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 Oggetto del messaggio: Assange in arresto per stupro
MessaggioInviato: 18/11/2010, 11:32 
Il signor Wikileaks ha un mandato d'arresto per stupro,ora si che gli chiudono definitivamente il sito.
http://www.corriere.it/esteri/10_novemb ... aabc.shtml


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MessaggioInviato: 17/08/2012, 18:22 
WIKILEAKS – Assange risponderà ai giudici svedesi ma via web e senza uscire dall’ambasciata

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Wikileaks ha fatto la sua prima apparizione su internet nel dicembre 2006 (ansa)

Assange risponderà ai giudici svedesi ma via web e senza uscire dall’ambasciata

L’hacker australiano accetta di rispondere alla magistratura per le accuse di reati sessuali, ma lo farà attraverso VideoLink senza lasciare l’ambasciata dell’Ecuador che ieri gli ha concesso asilo politico. Quito intanto mobilita l’Onu e l’Osa contro le “minacce” britanniche

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LONDRA - Non sono le domande di un processo in Svezia per reati sessuali a spaventare Julian Assange. Ma l’estradizione in un Paese che potrebbe essere solo una tappa di passaggio verso gli Stati Uniti. E’ lì che l’uomo che ha reso pubbliche le ombre e i segreti della diplomazia mondiale rischia un processo per alto tradimento e persino la pena di morte. Se la Svezia deve interrogarlo, Assange è disposto a rispondere, ma intende farlo via web dall’ambasciata dell’Ecuador, dove è rifugiato dal 19 giugno 1, ospite di un governo che ieri gli ha concesso asilo politico 2. Per giurare di dire la verità e dare la sua versione dei fatti che gli vengono contestati in Svezia, il fondatore di WikiLeaks userà internet, comparendo davanti ai giudici tramite VideoLink. A confermare la disponibilità dell’hacker australiano è stato il portavoce di Wikileaks, Kristinn Hrafnsson.

Assange resta dunque dietro le mura della sede diplomatica dell’Ecuador nel quartiere londinese di Knightsbridge. Non può uscire, perché se mettesse un piede fuori dalla sede, tuttora circondata dai suoi sostenitori, ma anche da giornalisti e poliziotti, rischia di essere arrestato. Assange ha annunciato che farà una dichiarazione in diretta domenica alle 14 (le 15 in Italia) davanti all’ambasciata ecuadoregna. Sarà la prima apparizione pubblica da marzo.

Il problema resta la posizione del Regno Unito. Nonostante non abbia più minacciato alcun raid all’ambasciata dell’Ecuador per arrestare Assange, la Gran Bretagna è determinata a portare a termine il processo di estradizione in Svezia. Secondo il ministro degli Esteri britannico, William Hague, l’asilo politico non deve essere usato per aggirare un procedimento giudiziario, e l’empasse su Assange rischia di protrarsi per parecchio tempo. Hague ha spiegato che il fondatore di WikiLeaks deve rispondere di “gravi accuse” in un Paese che “ha i più alti standard legali” e dove “i suoi diritti sono rispettati”.

Dopo aver concesso l’asilo politico, oggi il Parlamento dell’Ecuador ha intanto chiesto al governo di sollecitare una riunione del Consiglio di sicurezza dell’Onu per evitare che la Gran Bretagna usi la forza e entri nell’ambasciata di Quito a Londra. L’Assemblea nazionale ha respinto la “minaccia” della Gran Bretagna e ha esortato gli ecuadoriani a unirsi a difesa della sovranità nazionale. Inoltre ha richiesto, tramite la rappresentante María Isabel Salvador, una riunione urgente dei ministri degli Esteri dell’Organizzazione degli Stati Americani (Osa) per discutere delle “minacce da parte del Regno Unito contro l’Ecuador”.

A fianco della decisione di Quito si è subito schierata l’Argentina, i cui rapporti con Londra sono tesi per la rianimata controversia sulle isole Falkland-Malvinas. Solidale anche il Venezuela. Stati Uniti e Canada sono contrari, affermando che la questione non riguarda l’Osa. Per la convocazione di una riunione urgente dei ministri degli Esteri, serve il parere positivo della maggioranza assoluta dei Paesi membri. Il Consiglio permanente dell’Osa si riunirà oggi alle 15 (le 21 in Italia) a Washington per decidere se convocare un meeting di consultazione per il 23 agosto. Domani sulla stessa questione si dovrebbe riunire l’Alba (Alleanza bolivariana per l’America), mentre domenica toccherà all’Unasur (Unione degli Stati sudamericani), che terrà un incontro a Guayaquil, in Ecuador.

Source: WIKILEAKS – Assange risponde...ata « Solleviamoci’s Weblog


Ultima modifica di Wolframio il 17/08/2012, 18:26, modificato 1 volta in totale.


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MessaggioInviato: 17/08/2012, 18:28 
Non è meglio proseguire sul topic di wikileaks?


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MessaggioInviato: 17/08/2012, 18:34 
Forse si forse no. qui si parla della denuncia per stupro e non di Wikileaks



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MessaggioInviato: 17/08/2012, 18:55 
Voglio vedere come farà ad uscire !!!!!! Considerando l' importanza che puo avere l' ambasciata ecuadoregna non vedo molte speranza, questi sono capaci di fare irruzione. Se fosse stata un altra ambasciata forse se la sarebbe cavata.



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MessaggioInviato: 17/08/2012, 18:56 
Cita:
Sheenky ha scritto:

Non è meglio proseguire sul topic di wikileaks?


Penso sia meglio. Ci pensi tu? [:D]



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MessaggioInviato: 18/08/2012, 06:36 
LIVE STREAM Ecuadorian Embassy 24/7
Telecamera puntata in diretta sull'ambasciata




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http://www.ustream.tv/channel/aejkohl



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MessaggioInviato: 24/08/2012, 11:22 
Londra: non e' da escludere un attacco all'ambasciata dell'Equador per catturare Assange!

L’intellettuale statunitense Noam Chomsky non scarta la possibilità che il Regno Unito potrebbe arrischiarsi a entrare nell’Ambasciata dell’Ecuador a Londra per catturare il giornalista e fondatore di Wikileaks, Julian Assange.

In un ‘intervista concessa a Jose Maria Léon, del sito http://www.gkilcity.com, Chomsky espone la sua posizione sul ruolo dello stato riguardo al modo in cui tratta i mezzi di informazione e sulla probabile intenzione dell’Inghilterra di logorare Assange, in modo che egli – stanco e annoiato di stare in una modesta stanza – sarebbe costretto a lasciare la sede diplomatica.

Qui riportiamo una parte dell’intervista pubblicata sul sito già citato. Il documento completo si trova a questo indirizzo: http://bit/ly/OidZJ1.

Oggi il governo degli Stati Uniti ha rilasciato una dichiarazione in cui afferma che questa faccenda è un problema tra i Britannici, gli Ecuadoriani, e gli Svedesi. Trova onesto questo argomento? Agli Stati Uniti realmente non interessa la lealtà di Julian Assange?

Questa affermazione, non può proprio essere presa sul serio. L’ombra che incombe su tutta questa faccenda è la previsione che la Svezia manderebbe rapidamente Assange negli Stati Uniti, dove le probabilità che riceva un processo giusto sono praticamente nulle. Tutto questo è evidente dal trattamento brutale e illegale subito da Bradley Manning e dall’isterismo generale del governo e dei mezzi di informazione riguardo ad Assange. A parte questi fatti, secondo coloro che credono che i cittadini hanno il diritto di sapere che cosa programma e fa il loro governo – cioè secondo coloro che hanno un affetto tenace per la democrazia, Assange non dovrebbe affrontare un processo, ma gli si dovrebbe piuttosto offrire una medaglia d’onore.

In un intervista con Amy Goodman, di Democracy Now!, Lei ha affermato che il principale motivo dei segreti dei governi è di proteggere i governi dal loro popolo. Per la prima volta nella storia, il mondo ha visto i reali colori della diplomazia.

Chiunque esamini documenti declassificati (documenti che non sono più classificati come segreti e che disponibili per consultazione, n.d.t.), si rende subito conto che la segretezza del governo è in gran parte uno sforzo per proteggere coloro che definiscono le politiche, dal controllo dei cittadini, non per proteggere il paese dai nemici. Indubbiamente la segretezza talvolta ha delle giustificazioni, ma è raro che accada, e nel caso delle rivelazioni di Wikileaks, non ne ho visto neanche un esempio.

Questa, tuttavia, è assolutamente la prima volta che “i veri colori della diplomazia” sono stati rivelati da documenti pubblicati. Il caso dei Pentagon Papers* è famoso. La verità della faccenda è che è costante. I resoconti rivelati perfino in documenti ufficialmente declassificati sono spesso molto sconvolgenti, ma sono raramente noti al grande pubblico, o anche alla maggior parte degli eruditi.

Sull’argomento specifico dell’asilo offerto dall’Ecuador ad Assange, si è sostenuto che il governo ecuadoriano ha mostrato ambiguità verso la libertà di stampa: da una parte continuano ad avere un costante confronto retorico (che è stato portato in tribunale, come è successo per la causa contro il giornale El Universo e i giornalisti [ecuadoriani] Juan Carlos Calderón e Christian Zurita, autori del libro Big Brother) e dall’altra danno asilo a Julian Assange. Anche lei veda una contraddizione in questo? Oppure ne dà una diversa interpretazione?

Personalmente, penso che soltanto in circostanze estreme il potere dello stato dovrebbe essere usato per ridurre la libertà di stampa, indipendentemente da quanto possa essere vergognosa e corrotta la condotta dei mezzi di informazione. E indubbiamente ci sono abusi molto gravi – per esempio quando le leggi della Gran Bretagna sulla diffamazione sono state usate da un’importante azienda editoriale di mezzi di informazione per distruggere un piccolo giornale dissidente che aveva pubblicato una critica a una delle loro storie; è stato uno scandalo internazionale, accaduto pochi anni fa, senza destare quasi nessuna reazione critica. Il caso dell’Ecuador deve essere esaminato nei suoi meriti propri, ma qualunque sarà la conclusione, non avrà alcuna rilevanza per la concessione dell’asilo ad Assange, proprio come la vergognosa soppressione della libertà di stampa in Gran Bretagna che ho appena citato, non avrebbe alcuna rilevanza a proposito della concessione da parte della Gran Bretagna del diritto di asilo a qualcuno che giustamente temeva di essere perseguitato. Nessuno sosterrebbe mai il contrario, nel caso si trattasse di un potente stato occidentale.

E, dato che parliamo di ambiguità, si usano due pesi e due misure nell’applicazione della legge da parte dei Britannici, dall’epoca del caso di Pinochet a cui l’estradizione richiesta (dal giudice) Baltazar Garzón è stata negata?

La misura che vale ora è la subordinazione agli interessi del potere. C’è raramente una deviazione da questa regola.

Quale è, secondo lei, il futuro immediato del caso Assange? La polizia britannica assalterà l’ambasciata dell’Ecuador, Assange potrà lasciare il Regno Unito e, in seguito, rimarrà in pericolo anche se riuscirà ad arrivare in Ecuador?

Non c’è praticamente alcuna possibilità che Assange lasci il Regno Unito o l’ambasciata. Dubiterei che la Gran Bretagna possa fare irruzione nell’ambasciata, una violazione radicale della legge internazionale, ma non si può escludere. Vale la pena, per esempio, ricordare l’assalto all’ambasciata del Vaticano fatto dalle forze statunitensi dopo che avevano invaso Panama, nel 1989. Le grandi potenze di solito si considerano immuni alla legge internazionale e le classi colte di solito proteggono questa posizione. La mia ipotesi è che la Gran Bretagna aspetterà fino a quando Assange non potrà più sopportare di essere confinato in una stanzetta dell’ambasciata che in realtà è un appartamento di proporzioni modeste.

Per parlare di un aspetto più ampio, e per finire questa intervista, Slavoj Zizek ha detto che non stiamo distruggendo il capitalismo, ma soltanto assistendo a come il sistema si sta auto distruggendo. I movimenti Occupy, la crisi finanziaria in Europa e negli Stati Uniti, l’ascesa dell’America Latina e di altre regioni che una volta erano ai margini e il caso Wikileaks sono segni della fine del sistema capitalista che si sta sbriciolando?

Lungi da questo. La crisi finanziaria europea si potrebbe risolvere ma viene usata come leva per indebolire il contratto sociale europeo; è fondamentalmente un caso di guerra di classe. Il rendiconto della Federal Reserve degli Stati Uniti (la Banca centrale) è migliore di quello della sua controparte europea, ma è ancora troppo limitato e ci sarebbero anche altre misure possibili per alleviare la grave crisi negli Stati Uniti, una crisi di disoccupazione, principalmente. Per tutta la popolazione la disoccupazione è la preoccupazione più grande, ma le istituzioni finanziarie, che hanno una posizione dominante nell’economia e nel sistema politico, sono più interessate a ridurre il deficit, e le loro preoccupazioni prevalgono sul resto. In generale, c’è un enorme differenza tra la volontà pubblica e la politica. Questo è soltanto un caso. L’ascesa dell’America Latina è un fenomeno di importanza storica ma certo non basta a scuotere il sistema capitalista statale. E mentre Wikileaks e i movimenti Occupy sono un fastidio per i potenti e una manna per la gente – non sono certo una minaccia per i sistemi di potere in carica.


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MessaggioInviato: 24/08/2012, 20:14 
Attacco alla repubblica dell'Equador

Oggi parliamo di geo-politica e di libera informazione in rete.

Tutto ciò che sta accadendo oggi, tecnicamente (nel senso di “politicamente”) è iniziato il 12 dicembre del 2008. Secondo altri, invece, sarebbe iniziato nel settembre di quell’anno. Ma ci volevano almeno quattro anni prima che l’onda d’urto arrivasse in Europa e in Usa.

Forse è meglio cominciare dall’inizio per spiegare gli accadimenti.

Anzi, è meglio cominciare dalla fine.

Con qualche specifica domanda, che –è molto probabile- pochi in Europa si sono posti.

Mi riferisco qui alla questione di Jules Assange, wikileaks, e la Repubblica di Ecuador.

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Perché il caso esplode, oggi?

Perché, Jules Assange, ha scelto un minuscolo, nonché pacifico, staterello del Sudamerica che conta poco o nulla?

Come mai la corona dell’impero britannico perde la testa e si fa prendere a schiaffi davanti al mondo intero da un certo signor Patino, ministro degli esteri ecuadoregno, per gli euro-atlantici un vero e proprio Signor Nessuno, il quale ha dato una risposta alla super elite planetaria (cioè il Foreign Office di Sua Maestà) tale per cui, cinque anni fa avrebbe prodotto soltanto omeriche risate di pena e disprezzo, mentre oggi li costringe ad abbozzare, ritrattare, scusarsi davanti al mondo intero?

Perché l’Ecuador? Perché, adesso?

Tutto era più che prevedibile, nonché scontato.

Intendiamoci: era scontato in tutto il continente americano, in Australia, Nuova Zelanda, Danimarca, paesi scandinavi. In Europa e a Washington pensavano che il mondo fosse lo stesso di dieci anni fa. Perché l’Europa –e soprattutto l’Italia- è al 100% eurocentrica, vive sotto un costante bombardamento mediatico semi-dittatoriale, non ha la minima idea di ciò che accade nel resto del mondo, ma (quel che più conta) pensa ancora come nel 1812, ovvero: “se crolla l’Europa crolla il mondo intero; se crolla l’euro e l’Europa si disintegra scompare la civiltà nel mondo” e ragiona ancora in termini coloniali. Ma il mondo non funziona più così. In Italia, ad esempio, nessuno è informato sulla zuffa (che sta già diventando rissa) tra il Brasile e l’Onu, malamente gestita da Christine Lagarde, la persona che presiede il Fondo Monetario Internazionale, e che ruota intorno all’applicazione base di un concetto formale, banale, quasi sciocco, ma che potrebbe avere ripercussioni psico-simboliche immense: l’Italia è stata ufficialmente retrocessa. Non è più l’ottava potenza al mondo, bensì la nona. E’ stata superata dal Brasile. Quindi al prossimo G8 l’Italia non verrà invitata, ma ci andrà il Brasile. Da cui la scelta di abolire il G8 trasformandolo in G10 standard. Si stanno scannando.

La prima notizia Vera (per chi vuole ricavare informazioni reali dal mondo reale) è questa: “L’Europa, con l’Inghilterra e Germania in testa, non possono (non vogliono) accettare il trionfo keynesiano del Sudamerica e la loro irruzione nel teatro della Storia come soggetti politici autonomi. Per loro vale il principio per cui “che se ne stiano a casa loro, non rompano, e ringrazino il cielo che li facciamo anche sopravvivere, come facciamo con gli africani. Altrimenti, da quelle parti, uno per uno faranno la fine di Gheddafi”. Il messaggio in sintesi è questo.

Dal Sudamerica negli ultimi quaranta giorni sono arrivati tre potentissimi messaggi in risposta: niente è stato pubblicizzato in Europa. Tanto meno l’ultimo (il più importante) in data 3 agosto, se non altro per il fatto che era in diretta televisiva dalla sede di New York del Fondo Monetario Internazionale. Nessuno lo ha trasmesso in Europa, ad esclusione del Regno di Danimarca. E così, preso atto che esiste una compattezza mediatica planetaria di censura, e avendo preso atto che se non se ne parla la televisione, non c’è in rete e non si trovano notizie su wikipedia, allora vuol dire che non esiste, il Sudamerica ha scelto il palcoscenico mediatico globale più intelligente in assoluto: il cuore della finanza oligarchica planetaria, la city di Londra.

E adesso veniamo ai fatti.

Jules Assange, il 15 giugno del 2012 capisce che per lui è finita. Si trova a Londra. Gli agenti inglesi l’arresteranno la settimana dopo, lo porteranno a Stoccolma, dove all’aereoporto non verrà prelevato dalle forze di polizia di Sua Maestà la regina di Svezia, bensì da due ufficiali della Cia, e un diplomatico statunitense, i quali avvalendosi di specifici accordi formali sanciti tra le due nazioni farà prevalere il “diritto di opzione militare in caso di conflitto bellico dichiarato” sostenendo che Jules Assange è “intervenuto attivamente” all’interno del conflitto Nato-Iraq mentre la guerra era in corso. Lo porteranno direttamente in Usa, nello Stato del Texas, dove verrà sottoposto a processo penale per attività terroristiche, chiedendo per lui l’applicazione della pena di morte sulla base dell’applicazione del Patriot Act Law. Si consulta con il suo gruppo, fanno la scelta giusta dopo tre giorni di vorticosi scambi di informazioni in tutto il pianeta. “vai all’ambasciata dell’Ecuador a piedi, con la metropolitana, stai lì”. Alle 9 del mattino del 19 giugno entra nell’ambasciata dell’Ecuador. Nessuna notizia, non lo sa nessuno. Il suo gruppo apre una trattativa con gli agenti inglesi a Londra, con gli svedesi a Stoccolma e con i diplomatici americani a Rio de Janeiro. Raggiungono un accordo: “evitiamo rischio di attentati e facciamo passare le olimpiadi, il 13 agosto se ne può andare in Sudamerica, facciamo tutto in silenzio, basta che non se ne parli”. I suoi accettano, ma allo stesso tempo non si fidano (giustamente) degli anglo-americani. Si danno da fare e mettono a segno due favolosi colpi. Il primo avviene il 3 agosto, il secondo il 4.

Il 3 agosto 2012, con un anticipo rispetto alla scadenza di 16 mesi, la presidente della Repubblica Argentina, Cristina Kirchner, si presenta alla sede di Manhattan del Fondo Monetario Internazionale accompagnata dal suo ministro dell’economia e dal ministro degli esteri ecuadoregno, Patino, in rappresentanza di “Alba” (acronimo che sta per Alianza Laburista Bolivariana America”) l’unione economica tra Ecuador, Colombia e Venezuela. In tale occasione, la Kirchner si fa fotografare e riprendere dalle televisioni con un gigantesco cartellone che mostra un assegno di 12 miliardi di euro intestato al Fondo Monetario Internazionale con scadenza 31 dicembre 2013, che il governo argentino ha versato poche ore prima. “Con questa tranche, la Repubblica Argentina ha dimostrato di essere solvibile, di essere una nazione responsabile, attendibile e affidabile per chiunque voglia investire i propri soldi. Nel 2003 andammo in default per 112 miliardi di dollari, ma ci rifiutammo di chiedere la cancellazione del debito: scegliemmo semplicemente la dichiarazione ufficiale di bancarotta e chiedemmo dieci anni di tempo per restituire i soldi a tutti, compresi gli interessi. Per dieci, lunghi anni, abbiamo vissuto nel limbo. Per dieci, lunghi anni, abbiamo protestato, contestato e combattuto contro le decisioni del Fondo Monetario Internazionale che voleva imporci misure restrittive di rigore economico sostenendo che fosse l’unica strada. Noi abbiamo seguito una strada diversa, opposta: quella del keynesismo basato sul bilancio sociale, sul benessere equo sostenibile e sugli investimenti in infrastrutture, ricerca, innovazione, investendo invece di tagliare. Abbiamo risolto i nostri problemi. Ci siamo ripresi. Non solo. Siamo oggi in grado di saldare l’ultima tranche con 16 mesi di anticipo. Le idee del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale in materia economica sono idee errate, sbagliate. Lo erano allora lo sono ancor di più oggi: Chi vuole operare, imprendere, creare lavoro e ricchezza, è benvenuto in Argentina: siamo una nazione che ha dimostrato di essere solvibile, quindi pretendiamo rispetto e fedeltà alle norme e alle regole, da parte di tutti, dato che abbiamo dimostrato, noi per primi, di rispettare i dispositivi del diritto internazionale……” ecc. Subito dopo (cioè 15 minuti dopo) la Kirchner ha presentato una denuncia formale contro la Gran Bretagna e gli Usa al WTO (World Trade Organization) la più importante associazione planetaria di scambi commerciali coinvolgendo il Fondo Monetario Internazionale grazie ai files messi a disposizione da Wikileaks, cioè Assange. L’Argentina ha saldato i debiti, ma adesso vuole i danni. Con gli interessi composti. “Volevano questo, bene, l’hanno ottenuto. Adesso che paghino”. E’ una lotta tra la Kirchner e la Lagarde. Le due Cristine duellano da un anno impietosamente. Grazie (o per colpa) di Assange, dato che il suo gruppo ha tutte le trascrizioni di diverse conversazioni in diverse cancellerie del globo, che coinvolgono gli Usa, la Gran Bretagna, la Francia, l’Italia, la Germania, il Vaticano, dove l’economia la fa da padrone: Osama Bin Laden è stato mandato in soffitta e sostituito da John Maynard Keynes, lui è diventato il nemico pubblico numero uno delle grandi potenze; in queste lunghe conversazioni si parla di come mettere in ginocchio le economie sudamericane, come portar via le loro risorse energetiche, come impedir loro di riprendersi e crescere, come fare per impedire ai loro governi di far passare i piani economici keynesiani applicando invece i dettami del Fondo Monetario Internazionale il cui unico scopo consiste nel praticare una politica neo-colonialista a vantaggio soprattutto di Spagna, Italia e Germania, con capitali inglesi. Gran parte dei file già resi pubblici su internet. Gran parte dei file, gentilmente offerti da Assange all’ambasciatore in Gran Bretagna dell’Ecuador, il quale -siamo sempre il 3 agosto a New York- ricorda chi rappresenta e che cosa ha fatto l’Ecuador, ovvero la prima nazione del continente americano, e unica nazione nel mondo occidentale dal 1948, ad aver applicato il concetto di “debito immorale” ovvero “il rifiuto politico e tecnico di saldare alla comunità internazionale i debiti consolidati dello Stato perché ottenuti dai precedenti governi attraverso la corruzione, la violazione dello Stato di Dirirtto, la violazione di norme costituzionali”. Il 12 dicembre del 2008, infatti, il neo presidente del governo dell’Ecuador Rafael Correa (pil intorno ai 50 miliardi di euro, pari a 30 volte di meno dell’Italia) dichiara ufficialmente in diretta televisiva in tutto il continente americano (l’Europa non ha mai trasmesso neppure un fotogramma e difficilmente si trova nella rete europea materiale visivo) di “aver deciso di cancellare il debito nazionale considerandolo immondo, perché immorale; hanno alterato la costituzione per opprimere il popolo raccontando il falso. Hanno fatto credere che ciò chè è Legge, cioè legittimo, è giusto. Non è così: da oggi in terra d’Ecuador vale il nuovo principio costituzionale per cui ciò che è giusto per la collettività allora diventa legittimo”. Cifra del debito: 11 miliardi di euro. Il Fondo Monetario Internazionale fa cancellare l’Ecuador dal nòvero delle nazioni civili: non avrà mai più aiuti di nessun genere da nessuno “Il paese va isolato” dichiara Dominique Strauss Kahn, allora segretario del Fondo Monetario.. Il paese è in ginocchio. Il giorno dopo, Hugo Chavez annuncia ufficialmente che darà il proprio contributo dando petrolio e gas gratis all’Ecuador per dieci anni. Quattro ore più tardi, il presidente Lula annuncia in televisione che darà gratis 100 tonnellate al giorno di grano, riso, soya e frutta per nutrire la popolazione, finchè la nazione non si sarà ripresa. La sera, l’Argentina annuncia che darà il 3% della propria produzione di carne bovina di prima scelta gratis all’Ecuador per garantire la quantità di proteine per la popolazione. Il mattino dopo, in Bolivia, Evo Morales annuncia di aver legalizzato la cocaina considerandola produzione nazionale e bene collettivo. Tassa i produttori di foglie di coca e offre all’Ecuador un prestito di 5 miliardi di euro a tasso zero restituibile in dieci anni in 120 rate. Due giorni dopo, l’Ecuador denuncia la United Fruit Company e la Del Monte & Associates per “schiavismo e crimini contro l’umanità”, nazionalizza l’industria agricola delle banane (l’Ecuador è il primo produttore al mondi di banane) e lancia un piano nazionale di investimento di agricoltura biologica ecologica pura. Dieci giorni dopo, i verdi bavaresi, i verdi dello Schleswig Holstein, in Italia la Conad, e in Danimarca la Haagen Daaz, si dichiarano disponibili a firmare subito dei contratti decennali di acquisto della produzione di banane attraverso regolari tratte finanziarie pagate in euro che possono essere scontate subito alla borsa delle merci di Chicago. Il 20 dicembre del 2008, facendosi carico della protesta della United Fruit Company, il presidente George Bush (già deposto ma in carica formale fino al 17 gennaio 2009) dichiara “nulla e criminale la decisione dell’Ecuador” annunciando la richiesta di espulsione del paese dall’Onu: “siamo pronti anche a una opzione militare per salvaguardare gli interessi statunitensi”. Il mattino dopo, il potente studio legale di New York Goldberg & Goldberg presenta una memoria difensiva sostenendo che c’è un precedente legale. Sei ore dopo, gli Usa si arrendono e impongono alla comunità internazionale l’accettazione e la legittimità del concetto di “debito immorale”. La United Fruit company viene provata come “multinazionale che pratica sistematicamente la corruzione politica” e condannata a pagare danni per 6 miliardi di euro. Da notare che il “precedente legale” (tuttora ignoto a gran parte degli europei) è datato 4 gennaio 2003 a firma George Bush. Eh già. E’ accaduto in Iraq, che in quel momento risultava “tecnicamente” possedimento americano in quanto occupato dai marines con governo provvisorio non ancora riconosciuto dall’Onu. Saddam Hussein aveva lasciato debiti per 250 miliardi di euro (di cui 40 miliardi di euro nei confronti dell’Italia grazie alle manovre di Taraq Aziz, vice di Hussein e uomo dell’opus dei fedele al vaticano) che gli Usa cancellano applicando il concetto di “debito immorale” e quindi aprendo la strada a un precedente storico recente. Gli avvocati newyorchesi dell’Ecuador offrono al governo americano una scelta: o accettano e stanno zitti oppure se si annulla la decisione dell’Ecuador allora si annulla anche quella dell’Iraq e quindi il tesoro Usa deve pagare subito i 250 miliardi di euro a tutti compresi gli interessi composti per quattro anni. Obama, non ancora insediato ma già eletto, impone a Bush di gettare la spugna. La solida parcella degli avvocati newyorchesi viene pagata dal governo brasiliano.

Nasce allora il Sudamerica moderno.

E cresce e si diffonde il mito di Rafael Correa, presidente eletto dell’Ecuador. Non un contadino indio come Morales, un sindacalista come Lula, un operaio degli altiforni come Chavez. Tutt’altra pasta. Proveniente da una famiglia dell’alta borghesia caraibica, è un intellettuale cattolico. Laureato in economia e pianificazione economica a Harvard, cattolico credente e molto osservante, si auto-definisce “cristiano-socialista come Gesù Cristo, sempre schierato dalla parte di chi ha bisogno e soffre”. Il suo primo atto ufficiale consiste nel congelare tutti i conti correnti dello Ior nella banche cattoliche di Quito e tale cifra viene dirottata in un programma di welfare sociale per i ceti più disagiati. Fa arrestare l’intera classe politica del precedente governo che viene sottoposta a regolare processo. Finiscono tutti in carcere, media di dieci anni a testa con il massimo rigore. Beni confiscati, proprietà nazionalizzate e ridistribuite in cooperative agricole ecologiche. Invia una lettera a papa Ratzinger dove si dichiara “sempre umile servo di Sua Illuminata Santità” dove chiede ufficialmente che il vaticano invii in Ecuador soltanto “religiosi dotati di profonda spiritualità e desiderosi di confortare i bisognosi evitando gli affaristi che finirebbero sotto il rigore della Legge degli uomini”.

Tutto ciò lo si può raccontare oggi, grazie alla bella pensata del Foreign Office, andati nel pallone. In tutto il pianeta Terra, oggi, si parla di Rafael Correa, dell’Ecuador, del debito immorale, del nuovo Sudamerica che ha detto no al colonialismo e alla servitù alle multinazionali europee e statunitensi.

In Italia lo faccio io sperando di essere soltanto uno dei tanti.

Questo, per spiegare “perché l’Ecuador”.

E’ un chiaro segnale che il gruppo di Assange sta dando a chi vuol capire e comprendere che TINA è un Falso. Non è vero che non esiste alternativa. Per 400 anni, da quando gli europei scoprirono le banane ricche di potassio, gli ecuadoregni hanno vissuto nella povertà, nello sfruttamento, nell’indigenza, mentre per centinaia di anni un gruppo di efferati oligarchi si arricchiva alle loro spalle. Non è più così. E non lo sarà mai più. A meno che non finiscano per vincere Mitt Romney, Mario Draghi, Mario Monti, David Cameron e l’oligarchia finanziaria. L’esempio dell’Ecuador è vivo, può essere replicato in ogni nazione africana o asiatica del mondo.

Anche in Europa.

Per questo Jules Assange ha scelto l’Ecuador.

Ma non basta.

Il colpo decisivo al sistema viene dato da una notizia esplosiva resa pubblica (non a caso) il 4 agosto del 2012. “Jules Assange ha firmato il contratto di delega con il magistrato spagnolo Garzòn che ne rappresenta i diritti legali a tutti gli effetti e in ogni nazione del globo”.

Ma chi è Garzòn?

E’ il nemico pubblico numero uno della criminalità organizzata.

E’ il nemico pubblico numero uno dell’opus dei.

E’ il più feroce nemico di Silvio Berlusconi.

E’ in assoluto il nemico più pericoloso per il sistema bancario mondiale.

Magistrato spagnolo con 35 anni di attività ed esperienza alle spalle, responsabile della procura reale di Madrid, ha avuto tra le mani i più importanti processi spagnoli degli ultimi 25 anni. Esperto in “media & finanza” e soprattutto grande esperto in incroci azionari e finanziari, salì alla ribalta internazionale nel 1993 perché presentò all’interpol una denuncia contro Silvio Berlusconi e Fedele Confalonieri (chiedendone l’arresto) relativa a Telecinco, Pentafilm, Fininvest, reteitalia e Le cinq da cui veniva fuori che la Pentafilm (Berlusconi e Cecchi Gori soci, cioè Pd e PDL insieme) acquistava a 100 $ i diritti di un film alla Columbia Pictures che rivendeva a 500$ alla telecinco che li rivendeva a 1000$ a rete Italia che poi in ultima istanza vendeva a 2000$ alla Rai, in ben 142 casi tre volte: li ha venduti sia a Rai1 che a Ra2 che a Rai3. Lo stesso film. Cioè la Rai (ovvero noi) ha pagato i diritti di un film 20 volte il valore di mercato e l’ha acquistato tre volte, così tutti i partiti erano presenti alla pari. Quando si arrivò al nocciolo definitivo della faccenda, Berlusconi era presidente del consiglio, quindi Garzòn venne fermato dall’Unione Europea. Ottenne una mezza vittoria. Chiuse la telecinco e finirono in galera i manager spagnoli. Ma Berlusconi rientrò dalla finestra nel 2003 come Mediaset. Si riaprì la battaglia, Garzòn stava sempre lì. Nel 2006 pensava di avercela fatta ma il governo italiano di allora (Prodi & co.) aiutò Berlusconi a uscirne. Nel 2004 aprì un incartamento contro papa Woytila e contro il managament dello Ior in Spagna e in Argentina, in relazione al finanziamento e sostegno da parte del vaticano delle giunte militari di Pinochet e Videla in Sudamerica. Nel 2010 Garzòn si dimise andando in pensione ma aprì uno studio di diritto internazionale dedicato esclusivamente a “media & finanza” con sede all’Aja in Olanda. E’ il magistrato che è andato a mettere il naso negli affari più scottanti, in campo mediatico, dell’Europa, degli ultimi venti anni. In quanto legale ufficiale di Assange, il giudice Garzòn ha l’accesso ai 145.000 file ancora in possesso di Jules Assange che non sono stati resi pubblici. Ha già fatto sapere che il suo studio è pronto a denunciare diversi capi di stato occidentali al tribunale dei diritti civili con sede all’Aja. L’accusa sarà “crimini contro l’umanità, crimini contro la dignità della persona”.

La battaglia è dunque aperta.

E sarà decisiva soprattutto per il futuro della libertà in rete.

In Usa non fanno mistero del fatto che lo vogliono morto. Anche gli inglesi.

Ma hanno non pochi guai perché, nel frattempo, nonostante sia abbastanza paranoico (e ne ha ben donde) Assange ha provveduto a tirar su un gruppo planetario che si occupa di contro-informazione (vera non quella italiana). I suoi esponenti sono anonimi. Nessuno sa chi siano. Non hanno un sito identificato. Semplicemente immettono in rete dati, notizie, informazioni, eventi. Poi, chi vuole sapere sa dove cercare e chi vuole capire capisce.

Quando la temperatura si alza, va da sé, il tutto viene in superficie.

E allora si balla tutti.

In Sudamerica, oggi, la chiamano “British dance”.

Speriamo soltanto che non abbia seguiti dolorosi o sanguinosi.

Per questo Assange sta dentro l’ambasciata dell’Ecuador.

Per questo Garzòn lo difende.

Per questo, questa storia relativa al Sudamerica, va raccontata.

Per questo l’Impero Britannico ha perso la testa e lo vuole far fuori.

Perché Assange ha accesso a materiale di fonte diretta.

E il solo fatto di dirlo, e divulgarlo, scopre le carte a chi governa, e ricorda alla gente che siamo dentro una Guerra Invisibile Mediatica.

Non sanno come fare a fermare la diffusione di informazioni su ciò che accade nel mondo.

Finora gli è andata bene, rimbecillendo e addormentando l’umanità.

Ma nel caso ci si risvegliasse, per il potere sarebbero dolori davvero imbarazzanti.

Wikileaks non va letto come gossip.

Non lo è.

C’è gente che per immettere una informazione da un anonimo internet point a Canberra, Bogotà o Saint Tropez, rischia anche la pelle.

Questi anonimi meritano il nostro rispetto.

E ci ricordano anche che non potremo più dire, domani “ma noi non sapevamo”.

Chi vuole sapere, oggi, è ben servito. Basta cercare.

Se poi, con questo Sapere un internauta non ne fa nulla, è una sua scelta.

Tradotto vuol dire: finchè non mandiamo a casa l’immonda classe politica che mal ci rappresenta, le chiacchiere rimarranno a zero. Perché ormai sappiamo tutti come stanno le cose.

Altrimenti, non ci si può lamentare o sorprendersi che in Italia nessuno abbia mai parlato prima dell’Ecuador, di Rafael Correa, di ciò che accade in Sudamerica, dello scontro furibondo in atto tra la presidente argentina e brasiliana da una parte e Christine Lagarde e la Merkel dall’altra.

Perché stupirsi, quindi, che gli inglesi vogliano invadere un’ambasciata straniera?

Non era mai accaduto neppure nei momenti più bollenti della cosiddetta Guerra Fredda.

Come dicono in Sudamerica quando si chiede “ma che fanno in Europa, che succede lì?”

Ormai si risponde dovunque “In Europa dormono. Non sanno che la vita esiste”.

Source: Mondo Tempo Reale: Attacco alla repubblica dell'Equador

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Tratto da: http://www.nexusedizioni.it/apri/Argome ... LL-ECUADOR

Articolo rimosso

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A quello che penso, trovo sempre una conferma.
Voi pensate quello che volete [:(]

[BBvideo]http://www.youtube.com/watch?v=Iy1p_uiIgtg[/BBvideo]


Ultima modifica di Wolframio il 24/08/2012, 20:21, modificato 1 volta in totale.


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