della famiglia Rizzoli mentre il gruppo editoriale, che utilizzò Calvi come
supporto bancario sfruttando l'influenza esercitata su Angelo Rizzoli, dal 1977 venne
gestito dalla coppia Gelli ed Ortolani in quasi completa autonomia. Si sviluppò da
questo momento un sottile e continuo condizionamento della linea seguita dal
quotidiano, caratterizzata dall'emarginazione di giornalisti scomodi, con servizi
elogiativi o distruttivi ben mirati e con l'attribuzione d’incarichi importanti a persone
appartenenti alla loggia.
Il «Piano di Rinascita».
Nell’agosto del 1975 la Loggia P2 formulò un documento chiamato «Schema R100», una
sintesi che ridefinì gli scopi d’eversione e gli obbiettivi autoritari dell’organizzazione.
Con l’avanzata del Pci lo schema presagì un aumento dell’attivismo rivoluzionario sulle
piazze, nelle fabbriche, e nelle scuole, dei gruppi della sinistra extraparlamentare con
intensificazione dei fenomeni di guerriglia urbana101. Un inasprimento della lotta
rivoluzionaria di gruppi di terrorismo del tipo dei Nap102 e delle Br, o di nuova
formazione, con aumento di sequestri politici, attentati individuali, atti di terrorismo. Si
ravvisa l’immediata necessità di un’azione decisa e tempestiva da parte del Presidente
della Repubblica con l’emanazione di opportune misure, per evitare un più pesante
99 «Il Mattino», «Sport Sud», «Il Piccolo», «L'Eco di Padova», «Il Giornale di Sicilia», «Alto Adige»,
«L'Adige», «Il Lavoro».
100 Schema di massima per un risanamento generale del Paese, GELLI, La verità, pagg. 57-72.
101 Ibidem.
102 I Nuclei Armati Proletari o NAP furono una organizzazione armata di sinistra nata nella primavera del
1974 ed attiva fino al dicembre 1977.
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aggravamento della già gravissima situazione103. Le «opportune misure» altro non erano
che la trasformazione della Repubblica parlamentare italiana in Repubblica
presidenziale; la proclamazione dello stato di armistizio sociale per un periodo di due
anni; la nomina di un comitato di coordinamento, dotato di pieni poteri che gli
consentissero di procedere al riesame di tutta la legislazione in vigore; la restrizione dei
poteri della Corte Costituzionale; l’aumento dei poteri alle Forze dell’ordine; il
ripristino della pena di morte; l’utilizzo dell’Esercito in operazione d’ordine pubblico; la
limitazione del diritto di sciopero con divieto totale per i dipendenti pubblici, gli
studenti e i magistrati; il divieto assoluto d’indire manifestazioni a carattere politico per
tutto il periodo dell’armistizio sociale; la riduzione delle testate giornalistiche. Gelli
affermò d’aver sottoposto lo Schema R al Presidente della Repubblica Giovanni Leone,
incontrando solo giudizi di compiacimento104. Interrogato dalla Commissione
Parlamentare nel novembre 1982 l’ex presidente negò d’aver mai parlato con Licio
Gelli di questioni politiche o istituzionali, dichiarando d’avergli accordato una sola
udienza nel 1972 e di breve durata. A detta di Leone, Gelli si servì di Osservatore
politico e di Pecorelli per attaccare il Presidente della Repubblica come forma di
ritorsione per il fallimento dei suoi tentativi d’inserirsi nella presidenza105. Tra
l’autunno del 1975 e l’inverno 1976 la Loggia elaborò due nuovi documenti: il
«Memorandum sulla situazione politica in Italia» e il «Piano di Rinascita Democratica»,
scoperti solo nel 1982 tra le carte occultate nel doppio fondo della valigia sequestrata
all’aeroporto di Fiumicino alla signora Maria Grazia Gelli. Si tratta certamente di due
testi non creati personalmente da Licio Gelli, ma redatti da qualcuno a lui molto vicino.
Tra essi complementari, i due testi delinearono un autentico piano politico dotato di
strategie e tattiche. Un piano d’azione che, oltre a fissare degli obiettivi, predisponeva in
dettaglio le conseguenti linee di intervento arrivando ad anticiparne l’eventuale
necessità finanziaria. L’appellativo «democratico» stava a significare quella che voleva
sembrare l’esclusione, da tale piano, di ogni tipologia di rovesciamento del sistema;
l’intenzione voleva essere quella di rivitalizzare il paese attraverso la sollecitazione di
tutti gli istituti che prevedeva la Costituzione, attraverso degli obbiettivi principali
103 GELLI, La verità, p. 72.
104 Ivi, p. 273-74.
105 Diversi gli attacchi di Pecorelli nei confronti del Presidente Leone e della sua famiglia, Op contro
Leone, «Osservatore Politico».
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comprendenti ogni settore della vita pubblica106. Nei confronti del mondo politico
occorreva selezionare figure adatte alla rivitalizzazione dei partiti, scartare i non idonei,
affidare ai prescelti gli strumenti finanziari sufficienti per acquisire una posizione di
predominio nel proprio schieramento politico ed eventualmente, in risposta negativa,
usare gli stessi finanziamenti per l’immediata nascita di due nuovi partiti,
rispettivamente di sinistra e destra107. Per quanto riguarda i provvedimenti economicosociali
si parlò dell’ipotesi di concessione di forti sgravi fiscali ai capitali stranieri per
agevolare il ritorno dei capitali dall'estero, importante metodologia per venire incontro
agli innumerevoli traffici personali di Gelli e della Loggia Propaganda. Al livello delle
modifiche d’applicare al Governo si parlò d’attuare una legge sulla Presidenza del
Consiglio e sui Ministeri, per determinare competenze e numeri ridotti dei ministri, con
eliminazione o quasi dei Sottosegretari e la riforma dell'amministrazione, sulla netta
separazione della responsabilità politica da quella amministrativa e sulla sostituzione del
principio del silenzio - rifiuto con quello del silenzio - consenso. Un piano da attuare in
virtù delle difficoltà del paese, difetti elencati nel Memorandum sulla situazione politica
in Italia. Poche ma concise pagine in cui si narra dell’instabilità italiana causa, secondo
lo scritto, di una forte crisi economica legata alle pretese salariali, alla scarsità di forza
lavoro, alla fuga dei capitali all’estero e per l’aumento dei costi delle fonti d’energia. Un
disordine profondo all’interno dei partiti stessi. Una crisi morale, politica ed economica
risolvibile solo tramite uomini fidati e dai valori comuni.
Il sequestro di Castiglion Fibocchi.
Il fenomeno Loggia Propaganda Due, denunciato da «Osservatore politico» dalla
seconda metà degli anni settanta, divenne notizia di dominio pubblico solo nel 1981. Il
106 «Primario obiettivo ed indispensabile presupposto dell'operazione è la costituzione di un club (di
natura rotariana per l'eterogeneità dei componenti) ove siano rappresentati, ai migliori livelli, operatori
imprenditoriali e finanziari, esponenti delle professioni liberali, pubblici amministratori e magistrati
nonché pochissimi e selezionati uomini politici che non superi (sic) il numero di 30 o 40 unità. Gli uomini
che ne fanno parte devono essere omogenei per modo di sentire, disinteresse, onestà e rigore morale tali
cioè da costituire un vero e proprio comitato di garanti rispetto ai politici che si assumeranno l'onere
dell'attuazione del piano e nei confronti delle forze amiche nazionali e straniere che lo vorranno
appoggiare. Importante è stabilire subito un collegamento valido con la massoneria internazionale»,
Piano di rinascita democratica.
107 Per l’ipotizzato partito di sinistra si pensò ad una coalizione a cavallo tra PSI, PSDI, PRI, Liberali di
sinistra e Dc di sinistra, per la destra fra Dc conservatori, liberali e democratici della Destra Nazionale.
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12 marzo di quell’anno il giudice istruttore del Tribunale di Milano Giuliano Turone
firmò una comunicazione giudiziaria e delle disposizioni di perquisizione domiciliare a
carico di Licio Gelli, indiziato del reato di estorsione in concorso con Michele Sindona,
ed alcuni esponenti della mafia siculo americana108. I magistrati Gherardo Colombo e
Giuliano Turone furono titolari dell’inchiesta nata dal falso rapimento inscenato da
Sindona il 2 agosto 1979, nel corso del quale il banchiere rivolse ricatti al potere
politico minacciando di rendere nota la lista di cinquecento correntisti per conto dei
quali trasferì clandestinamente in banche estere i loro depositi, preservandoli dal crack
della sua Banca Privata Finanziaria. Minacciò inoltre di rivelare i nomi delle società
estere create dalla sua banca per conto di alcuni partiti politici quali la Democrazia
cristiana, il Partito Socialista Italiano e il Partito Socialdemocratico Italiano. Reperire
tale lista sarebbe stato utile per l’inchiesta e proprio a tale scopo venne disposta la
perquisizione dei locali intestati a Licio Gelli, nome che emerse durante diversi
interrogatori ad alcuni massoni legati al banchiere Sindona109. I giudici milanesi, ignari
di ciò che sarebbe stato scoperto, si convinsero che Licio Gelli avesse svolto e svolgesse
un ruolo centrale nella rete di sostegno, di pressioni e di ricatti che venne a formarsi
intorno al bancarottiere fin da quando era fuggito dall’Italia, a seguito dei mandati di
cattura per numerosi e gravissimi reati di criminalità finanziaria. Per evitare possibili
problematiche, legate ad alcune voci, secondo cui diversi membri delle Forze armate
sarebbero stati affiliati alla Loggia di Gelli, le perquisizioni vennero affidate ad ufficiali
del Nucleo regionale di Polizia tributaria della Guardia di Finanza di Milano, invece che
alla Polizia delle località interessate. Il colonnello Vincenzo Bianchi, responsabile
dell’operazione, predispose il contemporaneo controllo nelle quattro località.
Un’azienda a Frosinone, una stanza dell’hotel Excelsior di Roma, la residenza privata di
Gelli ad Arezzo ed una ditta d’abbigliamento a Castiglion Fibocchi. Nei primi due
luoghi non verrà scovata nessuna prova, come del resto a villa Wanda, sebbene le
documentazioni lascino intendere che nella dimora di Gelli qualcosa sia stato
accuratamente evitato. La telefonata del capo della Loggia P2 al maggiore della Guardia
108 Joseph Miceli Crimi, Joseph Macaluso, John Gambino, CpiP2, volume 1, tomo 1, p. 293-301.
109 FLAMIGNI, Trame atlantiche, p. 7.
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di Finanza Giorgio Cencioni110, incaricato del sequestro ad Arezzo e la successiva
chiamata al custode Vincenzo Benincasa111 confermerebbero la presenza di alcune liste
o elenchi d’affiliati. In questi dialoghi si accennò a «certi elenchi che riguardano la mia
organizzazione112» che non dovevano essere svelati. A Castiglion Fibocchi invece le
cose andarono diversamente. Nonostante i primi tentativi d’ostruzionismo da parte della
segretaria di Gelli Carla Venturi, che in primo tempo dichiarerà di non possedere le
chiavi della valigetta e dei cassetti privati del Venerabile, incastrata da
un’intercettazione telefonica113 con lo stesso Gelli ed obbligata a consegnare le chiavi
della cassaforte. Venne trovato un abbondante quantitativo di documenti scottanti legati
a operazioni e vicende equivoche, un nutrito dossier sul banchiere del Banco
Ambrosiano Roberto Calvi e su Michele Sindona, un comunicato originale firmato
Brigate Rosse114, documenti riservati dei Servizi segreti, ed un elenco di 962 iscritti alla
Loggia massonica P2 contenenti nomi di personaggi importanti del mondo politico,
imprenditoriale, del mondo della stampa, dei Servizi segreti, delle Forze dell’ordine.
Nell’immediate ore successive la scoperta di tale lista il colonnello Bianchi ricevette
una telefonata del comandante generale della Guardia di Finanza, Orazio Giannini, che
lo mise in guardia dal compiere un sequestro che avrebbe rivelato i nomi di
un’organizzazione comprendente tutti i massimi vertici sia del loro corpo che di altre
forze armate dello Stato115. Il 18 marzo il colonnello Bianchi consegnò tutti i documenti
sequestrati ai magistrati Turone e Colombo, riferendo della conversazione telefonica
avuta con il generale Giannini. Dagli interrogatori avvenuti successivamente con il
generale, piduista fedele alla consegna del silenzio massonico, non arriverà nessuna
110 «Dei documenti ci sono: certi elenchi che riguardano la mia organizzazione. Sa bene che non si
possono violare: c’è la libera associazione, una cosa normale». Telefonata tra Licio Gelli ed il maggiore
della Guardia di Finanza Giorgio Cencioni, FLAMIGNI, Trame atlantiche, p. 14; CpiP2, volume 1, tomo
4, p. 1173-74.
111 «Mi ci sono messo davanti e tanto ho fatto che quelle li [porte] non le ho fatte rompere. Niente, non
hanno portato via nemmeno un pelo qui», telefonata tra Licio Gelli ed il custode di villa Wanda Vincenzo
Benincasa, FLAMIGNI, Trame atlantiche, p. 15.
112 Ibidem.
113 «Perché io ho bisogno che quella gente non porti via nulla», telefonata tra Licio Gelli e la segretaria
Carla Venturi, Ivi, p. 11.
114 Comunicato delle Brigate rosse relativo all’omicidio Walter Tobagi ad opera del gruppo terroristico
Brigata XXVIII marzo, Ivi, p. 10.
115 CpiP2, Doc. XXIII n.2, p. 33-36; «Ti debbo comunicare che hai trovato degli elenchi. Ci sono anch’io
in tali elenchi. Statti accorto che ci sono anche i massimi vertici dello Stato, stai attento che il corpo
s’inabissa», telefonata tra il Comandante della Guardia di Finanza Orazio Giannini ed il Colonnello
Bianchi, Ivi, p.15.
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confessione. Solo sei anni dopo il figlio di Gelli racconterà, in un intervista su
«L’Europeo», di un contatto telefonico avvenuto tra il padre e Giannini poco dopo
l’avvio delle perquisizioni. Il 25 marzo 1981 la magistratura trasmise al presidente del
Consiglio Arnaldo Forlani l’elenco della Loggia Propaganda Due, che attese due mesi
per renderla pubblica. In quei giorni d’indecisione Gelli ebbe tutto il tempo per
trasferire all’estero tutta la documentazione non scovata dalla Guardia di Finanza,
documentazione in parte recuperata dopo il sequestro della villa di Gelli in Uruguay116.
Negli stessi giorni, all’Hotel Hilton di Roma, si svolse l’assemblea annuale della Gran
Loggia nonostante l’assenza di Gelli; solo pochi membri furono informati dei
documenti scoperti a Castiglion Fibocchi dalla Magistratura. Ciò nonostante, per timore
che gli ultimi eventi potessero trascinare l’intera Massoneria italiana nello scandalo
delle liste segrete, si decise di trasformare la Loggia coperta P2 in organo scoperto. Un
salvataggio a beneficio dello stesso Licio Gelli, il quale avrebbe potuto in qualsiasi
momento avvalersi del fatto che la sua organizzazione altro non fosse che una normale
aggregazione appartenente al Grande Oriente di Palazzo Giustiniani. Dopo le prime
indiscrezioni giornalistiche Gelli rilasciò due interviste in cui negherà ogni accusa, una
menzogna creata appositamente per lanciare un messaggio agli affiliati in difficoltà:
negare tutto, negare sempre117. Proprio come citato in uno dei documenti scoperti nel
sequestro, la «Sintesi delle norme»118. La Commissione Parlamentare sul caso Sindona
ottenne dalla Magistratura milanese una parte della documentazione rinvenuta a
Castiglion Fibocchi ed, a seguito di una riunione con tutti i rappresentanti, decise di
rendere pubblica la lista dei 962 nominativi. A quel punto il Presidente del Consiglio
Forlani non poté più attendere ed inoltrò gli elenchi al Parlamento e alla stampa con le
sue conseguenti dimissioni. Il 22 maggio 1981 la Magistratura spiccò due mandati di
cattura a Licio Gelli con l’accusa di procacciamento di notizie concernenti la sicurezza
di Stato e per spionaggio politico. La pubblicazione della lista degli iscritti alla P2 diede
luogo al più grave scandalo della storia repubblicana. Il 13 giugno 1981, il Comitato
amministrativo d’inchiesta presentò al nuovo Governo Spadolini la propria relazione.
116 FLAMIGNI, Trame atlantiche, p. 18.
117 «Il Tempo», 24 aprile 1981, Ivi, p. 19.
118 Sintesi delle Norme, Ibidem.
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Il vertice della cosiddetta P2 ha vissuto e si è proposto di operare in Italia come
luogo di influenza e potere occulto insinuandosi nei gangli dei poteri pubblici e
della vita civile. Questo Comitato ritiene di poter affermare che ai sensi dell’art.18
della Costituzione, la Loggia P2 sia da considerare una associazione segreta119.
Il 24 luglio il nuovo governo propose lo scioglimento della Loggia Propaganda Due,
legge che verrà approvata dalla Camera il 9 dicembre.
La Gran Loggia Vaticana.
Nel 1975 il Cardinale Giovanni Benelli assegnò al comandante dell’arma dei
Carabinieri, Generale Enrico Mino, l’incarico d’accertare un’eventuale penetrazione
massonica tra i prelati della Curia romana. Due mesi dopo il Generale Mino consegnò il
dossier dei presunti massoni vaticani, tra cui spiccarono nomi di un certo rilievo.
Nell’estate del 1977 il cardinale ultraconservatore Giuseppe Siri incaricò nuovamente il
generale Mino per una seconda inchiesta sui prelati della Curia affiliati o vicini alla
massoneria. Il comandante dell’Arma non riuscì a concludere la sua inchiesta poiché, a
fine ottobre, precipitò con l’elicottero sulla quale viaggiava. Le dinamiche dell’incidente
e dell’esplosione del velivolo non vennero mai chiarite, mentre il dossier del 1975
venne fatto sparire tra le carte dell’archivio Vaticano. Con due articoli pubblicati
rispettivamente il 17 ed il 25 agosto 1977, l’agenzia informativa «Euro-Italia» fornì i
nomi in codice, i numeri di matricola e la data d’iniziazione alla massoneria di quattro
cardinali appartenenti all’ala più avanzata dello schieramento clericale120. Pecorelli
ottenne una copia di tale lista, apprendendo l’intrigo finanziario che legava il presidente
dello IOR121, monsignor Paul Marcinkus, con i piduisti Sindona, Ortolani, Calvi e Gelli.
La lista venne pubblicata su Op nel celebre numero del 12 settembre 1978, raffigurante
un cardinale con un cappuccio nero sul capo, dal titolo La gran Loggia Vaticana.
119 CpiP2, volume 3, tomo 5, parte prima, pagg. 56-63.
120 Sebastiano Baggio, Seba matricola 85/2640 iniziato alla massoneria il 14 agosto 1957; Salvatore
Pappalardo, Salpa matricola 243/07 15 aprile 1968; Ugo Poletti, Upo matricola 32/1425 e Jean Villot,
leanvi matricola 041/3 6 agosto 1966, DI GIOVACCHINO, Scoop mortale, Mino Pecorelli, p. 76.
121 Istituto per le Opere di Religione
49
Centoventuno nominativi di cardinali, vescovi ed alti prelati indicati per numero di
matricola impressi su tre pagine del giornale. Scriveva Pecorelli:
Lanciate le reti un po’ su tutte le piste della capitale non siamo andati delusi.
Lunedì ventotto agosto siamo entrati in possesso di una lista di centoventuno tre
cardinali, vescovi e alti prelati indicati per numero di matricola e nome codificati
come appartenenti alla massoneria. Certo la lista può essere apocrifa, certo
persino la firma di un cardinale oggi può essere falsificata. Per un laico
l’appartenenza alla massoneria può essere motivo di distinzione perseguendo le
logge fini umanitari di libertà, giustizia, ordine e progresso civile. Per un
ecclesiastico il discorso è un tantino diverso, l’ufficio sacerdotale di per sé
comprende tutti gli obblighi della massoneria e l’appartenenza alla setta segreta è
vietata dal Diritto canonico. Chi viola un principio può violarne altri, ci ha detto un
alto prelato che ha escluso che un così gran numero di preti possa essere iscritto
alla massoneria122.
Molto probabilmente la lista, veritiera, venne diluita tramite aggiunta di nominativi
erronei o di personale non realmente aderente. Pecorelli lo sospettava:
Papa Luciani ha davanti a sé un difficile compito e una grande missione. Tra le
tante quella di mettere ordine ai vertici del Vaticano. Pubblicando questa lista di
ecclesiastici forse affiliati alla massoneria, riteniamo di offrire un piccolo
contributo. Ci aspettiamo una pioggia di smentite o, nel silenzio, l’epurazione123.
In Vaticano circolarono voci riguardanti la preoccupazione di alcuni elementi non
soddisfatti dell’elezione di Luciani al soglio pontificio tra i quali il monsignor Paul
Marcinkus. Egli intuì immediatamente i pericoli dell’elezione di questo pontefice che,
sin dai suoi primi discorsi, lasciò chiaramente intendere di voler far tornare la chiesa
cattolica a quegli ideali di carità cristiana propri del cristianesimo antico, rinunciando
alle ricchezze superflue che troppo avevano distolto gli uomini di chiesa dai propri sacri
compiti. Lo stesso Marcinkus espresse serie perplessità riguardo il Papa: «Questo Papa
122 La gran Loggia Vaticana , «Osservatore politico», 12 settembre 1978.
123 Ibidem.
50
non è come quello di prima, vedrete che le cose cambieranno124». Su due punti il Papa
fu irremovibile: l’iscrizione degli ecclesiastici alle logge deviate della massoneria e
l’uso del denaro della Chiesa nei confronti di talune banche che gravitavano intorno a
nomi quali Calvi e Sindona. La prematura ed inspiegabile morte di Papa Luciani, dopo
soli trentatrè giorni di pontificato, lasciò aperta l’ipotesi della «longa manus» del
circuito massonico. Ipotesi che Carmine Pecorelli non fece in tempo a vagliare
approfonditamente.
Carmine Pecorelli piduista atipico.
Carmine Pecorelli consolidò, nel corso degli anni settanta, la sua attività giornalistica
tentando di limitare i suoi legami diretti con i servizi segreti pur non potendo fare a
meno dei finanziamenti neri che mantennero il suo giornale. «Op» non era in grado di
autofinanziarsi e venne costantemente retta dal denaro pagato da aziende statali e
parastatali125coinvolte con i servizi segreti e talvolta da uomini della Democrazia
cristiana. Ciò nonostante il giornalista nei suoi articoli non risparmiò critiche nemmeno
agli stessi finanziatori. Un chiaro esempio fu la campagna scandalistica contro il
presidente della Finmeccanica Camillo Cruciani e l’andreottiano Franco Evangelisti126.
Dalle carte ritrovate nello studio di Pecorelli sembrerebbe che ulteriori finanziamenti
arrivassero da Vito Miceli, dalla Montedison e dalla Democrazia cristiana, attraverso le
figure di Flaminio Piccoli e il vicesegretario amministrativo del partito Egidio Carenini.
Per almeno dieci anni fu testimone delle guerre interne nei servizi segreti, dal Sid al
Sismi; una congrega di massoni e piduisti accumunata da un doppio giuramento con lo
Stato e la Massoneria, segnata dalla divisione in fazioni contrapposte127. Prese le difese
124 DOMÈNECH MATILLÓ ROSSEND, L’avventura delle finanze Vaticane, Tullio Pironti Editore,
Napoli 1988, p. 10.
125 Montedison, Finmeccanica, Iri, Enel, Egam, FLAMIGNI, Dossier Pecorelli, p. 18
126«Dall’on. Evangelisti, Pecorelli riceveva personalmente tre milioni di lire al mese [o forse quattro
milioni], in contanti. Ciò mi fu dichiarato dallo stesso Pecorelli e confermato poi da persone molto vicine
ad Evangelisti. Ignoro il motivo di tali finanziamenti. Mi risulta però che l’Evangelisti si dava da fare, di
più, per trovare ulteriori finanziamenti all’agenzia», dalla testimonianza d’Enrico Fiorini, amico del
giornalista, FLAMIGNI, Dossier Pecorelli, p. 18. Lo stesso Evangelisti dichiarerà: «in precedenza avevo
visto Pecorelli forse due volte a Montecitorio e l’avevo rimproverato scherzosamente per i suoi attacchi;
egli, a sua volta, rispondeva che ciò faceva perché non si dicesse che io pagavo», CpiP2,volume 7, tomo
14, p. 769.
127 FLAMIGNI, Dossier Pecorelli, p. 24.
51
di alcuni protagonisti di tali battaglie interne, come nel caso di Vito Miceli nel 1974. Il
capo del Sid venne arrestato su ordine della magistratura di Padova per un presunto
coinvolgimento nel Golpe Borghese, nello scandalo del Sid parallelo e per aver avuto
legami con il gruppo della Rosa dei Venti. Carmine Pecorelli difese Miceli128 scrivendo
contro il generale Maletti ed il suo collaboratore Labruna, in una campagna che si
concluse con l’arresto degli stessi nel 1976129. La loro destituzione servì soltanto a
portare ai vertici del Sismi e del Sisde numerosi uomini della P2, mentre per il
giornalista significò perdere determinati agganci come fonte d’informazione. Sebbene
con il tempo i rapporti con il generale Maletti si distesero, arricchendo il patrimonio
informativo di Carmine Pecorelli. I primi riferimenti alla Loggia Propaganda si possono
reperire in un articolo di «Osservatore politico» del gennaio 1972:
Una snella ed efficientissima organizzazione, ottimamente mimetizzata, alla
conduzione della quale è preposto un Personaggio della quale non possiamo
rivelare l’identità essendo Egli pressoché ignoto alla quasi totalità degli iscritti
militanti. Questo personaggio è l’elemento determinante delle più delicate e
complesse vicende della vita politica italiana130.
Il giornalista sostenne Gelli nel conflitto massonico contro il Gran Maestro Lino Salvini
esprimendo con toni goliardici la sua scarsa considerazione del fenomeno del Grande
Oriente d’Italia, come si evince da tale articolo.
La massoneria è una cosa che fa morire dal ridere. Ma è anche una bottega per
coloro che la sanno sfruttare. Tra l’altro si credono gli uomini del destino incaricati
128 «Come mai, da Viggiani a Alavena, da De Lorenzo a Miceli, tutti coloro che si sono succeduti al
comando del Sid, hanno sempre avuto a che fare con la magistratura? Come mai la stessa magistratura
italiana che nel caso dell’ammiraglio Henke ha riconosciuto al Sid compiti diversi da quelli della polizia,
nei confronti del generale Miceli ha inteso adottare parere del tutto diverso? La risposta a tutti questi
interrogativi è una sola. Saltando sfumature e passaggi di dettaglio si può risolvere in una affermazione:
perché la classe dei politici, per potersi servire al meglio dei servigi del Sid, lungo tutto un decennio ha
preferito non provvedere a una chiara e ordinata regolamentazione dei compiti dei nostri servizi»,
Pecorelli attribuiva la maggior responsabilità del malfunzionamento dei Servizi ad Andreotti, In difesa del
capo del Sid, Osservatore politico, 6 dicembre 1975.
129 L’arresto, che avvenne nel febbraio del 1976, con l’accusa d’aver favorito l’espatrio di Guido
Giannettini; noto giornalista neo-fascista collaboratore del Sid e gravato di mandato di cattura per la
strage di Piazza Fontana.
130«Osservatore politico», 18 gennaio 1972.
52
dal Padreterno di tracciare le mete per la salvezza del paese. Basta conoscerne
qualcuno per farsi un’idea precisa sulla massoneria. I fratelli si elogiano
reciprocamente, si danno del venerabile, dell’illustrissimo, del potentissimo, come
se fosse vero. Si baciano tre volte, ma sono sicuro che si staccherebbero
reciprocamente gli orecchi, tanta è l’invidia che c’è tra loro. Medici e
professionisti in cerca di baiocchi, burocrati in cerca di protezioni, industriali
squattrinati e ufficiali in via di pensionamento, intriganti, imbroglioni, falsi
moralisti, tutta una ramazzaglia di arrivisti e mitomani131.
Il 27 novembre 1975 Pecorelli si iscrisse alla Loggia P2132. Dalla controparte sembrò
esserci interesse nei confronti di «Osservatore politico», già dal 1972, a tal punto da
proporre la trasformazione del giornale, durante una riunione del direttivo svoltasi a
Firenze presso l’hotel Baglioni, in agenzia stampa diretta della Loggia. Un’entrata
d’informazioni utili e veicolari vagliate dal Venerabile e dalle alte sfere
dell’organizzazione. Decisione che venne successivamente scartata dal Gran Consiglio,
sebbene non mancò l’aiuto reciproco tra il giornalista e Licio Gelli attraverso notizie
fornite dal Venerabile. Il giornalista, seppure interessato a pubblicare notizie ed
informazioni provenienti dalla Loggia, non accettò di sottostare al controllo
informativo.
Qualcuno ha detto che siamo l'agenzia del SID. Qualcun altro, l'agenzia di Miceli.
Ognuno a tirare acqua al suo mulino, in un gran groviglio di inganni e cortine
fumogene, pur di nascondere, pur di inquinare. La verità è che Op ha una sua
propria autonoma, rete di informatori. E che è bene introdotta in certi ambienti. E
che mette in circolo tutte le notizie, nessuna esclusa, che riesce a raggiungere.
Lasciando alla intelligenza e alla libertà dei suoi lettori analisi e giudizi. Il nostro
archivio, il nostro pubblico, fa fede di questo. Questo nostro costume è talmente
originale, talmente straordinario per il giornalismo italiano, da risultare
sconvolgente e pericoloso per tutti gli attuali uomini del sistema.
131«Osservatore politico», 15 gennaio 1975.
132 Tessera n.1750, fascicolo 0235.
53
Per questi suoi comportamenti fuori dagli schemi i massimi vertici della Loggia
Propaganda decisero di dargli una lezione. Nel 1976 Pecorelli apprese, da uomini
appartenenti alla Loggia, la notizia che la moglie dell’onorevole Francesco Cattanei133
era stata fermata in possesso di cinquanta milioni di lire e denunciata per illecita
esportazione di capitali. La notizia, autentica, compromise la carriera del marito. La
stessa fonte piduista134 riferì che anche la compagna dell’onorevole Luigi
Mariotti135avrebbe tentato di portare fuori dall’Italia denaro. Quando il 18 marzo 1976
«Osservatore politico» pubblicò la notizia, falsa, Carmine Pecorelli venne querelato
dall’onorevole per diffamazione e successivamente condannato per la stessa accusa. Il
18 maggio 1977 Pecorelli inviò a Gelli una lettera di dimissioni136 comunicando
l’intenzione d’uscire dall’organizzazione. A seguito della scissione il giornalista sembrò
continuare ad affiancare la P2, lo notiamo da un articolo comparso in «Op» il 25 giugno
1977:
Si ha un bel dire che sia un covo di golpisti e sovversivi. Vi aderiscono personaggi
politici delle più diverse espressioni, ma tutti di primo piano. Militari, magistrati,
alti funzionari della pubblica amministrazione. Si può dire che Gelli rappresenti
quel che resta dello Stato. E ormai si può aggiungere pure che tutti insieme i
fratelli della P2 hanno giurato di far giustizia e pulizia. A cominciare da Palazzo
Giustiniani137.
Pochi giorni dopo il Tribunale di Roma condannò il giornalista per diffamazione nei
confronti dei coniugi Mariotti. Pecorelli espresse il suo disappunto nell’articolo Evviva
Mariotti, giustizia è fatta! del 13 luglio 1977: «Evviva fratello Mariotti, evviva anche il
Maestro Venerabile Licio Gelli, fratello di tutti i fratelli di questo paese di **********!138».
Ma non fu certo questo l’unico motivo della campagna di «Osservatore politico» contro
la loggia di Gelli. I rapporti tra il giornalista e la massoneria erano rovinati già da
133 On. Cattanei, democristiano della corrente di Paolo Emilio Taviani, sottosegretario degli esteri ed ex
presidente della Commissione antimafia.
134 Trattasi del giornalista Franco Salomone, uomo di fiducia di Licio Gelli, FLAMIGNI, Dossier
Pecorelli, p. 26.
135 On. Mariotti, ministro socialista della Sanità.
136 Citazione p. 25.
137«Osservatore politico», 25 giugno 1977.
138 Ivi, 13 luglio 1977.
54
tempo. Con un articolo che sembrerebbe essere a favore della Loggia Propaganda Due,
il 15 agosto 1978, Pecorelli cercò di mostrare ai lettori la pericolosità di un potere
occulto sottovalutato: «La potente Loggia P2, loggia coperta, guidata dal Maestro
Venerabile Licio Gelli. Costituita da parlamentari, ministri e militari (e rappresenta la
crema della massoneria)139».
Fascicolo COM.IN.FORM.
Dalla fine del 1978 «Osservatore politico» cominciò ad attaccare duramente il
Venerabile, indagando sui trascorsi di Gelli durante la guerra. Nell’articolo Due volte
partigiano. Finalmente la verità sul Venerabile della P2, Pecorelli raccontò la storia di
Licio Gelli dal periodo della Repubblica di Salò al successivo appoggio che diede al
CLN:
Da quando con l’ingresso del Pci nell’area governativa è tramontata la moda di
scoprire un golpe alla settimana, politologi e tramologi si sono messi a
pubblicizzare il più folkloristico filone della massoneria. Scrivendo del Grande
Oriente, Rito Scozzese, di Maestri Venerabili, di Liberi muratori e delle misteriose
liturgie di uomini incappucciati, è facile far immaginare tra ombre e corridoi, un
susseguirsi di complotti, congiure e pugnali. Secondo i nostri esperti in Italia il
novanta per cento dell’alta dirigenza dello Stato, i vertici industriali e bancari, la
Magistratura appartengono alla massoneria e il pontefice massimo, il genio
criminale che tutto muove e tutto decide è Gelli. Questo Gelli è un ex fascista,
agente dei servizi segreti argentini, amico personale di Lopez Rega140, fondatore
degli squadroni della morte AAA in America Latina, legato alla Cia ed ai Falchi
americani. Cardine della tesi è che Licio Gelli sia un nazista criminale,
collaboratore delle Ss e delatore di partigiani141.
139 Ivi, 15 agosto 1978.
140 José López Rega fu un politico argentino anche lui membro della Loggia P2. Per la sua passione per
l'esoterismo gli venne dato il soprannome di «Stregone».
141 Due volte partigiano. Finalmente la verità sul Venerabile della P2, «Osservatore politico», 2 gennaio
1979.
55
Gli articoli accennarono a nuove possibili rivelazioni ritrovate in un fascicolo di
massima segretezza.
Questo porta acqua al nostro mulino, perché siamo entrati in possesso di un
documento che prova l’esatto contrario. Nel luglio 1944 Gelli si presentò in divisa
d’ufficiale tedesco presso una casa di cure per malattie nervose chiamata Villa
Sbertoli, in località Colligerate Pistoia, che le Ss avevano adibito a prigione. Forte
dell’ascendenza personale e della perfetta conoscenza del tedesco, con sangue
freddo eccezionale si fece consegnare i partigiani che grazie a lui poterono
raggiungere di nuovo le rispettive formazioni142.
Il giornalista si riferiva al documento Com.In.Form, contenente un’informativa del
Centro di controspionaggio di Firenze datata 29 settembre 1950. Nel rapporto si
sosteneva che Gelli, legato al partito comunista fin dal 1944, fosse un possibile agente
del Kominform e che mascherasse questa sua attività dietro quella dell’industriale e
commerciante. «Osservatore politico» pubblicò anche un documento del 1944 firmato
da Italo Carobbi, presidente del Cln.
Questo comitato dichiara che Gelli Licio, pur essendo stato al servizio dei fascisti
e dei tedeschi, si è reso utile alla causa dei patrioti pistoiesi. Esso ha: avvisato
partigiani che dovevano essere arrestati; messo a disposizione e guidato
personalmente il furgone della Federazione fascista per portare sei volte
consecutive rifornimenti di viveri ed armi a diverse formazioni; partecipato e reso
possibile la liberazione di prigionieri politici detenuti in Villa Sbertoli143.
Nel 1980 si scoprì che il giornalista non fu l’unico ad interessarsi a tale questione. I
Servizi segreti italiani cessarono d’occuparsi di Licio Gelli dopo averlo schedato quale
pericolosissimo elemento sovversivo e probabile agente dei paesi dell’Est,
minimizzando e sottovalutando le investigazioni144. Fonti informative della Guardia di
Finanza ed alcuni uomini dell’ispettorato generale antiterrorismo continuarono ad
142 Ibidem.
143 «Osservatore politico», 2 gennaio 1979.
144 CpiP2, Doc. XXIII n.2, p. 70.
56
indagare su questo documento venendo minacciati d’esonero dal servizio se avessero
continuato ad investigare145. L’Ispettore Santillo dell’ispettorato generale
antiterrorismo, scrisse una relazione sulla massoneria descrivendo con precise
informazioni il Venerabile e denunciando una sorta di cordone sanitario informativo
posto dai Servizi segreti sull’argomento. L’ispettore non ottenne mai la guida del
SISDE alla cui guida fu preferito il generale Grassini, iscritto alla Loggia P2. Questo
silenzio su Licio Gelli venne rotto da «Osservatore politico» che iniziò a rivelarne i
primi contenuti. Copia di tale segretissimo fascicolo sarebbe stata trasmessa
all’ambasciata americana a Roma, mentre una seconda sarebbe finita nelle mani di
Pecorelli146 da fonti ignote ed una terza copia venne recuperata nel sequestro di
Castiglion Fibocchi. Il primo ed unico articolo venne pubblicato il 10 febbraio 1979 con
il titolo Massoneria: il professore e la balaustra147.
L’appuntamento va collocato in uno scenario da 007 formato Hollywood. Giorno
dell’incontro: lunedì 5 febbraio, che passerà alla storia come il lunedì delle
streghe. Luogo: l’angolo di una strada male illuminata di Roma centro. Occhiali
neri, baffi finti, bavero dell’impermeabile rialzato fino alle orecchie, cappello a
larghe falde calato sul viso, giornale sotto braccio, sigaretta accesa. Il
“Professore”era stato puntuale, così travestito era stato inevitabile per Pecorelli
riconoscerlo senza averlo mai conosciuto. Direttore sono venuto a saldare il mio
debito con lei. Per anni ho detto di conoscerla. Per provarle quanto sono pentito
metto a repentaglio la mia vita. Le consegno un primo esplosivo documento, da
fratello e da cittadino. Fantasia o realtà, sogno o allucinazione, il documento è qui,
bianco su nero. Si tratta di un vecchio fascicolo ingiallito, registrato al n. 15.743
del Com.In.Form. E’ un lungo elenco di nomi che qualcuno un giorno ha tradito,
un lungo elenco che noi non tradiremo una seconda volta. Perché non è nostro
costume rivelare segreti di Stato, ma soprattutto non è nostro costume assecondare
gli oscuri disegni di un professore dalle potenti e fraterne amicizie148.
145 Ibidem.
146 Verrà trovata tra le carte del giornalista dopo il suo omicidio, FLAMIGNI, Dossier Pecorelli, p. 30.
147 Nel linguaggio massonico balaustra è sinonimo di loggia, DI GIOVACCHINO, Scoop mortale, p.85.
148 Massoneria: il professore e la balaustra, «Osservatore politico», 10 febbraio 1979.
57
Carmine Pecorelli venne assassinato pochi giorni prima della preannunciata
pubblicazione integrale del documento. L’allusione alla lista di nomi traditi non piacque
al Venerabile, si riferiva infatti ad un’operazione di spionaggio a favore dei partigiani,
conclusasi con la fucilazione di una sessantina di fascisti. Sarebbe stata una cattiva
pubblicità per il capo della P2, sebbene ci vorranno ancora due anni prima che le sue
attività divengano di dominio pubblico. Le motivazioni che spinsero Carmine Pecorelli
ad analizzare il passato di Licio Gelli portano solo ad alcune ipotesi. La storia del
passato del Venerabile era molto interessante dal punto di vista giornalistico ma gli
inquirenti si convinsero che il giornalista fosse entrato a far parte di una cordata
dissenziente, all’interno della P2, che durante il sequestro Moro venne influenzata dal
partito della trattativa. Tra le carte sequestrate nella redazione di «Op» venne rinvenuto
un appunto anonimo sotto la dicitura «segretissimo», che definiva Licio Gelli: massone,
nazista, ex informatore delle SS tedesche, spia dei servizi segreti italiani. E ancora
accuse di spionaggio con il Sudamerica, riciclaggio di moneta contraffatta sudamericana
e d’altre nazionalità per finanziare operazioni coperte di guerriglia in Europa, rapporti
con la Mafia, ricatto allo Stato. Le fonti di Pecorelli non vennero mai scoperte, sebbene
dall’articolo Il professore e la balaustra sembrerebbe che lo stesso giornalista indicasse
il Colonnello Antonio Vezzier, alto ufficiale del controspionaggio di Firenze ed amico
di Gelli, come principale risorsa. Improbabile dato che il giornalista non avrebbe mai
bruciato una fonte informativa così preziosa. Lo stesso Vezzier raccontò ai magistrati
d’essersi subito presentato da Gelli per protestare contro l’articolo di «Osservatore
Politico» che lo vedeva implicato149. Dalle agende del giornalista si scoprì che gli ultimi
mesi furono fitti d’incontri con politici, magistrati, ufficiali dei Servizi segreti,
funzionari del Viminale e con lo stesso Licio Gelli. Il giornalista ed il Venerabile si
sentirono telefonicamente la prima volta il 7 febbraio ed il 7 marzo. Nella stessa agenda
era annotato: 21 marzo, ore 20.30, cena Licio. Achille Gallucci, l’allora procuratore di
Roma, nella prima requisitoria con cui chiedeva l’archiviazione del procedimento nei
confronti di Gelli e Vezzier per il reato di omicidio scriveva:
149 «Cerca di ricondurlo alla ragione, questo qui va fermato», aveva detto Vezzier al Venerabile. Ma Gelli,
che doveva averci già pensato da sé, aveva scosso la testa: «Non è uomo da poter facilmente controllare».
Ivi, p.87.
58
È innegabile che in una serie di articoli, spesso non completamente comprensibili,
il Pecorelli avesse iniziato nei confronti di Gelli una pericolosa e veritiera
campagna. È verosimile che ciò abbia preoccupato Gelli, il quale cercò certamente
di avere contatti con il giornalista. Il movente dell’omicidio va cercato nella
singolare personalità della vittima e nello spregiudicato modo in cui egli realizzava
la sua attività giornalistica. Utilizzando un linguaggio ermetico con allusioni e
ammiccate comprensibili solo all’interessato, appartenendo a un tipo di
giornalismo affatto particolare spesso al bivio tra la rozza provocazione ed il
cinico ricatto150.
150 Ibidem.
59
«Osservatore politico», 27 giugno 1978.
60
Capitolo III
Sette anni di guerra: Op contro Leone.
Chi ha avuto ha avuto. Chi ha dato ha dato.
Nel numero 13 di «Osservatore politico» dedicato alla famiglia Leone, Chi ha avuto ha
avuto. Chi ha dato ha dato del 27 giugno 1978, Carmine Pecorelli commentò in toni
molto duri l’operato del presidente della Repubblica Giovanni Leone in seguito alle sue
dimissioni.
Il personaggio, un tempo ridicolo, ormai era soltanto disprezzato. Persa la maschera
del pulcinella napoletano, aveva mostrato il volto arrogante dell’intrallazzatore. Ogni
giorno piovevano sul suo capo accuse più circostanziate e più gravi, ogni giorno
nuovo fango si riversava sui suoi familiari, ogni giorno uno dei tanti gruppi di cui
s’era circondato aveva a che fare con la giustizia e con i giornali. Ma lui ogni giorno
si faceva beffe del paese […]. Finalmente lo scorso giovedì Leone se n’è andato. Ha
abbandonato il Quirinale di notte, come un ladro il luogo del delitto. Si dice che
prima della grande decisione, ritenendo di essersi amnistiato, abbia pronunciato il
suo slogan preferito. Stavolta però il «chi ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuto»
non potrà essere tollerato. Esiste un limite oltre il quale nessuno, meno che mai uno
come Leone, può permettersi di andare. Dopo il 14 maggio, dopo il voto sul
referendum, una terza buona nuova per la Repubblica italiana. Il bubbone marcio che
da sette anni inquinava il massimo vertice istituzionale è stato finalmente estirpato.
Ora si può davvero pensare a rifondare il Paese, a restituire credibilità e senso allo
Stato, a garantire quell’ordine pubblico e quel rispetto per la legge che trova le sue
radici innanzitutto nella moralità dei pubblici uffici. Il settennato Leone finisce nel
modo miserabile che ha meritato, la sua fine priva di Pci del suo unico ostaggio
istituzionale. Sappia il futuro presidente essere l’uomo della pacificazione nazionale,
rendersi interprete del nuovo senso morale e civile di un Paese che chiede libertà,
ordine, democrazia, giustizia contro ogni prevaricazione in particolare quella degli
apparati di partito. Sappia il nuovo presidente riportare l’Italia nel consesso dei paesi
civili. Leone dovrà essere ricordato come l’uomo della fase tribale151.
151 Lo scandalo è finito, «Osservatore politico», 27 giugno 1978.
61
Lo scritto è un’introduzione al dossier – raccolta di tutti gli articoli diffamatori del
giornale pubblicati fino a quell’anno, ai danni del presidente della Repubblica e della
sua famiglia. Pecorelli non fu l’unico giornalista ad attaccare la famiglia Leone152,
sebbene non si conoscano le reali motivazioni del suo accanimento. Nel 1998, alcuni
degli autori di quella campagna nutrita di false accuse si scusarono ufficialmente con
l’ex capo dello Stato. Sette anni dopo le sue dimissioni, nel 1985, Leone dichiarò in
un’intervista al «Corriere della Sera» come la congiura contro di lui fosse opera della P2
ribadendo poi alla Stampa, nel 1991, che fu vittima di un complotto organizzato dai
servizi segreti, dalla P2 e da Mino Pecorelli, guidati abilmente dal Pci. Da aggiungere
alla testimonianza resa da Bettino Craxi alla Commissione parlamentare d’inchiesta
sulla P2, il quale raccontò di una conversazione avvenuta con Licio Gelli, che gli parlò
di un’eventuale campagna di stampa in grado di cambiare il presidente della
Repubblica153. «Osservatore politico» cominciò a parlare di Leone dall’inizio del 1972,
denunciando l’isolamento ricevuto dagli organi di stampa ed elogiando coloro, i pochi,
che ruppero il muro di omertà sulla vicenda. Lo scrisse chiaramente Pecorelli nella
prefazione del dossier Sette anni di guerra.
Leone fu eletto presidente il 24 dicembre 1971. Op cominciò a mettere in guardia il
paese dai traffici del Quirinale il 4 gennaio 1972. Allora eravamo un’agenzia
quotidiana , cioè un bollettino di notizie selezionate destinate esclusivamente ai
vertici politici ed economici del paese. Da quel 4 gennaio fino a ieri, l’Op ha
incessantemente continuato a denunciare goffaggini, malefatte, imbrogli ed affari dei
clan di Giovanni Leone. Qui di seguito troverete una prima selezione di notizie da
noi diramate […]. Allora chi ci leggeva fingeva di non capire; altri più interessati
diffondevano la voce che eravamo dei ricattatori. Anche Leone leggeva e non ci ha
mai denunciato. Anche Leone leggeva e sperò che fossimo dei ricattatori. Una volta
ci fece avvicinare da un suo emissario che in cambio del silenzio sul presidente,
promise una borsa di 40 milioni. Era il 1975. Da allora i nostri attacchi al Quirinale
si sono moltiplicati. Piuttosto, mentre festeggiavamo la vittoria sul malcostume, non
possiamo non rilevare il comportamento della quasi totalità dei giornali. Per anni e
152 Nel 1978 Camilla Cederna, giornalista de «l’Espresso», pubblicò il libro Giovanni Leone. La carriera
di un presidente. Venne citata a giudizio dalla famiglia Leone, condannata per diffamazione e sanzionata
insieme all’«Espresso».
153 ANNA VINCI, La P2 nei diari segreti di Tina Anselmi, Chiarelettere 2011, p. 138.
62
anni hanno letto di Leone sulla nostra agenzia, da mesi leggono avidamente ogni
rigo di questo settimanale. Non avessero rotto l’omertà Marco Pannella con la sua
denuncia al Parlamento italiano e la Camilla Cederna col libro glorioso, non avesse
seguito l’Espresso le piste che noi avevamo tracciato, saremmo rimasti
completamente isolati. È questo conformismo che ha consentito tanto spazio a gente
come Leone che in altri paesi al massimo avrebbe potuto aspirare alla carica di
usciere comunale […]. Scoppiato lo scandalo Lockheed chiedemmo
immediatamente le dimissioni di Giovanni Leone. La Dc, non senza profonde
divisioni decise di chiudere entrambi gli occhi sull’operato del presidente
napoletano. Quanto avrebbe guadagnato il paese se la Dc ci avesse ascoltato?154
A poche settimane dall’elezione alla presidenza della Repubblica, «Osservatore
politico» pubblicò un articolo dal nome I parenti di san Gennaro in cui vennero criticati
i presunti favoritismi di Leone per alcuni membri della sua famiglia. Fu il primo articolo
su Giovanni Leone.
Dal 24 dicembre scorso, giorno nel quale fu eletto il presidente della Repubblica, gli
amici ed i parenti di Giovanni Leone si vanno moltiplicando all’infinito come i pani
ed i pesci della parabola evangelistica. La schiera, sempre più imponente, già pullula
in Roma e a quanto si dice, anche la nonna e la nutrice del presidente, già adulte ai
tempi di Ferdinando II, si apprestano a marciare sul Quirinale per far parte della
cerchia di S. Gennaro […]. Anzi, si dice, che egli abbia in mente di formalizzare
giuridicamente i parenti155.
Proprio la famiglia del presidente fu la più bersagliata dal giornalista, in particolare i figli
Mauro, Giancarlo e Paolo e la giovane moglie Vittoria Michitto, come si evinse
dall’articolo Una famiglia come tante del 27 febbraio 1974.
Gli appunti maggiori, comunque, si riferiscono non tanto alla figura del Presidente
quanto alla sua famiglia e ad alcune persone delle quali ama circondarsi Mauro
Leone […]. Tuttavia, l’ormai professorino non è esente da critiche, non gode di
alcuna immunità. Mauro milita nella più sfrenata sinistra Dc; per i suoi spostamenti
154 Sette anni di guerra, «Osservatore politico», 27 giugno 1978.
155 I parenti di San Gennaro, Ivi, 4 gennaio 1972.
63
atore politico», 1968 – 1979.
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barionu il 29/04/2024, 15:26, modificato 1 volta in totale.