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[color=blue]Federalismo
Ruini scende in campo
di Francesco Peloso
Apre un dialogo senza reticenze con la Lega Nord, e appoggia l’accelerazione sulla riforma di Marcegaglia e Formigoni.
Il federalismo è ormai una scelta irreversibile e bisogna anche valutare la possibilità di procedere a due velocità, cioè prima il nord se è più avanti, quindi le altre regioni. Il cardinale Camillo Ruini batte un colpo, ed è di quelli che si fanno sentire. Apre un dialogo senza reticenze con la Lega Nord, fa capire che la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia e il presidente della Lombardia Roberto Formigoni, hanno più di una ragione a voler rompere gli indugi sulla riforma federale quando chiedono, senza attendere oltre, di far partire prima il nord del Paese, perché è già pronto.
Alla vigilia del convengo sui 150 anni dell’unità d’Italia promosso dal “Progetto culturale” della conferenza episcopale, guidato dallo stesso Ruini, l’ex presidente dei vescovi italiani affronta alcuni dei nodi politici del Paese con estrema decisione. In un’intervista rilasciata alla Radio Vaticana, il cardinal sottile - nelle more di una crisi politica che coinvolge in pieno la maggioranza di governo e inevitabilmente la leadership berlusconiana - sceglie di interloquire in modo forte con la Lega senza rinunciare al principio base della solidarietà fra le vari parti del Paese, ma ponendo con maggior forza l’accento sull’urgenza della riforma federale dello Stato. E anche per questo ha incassato un immediato riconoscimento da parte del leader del Carroccio Umberto Bossi che, non senza ironia, ha commentato: “E pensare che prima ci voleva in galera, come cambia velocemente il mondo”. In effetti, Ruini, se da una parte ha accolto le ragioni del leghismo, allo stesso tempo ha giocato di sponda con il governatore della Lombardia individuandolo come referente privilegiato.
In ogni caso non c’è dubbio che Ruini marchi una differenza, in materia di federalismo, anche rispetto all’impostazione data fin qui al problema dal cardinale Angelo Bagnasco. Nelle parole dell’arcivescovo di Genova, infatti, l’apertura alla riforma federale si è sempre accompagnata ad un richiamo anche più forte alla necessità vitale di non dividere l’Italia, di non lasciare indietro il Meridione. Ruini, ieri, ha di fatto capovolto l’ordine dei fattori provando a ricollocare la Chiesa nel dibattito intenso di queste settimane. D’altro canto è evidente che nello stesso episcopato esistono sfumature e sensibilità differenti sul momento che attraversa il Paese. In ogni caso, oggi, sarà proprio Bagnasco ad aprire i lavori del meeting sulle celebrazioni dell’unità d’Italia. Ancora, particolare non secondario, durante i lavori del convegno che svolgeràfino a sabato, farà il suo ritorno in pubblico in grande stile Dino Boffo, fedelissimo di Ruini, defenestrato dal Giornale di Feltri, e ora di nuovo al comando di Tv 2000.
Sul federalismo le parole di Ruini sono state estremamente chiare: l’Italia, ha detto, è un “Paese molto vario, composito, anche molto ricco di individualità che non si può ingabbiare in una struttura troppo uniforme”. E tuttavia “l’importante è che questo federalismo non solo sia solidale come tutti diciamo, ma anche valorizzi positivamente e responsabilizzi le classi governanti, le classi dirigenti delle varie parti del Paese”. “Qui – ha osservato ancora il cardinale - dobbiamo dire con sincerità che ci sono diverse velocità, diverse capacità di assumere le proprie responsabilità e di gestire in modo efficace sia la cosa pubblica, sia l’iniziativa privata da parte delle classi dirigenti locali”. Insomma il cardinale accetta la sfida federalista fino in fondo, e anzi chiama la Chiesa e i cattolici a giocarla senza più incertezze, la proposta di Ruini farà certamente discutere.
Ma il porporato non si è limitato a questo e ha affrontato anche un altro tema ostico, quello di una certa vocazione all’ irriformabilità del Paese. E guardando all’attuale momento politico, il cardinale ha rilevato: “certamente le formule politiche vanno sempre adattate. Devono evolversi con l’evolversi delle situazioni. Certamente uno dei punti più deboli dell’Italia è che il Paese sembra in realtà poco riformabile”. “Si parla sempre – ha aggiunto - della necessità di riforme, di vario tipo, politiche, istituzionali, costituzionali, economiche, finanziarie, della scuola, dell’università. Si cerca di operare anche in questo senso ma, diciamo così, il tessuto connettivo dell’Italia è molto vischioso quindi difficilmente riformabile”. Dietro a tutto questo c’è un corporativismo che resiste, e però, ha spiegato il cardinale, “se si evitano tutti i cambiamenti il Paese non tiene il passo con i tempi e le conseguenze le paghiamo tutti”.[/color]