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 Oggetto del messaggio: Re: Rivolte e rivoluzioni infiammano il mondo
MessaggioInviato: 08/01/2018, 17:15 
ah ecco mentre quando la gente protesta dalle altre parti lo fa contro un REGIME in Istraele è democrazia... Doppiopesismo e miopia.



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 Oggetto del messaggio: Re: Rivolte e rivoluzioni infiammano il mondo
MessaggioInviato: 08/01/2018, 17:19 
MaxpoweR ha scritto:
ah ecco mentre quando la gente protesta dalle altre parti lo fa contro un REGIME in Istraele è democrazia... Doppiopesismo e miopia.



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 Oggetto del messaggio: Re: Rivolte e rivoluzioni infiammano il mondo
MessaggioInviato: 08/01/2018, 17:20 
Se non ci fosse la Democrazia, in Israele, non verrebbero eletti deputati Palestinesi (arabi) sono siederebbero nel Parlamento di ... Sion! [:291]



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 Oggetto del messaggio: Re: Rivolte e rivoluzioni infiammano il mondo
MessaggioInviato: 10/01/2018, 14:15 
Intanto .... [:291]


La Cina pronta a occupare Taiwan (forse già nel 2020)

Negli ultimi mesi, la questione di Taiwan è riapparsa prepotentemente nel dibattito politico internazionale e in quello cinese come rinnovato obiettivo della Cina guidata da Xi Jinping e come nuovo terreno di scontro fra Pechino e Washington per il controllo del Pacifico occidentale. Non è un misero che per le amministrazioni cinesi, il problema di Taiwan ha un solo canale in cui può essere condotto, e cioè l’appartenenza alla Cina continentale. Un’idea che evidentemente non piace all’amministrazione taiwanese e che è stata per molti anni uno dei temi scottanti dei rapporti fra Cina e Stati Uniti. Un tema che sembrava destinato a raffreddarsi con le precedenti presidenze Usa, specialmente dopo il riconoscimento formale di “una sola Cina” in riferimento alla Repubblica popolare cinese, ma che è tornato in auge sotto la presidenza Trump, il quale sin dai primi gesti come presidente ha colpito per aver accolto con calore la telefonata della presidente taiwanese. Un gesto considerato offensivo da parte di Pechino e che soltanto il viaggio del presidente Usa in Asia sembrava aver evitato che si trasformasse in un incidente diplomatico.

Sembrava, perché in realtà la querelle su Taiwan e sui rapporti con gli Stati Uniti non è affatto rientrata totalmente nei ranghi. Prova ne è stata la recente dichiarazione di Li Kexin, ministro presso l’ambasciata cinese negli Stati Uniti, cil quale ha dichiarato pubblicamente che “il giorno in cui una nave della US Navy arriverà a Kaohsiung, sarà il giorno in cui il nostro Esercito di Liberazione Popolare annetterà Taiwan con la forza”. Parole che dette in un evento a Washington assumono un’importanza ancora più grave. Secondo la legge anti-secessione del 2005 promulgata dal governo cinese, che considera l’isola di Taiwan parte della propria amministrazione e quindi soggetta alle regole di Pechino a livello quantomeno di diritto internazionale, qualsiasi atto di matrice indipendentista da parte dell’amministrazione taiwanese può essere considerato meritevole di un intervento “non pacifico” delle forze cinesi. Nel caso cui faceva riferimento Li Kexin, l’arrivo di una nave della flotta Usa verrebbe considerato alla stregua di un atto di indipendenza.

La Cina può dirsi pronta a fare una guerra contro gli Stati Uniti in caso di arrivo di una nave da guerra Usa nell’isola? Evidentemente no. Tuttavia, da più parti si comincia a credere che sia prossimo un intervento risolutivo da parte di Pechino per riappropriarsi dell’isola prima che la sua amministrazione ponga in pericolo la sovranità cinese e il suo dominio sullo specchio di mare che divide Taiwan dal continente. Il South China Morning Post, quotidiano molto influente di Hong Kong, riporta come la pubblicazione della National Security Strategy di Donald Trump “accelererà il ritmo del piano di Pechino di riprendersi l’isola, probabilmente nel 2020”. Tempi brevissimi dunque, forse anche eccessivi, ma che riflettono la volontà della Cina di risolvere la questione prima che sia troppo tardi. Xi Jinping, durante il discorso-fiume al congresso del Partito, in cui ha elencato gli obiettivi della sua Cina, ha esposto chiaramente il suo impegno per una acquisizione piena del controllo di Taiwan fondandosi sul sistema “un Paese, due sistemi” già valido ad Hong Kong. “Abbiamo la determinazione, la fiducia e la capacità per sconfiggere i tentativi separatisti di ‘indipendenza di Taiwan’ in qualsiasi forma. Non permetteremo mai a nessuno, a nessuna organizzazione o partito politico, in qualsiasi momento o in qualsiasi forma, di separare qualsiasi parte del territorio cinese dalla Cina!”.

Così si legge nel discorso al Congresso. E se questo obiettivo, come riporta il Scmp, sembrava dovesse essere raggiunto entro il 2050, la sfida lanciata da Trump all’influenza cinese nel Pacifico impone un cambiamento di velocità. Secondo l’analisi del quotidiano di Hong Kong, sarebbero quattro i motivi che fonderebbero la scelta di Xi Jinping di pensare una soluzione “militare” per Taiwan. “In primo luogo, dopo aver esteso gli aiuti economici all’isola per anni, Pechino non ha ancora vinto i cuori e le menti della sua gente. Invece, le relazioni tra le due sponde dello Stretto si sono deteriorate.” Si legge nell’analisi “In secondo luogo, poiché una generazione di taiwanesi ne sostituisce un’altra, l’identità ‘cinese’ tra le persone si indebolirà. In terzo luogo, l’influenza dei partiti politici di Taiwan sta diminuendo. Anche se il Kuomintang vincesse il potere, non sarebbe in grado di guidare l’unificazione tra le due sponde. Quarto motivo – conclude- sempre più cinesi chiedono l’unificazione con la forza”. Analisi che, se unita alle esercitazioni militari cinesi vicino l’isola e al messaggio di Xi al Congresso, fa ritenere abbastanza plausibile la volontà del governo cinese di trovare una soluzione più rapida possibile a un tema che è una vera e propria spina nel fianco nei progetti di espansione del dragone.

http://www.occhidellaguerra.it/la-cina- ... -nel-2020/


Questa sì che sarebbe una brutta storia ... [:296]



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 Oggetto del messaggio: Re: Rivolte e rivoluzioni infiammano il mondo
MessaggioInviato: 10/01/2018, 14:19 
Ahi, ahi, ahi ...! [:296]



La Tunisia di nuovo in piazza: proteste in tutto il Paese



La Tunisia è stato il primo Paese arabo a vedere la propria leadership incrinarsi a causa delle proteste che, tra il 2010 ed il 2011, hanno dato vita alla cosiddetta “primavera araba”; nel gennaio di sette anni fa, il presidente Ben Alì è stato costretto a riparare in Arabia Saudita dopo un potere che durava da quasi un quarto di secolo.
Da allora però, tra i cittadini, la percezione di uno Stato corrotto e lontano dalle proprie esigenze non è mutata e, allo stesso modo, non sembrano essere variate le reali condizioni della popolazione tanto che, in questi anni, non sono mancati episodi di violenze e vivaci proteste. Pur tuttavia, la gente in piazza è scesa soprattutto nel sud della Tunisia, dunque nella parte più povera di questa piccola nazione araba lì dove si lasciano alle spalle i grandi centri urbani e ci si addentra tra le prime dune del Sahara; il fatto che, da qualche giorno a questa parte, si scenda in strada anche nel nord e nei dintorni di Tunisi, è indicativo del clima nuovamente pesante che si respira all’interno del paese.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso

Gli ultimi dati parlano di un’età media, in Tunisia, di circa 31 anni e di un tasso di natalità che nel 2015 toccava 2.13 figli per ogni donna; il paese è quindi giovane, la popolazione appare in aumento specie se si raffrontano questi dati con i dirimpettai paesi della sponda europea del Mediterraneo, ma è proprio questo il nervo scoperto della società tunisina: la disoccupazione raggiunge punte del 16% complessivamente, percentuale che sale però oltre il 30% se si prendono in considerazione i dati della mancanza di lavoro tra gli under 30. Migliaia di tunisini, in poche parole, sono a spasso e la protesta del 2010 è iniziata proprio con il suicidio in pubblica piazza di Mohamed Bouazizi, giovane ambulante a cui era stata sequestrata da poco la merce che in quel momento era sua unica fonte di sostentamento; l’instabilità politica successiva alla caduta di Ben Alì non ha certo portato miglioramenti e, considerando anche la diffusione dell’estremismo islamico con la Tunisia oggetto di attentati e prima ‘fornitrice’ di foreign fighters all’ISIS, ecco che il paese non può che apparire come vera e propria polveriera.

Ed in questo contesto, l’aumento dei prezzi scattato a partire dall’avvento del nuovo anno non poteva che fungere da vero e proprio detonatore; l’entrata in vigore della finanziaria 2018, approvata nel dicembre scorso, ha provocato l’impennata del costo dei carburanti, dei generi di prima necessità, di pane e pasta, nonché l’aumento dell’IVA dell’1%. I motivi di queste misure sono rintracciabili nel percorso, intrapreso da Tunisi nel maggio 2016, di ancoraggio ai piani concordati con il Fondo Monetario Internazionale; proprio nei giorni scorsi, da Washington è stato dato il via libera alla terza tranche del prestito da 2.8 miliardi di Dollari approvato quasi due anni fa: in cambio dei soldi erogati dall’FMI, l’istituto ha chiesto corpose riforme volte a favorire le privatizzazioni e ad eliminare progressivamente gli aiuti di Stato, il quale storicamente è sempre intervenuto con propri finanziamenti per calmierare i prezzi dei beni di prima necessità.

Il governo tunisino quindi, per strappare anche i circa 400 milioni di Dollari previsti nella terza tranche del prestito, ha dovuto imporre misure drastiche volte anche al contenimento della spesa pubblica e del debito; ma tutto questo sta incidendo e non poco nella già dissestata economia reale: per una famiglia media tunisina, vedere anche un piccolo aumento di prodotti consumati nella quotidianità vuol significare demolire ulteriormente il proprio potere d’acquisto e peggiorare la propria qualità della vita. Un popolo, come quello tunisino, già esasperato da anni di crisi ed instabilità politica e che è sceso in piazza nel 2010 proprio per rimarcare la propria insofferenza, ha visto il sormontare di ulteriore tensione che ora sta portando a nuove proteste diffuse oramai in gran parte del paese.
Un morto a Tebourba e la sinagoga attaccata a Djerba

Tutto è iniziato il primo gennaio, quando i tunisini hanno visto gli effetti dell’applicazione pratica della nuova finanziaria; se in piazza sono state contate poche decine di persone a protestare, è sui social ancora una volta che è dilagata la protesta: in particolare, è dietro l’hastag #Fech_Nestanew (‘Cosa Stiamo Aspettando’, in arabo) che si nascondono i promotori di nuovi movimenti apartitici all’interno del quale si è incamerato il malcontento e si è iniziato, soprattutto, a parlare di nuove grandi manifestazioni. Che qualcosa si stesse muovendo, lo si è capito poi alla fine della settimana passata, quando cioè a mobilitarsi sono state le piazze delle città del nord della Tunisia e quindi della parte più ricca del paese; dal governatorato di Kairouan alle coste di Sfax, da Biserta fino ai quartieri periferici della capitale Tunisi, sono state contate negli ultimi giorni decine di manifestazioni, culminate spesso con scontri con la Polizia ed anche saccheggi e devastazioni di banche o di edifici governativi.

Ad El Battan ad esempio, non lontano da Tunisi, è stato attaccato e bruciato un commando della Polizia, nel governatorato di Gafsa è stato dato alle fiamme il locale ufficio dell’Agenzia delle Finanze; l’episodio più grave però si è registrato a Tebourba, lì dove è anche scappato il morto: un uomo di 43 anni infatti, che stava partecipando alla manifestazione, è morto in un ospedale della capitale dove era giunto in condizioni critiche. Secondo la Polizia, l’uomo soffriva d’asma e sarebbe entrato in crisi a causa del lancio di lacrimogeni durante gli scontri, mentre altre testimonianze locali affermano che in realtà la vittima sia stata investita da un’auto delle forze dell’ordine; a prescindere dalla dinamica di quanto accaduto, il fatto che nei pressi della capitale una manifestazione sia degenerata a tal punto è indicativo della situazione che si sta vivendo.

Non è stata risparmiata nemmeno la località turistica di Djerba, l’isola conosciuta per essere un vero e proprio paradiso per migliaia di visitatori ogni anno ma dove, come evidenziano gli ultimi episodi, il malcontento per il caro vita inizia a farsi sentire pesantemente; nelle scorse ore, riferiscono i media tunisini, è stata attaccata una Sinagoga con i manifestanti che hanno provato ad appiccare a più riprese le fiamme. Il governo invita alla calma, ma i manifestanti chiedono l’immediato ritiro della finanziaria 2018 ed il ripristino dei livelli di prezzi antecedenti all’ingresso del nuovo anno; dal canto suo il primo ministro Youssef Chahed ha affermato che non verrà tollerata alcuna violenza, predisponendo anche l’invio dell’esercito nelle piazze più calde di Tunisi e del paese. Mentre le stesse autorità tunisine fanno presente di aver arrestato al momento almeno 260 persone, dall’account #Fech_Nestanew si invita a mobilitarsi per una grande manifestazione da tenere nella capitale e nelle altre città più importanti il prossimo 13 gennaio.

http://www.occhidellaguerra.it/la-tunis ... ste-paese/



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 Oggetto del messaggio: Re: Rivolte e rivoluzioni infiammano il mondo
MessaggioInviato: 03/04/2018, 17:47 
Cita:

La Francia si ferma contro Macron


Martedì nero in Francia per lo sciopero delle ferrovie dell'Sncf contro i piani del governo per il settore. Secondo la compagnia ferroviaria statale nella giornata di oggi viaggia solo un solo treno ad alta velocità su otto e un convoglio regionale su cinque. Nella regione parigina due linee suburbane sono invece state cancellate del tutto e altre hanno procedono con servizi molto limitati.

Già dalle prime ore del mattino, l'emittente televisiva Bfmtv mostrava le banchine della stazione Gare de Lyon di Parigi straripanti di persone, con alcuni passeggeri spintonati e caduti sui binari. Lo sciopero ha causato forti ripercussioni sul traffico stradale. All'ingresso di Parigi, poco prima delle 8 del mattino, il sito Sytadin registrava 370 km di coda, un traffico "eccezionale per quest'orario".

I quattro sindacati maggiormente rappresentativi della Sncf, sono determinati a opporre resistenza ai piani di riforma del governo, che prevede, tra le altre cose, di abolire lo statuto speciale per i nuovi assunti e aprire la rete alla concorrenza, come richiesto dalla legislazione dell'Unione Europea.



http://www.adnkronos.com/fatti/esteri/2 ... TvAdN.html


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 Oggetto del messaggio: Re: Rivolte e rivoluzioni infiammano il mondo
MessaggioInviato: 05/05/2018, 17:18 
Cita:
Russia, scontri ai cortei anti-Putin: oltre 1.000 fermati, anche Navalny

https://www.ilmessaggero.it/primopiano/ ... 11534.html

Primavera russa in vista???



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 Oggetto del messaggio: Re: Rivolte e rivoluzioni infiammano il mondo
MessaggioInviato: 05/05/2018, 19:20 
sottovento ha scritto:
Cita:
Russia, scontri ai cortei anti-Putin: oltre 1.000 fermati, anche Navalny

https://www.ilmessaggero.it/primopiano/ ... 11534.html

Primavera russa in vista???


Sottovento, scendi dalla pianta. Con 1'500 persone, per lo piu' giovani reclutati sui social? Più che primavera mi sembra inverno.

Invece perche' non parlare dei 160'000 manifestanti che sono scesi in piazza contro Macron?

Oltre 200 manifestanti arrestati.

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"Soltanto chi non ha approfondito nulla può avere delle convinzioni" - Emil Cioran

"Quanto piu' una persona e' intelligente, tanto meno diffida dell'assurdo" - Joseph Conrad

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 Oggetto del messaggio: Re: Rivolte e rivoluzioni infiammano il mondo
MessaggioInviato: 05/05/2018, 23:03 
Cita:



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 Oggetto del messaggio: Re: Rivolte e rivoluzioni infiammano il mondo
MessaggioInviato: 06/05/2018, 00:50 
zakmck ha scritto:
sottovento ha scritto:
Cita:
Russia, scontri ai cortei anti-Putin: oltre 1.000 fermati, anche Navalny

https://www.ilmessaggero.it/primopiano/ ... 11534.html

Primavera russa in vista???


Sottovento, scendi dalla pianta. Con 1'500 persone, per lo piu' giovani reclutati sui social? Più che primavera mi sembra inverno.

Invece perche' non parlare dei 160'000 manifestanti che sono scesi in piazza contro Macron?

Oltre 200 manifestanti arrestati.

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Macron TIRANNO come HITLER è stato detto? Ah... No...



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 Oggetto del messaggio: Re: Rivolte e rivoluzioni infiammano il mondo
MessaggioInviato: 06/05/2018, 16:16 
vi ricordate le passate elezioni in argentina?
manifestazioni, proteste, ecc.
il candidato della kirchener perse di poco con macrì,
il liberale, democratico, quello che prometteva sviluppo e crescita,
ecc.
avesse resistito la kirchener
erano già pronte le truppe cammellate di attivisti..


http://www.corriere.it/esteri/18_maggio ... 1877.shtml

La moneta va a picco in Argentina
I cittadini temono un altro default
A due anni dalla vittoria di Macrì il Paese sudamericano è di nuovo sull’orlo di una crisi finanziaria. Corsa a convertire i pesos in dollari. Terzo rialzo: i tassi d’interesse al 40%


sarà perchè ha pagato i bond in default 2,3 miliardi di dollari
a singer, quello del fondo elliott
,

il fondo avvoltoio americano,
(quello che ha comprato la telecom, ansaldo, ecc.)
che è stato eletto?

la kirchener si era sempre opposta..

comunque dopo pochi anni con la solita cura economica
proteggere le rendite ammazzare tutti gli altri,
sono già alle pezze al kulo..


https://www.ilfattoquotidiano.it/2015/1 ... a/2243491/
Dopo 12 anni finisce l'era dei Kirchner. Il leader di "Cambiemos" ha battuto al ballottaggio il candidato peronista Daniel Scioli con il 51,42% dei voti, contro il 48,58% dell'avversario
Mauricio Macri è il nuovo presidente dell’Argentina. Il leader della coalizione di centro-destra “Cambiemos” ha battuto al ballottaggio il candidato peronista Daniel Scioli con il 51,42% dei voti, contro il 48,58% del governatore uscente della provincia di Buenos Aires.

Macrì prenderà l’incarico il prossimo 10 dicembre, mettendo fine a 12 anni della cosiddetta “era K“, avviata da Nestor Kirchner (presidente dal 2003 al 2007) e proseguita dalla moglie, il presidente uscente Cristina Fernández de Kirchner.

Oggi è una giornata storica, un cambio d’epoca che ci deve portare al futuro – ha detto Macri nel suo primo discorso – metterò tutta la mia energia per costruire l’Argentina che sogniamo, con una povertà zero”, ha promesso il leader di “Cambiemos”. “Lo dico ai fratelli dell’America Latina, del mondo – ha detto quindi rivolgendosi poi agli altri Paesi, latinoamericani e non – vogliamo avere buone relazioni con tutti, vogliamo lavorare con tutti. Sappiamo che il popolo argentino ha molto da dare al mondo”. Dichiarazioni che fanno presagire un cambiamento nei rapporti con gli altri Stati del continente, migliori relazioni con gli Stati Uniti e un allontanamento dal Venezuela di Nicolas Maduro.

Le dichiarazioni di Macri a 24 ore dall’elezione confermano che con questo voto l’argentina ha scelto di voltare pagina, dopo aver affidato, per due mandati consecutivi, la guida del paese a Cristina Kirchner. La sconfitta di Scioli, delfino della presidenta, segna l’epilogo della parabola discendente dell’amministrazione peronista, che dopo aver portato il Paese fuori dalla crisi del default, ha rimesso l’economia in affanno, concentrandosi solo sulla propria ricetta socialista e abbandonandosi a una grave corruzione.

Gli argentini chiamati alle urne erano circa 32 milioni. Le elezioni argentine fin dall’inizio sono state caratterizzate da ritardi e presunte irregolarità: il procuratore elettorale, Jorge Di Lello, ha ricevuto circa 200 denunce di irregolarità di piccola entità e almeno 53 contro la presidente Cristina Fernandez, accusata di non avere rispettato il divieto di rilasciare dichiarazioni nel giorno del voto. Per lo stesso motivo sono stati denunciati anche Scioli e Macri. Il primo turno elettorale del 25 ottobre, era stato invece dominato da incertezza e colpi di scena, con i dati arrivati in modo parziale e molto in ritardo rispetto a quanto promesso dai membri del governo.



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https://roma.corriere.it/notizie/politi ... 0b7e.shtml
Conte ripercorre le tappe della crisi: «Vorrei ricordare che con la parlamentarizzazione della crisi la Lega ha poi formalmente ritirato la mozione di sfiducia, ha dimostrato di voler proseguire, sono stato io che ho detto “assolutamente no”perché per me quell’esperienza politica era chiusa».


http://www.lefigaro.fr/international/mi ... e-20190923
il stipule que les États membres qui souscrivent à ce dispositif de relocalisation des personnes débarquées en Italie et à Malte s’engagent pour une durée limitée à six mois - éventuellement renouvelable. Le mécanisme de répartition serait ainsi révocable à tout moment au cas où l’afflux de migrants vers les ports d’Italie et de Malte devait s’emballer.
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MessaggioInviato: 09/05/2018, 14:13 
eccolo il democratico contro il populismo della kirchener..

https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/0 ... s/4342609/

Argentina, Macri chiede aiuto al Fondo Monetario. Lo spettro del 2001 aleggia di nuovo su Buenos Aires

Il presidente a colloquio con la direttrice Christine Lagarde: "Unico modo per uscire dalla nostra situazione". Gli analisti si attendono un fabbisogno di almeno 20 miliardi di dollari

praticamente col fmi
siamo già al colpo di grazia,

spoliazioni, vendite dei beni pubblici,
debiti e servaggio..

chi ha votato codesto spero sia contento..
poi c vorrà un populista di sinistra a metterci una pezza
e poi arriverà il democratico liberista
a mandare a put.tane ancora tutto..
così all'infinito..


A questo si deve aggiungere il peso politico, in un paese come l’Argentina, del tornare a negoziare prestiti con il Fmi. Quando, nel settembre del 2004, l’allora presidente Nestor Kirchner annunciò il rimborso dell’ultimo prestito concesso dall’organismo internazionale, la notizia fu festeggiata come una vittoria della sovranità nazionale, e il primo passo verso il recupero dalla profonda crisi del 2001, segnata dal più grande default sul debito estero della storia.



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https://roma.corriere.it/notizie/politi ... 0b7e.shtml
Conte ripercorre le tappe della crisi: «Vorrei ricordare che con la parlamentarizzazione della crisi la Lega ha poi formalmente ritirato la mozione di sfiducia, ha dimostrato di voler proseguire, sono stato io che ho detto “assolutamente no”perché per me quell’esperienza politica era chiusa».


http://www.lefigaro.fr/international/mi ... e-20190923
il stipule que les États membres qui souscrivent à ce dispositif de relocalisation des personnes débarquées en Italie et à Malte s’engagent pour une durée limitée à six mois - éventuellement renouvelable. Le mécanisme de répartition serait ainsi révocable à tout moment au cas où l’afflux de migrants vers les ports d’Italie et de Malte devait s’emballer.
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MessaggioInviato: 14/05/2018, 23:02 
Festa in Israele, carneficina a Gaza

Bilancio drammatico nella Striscia nel giorno dell'inaugurazione dell'ambasciata Usa a Gerusalemme


Una festa per gli Israeliani. Una catastrofe per i Palestinesi. Festa e catastrofe insanguinate, nel giorno dell'"Intifada dell'ambasciata". Si muore a Gaza, mentre in una Gerusalemme iper blindata si inaugura l'"Ambasciata della discordia". Le previsioni della vigilia si sono tristemente avverate: morti e feriti hanno scandito il settantesimo anniversario della fondazione dello Stato d'Israele. Sentimenti opposti, impastati di rabbia e di dolore, che convergono su un punto: la pace non alberga in Terrasanta. E mai come in un presente che non riconosce futuro, se non quello dominato dall'esercizio della forza, parole come "dialogo", "compromesso", "riconoscimento" delle ragioni e dell'identità (nazionale) dell'altro da sé, sono estranee al vocabolario politico mediorientale.

E allora, a dominare è sempre e solo cronaca di guerra. Quella che semina vittime sul campo, alla quale si aggiunge quella mediatica, fatta di proclami roboanti, di minacce, ultimatum. I falchi dei due campi si ritrovano assieme nello spazzare via ogni posizione intermedia, perché ci￲ò che più temono, e non da oggi, è l'affermarsi di una cultura, e di una pratica, dell'ascolto su cui fondare un percorso di pace. Non si militarizza solo il territorio. Si militarizzano le coscienze, si arruola l'informazione. E si massacra. Almeno 55 morti e 2410 palestinesi feriti, inclusi gli intossicati: questo il bilancio provvisorio fornito dal ministero della sanità palestinese dei duri scontri con l'esercito israeliano al confine di Gaza che sono ancora in corso."A Gerusalemme non è stata aperta un'ambasciata ma un avamposto americano". Lo ha detto, citato dalla Wafa, il presidente palestinese Abu Mazen che ha parlato di schiaffo da parte degli Usa ribadendo che "l'America non è più un mediatore in Medio Oriente". Abu Mazen ha poi annunciato lo "sciopero generale dei Territori Palestinesi" e tre giorni di lutto per gli uccisi a Gaza.

Le autorità di Gaza hanno intanto chiesto all'Egitto aiuti medici immediati e la autorizzazione a trasferire in quel Paese i feriti più gravi. La prima vittima è stata identificata in Anas Qudeih, 21 anni, colpito dal fuoco israeliano a Est di Khan Younis, nel Sud della Striscia di Gaza, mentre la seconda vittima è il 29enne Musaab Abu Leila, ucciso a est di Jabalya dal fuoco dell'esercito israeliano, sarebbero poi tra gli uccisi Obaida Salem Farhan di 30 anni, Mohammed Ashraf Abu Sittah di 26 anni, Izzeddine Mousa al-Sammak di 14 anni, Izzaddine Nahed al-Owaiti di 23 anni e Bilal Ahmad Abu Diqqa di 26 anni. In precedenza, erano 54 i palestinesi uccisi nella Striscia di Gaza da spari israeliani dall'inizio della Marcia del Ritorno, il 30 marzo, organizzata ogni venerdì lungo la barriera per chiedere il "diritto al ritorno" a 70 anni dall'esodo forzato del 1948. Ci sono "anche sei minori" tra i palestinesi uccisi a Gaza. Lo afferma Amnesty International denunciando una "ripugnante violazione delle norme internazionali e dei diritti umani". Tra i quasi "2.000 feriti, molti sono stati colpiti alla testa e al petto. Oltre 500 sono stati feriti da pallottole. Bisogna porre fine adesso a tutto ciò￲", afferma l'Ong via Twitter.

Si tratta del giorno più sanguinoso nel conflitto israelo-palestinese dalla guerra del 2014. Gli ospedali di Gaza hanno lanciato appelli alla popolazione affinché giunga in massa per donare sangue. Le autorità hanno chiesto all'Egitto aiuti medici immediati e l'autorizzazione a trasferire oltre frontiera i feriti più gravi. "Quello che si sta perpetrando nella Striscia di Gaza è un massacro pianificato a tavolino dai governanti israeliani - dice ad HP Allam Mousa, ministro dell'Informazione dell'Autorità nazionale palestinese, raggiunto telefonicamente nel suo ufficio alla Muqata, il quartier generale dell'Anp a Ramallah -. I soldati israeliani hanno aperto il fuoco contro migliaia di palestinesi che manifestavano entro i confini di Gaza. Israele non ha esercitato il diritto di difesa, ma ha praticato un terrorismo di Stato. E' stato un tiro al bersaglio". Il portavoce del governo palestinese Yusuf al-Mahmoud ha chiesto "un intervento internazionale immediato per fermare il terribile massacro a Gaza commesso dalle forze di occupazione israeliane contro il nostro popolo eroico". La risposta israeliana non si fa attendere. "Chiunque si avvicini alla barriera tra Gaza ed Israele viene considerato un terrorista", ribatte Naftali Bennett - ministro dell'Istruzione e leader di Habayt Hayehudi (Casa Ebraica), il partito ultranazionalista legato a doppio filo al movimento dei coloni - in un'intervista radiofonica, commentando l'operato di Tsahal. In una dichiarazione l'esercito israeliano afferma che "sta rispondendo con mezzi ed uso di armi da fuoco per disperdere rivolte e che sta operando secondo le procedure standard" nel rispondere a 35mila "rivoltosi". In particolare l'esercito afferma di aver sventato un attentato vicino a Rafah, nel sud della Striscia. "Un commando di tre terroristi armati - ha detto un portavoce - stava cercando di deporre un ordigno. Le nostre forze hanno reagito e i tre sono morti. Secondo i media, i militari hanno fatto ricorso a un carro armato. Il portavoce ha aggiunto che velivoli israeliani hanno colpito anche un obiettivo di Hamas a Jabalya, dopo che da lì erano partiti spari. I caccia israeliani lanciato volantini che recitano: "Ai rivoltosi, state prendendo parte a rivolte violente che mettono a rischio le vostre vite, salvatevi e mettete al primo posto la costruzione del vostro futuro", secondo quanto riporta il Guardian. "Non lasciatevi usare cinicamente come dei burattini da Hamas", continua il volantino che conclude: "State lontani dalla barriera di sicurezza", avvisando del fatto che l'esercito "rispondere ad ogni tentativo di danneggiarla o mettere in pericolo militari o civili israeliani".

Avvertimenti simili, ma di segno opposto sono stati lanciati da Hamas nei giorni scorsi: in un video in ebraico il movimento islamico si è appellato agli abitanti delle comunità israeliane vicino al confine con Gaza, esortandoli ad andarsene. "Siete stati avvisati, attraverseremo il confine e raggiungeremo tutte le vostre comunità. Non moriremo da soli". Scontri tra manifestanti palestinesi e l'esercito israeliano, con scambio di sassate e lacrimogeni, si sono susseguiti per l'intera giornata anche in Cisgiordania. In particolare a Betlemme e ad Hebron, ma sono segnalati in altre località come Kalandia, a nord di Gerusalemme. Le notizie che giungono dalla Striscia non scalfiscono le certezze dell'inquilino della Casa Bianca.

Per Donald Trump i morti di Gaza non sembrano esistere o se sì, vengono ridotti ad "effetti collaterali", dolorosi, forse, ma che non intaccano la giustezza delle scelte compiute. Oggi è un grande giorno per Israele!", scrive su Twitter The Donald ricordando, che l'inaugurazione dell'ambasciata Usa a Gerusalemme sarà trasmessa live su Foxnews dalle 9 ora americana (le 15 in Italia). L'ambasciatore americano, David Friedman, parlando stamattina alla Orthodox Union Organization, ha ringraziato Trump per "il suo coraggio e la sua visione" e "il dipartimento di Stato che ha fatto un lavoro impressionante". Friedman ha quindi sottolineato di aver "ricevuto sostegno da due cari amici che hanno lavorato per rafforzare le relazioni tra Israele e gli Stati Uniti, Jared Kushner (il consorte, tutt'altro che decorativo, di Ivanka Trump, ndr) - e Jason Greenblatt", rappresentante speciale americano per i negoziati internazionali. La missione americana è composta anche dal segretario al Tesoro Usa Steve Mnuchin, dal vicesegretario di Stato John Sullivan e da 12 membri del Congresso. "Gerusalemme resterà la capitale di Israele qualunque sia l'accordo di pace che immaginate, aveva ribadito ieri sera il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, accogliendo a un ricevimento Ivanka Trump e Jared Kushner.

Il dubbio non è un sentimento coltivato nell'entourage di Trump, e lo stesso dicasi negli ambienti governativi israeliani. L'inaugurazione dell'Ambasciata statunitense ne è la riprova. Non solo per la scelta in sé, contestata dalla quasi totalità dei Paesi europei e dalla maggioranza di quelli che fanno parte delle Nazioni Unite. Ci￲ò che colpisce, e dà il segno dei tempi, è la visione manichea che permea i discorsi: da un lato c'è il Torto, dall'altro la Ragione, in mezzo, niente. E' una rottura culturale, prim'ancora che politica, tanto più possente perché tende a cancellare la specificità del conflitto israelo-palestinese, la cui essenza, tragica, sta proprio nel fatto, ricorda Amos Oz, che ha scontrarsi non sono il Torto e la Ragione, ma due diritti egualmente fondati e che l'unico cammino percorribile, se si vuole davvero dare soluzione a questa tragedia dostoievskiana, è praticare l'arte benefica del compromesso. Tra falchi e avvoltoi non c'è spazio per le "colombe". La cerimonia di inaugurazione dell'Ambasciata americana è uno spot mediatico per il duo Bibi&Donald. Al suo arrivo Netanyahu è stato accolto dagli applausi. In prima fila Ivanka Trump, Jared Kushner, l'ambasciatore Usa David Friedman e il vice segretario di Stato Usa John Sullivan insieme al segretario al Tesoro David Mnuchin. Presente anche il presidente di Israele Reuven Rivlin.. Israele, come ogni Stato sovrano, ha il diritto di determinare la sua capitale", ribadisce Trump nel video messaggio inviato per la cerimonia di apertura dell'ambasciata Usa a Gerusalemme. "La nostra speranza è per la pace e gli Stati Uniti restano impegnati per un accordo di pace", sottolinea il presidente Usa nel messaggio, senza per￲ entrare nel merito. Per Netanyahu è un successo personale. Se qualcuno al mondo ancora nutriva dei dubbi sul legame di ferro esistente tra il "sovranista" americano e il "sovranista" israeliano, la cerimonia di oggi quei dubbi li seppellisce. La famiglia Trump ha sposato una sola causa: quella d'Israele. "Ritorno a Gerusalemme con grande gioia", ha scritto Ivanka su Instagram. "Sono onorata di parte della delegazione che rappresenta il presidente, la sua amministrazione e il popolo americano a questa storica cerimonia", ha aggiunto.

Visto che sono tempi da falchi, eccone rispuntare uno dalle caverne ai confini tra Pakistan e Afghanistan: il capo di al Qaeda Ayman al-Zawahiri, interviene sul trasferimento dell'ambasciata Usa a Gerusalemme. Il successore di Osama bin Laden attacca i Paesi islamici che hanno "di fatto riconosciuto Israele quando hanno sottoscritto la Carta dell'Onu che obbliga al rispetto dell'integrità territoriale degli Stati membri", quindi anche dello Stato ebraico: "Molti hanno stabilito rapporti ufficiali o segreti con Israele e accettato Tel Aviv o Gerusalemme Ovest come sua capitale, anche se sono terre islamiche e nessuno pu￲ accettare che sia cedute agli ebrei". Quanto a Trump, sostiene al-Zawahiri, spostando l'ambasciata Usa a Gerusalemme "ha svelato il vero volto della moderna crociata. Con lui non funziona la pacificazione ma solo la resistenza tramite il jihad". A tuonare è anche il presidente della Turchia Recep Tayyip Erdogan. "Gerusalemme Est è la capitale della Palestina", ribadisce Erdogan durante la sua visita a Londra," nonostante i passi intrapresi" per riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele. Il leader turco ha ricordato che all'Assemblea dell'Onu 128 Paesi si sono espressi contro il trasferimento dell'ambasciata. "Il regime israeliano massacra innumerevoli palestinesi a sangue freddo durante una protesta nella pi grande prigione a cielo aperto. Nel frattempo, Trump celebra il trasferimento illegale dell'ambasciata Usa ed i suoi collaboratori arabi cercano di distogliere l'attenzione" commenta il ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif, su Twitter. Gli avvoltoi impazzano, mentre a Gaza si continua a morire. A colpire non sono solo le dichiarazioni ma anche i silenzi. Assordanti. Come quello dell'Arabia saudita. Nell'agenda del principe ereditario, Mohammed bin Salman, la questione palestinese è fuori pagina, semplicemente non esiste. Per Riyadh il nemico del mio nemico (l'Iran) è mio stretto alleato. L'alleato israeliano, a cui si abbuona tutto, anche il pugno di ferro nella Striscia.

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 Oggetto del messaggio: Re: Rivolte e rivoluzioni infiammano il mondo
MessaggioInviato: 14/05/2018, 23:19 
Secondo Sottovento ed Ufologo,non esiste il problema:sono cose che possono capitare,si dice cosi.


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 Oggetto del messaggio: Re: Rivolte e rivoluzioni infiammano il mondo
MessaggioInviato: 14/05/2018, 23:37 
No è che sono convinti che chi viveva in quelle terre da prima di loro sia "l'invasore"...



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