Quel che resterà di noi? Un oceano di megabite
Inviato: 07/04/2010, 16:27
Quel che resterà di noi? Un oceano di megabite
Esperti e scienziati riuniti a Torino per capire come salvare e selezionare le nuove fonti necessarie agli storici del futuro. In rete circolano milioni di dati che rischiano di andare perduti
Cosa resterà del presente quando sarà diventato passato? È la domanda che fa la differenza tra la civiltà e la barbarie, o meglio tra la memoria e l’oblio. I sumeri sono una civiltà perché a millenni di distanza le loro tavolette ci raccontano leggi, costumi, fatti, storie personali. I popoli delle steppe, che pure avevano una ricchissima cultura orale, ci hanno lasciato molto meno. Le loro storie, magari bellissime, sono scivolate via nel vento, spesso ne resta solo un’eco lontana. Detto questo sembrerebbe che dell’oggi, della nostra civiltà globalizzata che scrive dappertutto e continuamente, che produce film, file audio, archivi digitali e quant’altro, debba restare molto. Beh, non è detto.
Basti pensare questo: una mattonella di argilla incisa in cuneiforme è virtualmente eterna, un manoscritto in cartapecora dura centinaia di anni. Invece un nastro magnetico si deteriora in meno di venticinque anni, e i milioni di dati che circolano in rete invece possono sparire in ogni istante, basta spegnere un server. Ma non è solo una questione di «supporti», è una questione di «volume». Ogni giorno in rete circola un quantitativo di informazioni equivalente a tutto ciò che gli uomini hanno scritto nelle migliaia di secoli precedenti all’invenzione di Internet. Anche se salvassimo tutti i dati che speranze avrebbe uno studioso del futuro di rintracciare all’interno di questo oceano di bite quello che gli serve, quello che è veramente importante? Si troverebbe di fronte ad un mare sterminato, senza mappe o portolani. Non parliamo poi della difficoltà di distinguere tra informazioni veritiere e fallaci. Se un «alieno» dovesse decidere cosa è successo l’11 settembre 2001, a partire da quello che si trova su internet, avrebbe dei seri problemi. E gli storici sono sempre alieni al tempo che studiano.
Per risolvere questo nodo gordiano culturale, che rischia di uccidere la trasmissione del sapere, archivisti, informatici e sociologi si lambiccano il cervello già da una ventina d’anni. Ecco perché è particolarmente importante il convegno, promosso dalla fondazione Telecom, che si svolgerà a Torino dall’8 al 9 aprile e intitolato «2060: con quali fonti si farà la storia del nostro presente?». Nell’aula magna del politecnico si riuniranno ingegneri, storici, sociologi e archivisti proprio per discutere di «quel che resterà di noi». Gli argomenti in discussione saranno tanti: da come proteggere il patrimonio archivistico delle imprese e delle istituzioni, al successo di Facebook e dei social networks, con le centinaia di migliaia di «tracce» di memoria personale, passando per la fantascienza on line come «immaginazione del futuro» e come risorsa per modellare il presente. Ma non mancano spunti di riflessione anche più «strambi» ma che potrebbero rivelarsi importanti. Come la nuova scienza della «garbology»: disciplina di studio che si occupa dei rifiuti, concreti e immateriali, traendone informazioni per ricostruire ambienti culturali, sociali e materiali. E prima di mettersi a ridere bisogna ricordarsi che ogni essere umano ne produce centinaia di chili ogni anno: è la traccia più consistente che resterà di ognuno di noi.
Come spiega la storica Chiara Ottaviano membra del comitato scientifico e organizzativo: «Noi oggi viviamo una situazione paradossale, la memoria scompare e resta solo la comunicazione. La mole delle informazioni è enorme ma non dura. La British library sta impazzendo per capire come conservare le informazioni che si muovono sui blog. Esistono archivi come l’Internet Archive che cercano di conservare tutto quello che viene pubblicato su internet ma spesso sono istituzioni private. Se chiudono? Ma anche decidere cosa conservare è difficilissimo. Cosa tra cinquant’anni sarà un documento di storia sociale e cosa no? Siamo tutti ridotti a fare gli amanuensi: i formati elettronici cambiano continuamente e si passa il tempo a copiare...».
Qualcuno ha parlato di logica del database per descrivere questi «nuovi spazi». Ma ciò presuppone un certa inclinazione all’ordine. Ma come spiega uno dei relatori invitati al convegno, Antonio Tursi dell’università di Toronto: «La logica costruttiva del ciberspazio procede per giustapposizioni, per sovrapposizioni, quasi mai per cancellazioni. In modo assai confuso... Il lavoro dello storico sarà molto complicato. Occorrerà che egli sviluppi un senso dell’orientamento e strumenti di ricerca assai più raffinati di quelli lo hanno diretto sinora». E per rendersene conto basta pensare all’importanza della la pubblicazione degli sms inviati dalle Twin Towers l’11 settembre 2001, o alla necessità di creare il software E-puzzler per ricostruire gli archivi della Stasi nell’ex Ddr.
Problemi che oltre agli storici si pongono sempre più anche le imprese. Per Fabio Di Spirito, segretario generale della Fondazione Telecom investire in questo dibattito è stato giocoforza: «L’Archivio storico Telecom... la cui valorizzazione è uno dei compiti istituzionali di Fondazione Telecom Italia, custodisce la storia delle telecomunicazioni e della modernizzazione del nostro Paese. Da qui nasce l’idea di organizzare il convegno, come primo passo di un progetto per creare un polo di attrazione, aggregazione e riflessione sui temi della storia e della sociologia».
Fonte
http://www.ilgiornale.it/cultura/quel_c ... comments=1
Esperti e scienziati riuniti a Torino per capire come salvare e selezionare le nuove fonti necessarie agli storici del futuro. In rete circolano milioni di dati che rischiano di andare perduti
Cosa resterà del presente quando sarà diventato passato? È la domanda che fa la differenza tra la civiltà e la barbarie, o meglio tra la memoria e l’oblio. I sumeri sono una civiltà perché a millenni di distanza le loro tavolette ci raccontano leggi, costumi, fatti, storie personali. I popoli delle steppe, che pure avevano una ricchissima cultura orale, ci hanno lasciato molto meno. Le loro storie, magari bellissime, sono scivolate via nel vento, spesso ne resta solo un’eco lontana. Detto questo sembrerebbe che dell’oggi, della nostra civiltà globalizzata che scrive dappertutto e continuamente, che produce film, file audio, archivi digitali e quant’altro, debba restare molto. Beh, non è detto.
Basti pensare questo: una mattonella di argilla incisa in cuneiforme è virtualmente eterna, un manoscritto in cartapecora dura centinaia di anni. Invece un nastro magnetico si deteriora in meno di venticinque anni, e i milioni di dati che circolano in rete invece possono sparire in ogni istante, basta spegnere un server. Ma non è solo una questione di «supporti», è una questione di «volume». Ogni giorno in rete circola un quantitativo di informazioni equivalente a tutto ciò che gli uomini hanno scritto nelle migliaia di secoli precedenti all’invenzione di Internet. Anche se salvassimo tutti i dati che speranze avrebbe uno studioso del futuro di rintracciare all’interno di questo oceano di bite quello che gli serve, quello che è veramente importante? Si troverebbe di fronte ad un mare sterminato, senza mappe o portolani. Non parliamo poi della difficoltà di distinguere tra informazioni veritiere e fallaci. Se un «alieno» dovesse decidere cosa è successo l’11 settembre 2001, a partire da quello che si trova su internet, avrebbe dei seri problemi. E gli storici sono sempre alieni al tempo che studiano.
Per risolvere questo nodo gordiano culturale, che rischia di uccidere la trasmissione del sapere, archivisti, informatici e sociologi si lambiccano il cervello già da una ventina d’anni. Ecco perché è particolarmente importante il convegno, promosso dalla fondazione Telecom, che si svolgerà a Torino dall’8 al 9 aprile e intitolato «2060: con quali fonti si farà la storia del nostro presente?». Nell’aula magna del politecnico si riuniranno ingegneri, storici, sociologi e archivisti proprio per discutere di «quel che resterà di noi». Gli argomenti in discussione saranno tanti: da come proteggere il patrimonio archivistico delle imprese e delle istituzioni, al successo di Facebook e dei social networks, con le centinaia di migliaia di «tracce» di memoria personale, passando per la fantascienza on line come «immaginazione del futuro» e come risorsa per modellare il presente. Ma non mancano spunti di riflessione anche più «strambi» ma che potrebbero rivelarsi importanti. Come la nuova scienza della «garbology»: disciplina di studio che si occupa dei rifiuti, concreti e immateriali, traendone informazioni per ricostruire ambienti culturali, sociali e materiali. E prima di mettersi a ridere bisogna ricordarsi che ogni essere umano ne produce centinaia di chili ogni anno: è la traccia più consistente che resterà di ognuno di noi.
Come spiega la storica Chiara Ottaviano membra del comitato scientifico e organizzativo: «Noi oggi viviamo una situazione paradossale, la memoria scompare e resta solo la comunicazione. La mole delle informazioni è enorme ma non dura. La British library sta impazzendo per capire come conservare le informazioni che si muovono sui blog. Esistono archivi come l’Internet Archive che cercano di conservare tutto quello che viene pubblicato su internet ma spesso sono istituzioni private. Se chiudono? Ma anche decidere cosa conservare è difficilissimo. Cosa tra cinquant’anni sarà un documento di storia sociale e cosa no? Siamo tutti ridotti a fare gli amanuensi: i formati elettronici cambiano continuamente e si passa il tempo a copiare...».
Qualcuno ha parlato di logica del database per descrivere questi «nuovi spazi». Ma ciò presuppone un certa inclinazione all’ordine. Ma come spiega uno dei relatori invitati al convegno, Antonio Tursi dell’università di Toronto: «La logica costruttiva del ciberspazio procede per giustapposizioni, per sovrapposizioni, quasi mai per cancellazioni. In modo assai confuso... Il lavoro dello storico sarà molto complicato. Occorrerà che egli sviluppi un senso dell’orientamento e strumenti di ricerca assai più raffinati di quelli lo hanno diretto sinora». E per rendersene conto basta pensare all’importanza della la pubblicazione degli sms inviati dalle Twin Towers l’11 settembre 2001, o alla necessità di creare il software E-puzzler per ricostruire gli archivi della Stasi nell’ex Ddr.
Problemi che oltre agli storici si pongono sempre più anche le imprese. Per Fabio Di Spirito, segretario generale della Fondazione Telecom investire in questo dibattito è stato giocoforza: «L’Archivio storico Telecom... la cui valorizzazione è uno dei compiti istituzionali di Fondazione Telecom Italia, custodisce la storia delle telecomunicazioni e della modernizzazione del nostro Paese. Da qui nasce l’idea di organizzare il convegno, come primo passo di un progetto per creare un polo di attrazione, aggregazione e riflessione sui temi della storia e della sociologia».
Fonte
http://www.ilgiornale.it/cultura/quel_c ... comments=1