Il 13 Marzo il Pd scende in piazza contro il Decreto Salva Liste. Il 15 Aprile il Pd vota insieme al PDL il decreto salva liste.
I Democratici danno il sì alla Camera per il decreto salva-liste. No di Idv di Paola Zanca da Il Fatto
“Sì alle regole, no ai trucchi”. È il 13 marzo scorso quando il Pd, con questo slogan, manifesta contro il decreto salva-liste.
Un mese dopo, lo stesso partito, decide di salvare gli effetti di quel decreto che chiamava “truffa”.
Lo fa in nome della responsabilità istituzionale, nonostante tre giorni fa la stessa maggioranza, irresponsabilmente, non si sia nemmeno scomodata ad andare in Aula per convertire il decreto in legge.
Eppure in quella piazza sventolavano necrologi che recitavano così: “I cittadini italiani annunciano la scomparsa della democrazia, uccisa dal Governo Berlusconi il 5 marzo 2010 attraverso l'approvazione del decreto interpretativo per le elezioni regionali. I funerali si terranno il 28 e il 29 marzo 2010”.
Pare che nel Pd abbia prevalso il parere dei giuristi, secondo i quali un fiume di ricorsi avrebbe messo a rischio il risultato elettorale.
I Radicali, per esempio, avevano già avviato nel Lazio “una verifica giuridica e politica”.
La salva-effetti – che rende validi gli atti compiuti nel periodo in cui il decreto è stato in vigore – conferma la riammissione di una ventina di liste che non avevano rispettato i termini e le modalità di presentazione.
Senza la conversione del decreto, di fatto, la loro presenza sulle schede elettorali sarebbe stata nulla, così come il voto di migliaia di cittadini che su quelle liste hanno messo la croce.
Non si può, dice il Pd Gianclaudio Bressa, “vanificare l'espressione della sovranità popolare”.
Anziché punire chi ha commesso gli errori, sostiene il Pd, avremmo punito i cittadini.
Non votare la salva-effetti, prosegue Bressa, “significa annullare la certezza del diritto”.
E “senza certezza del diritto non vi è società, non c'è convivenza civile, non c'è democrazia”.
Secondo il Pd quella di ieri “è una lezione di stile”, “figlia del nostro senso dello Stato, della nostra lealtà costituzionale; ma – dice Bressa alla maggioranza – questa è la politica e voi, invece, siete più interessati alla forza”.
Va detto però che un'alternativa c'era: bastava astenersi. La maggioranza, volendo, aveva i numeri per approvarsela da sola, la salva-effetti.
Non serviva l'opposizione a dargli manforte. Qualcuno dei democratici ha alzato la mano per dirlo: 41 gli astenuti, solo tre i nomi certi tra le fila del Pd. Furio Colombo, Pasquale Ciriello e Olga D'Antona.
Solo una, la deputata Ileana Argentin, vota contro: “Votare a favore mi sembrava talmente incoerente – dice – Abbiamo esultato quando non c'è stata la conversione e ora approviamo questa sanatoria?” Già, perchè tre giorni fa è stata la stessa maggioranza a non approvare la conversione del decreto, con quello che lo stesso Bressa definisce “uno dei tonfi parlamentari più clamorosi della storia dell'Aula”: 69 assenti nel Pdl hanno fatto sì che venisse approvato l'emendamento dell’opposizione che sopprimeva il decreto.
I giuristi del Pd hanno convinto i parlamentari che senza salva-effetti ci sarebbero state molte probabilità di tornare alle urne.
Ma nel Pdl sembra prevalere un'ipotesi contraria.
Spiega Maurizio Abrignani, avvocato e responsabile elettorale del partito: “L'ipotesi di ricorsi c'era: qualcuno per esempio avrebbe potuto dire che i Verdi in Liguria sono stati ammessi sulla base di un decreto che non c'è più.
Lo stesso la lista Sgarbi nel Lazio.
Ma attenzione: per invalidare il voto bisognava provare che i voti delle liste riammesse sono stati determinanti per il risultato finale.
E mi pare che nessuna delle liste riammesse abbia influito sull'esito delle elezioni”.
Naturale che, comunque, per Abrignani dal Pd non ci sia stato un eccesso di zelo. “Quella di salvare gli effetti dei decreti non convertiti è una prassi legislativa, soprattutto in materia elettorale. E poi è un dovere morale: i cittadini hanno il diritto di aver espresso un voto valido”.
Non hanno fatto calcoli di merito, ma hanno votato pensando alla forma, i Radicali e l'Italia dei Valori. Entrambi con un no.
Dice Emma Bonino, che vota al Senato, ma è stata protagonista della battaglia per la legalità nel Lazio: “Il decreto era illegale, non vedo perchè ci sia stato bisogno di contribuire a sanare un pastrocchio”.
Ce l'ha con il Pd? “Ognuno fa le sue scelte”. Perfino la Lega, in Aula, si è sentita in dovere di giustificare il suo sì a un decreto “forzatura”, servito solo a coprire “l'incapacità di poche persone che non sanno fare il proprio lavoro”.
Il deputato leghista Pierguido Vannalli rende “onore al merito per chi è riuscito a cassare il decreto-legge” e fa “mea culpa” per la maggioranza che ha fatto “una figura barbina”.
“Chi ha consentito questo pasticcio, doveva tirarsi fuori da solo – dice il capogruppo Idv alla Camera Massimo Donadi – Non ha senso dare una mano al Pdl”.
Non usa, come ha fatto Antonio Di Pietro, la parola “inciucio”, perché è “convinto della buona fede del Pd”.
Rispetta la scelta dei democratici, anche se non la condivide: “Si confonde – dice – un presunto senso di responsabilità istituzionale con il mettere frettolosamente il coperchio sopra gli effetti aberranti di una legge aberrante”.
Ultima modifica di rmnd il 16/04/2010, 11:58, modificato 1 volta in totale.
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