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Marziano
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MessaggioInviato: 13/06/2014, 22:45 
Il tentativo Usa di accerchiare la Russia,fallirà in partenza.Non c'è nessuna possibilità politica e militare.Noi occidentali(Stati Uniti) vogliamo sempre alzare i toni contro potenziali "nemici" della democrazia(Stati Uniti).Condanniamo la strategia militare di Assad che combatte contro una "corrente" sanguinaria e distruttiva,ma non diciamo mai nulla su attacchi "preventivi" israeliani nei territori occupati.Abbiamo appoggiato Israele sulla guerra in Libano 2006(che batosta! n.d.s.),abbiamo fornito supporto per le operazioni in Libia.Abbiamo fornito aerei,basi e strutture:sempre sudditi ed in soggezione,sempre a dimenare la coda.Tranquilli "americanisti":a breve un pò di "disinformazione e distorsione" di notizie,farà riaccendere la "fiaccola" democratica di noi occidentali.Iraq,stiamo arrivando!



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Alessio
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MessaggioInviato: 14/06/2014, 09:07 
Cita:
Ufologo 555 ha scritto:

Io sarò pure ingenuo, ma a Sarkozy faceva comodo eliminare (coe mstranamente è stato fatto SUBITO) Gheddafi: aveva sovvenzionato la sua campagna ellettorale in più era stato fregato da Berlusconi con super contratti!
Poi, con a capo Obama, gli USA non avrebbero osato fare un bel niente! Poi, si sa, una volta che il fesso ha attaccato, tutti gli altri ... dietro per "solidarietà" ...
Mi sa che l'ingenuo (o male informato) sei tu caro Bleffort ... (Datti una resettata, ascoltami) [^]


obama è un furbacchione,
segue la stessa agenda di bush
mandando avanti gli altri,
al nusra, sarkozy
o usando altri mezzi, sommosse
etc.



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https://roma.corriere.it/notizie/politi ... 0b7e.shtml
Conte ripercorre le tappe della crisi: «Vorrei ricordare che con la parlamentarizzazione della crisi la Lega ha poi formalmente ritirato la mozione di sfiducia, ha dimostrato di voler proseguire, sono stato io che ho detto “assolutamente no”perché per me quell’esperienza politica era chiusa».


http://www.lefigaro.fr/international/mi ... e-20190923
il stipule que les États membres qui souscrivent à ce dispositif de relocalisation des personnes débarquées en Italie et à Malte s’engagent pour une durée limitée à six mois - éventuellement renouvelable. Le mécanisme de répartition serait ainsi révocable à tout moment au cas où l’afflux de migrants vers les ports d’Italie et de Malte devait s’emballer.
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MessaggioInviato: 09/07/2014, 19:00 
Cita:
bleffort ha scritto:

Cita:
Ufologo 555 ha scritto:

... gli americani sono stati trascianti da Sarkozy (capirai, con Obama ...), altrimenti non sarebbero andati a bombardare, di loro iniziativa, ben tre ore prima che si riunissero i Paesi della NATO ...!

Non è così !,sicuramente gli Americani avranno detto ai Francesi:iniziate prima voi che noi vi seguiremo!,vai a credere che quel pupazzo francese inserito nella NATO facesse di testa sua!. [;)]


Beh.... visto che l'epilogo di questa storia è rimasto in sospeso,
vi posto qualcosa di veramente interessante.. ovviamente taciuto
anch'esso dai media occidentali............ [:D] [8D]

L'omicidio di Gheddafi è correlato ai loschi affari di Nicolas Sarkozy

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06 luglio 2014

http://www.ecplanet.com/node/4300

Il raìs sarebbe stato eliminato per coprire i 50 milioni per la campagna di Sarkò

Cinquanta milioni di euro sborsati da Muammar Gheddafi per la corsa all'Eliseo e la sospetta esecuzione del colonnello sono i cadaveri nell'armadio dell'ex presidente francese Nicolas Sarkozy.

Non a caso la guerra della Nato in Libia è scattata il 19 marzo 2011 con un bombardamento dei caccia francesi sulle forze di Gheddafi, che stavano per travolgere i ribelli a Bengasi.

I fantasmi libici, sempre seccamente smentiti con sdegno da Sarkozy, sono riapparsi con il clamoroso fermo di ieri. Nelle telefonate intercettate e con le pressioni su un giudice, l'ex capo di stato si preoccupava proprio delle indagini sui presunti fondi di Gheddafi alla sua campagna elettorale che lo portò all'Eliseo nel 2007.

Il primo ad accusare Sarkozy di aver accettato i milioni di Tripoli per farsi eleggere era stato Saif el Islam, figlio ancora vivo del colonnello, tre giorni prima dell'attacco Nato. Il 25 ottobre 2011 l'ex primo ministro libico, Baghdadi Ali al-Mahmoudi, fuggito ed arrestato in Tunisia ammetteva durante un interrogatorio: «Ho supervisionato personalmente il dossier del finanziamento di Tripoli alla campagna di Sarkozy».

Un anno dopo l'attacco Nato in Libia, fra smentite e querele salta fuori che Brice Hortefeux, diventato ministro durante la presidenza Sarkozy, chiuse l'accordo il 6 ottobre 2006 in una riunione con Abdullah Senussi, cognato del colonnello ed il trafficante d'armi Ziad Takieddine. L'accordo era riportato in un documento firmato da Mussa Kussa, allora capo degli onnipresenti servizi segreti libici ed oggi riparato in Qatar. I soldi sarebbero stati versati segretamente da Bashir Saleh, capo di gabinetto del colonnello. La storia è stata confermata da Moftah Missouri, l'interprete personale del rais libico.

Sarkozy accoglieva Gheddafi dei tempi d'oro a Parigi, come «il fratello leader». Se è vera la storia del finanziamento illecito il colonnello l'avrebbe resa pubblica, per sbugiardare il presidente francese, nel caso fosse stato processato. Il 20 ottobre 2011, quando la colonna di Gheddafi venne individuata e bombardata da due caccia Rafale francesi, il rais era stato preso vivo, ma poi gli hanno sparato il colpo di grazia. «Nei giorni precedenti c'erano state diverse missioni tattiche di almeno 9 elicotteri su Sirte (dove si nascondeva il colonnello nda) - racconta a il Giornale una fonte Nato - Uno inglese e gli altri francesi, che colpivano obiettivi mirati».

La fine di Gheddafi iniziò con una telefonata a Damasco, dal suo apparecchio satellitare, intercettata dalla Nato. I piloti dei caccia francesi ed un Predator americano fornirono continue informazioni sulla colonna del colonnello in fuga alla base Nato di Napoli e a Poggio Renatico, che gestiva le operazioni aeree. Parte di queste informazioni venivano girate ai corpi speciali e all'intelligence alleata, al fianco dei ribelli a Sirte.

«L'impressione è che dopo il primo gruppo di insorti che catturarono Gheddafi vivo sia arrivato un secondo, che sapesse esattamente cosa fare e avesse ordini precisi di eliminare i prigionieri» ha spiegato una fonte riservata de il Giornale allora impegnata nel conflitto. Una parte dei rivoluzionari voleva portare Gheddafi a Misurata, come testimoniano le urla nei video registrati dai telefonini. Poi qualcuno del secondo gruppo, con l'ordine di uccidere, dev'essersi avvicinato al colonnello sanguinante, ma vivo, per il colpo di grazia in mezzo alla confusione.

Mesi dopo, Mahmoud Jibril, che è stato primo ministro ad interim, dopo la caduta del regime, confermava alla tv egiziana: «Un agente straniero mescolato ai rivoluzionari ha ucciso Gheddafi».


Autore: Fausto Biloslavo / Fonte: ilgiornale.it



Che dire? Ora tutto torna..... mi pare...... [;)]



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"…stanno uscendo allo scoperto ora, amano annunciare cosa stanno per fare, adorano la paura che esso può creare. E’ come la bassa modulazione nel ruggito di una tigre che paralizza la vittima prima del colpo. Inoltre, la paura nei cuori delle masse risuona come un dolce inno per il loro signore". (Capire la propaganda, R. Winfield)

"Onesto è colui che cambia il proprio pensiero per accordarlo alla verità. Disonesto è colui che cambia la verità per accordarla al proprio pensiero". Proverbio Arabo

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MessaggioInviato: 09/07/2014, 19:52 
Da tempo lo scrivevamo, il sottoscritto con Ubatuba ....[^]



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U.F.O. "Astronavi da altri Mondi?" - (Opinioni personali e avvenimenti accaduti nel passato): viewtopic.php?p=363955#p363955
Nient'altro che una CONSTATAZIONE di fatti e Cose che sembrano avvenire nei nostri cieli; IRRIPRODUCIBILI, per ora, dalla nostra attuale civiltà.
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 Oggetto del messaggio: Re: Guerra in Libia
MessaggioInviato: 05/12/2015, 22:13 
Cita:
Esclusiva: una manciata di Forze speciali italiane è in Libia

Le spinte americane, i primi bombardamenti aerei, la guerra sul petrolio. Perché il piano dei jihadisti parte da Sirte. Storie dal nostro confine con lo Stato islamico. Reportage del Foglio

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Il capo di un'unità di forze speciali libiche a Tripoli (foto Daniele Raineri)

Zuwara, dal nostro inviato. Una fonte che chiede di essere definita soltanto come “western official” dice al Foglio che l’Italia ha mandato pochi uomini delle sue Sof in Libia per preparare un possibile intervento militare. Sof è un acronimo inglese che sta per Special operations forces e indica le forze speciali. Secondo la fonte, si tratterebbe di una manciata di operatori che si muove vicino a Zuwara e a Sabratha, due piccole città sulla costa della Libia che stanno tra la capitale Tripoli e il confine con la Tunisia. I militari si appoggiano ai servizi segreti italiani, che sono presenti in pianta stabile in quella zona a causa della presenza delle infrastrutture di Eni che, tra le altre cose, sono una questione di sicurezza nazionale. Questa nuova missione fa parte di un cambiamento importante: dalla tutela del settore energia si passa alla preparazione di un intervento.

“Gli Stati Uniti stanno facendo pressione sull’Italia per un’azione militare in Libia”, dice la fonte, – e questo è un punto che nel corso dell’ultimo anno è stato confermato da fonti diplomatiche disparate. Dal punto di vista tecnico funziona così: c’è un italiano sul posto che fa da riferimento e che tiene i contatti con i capi dei clan locali – per esempio, un nome: Abu Mussa Grin, che “non è sulla lista dei cattivi degli italiani” – per instaurare un rapporto di collaborazione, tenere aperti i canali di comunicazione, ottenere informazioni. Altri italiani vanno e vengono e non sono riconoscibili come militari da un osservatore casuale. Un ufficiale del 9° Reggimento d’assalto Col Moschin è stato in quell’area per sette mesi. In particolare, gli operatori delle forze speciali italiane sono considerati specialisti di quella zona per il ruolo che hanno avuto durante la guerra civile libica contro Gheddafi nel 2011, quando hanno guidato i bombardamenti degli aerei della Nato. “Senza le Sof italiane, la Nato non avrebbe quasi azzeccato un bersaglio” in quell’area, dice la fonte.

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La presenza italiana coincide con le operazioni in Libia di forze speciali americane e inglesi, che secondo quanto rivela un articolo pubblicato domenica scorsa sul New York Times, sono impegnate a raccogliere informazioni sullo Stato islamico.



Nel paese arabo circolano rumors più o meno infondati sulle attività in incognito di militari stranieri – e questa non è una novità, è piuttosto una costante del paesaggio libico, carico di sospetti. A fine settembre il presidente del Congresso nazionale di Tripoli, Nuri Abu Sahman, ha accusato le forze speciali italiane di avere teso un’imboscata a “un trafficante di uomini di Zuwara”e di averlo ucciso – notizia che si rivelò una bufala in poche ore, ma che rende il clima che si respira in Libia.



Le forze italiane candidate a questi incarichi di ricognizione sono due. Una è il Comando subacqueo incursori, Comsubin, che ha familiarità con quel tratto di costa.



Nel settembre 2011 gli uomini del Comsubin arrivarono al largo di Sabratha a bordo della nave San Marco, quando la rivoluzione era ormai alle ultime battute (Gheddafi, nascosto a Sirte, sarebbe stato catturato e ucciso il mese seguente) e la Libia aveva riattivato i contratti con Eni. Durante quell’operazione i cecchini del reparto coprirono altre squadre che scesero dagli elicotteri sulle piattaforme Eni – per ispezionarle e dichiararle “pulite” da eventuali mine e trappole esplosive. Più di recente, a marzo di quest’anno, sui giornali è arrivata l’indiscrezione che un contingente di incursori del Comsubin è partito dalla base del Varignano a la Spezia a bordo di una nave, questa volta la San Giorgio, per stazionare di nuovo davanti a quella zona, in corrispondenza dell’impianto di Mellita.



Come dicono anche fonti del Foglio a Zuwara, alcune aree della vicina Sabratha – è poco più a est – sono infestate dallo Stato islamico. A luglio il gruppo – che si nasconde dietro la presenza di altre fazioni islamiste – ha avuto la tentazione di uscire dall’ombra e dichiarare la propria presenza in via ufficiale, ma poi ha soprasseduto per non provocare reazioni militari e così perdere la rotta strategica d’accesso alla Tunisia. Mentre a Sirte lo Stato islamico produce e mette su internet materiale di propaganda, distribuisce dolci per celebrare l’attacco di Parigi e annuncia l’istituzione di tribunali islamici, a Sabratha preferisce per ora tenere un basso profilo. Da quei cento chilometri di strada litoranea che vanno verso i checkpoint di confine passano tutte le operazioni clandestine che lo Stato islamico lancia nel paese vicino, dall’attacco al museo del Bardo alla strage in spiaggia di Sousse. Martedì scorso la Tunisia ha chiuso la frontiera tra i due paesi per bloccare il traffico di uomini e di esplosivi, dopo che su un bus nel centro della capitale Tunisi un attentatore suicida ha fatto una strage di guardie presidenziali – un corpo scelto e specializzato nella lotta agli islamisti.



La Libia è al centro di operazioni di sorveglianza e di raccolta di intelligence da parte dei paesi occidentali. Il 26 settembre un drone Predator americano è precipitato per un guasto nell’area di al Fatayah, appena a sudest di Derna, lo Stato islamico lo ha trovato e subito ha messo tre foto su internet. Il giorno prima il drone aveva sorvolato Sirte, secondo alcuni testimoni. Il 16 novembre anche alcuni jet francesi hanno sorvolato Sirte, tre giorni dopo il massacro di Parigi. Il 13 novembre due aerei americani hanno ucciso un comandante iracheno, Abu Nabil al Anbari, secondo il Pentagono. Un pezzo del New York Times di pochi giorni fa cita una non meglio specificata fonte che afferma che “l’America ha incrementato il numero dei bombardamenti in Libia”. Ne parla al plurale, lasciando intendere che le missioni aeree in Libia contro l’Is erano già cominciate.

Come si lavora oggi in Libia



Questo articolo è il frutto di conversazioni con i comandanti di alcune brigate di Misurata, le famiglie fuggite da Sirte diventata capitale dello Stato islamico in Libia, i parenti di alcuni soldati caduti combattendo contro il gruppo estremista, il direttore Ismail Shukri e un ufficiale (che preferisce restare anonimo) dell’intelligence militare di Misurata, un “western official”, alcuni ufficiali delle forze speciali e della polizia di Tripoli e uomini della sicurezza locale a Zuwara – che è una città sulla costa famosa fino a poco tempo fa come “capitale del contrabbando”. Due osservazioni. In Libia si vive con un senso di attesa: tutte le parti sanno che questa situazione di stallo che si è creata non potrà trascinarsi ancora a lungo e che questi mesi sono un preludio, anche se non si è capito con precisione a cosa. La seconda nota riguarda il controllo sui media: il 2011 arabo in cui si poteva accedere a chiunque e dovunque è un ricordo lontano, oggi anche la Libia è un paese diviso in cui ogni notizia può essere un capo d’accusa e un corpo contundente da scagliare contro la fazione rivale. Per ogni intervista ci vuole una lettera di autorizzazione e talvolta un’automobile con un paio di uomini dell’autorità locale scorta i giornalisti stranieri, il che da una parte è un bene – considerato che lo Stato islamico ha un forte network di intelligence in molte città del paese – altre volte ha il sapore di una restaurazione, di un ritorno al passato.




Prendere il controllo del petrolio



La strategia dello Stato islamico in Libia punta a una espansione progressiva a est e a sud di Sirte, la capitale di fatto (capitale lo è dalla primavera, ma la notizia è scoppiata sui media grazie a un pezzo del New York Times che ha rivelato l’arrivo di comandanti iracheni). A ovest la strada verso Tripoli è comunque sbarrata dalla presenza di Misurata, che è la città-stato più forte di tutto il paese dal punto di vista militare, quindi in quella direzione gli uomini dello Stato islamico possono oggi arrivare al massimo al checkpoint autostradale di Abu Ghrein (dove ai giornalisti non è più consentito accedere). A est di Sirte invece comincia una lunga striscia di costa che arriva fino ai due porti d’imbarco del petrolio, Sidra e Ras Lanuf, che servono tutto il paese quando non sono chiusi per scontri. Il gruppo estremista si è già proteso in quella direzione e a giugno ha conquistato Harawa e Nowfaliya, a 50 chilometri dai terminal. Questo è un punto trascurato: quasi non ha combattuto per avanzare, lo ha fatto soprattutto negoziando con i clan locali, ai quali ha anche spiegato che l’opa armata dello Stato islamico sul settore energetico della Libia prevedeva, entro il mese di Ramadan (che quest’anno corrisponde all’incirca a luglio) la conquista della cosiddetta Mezzaluna del petrolio, ovvero di quella catena di pozzi petroliferi che descrive una curva di trecento chilometri nel deserto a sud del golfo di Sidra. A febbraio e marzo lo Stato islamico ha lanciato alcuni assalti mordi-e-fuggi ad alcuni pozzi petroliferi molto isolati, nella zona di al Ghani a sud di Sirte, costringendone undici alla chiusura per “forza maggiore” – che è una clausola invocata dai produttori per non pagare penali ai clienti. In questi raid contro i siti petroliferi sono state uccise undici guardie, alcune decapitate, e sono stati sequestrati tecnici occidentali.

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Il modello strategico dello Stato islamico in Libia è quello già adottato in Siria e in Iraq: puntare ai pozzi del petrolio. E’ quello che hanno fatto nell’estate del 2014, quando nel giro di poche settimane hanno preso possesso degli impianti nella provincia siriana di Deir Ezzor e hanno occupato la più grande raffineria dell’Iraq a Baiji (che nel frattempo hanno perduto). Lo Stato islamico ha però un problema: sfruttare il petrolio libico, che è portato fuori dal paese via nave, è ancora più difficile che in Siria e in Iraq, dove in queste settimane gli aerei americani e russi stanno facendo strage di autocisterne. Per ora, sembra, puntano più che altro alla possibilità di condizionare il settore: di minacciare, di interferire, di imporre una propria forma di controllo. Una persona in contatto con combattenti dello Stato islamico nell’area di Sirte dice che alla domanda sul perché attaccassero i pozzi di petrolio un leader locale del gruppo ha risposto che è per arrestare il flusso di ricavi in denaro verso quello che loro considerano uno stato non islamico”, secondo un’intervista commissionata dal think tank International Crisis Group nella zona di Harawa.



Tre giorni fa Christiane Amnapour ha intervistato per la Cnn il ministro della Difesa francese, Yves le Drian, che le ha detto – come d’uso – che i libici devono a tutti i costi formare un governo di unità nazionale perché è l’unica soluzione possibile. Si rende conto che ci vorrà molto tempo? Sarete costretti a bombardare Sirte?, ha chiesto lei. “Quel momento potrebbe essere molto più vicino di quanto pensa – ha risposto le Drian – Se lasciamo che Daesh si sviluppi, raggiungeranno con rapidità i pozzi di petrolio a sud”.



La strategia è stata confermata dallo stesso comandante di tutto lo Stato islamico in Libia, presentato a settembre sull’undicesimo numero della rivista del gruppo, Dabiq, con il nome di Abu Mughirah al Qahtani: “La Libia ha una grande importanza per la Umma islamica perché è in Africa subito a sud dell’Europa. Contiene anche un pozzo di risorse che non si asciugherà mai. Tutti i musulmani hanno diritto a queste risorse. E’ anche un varco d’accesso al deserto africano che s’allunga verso molti paesi africani. E’ importante notare che le risorse libiche sono una grande preoccupazione per l’occidente infedele, che fa conto sulla Libia per molti anni a venire, specialmente per quanto riguarda il petrolio e il gas. Il controllo dello Stato islamico sopra la regione porterà ad alcune bancarotte economiche, soprattutto per l’Italia e poi per il resto dei paesi dell’Europa”.



Sulla costa libica si dice anche – ma non c’è alcuna prova – che lo Stato islamico abbia stretto un patto di non aggressione con Ibrahim al Jadran, il trentenne leader locale che controlla con un piccolo esercito di ex ribelli i terminal del petrolio. In pratica Jadran pagherebbe per non essere disturbato, come in un racket su scala gigante. La ridda dei rumors su Jadran vuole che suo fratello Osama sia un comandante del movimento jihadista Ansar al Sharia e che sia stato ferito in un bombardamento oppure che sia passato allo Stato islamico, il che darebbe adito ad ancora più illazioni. Di certo lo Stato islamico ha lodato Osama, definito “un uomo di parola”, per avere assistito con cure mediche alcuni combattenti feriti del gruppo, e a giugno Osama è stato avvistato nell’ospedale di Sirte (uno degli edifici a maggiore concentrazione di Stato islamico della città). Ricapitolando: lo Stato islamico che sogna il controllo del petrolio libico avrebbe un accordo sottobanco con l’uomo che controlla l’area delle raffinerie e dei terminal per esportare quel petrolio, un leader che nel 2014 ha firmato un contratto da due milioni di dollari con un’agenzia di Washington che si occupa di lobbying al Congresso, la Dickson e Mason, per curare la sua immagine e che però ha un fratello impegnato nel jihad. C’è chi vedrebbe nella relativa tranquillità di Jadran proprio un sintomo del suo patto con il diavolo. Però mercoledì 28 ottobre lo Stato islamico ha attaccato un varco d’ingresso del porto petrolifero di Sidra. Una colonna di macchine è arrivata quasi fin sotto al perimetro esterno, gli aggressori hanno sparato sulle guardie per piazzare una autobomba aprire un secondo varco – ma tre sono stati ammazzati e il raid è fallito.



Ancora più significativo è quello che sta succedendo a Agedabia, la capitale del territorio di Jadran, una città piccola ma curciale per il controllo sul petrolio libico. Lo Stato islamico sta applicando il manuale per la conquista occulta già applicato con successo altrove: i suoi sicari stanno eliminando possibili oppositori in anticipo, con una serie infinita di uccisioni preventive. Una fonte del Foglio dice che ogni giorno ci sono cadaveri di gente assassinata nelle strade, che lo Stato islamico a volte piazza checkpoint volanti e che circola un rumor sulla prossima nomina di un emiro nigeriano per la città. Secondo i media libici, il gruppo sta spostando le armi pesanti verso Adjabiya.

In queste convulsioni, c’è da tenere a mente che lo Stato islamico in Libia non ha la forza militare di cui dispone in Iraq e Siria. Lo dice al Foglio un libico che appartiene ad al Qaida e che fino a poche settimane fa era in Siria, nella provincia di Latakia, e che ora è tornato in patria, in una regione non specificata – testimoniando ancora una volta la facilità di collegamento tra i due paesi. “Lo Stato islamico è piuttosto debole in Libia – dice via Skype – sarebbe facile per noi liberarcene. Tuttavia, come musulmani, non dovremmo farlo servendo con Fajir Libia (l’alba della Libia, la milizia del governo islamista di Tripoli) o con l’operazione Karama (l’operazione Dignità, il gruppo militare ormai diventato esercito che fa capo al governo di Tobruk, ndr), perché entrambi sono caduti in alcuni fatti che annullano il loro islam. Dovremmo farlo da musulmani, evitando anche che l’occidente possa trarre beneficio dalle nostre azioni. Sembra complicato, ma sono certo che capisci”.



Fedele al motto “baqiya wa tatamaddad”, resistere ed espandersi, per ora lo Stato è ancora inchiodato alla fase “baqiya”, e non riesce a passare a quella “tatamaddad”. Lo dice anche, oltre ai rivali di al Qaida, un rapporto di 24 pagine firmato da esperti delle Nazioni Unite e uscito due giorni fa, secondo cui il tentativo dello Stato islamico di espandersi in Libia è ostacolato dalla mancanza di combattenti, il gruppo stenta a ottenere il sostegno dei libici ed è ancora considerato un soggetto estraneo. “Lo Stato islamico in Libia ha tra i 2.000 e i 3.000 combattenti”, scrivono gli esperti del Consiglio di Sicurezza: ancora troppo pochi per un’offensiva che si sviluppa su trecento chilometri di costa. A questo proposito, una fonte dice al Foglio che è sbagliato considerare Sirte come il luogo dove più si concetrano i combattenti dello Stato islamico: in realtà stanno più a est, nei dintorni di Harawa, per offrire un bersaglio meno ovvio in caso di bombardamenti.



Lo Stato islamico è, tuttavia, tra i fattori che mettono a repentaglio il settore energetico della Libia. Secondo un rapporto del International Crisis Group che è stato reso pubblico oggi (ci ha lavorato anche una ricercatrice italiana, Claudia Gazzini, dalla Libia): “Dopo quattro anni di guerra civile il settore energetico corre verso la disintegrazione completa, con il rischio del collasso economico per il paese e di una nuova ondata di rifugiati per l’Europa”.

Combattere gli estremisti con gli islamisti



Il capo delle forze speciali di Tripoli è giovane, tracagnotto, arriva su un fuoristrada all’appuntamento fuori dal muro di cinta dell’aeroporto Mitiga di Tripoli, che è l’unico funzionante dopo che quello internazionale è stato distrutto negli scontri dell’estate 2014. Toglie dal cellophane un passamontagna nuovo e lo indossa perché non vuole che il suo volto vada a finire in una fotografia, e chiede anche di evitare di scattare fotografie a meno che non siano a campo così stretto da risultare, in pratica, immagini astratte in stile Magritte (ecco: una sedia). Il fatto è che nella base dentro l’aeroporto sono nervosi, hanno capito che lo Stato islamico ha studiato le immagini sui siti di news e sui social media, ha disegnato mappe e ha fatto sopralluoghi prima di lanciare un assalto all’aeroporto lo scorso 18 settembre. Dopo quei combattimenti nel centro della capitale, la presenza in Libia dello Stato islamico è stata per la prima volta riconosciuto anche dal governo “di salvezza nazionale” di Tripoli, che per quasi un anno aveva tentennato sull’argomento. “Sono arrivati alle sei di mattina di venerdì, che è il giorno di festa, e sapevano con precisione dove fare un buco con l’esplosivo nel muro di cinta – spiega il comandante – poi sono entrati in quattro, hanno sparato un razzo Rpg contro la porta della prigione dentro la nostra base – che a sua volta è in un angolo dell’aeroporto – hanno portato fuori il loro emiro (si dice: un libico con passaporto canadese) gli hanno consegnato una veste esplosiva da indossare e un fucile d’assalto”. Liberare i compagni imprigionati è un classico nelle fasi preliminari della fondazione dello Stato islamico. Nel 2012 e 2013 il gruppo in Iraq è riuscito a tornare ai livelli di prima del 2010 (che fu l’anno della grande crisi) proprio grazie a una campagna di assalti ale prigioni, da Tikrit a Abu Ghraib. Nel caso di Tripoli, l’emiro era quello che a gennaio aveva ordinato un attacco in grande stile contro l’hotel Corinthia – che un tempo era uno dei migliori della capitale, ora a mesi di distanza è tornato ad aprire al pubblico la hall e il ristorante, ma non ospita più. Morirono dodici persone.



Il capo delle forze speciali ha una faccia simpatica pur sotto il passamontagna. Spiega che dopo il disorientamento iniziale i suoi uomini hanno reagito, i cecchini hanno preso posizione per impedire la fuga ai cinque, gli altri si sono fatti sotto.“Sono morti tre dei nostri uomini migliori, ma abbiamo ucciso i quattro intrusi e nessuno di loro era libico: un marocchino, un tunisino, due sudanesi”. E’ un altro segno, ma non c’era bisogno, che il paese sta diventando il collettore del reclutamento islamista nello smisurato bacino africano che dal Sudan a est arriva fino alla Mauritania, a ovest. Alla sera nelle vie di Tripoli c’è stata una parata di celebrazione della vittoria, con i carri armati e le bandiere. A gennaio, dopo l’attacco dello Stato islamico all’hotel, la tv libica aveva parlato di “ex gheddafiani” e il governo aveva citato non meglio definiti “nemici della rivoluzione”. Il primo ministro Omar al Hassi aveva negato che la responsabilità fosse dello Stato islamico – a dispetto del fatto che il gruppo avesse fatto uscire una rivendicazione quasi in diretta. Il problema che prima non era nemmeno nominato ora è ammesso.



Accanto al capo in divisa mimetica, una di quelle mimetiche urbane nere e bianche che spiccano invece che confondersi, siede un uomo in abiti civili che talvolta suggerisce in arabo all’orecchio del comandante le cose migliori da dire. Uno dice: “Guardate cosa è successo a Parigi, ormai non è più una cosa che riguarda soltanto la Libia”. L’altro dice: “Guardate cosa è successo a Parigi, ormai non è più una cosa che riguarda soltanto la Libia”.



Il nome del reparto è Rada, che in arabo vuol dire “Deterrenza”, prima erano specializzati nella lotta ai narcotrafficanti. Prima ancora però erano il cosiddetto battagliona Nawasa, una forza di islamisti molto rigidi che molti a Tripoli incolpano per la degenerazione del dopo 2011. Sotto la guida di Abdel Raouf Kara, il battaglione imponeva l’osservanza delle regole islamiche più strette nelle strade, come per esempio il divieto per le donne di girare senza un accompagnatore. Anche se spesso agli occhi occidentali i gruppi come quello di Kara si confondono con lo Stato islamico e sembrano la stessa cosa, sul campo sono nemici mortali – come dimostra l’incursione lanciata contro la loro base. Se l’Europa sorveglia lo Stato islamico in Libia, può permettersi di escludere dai suoi interlocutori le forze come Rada?

Libici o stranieri?



La donna racconta al Foglio che prima di scappare da Sirte è andata a fare una chiamata in un call shop e che vicino a lei c’era un combattente tunisino dello Stato islamico, parlava con una donna che doveva essere sua moglie e diceva: “Ormai controlliamo Sirte come la controllava Gheddafi”, e questo vuol dire che lo Stato islamico ha un controllo totale sulla città,che un tempo fu feudo di Gheddafi. La donna spiega che questo dominio è ottenuto anche grazie a raid improvvisi contro chiunque è sospettato di fare parte dell’opposizione al gruppo. Come la sete di petrolio, come l’assalto alle carceri, anche questo fa parte di un protocollo operativo già visto in Iraq e in Siria. Lo Stato islamico quando arriva di soppiatto in una città e infiltra i suoi gruppi di fuoco stila una lista di potenziali disturbatori da eliminare – vedi cosa sta succedendo a Adjabiya – e l’opera di “purificazione” continua anche dopo che la conquista totale è compiuta. Chi contravviene allo spirito dello Stato islamico incorre nel generico crimine di “rottura dell’unità dei ranghi” ed è punibile. “A Sirte se vengono a catturare un uomo soltanto in un singolo appartamento prima circondano il palazzo intero, piazzano cecchini sui tetti di fronte, creano un cordone di sicurezza nelle strade tutto attorno fino a un chilometro di distanza in modo che il bersaglio non possa scappare, se sfugge alla squadra che lo cerca sarà preso ai posti di blocco”. Lo Stato islamico applica di regola una quantità di forza che non lascia la possibilità di compiere gesti di ribellione. Sirte, dice un avvocato libico che è scappato pochi mesi fa, è oggi un posto sorvegliato, la gente non scende più in strada appena fa buio, passa il tempo al chiuso, si muove lo stretto indispensabile, va a fare la spesa e poi torna a casa. “In città è rimasto soltanto il 30 per cento della gente rispetto a prima, soprattutto chi non ha i mezzi per trovarsi una sistemazione altrove”.



A sentire i racconti di chi ne è fuggito, Sirte non pare un modello attraente di rinascita all’islam, e come spiega il New York Times in un reportage straordinario uscito domenica il gruppo potrebbe considerare Sirte come una “fall back option”, uno spazio di sicurezza dove ritirarsi se le cose vanno male in Siria e in Iraq. Questa cosa, dicono a Misurata, è già cominciata. Una fonte dell’intelligence militare libica assicura che è già arrivato uno degli ideologi più conosciuti del gruppo, il giovane imam Turky al Binali, del Bahrain, autore delle biografie autorizzate di Abu Bakr al Baghdadi e del portavoce Abu Mohammed al Adnani. Nel luglio 2013, quando al Binali appoggiava lo Stato islamico in segreto, scrivendo sotto un falso nome, visitò Sirte per un ciclo di conferenze religiose che avrebbero dovuto far intuire qual era la direzione che lui e la città avrebbero preso. In una foto iconica, al Binali mostra il canale di scolo stradale di Sirte dove Gheddafi cercò invano scampo dagli inseguitori e dalla morte nell’ottobre 2011.



Il New York Times dice che i leader stranieri, iracheni e sauditi, hanno preso il controllo, alcuni libici sostengono che la leadership ha un volto locale. Come si conciliano queste due versioni?



Forse lo Stato islamico sta facendo in Libia come fece in Iraq negli anni dopo la morte del fondatore, il terrorista giordano Abu Musab al Zarqawi. Per non spaventare troppo i combattenti iracheni, già accusati di servire comandanti venuti da fuori, lo Stato islamico mise un iracheno alla testa del gruppo, il comandante Abu Omar al Baghdadi, ma di fatto al vertice c’era una diarchia, perché Baghdadi (da non confondere con il successore) condivideva il potere con un egiziano, Abu Hamza al Muhajir (conosciuto anche come: Abu Ayyoub al Masri). Gli americani per lungo tempo credettero che fosse un trucco subdolo e che Baghdadi fosse impersonato da un attore, assoldato per recitare i comunicati jihadisti e zeppi di citazioni coraniche dettati dall’egiziano. Dovettero ricredersi, Baghdadi esisteva davvero. Forse in Libia accade lo stesso, il leader in assoluto più visibile è l’ubiquo Hassan al Karamy, sempre così in prima fila nella propaganda. In fin dei conti, il nucleo originario dello stato islamico in Libia è formato da una fazione scissionista di Ansar al Sharia e da centinaia di libici tornati dalla Siria, i reduci del battaglione al Battar. E il primo capo, morto a maggio nella conquista dell’aeroporto di Sirte, era Abu Ibrahim al Misrati, quindi un libico di Misurata. I comandanti stranieri si tengono defilati.



Il New York Times (sì, ha pubblicato un reportage zeppo di informazioni) dice che in Libia è arrivato, su una barca, Abu Ali al Anbari. Nel nord della Siria negli anni scorsi si parlava molto di al Anbari, perché da prima dell’aprile 2013 Baghdadi gli aveva conferito l’incarico di trattare con i gruppi della ribellione siriana, prima che cominciasse l’ostilità aperta e mortale di oggi. Anbari girava le basi, risolveva gli attriti, preparava le fondamenta di quello che è venuto dopo. Sembra bizzarro che sia stato spostato dalla Siria alla Libia, ma è questo – si sostiene – il senso dell’operazione: ricreare a Sirte lo stesso livello di organizzazione che potrebbe essere distrutto a Raqqa (a Misurata si sente confondere il suo nome con quello dell’altro Anbari, Abu Nabil, quello ucciso). Secondo la pubblicazione specializzata Intelligence Online, al Anbari, che è un ex ufficiale dei servizi di sicurezza di Saddam Hussein, si occupa della supervisione delle cellule dello Stato islamico spedite in Europa, in Libano e nel Golfo a compiere attacchi in grande stile di rappresaglia contro i civili. Se è vero, le barche che arrivano in Libia sono più pericolose di quelle che partono.


http://www.ilfoglio.it/esteri/2015/12/0 ... e_c290.htm


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 Oggetto del messaggio: Re: Guerra in Libia
MessaggioInviato: 18/12/2015, 12:12 
Cita:
Libia, arrivo inatteso di militari Usa. Ripartono su 'invito' di milizie

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Un gruppo di una ventina di militari delle forze speciali degli Stati Uniti che era arrivato in Libia "in modo inaspettato" è stato invitato ad andare via da forze armate fedeli al governo di Tobruk. Lo ho riferito il sito del Libya Herald e lo ha confermato il Pentagono. Secondo il sito, i militari erano atterrati alla base aerea di al-Wattiyah, a sud-ovest di Tripoli, "ben equipaggiati", con "fucili d'assalto" e con un "dune buggy", un veicolo per la marcia su sabbia.

"I comandanti locali, perplessi, hanno detto agli stranieri di non essere a conoscenza di alcuna missione e hanno intimato loro di partire", ha riferito ancora il Libya Herald. Secondo una fonte del Pentagono citata dalla Nbc, invece, i militari Usa erano in Libia per "promuovere le relazioni", "d'accordo con le autorità libiche". Ma invitati da una "milizia locale" a partire, hanno lasciato il paese "senza incidenti".

Come si vede in una foto pubblicata dal Libya Herald, i militari americani indossavano abiti civili. Secondo analisti contattati dal sito, si trattava forse di una squadra incaricata di colpire il sedicente Stato islamico (Is) nei pressi di Sabratha. I 20 militari sono arrivati in Libia e sono ripartiti a bordo di un aereo registrato negli Emirati.



http://www.adnkronos.com/aki-it/sicurez ... po33N.html


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 Oggetto del messaggio: Re: Guerra in Libia
MessaggioInviato: 04/06/2016, 01:08 
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La “guerra delle banconote” tra le due Libie

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La paventata “guerra delle banconote” in Libia è già un realtà. Nell’est controllato dal governo di Tobruk le banche hanno iniziato oggi a usare nuove banconote, stampate in Russia, uno sviluppo considerato “molto pericoloso e preoccupante” per il futuro del Paese.

Banconote per un totale di 200 milioni di dinari sono arrivate martedì da Mosca (ove vengono stampate anche le lire siriane) all’aeroporto di Labraq, si legge sul Guardian, secondo cui la Banca Centrale di al-Bayda – legata al governo di Tobruk – ha iniziato a mettere in circolazione i contanti, con l’obiettivo di ‘raggiungere’ entro il fine settimana anche l’ovest della Libia.

La Russia ha un contratto che prevede la fornitura di banconote per quattro miliardi di dinari libici., valuta cambiata intorno ai 67 centesimi di euro per un dinaro.

Intanto, scrive il giornale, la Banca Centrale di Tripoli controllata dal governo di Fayez al-Sarraj sostenuto dall’Onu ha ricevuto altri 112,5 milioni di dinari in banconote stampate dalla società britannica De La Rue che ad aprile aveva inviato 70 milioni di dinari in Libia sempre con un velivolo atterrato all’aeroporto di Mitiga a Tripoli.

Nell’ex colonia italiana la carenza di contante ha imposto da tempo limiti ai prelievi bancari e sta facendo aumentare l’utilizzo di assegni postdatati.

Sadiq al-Kabir, governatore della Banca Centrale di Tripoli, ha chiesto al Consiglio presidenziale libico di vietare che le banconote ‘rivali’ vengano messe in circolazione. In una lettera diffusa dal portale di notizie libico al-Wasat, si legge che “la Commissione per le politiche monetarie della Banca Centrale ritiene necessario rifiutare la moneta arrivata dalla Russia e vietarne la circolazione in tutte le banche che operano in Libia”.

“La stampa di banconote in Russia è avvenuta in circostanze poco chiare e in contrasto con la legge”, prosegue la missiva, e questo “rafforza lo stato di divisione politica, danneggia consenso nazionale e offre spunto alla comunità internazionale per congelare i fondi della Banca Centrale”.

Ali Salim al-Hibri, governatore della banca ‘rivale’ in Cirenaica e un tempo riconosciuto come il governatore della Banca Centrale dal Fondo monetario internazionale, ha sostenuto di aver stampato banconote per 4 miliardi di dinari con l’aiuto della Russia.

La scorsa settimana gli Stati Uniti, sostenitori di al-Sarraj, hanno fatto sapere di convenire con il nascente governo di concordia nazionale che le banconote di Bayda “sarebbero contraffatte e potrebbero compromettere la fiducia nella moneta libica, così come la capacità della Banca Centrale libica di gestire una politica monetaria tale da consentire la ripresa economica”-

Le fonti diplomatiche del Guardian temono che le banconote ‘rivali’ possano solo alimentare il caos nel Paese, teatro della battaglia politica tra il nascente governo del premier designato Fayez al-Serraj e il Parlamento di Tobruk.

Il 31 maggio il presidente del parlamento libico di Tobruk, Aguila Saleh, ha definito “inaccettabile” il riconoscimento ottenuto dal governo di riconciliazione libico del premier Fayez al Sarraj da parte della Lega Araba. Parlando nel corso di una seduta della Camera dei rappresentanti di Tobruk, Saleh ha ribadito che “prima di essere riconosciuto il governo deve assumere i poteri e non può farlo senza il voto di fiducia del parlamento.

Per questo il governo transitorio di Tobruk ha presentato appello contro la decisione della Lega Araba” di affidare al governo di Tripoli il seggio che spetta alla Libia.

Il governo di accordo nazionale libico del premier Serrajha ricevuto infatti il sostegno ufficiale della Lega Araba, dopo l’appoggio garantito da Onu e Paesi Occidentali.

Parlando ai deputati del riconoscimento ottenuto dai suoi avversari da parte della Lega Araba, il premier del governo transitorio, Abdullah al Thani, ha accusato il consesso arabo di “essersi piegato alle pressioni esercitate da alcuni paesi, in particolare da Algeria, Sudan e Qatar.


http://www.analisidifesa.it/2016/06/la- ... due-libie/


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 Oggetto del messaggio: Re: Guerra in Libia
MessaggioInviato: 14/09/2016, 01:37 
Cita:
Lo scacchiere nordafricano L'Italia pronta a inviare 100 medici e 200 paracadutisti in Libia. Dove avanza il generale Haftar Roma inviera' a Misurata un contingente per curare i soldati libici. Dichiarazione congiunta di Italia, Francia, Germania, Spagna, Regno Unito e Stati Uniti per chiedere al Generale Haftar di ritirarsi dai terminal petroliferi che ha conquistato

L'Italia sempre più in prima linea in Libia. Il Ministo della Difesa Roberta Pinotti ha confermato che il Governo è pronto a dare il via libera alla missione umanitaria che prevede la creazione di un ospedale da Campo protetto dai militari a Misurata, proprio nella citta' che fornisce il maggior numero di miliziani che combattono l'Isis a Sirte. Intanto il paese nordafricano e' sempre piu' nel caos con gli scontri nei porti di petrolio. La cosiddetta 'mezzaluna Petrolifera' e' infatti caduta nelle mani del generale Khalifa Haftar, legato al parlamento di Tobruk, la citta' dell'est che ancora non ha dato la fiducia al governo di Tripoli sostenuto all'onu e dalla comunita' internazionale. Ma la capitale ha reagito agli attacchi annunciando una controffensiva. A confermare la decisione del governo italiano - anticipata dal quotidiano 'La Repubblica' - di trasferire nell'area dell'aeroporto di misurata un ospedale da campo e' stato il Ministro della difesa Roberta Pinotti spiegando che finora l'Iitalia ha "curato i feriti libici nei nostri ospedali o inviando medicine", ma adesso l'intervento "lo faremo li'". "La battaglia che hanno fatto le forze di Misurata contro i terroristi di daesh e' stata molto impegnativa - ha aggiunto -. ora hanno bisogno che l'Italia dia loro una mano li' perche' dobbiamo poter curare questi valorosi combattenti contro il terrorismo e contro l'Isis". Il ministro degli esteri Paolo Gentiloni (che oggi riferira' In parlamento assieme alla collega della difesa) ha poi precisato che il governo italiano ha accolto la richiesta del governo di Tripoli di "inviare un ospedale militare, che ovviamente avra' le sue protezioni". La missione e' un "contributo tipico di quello che puo' fare l'Italia all'estero - ha spiegato Il titolare della Farnesina - ossia aiutare i consolidamenti dei processi di stabilizzazione anche con le proprie forze armate". In Libia "abbiamo bisogno che la situazione si consolidi, per far fronte al terrorismo e per gestire meglio l'emergenza migratoria". Critica l'opposizione. Gasparri: "Sconcertante" "Sconcertante che il parlamento debba apprendere da un quotidiano che il governo intende impiegare 200 militari della Folgore in territorio libico. Il metodo del governo e' inaccettabile", attacca il senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri. mentre il capogruppo dei deputati di sinistra italiana Arturo scotto si dice "molto preoccupato": "Sarebbe una scelta saggia evitare di entrare in un teatro tutt'altro che stabilizzato come la Libia, senza un chiaro indirizzo strategico". L'offensiva di Haftar che si prende i terminal petroliferi Sul campo intanto la situazione e' incandescente. In meno di 24 ore i porti petroliferi di Zueitina, Brega, Sidra e Ras Lanuf sono caduti nelle mani delle forze del generalissimo Haftar. Il Presidente della camera dei rappresentanti (Hor) di Tobruk, Aqila Saleh, si e' felicitato con le guardie delle installazioni petrolifere (vicine a Tripoli) per avere 'ceduto' le Installazioni "senza alcuna resistenza" e ha chiesto alla National oil corporation (noc) di occuparsene "dopo che sara' conclusa la missione delle forze armate per proteggere i siti". Ma la risposta da Tripoli non si e' fatta attendere. Gli attacchi "minano la riconciliazione", ha denunciato il consiglio della presidenza e sul suo portale Facebook ha annunciato che il "ministro incaricato della difesa e' stato chiamato ad assumersi le sue responsabilita' e a chiamare tutte le unita' militari a far fronte all'aggressione contro le installazioni ed i porti per riprenderli ed assicurare la loro protezione". C'e' la "necessita' della cooperazione tra il governo di Ttripoli e le altre forze libiche, incluse quelle che si riconoscono in Haftar", ha aggiunto a riguardo Gentiloni. Dopo la lotta all'Isis il conflitto in Libia vira adesso verso la guerra per la gestione dei terminal acuendo le divisioni, sempre piu' marcate, tra le due realta' politiche. L'appello degli Alleati: "Haftar si ritiri dai terminal petroliferi" L'Occidente chiede al generale Haftar, che controlla Bengasi e l'Est della Libia, di ritirare le sue milizie dai siti petroliferi recentemente sottratti alle forze del governo libico di unità di Al Sarraj, riconosciuto internazionalmente. "Facciamo appello a tutte le forze militari che sono entrate nella Mezzaluna petrolifera a ritirarsi immediatamente, senza precondizioni", scrivono, in una dichiarazione congiunta, i governi di Francia, Germania, Italia, Spagna, Stati Uniti e Regno Unito, condannando gli attacchi del fine settimana ai terminal petroliferi di Zueitina, Ras Lanuf, Es Sider e Brega da parte delle forze del generale Khalifa Haftar. "I governi di Francia, Germania, Italia, Spagna, Stati Uniti e Regno Unito riaffermano il loro sostegno completo al Governo di accordo nazionale come sola autorità esecutiva della Libia" e sollecitano "una cooperazione pacifica tra le forze armate libiche e un impegno immediato per creare una forza militare professionale", si legge ancora nella dichiarazione.



http://www.rainews.it/dl/rainews/artico ... 224c6.html


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 Oggetto del messaggio: Re:
MessaggioInviato: 13/10/2016, 18:55 
Thethirdeye ha scritto:
Cita:
bleffort ha scritto:

Cita:
Ufologo 555 ha scritto:

... gli americani sono stati trascianti da Sarkozy (capirai, con Obama ...), altrimenti non sarebbero andati a bombardare, di loro iniziativa, ben tre ore prima che si riunissero i Paesi della NATO ...!

Non è così !,sicuramente gli Americani avranno detto ai Francesi:iniziate prima voi che noi vi seguiremo!,vai a credere che quel pupazzo francese inserito nella NATO facesse di testa sua!. [;)]


Beh.... visto che l'epilogo di questa storia è rimasto in sospeso,
vi posto qualcosa di veramente interessante.. ovviamente taciuto
anch'esso dai media occidentali............ [:D] [8D]

L'omicidio di Gheddafi è correlato ai loschi affari di Nicolas Sarkozy

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06 luglio 2014

http://www.ecplanet.com/node/4300

Il raìs sarebbe stato eliminato per coprire i 50 milioni per la campagna di Sarkò

Cinquanta milioni di euro sborsati da Muammar Gheddafi per la corsa all'Eliseo e la sospetta esecuzione del colonnello sono i cadaveri nell'armadio dell'ex presidente francese Nicolas Sarkozy.

Non a caso la guerra della Nato in Libia è scattata il 19 marzo 2011 con un bombardamento dei caccia francesi sulle forze di Gheddafi, che stavano per travolgere i ribelli a Bengasi.

I fantasmi libici, sempre seccamente smentiti con sdegno da Sarkozy, sono riapparsi con il clamoroso fermo di ieri. Nelle telefonate intercettate e con le pressioni su un giudice, l'ex capo di stato si preoccupava proprio delle indagini sui presunti fondi di Gheddafi alla sua campagna elettorale che lo portò all'Eliseo nel 2007.

Il primo ad accusare Sarkozy di aver accettato i milioni di Tripoli per farsi eleggere era stato Saif el Islam, figlio ancora vivo del colonnello, tre giorni prima dell'attacco Nato. Il 25 ottobre 2011 l'ex primo ministro libico, Baghdadi Ali al-Mahmoudi, fuggito ed arrestato in Tunisia ammetteva durante un interrogatorio: «Ho supervisionato personalmente il dossier del finanziamento di Tripoli alla campagna di Sarkozy».

Un anno dopo l'attacco Nato in Libia, fra smentite e querele salta fuori che Brice Hortefeux, diventato ministro durante la presidenza Sarkozy, chiuse l'accordo il 6 ottobre 2006 in una riunione con Abdullah Senussi, cognato del colonnello ed il trafficante d'armi Ziad Takieddine. L'accordo era riportato in un documento firmato da Mussa Kussa, allora capo degli onnipresenti servizi segreti libici ed oggi riparato in Qatar. I soldi sarebbero stati versati segretamente da Bashir Saleh, capo di gabinetto del colonnello. La storia è stata confermata da Moftah Missouri, l'interprete personale del rais libico.

Sarkozy accoglieva Gheddafi dei tempi d'oro a Parigi, come «il fratello leader». Se è vera la storia del finanziamento illecito il colonnello l'avrebbe resa pubblica, per sbugiardare il presidente francese, nel caso fosse stato processato. Il 20 ottobre 2011, quando la colonna di Gheddafi venne individuata e bombardata da due caccia Rafale francesi, il rais era stato preso vivo, ma poi gli hanno sparato il colpo di grazia. «Nei giorni precedenti c'erano state diverse missioni tattiche di almeno 9 elicotteri su Sirte (dove si nascondeva il colonnello nda) - racconta a il Giornale una fonte Nato - Uno inglese e gli altri francesi, che colpivano obiettivi mirati».

La fine di Gheddafi iniziò con una telefonata a Damasco, dal suo apparecchio satellitare, intercettata dalla Nato. I piloti dei caccia francesi ed un Predator americano fornirono continue informazioni sulla colonna del colonnello in fuga alla base Nato di Napoli e a Poggio Renatico, che gestiva le operazioni aeree. Parte di queste informazioni venivano girate ai corpi speciali e all'intelligence alleata, al fianco dei ribelli a Sirte.

«L'impressione è che dopo il primo gruppo di insorti che catturarono Gheddafi vivo sia arrivato un secondo, che sapesse esattamente cosa fare e avesse ordini precisi di eliminare i prigionieri» ha spiegato una fonte riservata de il Giornale allora impegnata nel conflitto. Una parte dei rivoluzionari voleva portare Gheddafi a Misurata, come testimoniano le urla nei video registrati dai telefonini. Poi qualcuno del secondo gruppo, con l'ordine di uccidere, dev'essersi avvicinato al colonnello sanguinante, ma vivo, per il colpo di grazia in mezzo alla confusione.

Mesi dopo, Mahmoud Jibril, che è stato primo ministro ad interim, dopo la caduta del regime, confermava alla tv egiziana: «Un agente straniero mescolato ai rivoluzionari ha ucciso Gheddafi».


Autore: Fausto Biloslavo / Fonte: ilgiornale.it



Che dire? Ora tutto torna..... mi pare...... [;)]


Non c'entrano le armi, non c'entra il petrolio,
non c'entrano (ovviamente) le religioni o il terrorismo.... [:305]

Ecco perché hanno eliminato Gheddafi. Le email USA che non vi dicono

Guarda su youtube.com



_________________
"…stanno uscendo allo scoperto ora, amano annunciare cosa stanno per fare, adorano la paura che esso può creare. E’ come la bassa modulazione nel ruggito di una tigre che paralizza la vittima prima del colpo. Inoltre, la paura nei cuori delle masse risuona come un dolce inno per il loro signore". (Capire la propaganda, R. Winfield)

"Onesto è colui che cambia il proprio pensiero per accordarlo alla verità. Disonesto è colui che cambia la verità per accordarla al proprio pensiero". Proverbio Arabo

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 Oggetto del messaggio: Re: Guerra in Libia
MessaggioInviato: 27/10/2016, 22:28 
Cita:
Il mistero dell'aereo caduto a Malta: “Tre delle cinque vittime sono 007 francesi”

Un intrigo internazionale, un giallo degno della migliore letteratura di genere. Cinque morti a bordo di un aereo da turismo precipitato subito dopo il decollo da Malta, l’ombra del terrorismo o del controspionaggio tra le possibili cause della sciagura. Le vittime sono tre 007 francesi che lavoravano per i servizi segreti transalpini per l’esterno (Dgse) e due dipendenti della società privata lussemburghese Cae che aveva affittato l’aereo - un Fairchild Metroliner Mark III- al ministero francese della Difesa. Impossibile non alimentare il sospetto. I tre membri della Dgse avevano partecipato a missioni di ricognizione in Libia ed i media maltesi scrivono che il velivolo era diretto a Misurata, città libica al centro di una guerra tra bande con una nutrita presenza di jihadisti dell’Isis. Inizialmente si era parlato di una missione dell’agenzia europea per le frontiere Frontex, ma l’Alto Commissario per la politica Estera e di Sicurezza Federica Mogherini ha smentito. Così come anche le dogane francesi hanno negato che ci fossero loro funzionari a bordo del volo. Dal canto loro, le autorità maltesi hanno intanto escluso che l’aereo sia precipitato in seguito ad un’esplosione: «Informazioni ufficiali, immagini video e testimonianze oculari, comprese quelle di tre membri delle Forze Armate di Malta e di due piloti commerciali, indicano chiaramente che non vi è stata una esplosione prima dell’impatto», ha dichiarato il governo di la Valletta. Decollato alle 7.10 di ieri, l’aereo poco dopo si è bruscamente piegato sul lato destro ed è precipitato prendendo fuoco. Avvolto nel mistero.


http://www.leggo.it/news/esteri/il_mist ... 44867.html


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 Oggetto del messaggio: Re: Guerra in Libia
MessaggioInviato: 02/12/2016, 22:03 
Cita:
Libia, Putin vuole costruire base militare vicino alle coste della Sicilia

Quando domenica scorsa il Generale libico Khalifa Haftar è arrivato a Mosca, su pressione degli Emirati Arabi Uniti, sapeva che avrebbe ricevuto una proposta di collaborazione in campo militare. Ma la richiesta che gli ha fatto l’esercito russo deve averlo, almeno di prima battuta, sorpreso: il Cremlino vuole costruire una base militare in Libia, vicina alle coste della Sicilia. Si tratterebbe della prima base militare russa nel Nord Africa.

Secondo le fonti di intelligence citate da DEBKAfile, il presidente Vladimir Putin potrebbe costruire una seconda base nel Mar Mediterraneo, sulle coste di Bengasi, dopo quella permanente dell’aeronautica militare russa presente a Laodicea, in Siria (la base Hmeymim). Sempre in Siria il porto della logistica a Tartus diventerà una base navale completa a disposizione della Russia.

La nuova base russa in Libia ospiterà invece unità sia navali sia aeree, che si troveranno dunque a soli 700 chilometri dall’Europa.

Il generale Haftar, nato negli Stati Uniti ed ex comandante delle forze militari del colonnello Gheddafi, è il comandante supremo dell’esercito libico. La Libia è tuttavia un paese politicamente molto instabile, diviso in tre e impelagato in una guerra civile in cui è coinvolto anche il gruppo di ribelli jihadisti dell’ISIS.

A Bengasi Haftar è al comando di un gruppo molto potente di militari che un tempo erano appoggiati dagli Stati Uniti. Da quando si è rifiutato di riconoscere il governo istituito dalle Nazioni Unite a Tripoli, il suo gruppo può contare sul sostegno dell’Egitto e ad alcuni stati degli Emirati nel Golfo. Sono proprio gli Emirati Arabi Uniti ad aver convinto Haftar ad accettare l’invito a Mosca.

È la seconda visita di Haftar nella capitale della Russia. A giugno il generale libico ha visto il ministro russo della Difesa, Sergei Shoigu, e il consulente per la sicurezza nazionale Nikolai Patrushev, per parlare delle future mosse strategiche del Cremlino in Libia.

In quel periodo le forze speciali degli Stati Uniti, dell’Italia e del Regno Unito stavano facendo pressioni per lanciare un’offensiva coordinata contro l’ISIS per cacciare il gruppo di terroristi internazionali dalla città portuale libica di Sirte, a circa 450 chilometri dalla capitale Tripoli.

Tuttavia l’operazione militare non ha ancora completato la sua missione e Sirte non è stata liberata dalle forze libiche del generale al Sarraj. Meglio stanno andando le offensive contro l’ISIS a Bengasi: a metà novembre le forze armate navali guidate da Haftar hanno annunciato una “grande vittoria” contro i combattenti jihadisti nella seconda città della Libia.


http://www.wallstreetitalia.com/libia-p ... a-sicilia/


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 Oggetto del messaggio: Re: Guerra in Libia
MessaggioInviato: 11/01/2017, 15:11 
Cita:
Tobruk: navi da guerra italiane cariche d'armi in acque libiche
Duro attacco del parlamento ostile a governo Sarraj


Roma, 10 gen. (askanews) - Navi da guerra italiane "cariche di armi e soldati" sarebbero entrate nelle acque territoriali libiche. E' l'accusa lanciata oggi dal parlamento di Tobruk all'indomani degli accordi siglati a Tripoli dal ministro dell'Interno italiano Marco Minniti con il governo d'Accordo nazionale libico del premier Faez al Sarraj, osteggiato appunto dal governo di Tobruk.

"In un momento in cui stanno aumentando i problemi in molte zone del Paese (...) siamo rimasti sorpresi ieri sera per l'ingresso di fregate da guerra cariche di armi e di soldati dell'esercito italiano; un fatto che nasconde mire colonaliste grazie alla complicità di alcune parti che vogliono solo assecondare i loro interessi e restano aggrappati al potere per governare la Libia", recita il testo di un comunicato dell'Assemblea dei Deputati di Tobruk letto da un portavoce e postato nel sito ufficiale dell'Assemblea.

"L'Assemblea dei Deputati condanna nel modo più severo e deplora questa situazione illegittima che contrasta le leggi internazionali e dà mandato all'Assemblea di prendere tutte le misure di ritorsione contro lo Stato italiano affinche rispetti la sovranità nazionale" della Libia, ha aggiunto il portavoce.

"Chiediamo al governo italiano di ritirare immediatamente le sue forze ", conclude il documento emesso oggi.

In una nota diffusa ieri sull'accordo raggiunto ieri a Tripoli del ministro Minniti, il Viminale ha annunciato un accordo tra Italia e il governo d'Accordo libico per combattere il traffico di esseri umani e arginare i flussi di migranti in arrivo sulle coste italiane.


http://www.askanews.it/esteri/tobruk-na ... 977185.htm


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 Oggetto del messaggio: Re: Guerra in Libia
MessaggioInviato: 11/01/2017, 17:37 
Cita:
"L'Assemblea dei Deputati condanna nel modo più severo e deplora questa situazione illegittima che contrasta le leggi internazionali e dà mandato all'Assemblea di prendere tutte le misure di ritorsione contro lo Stato italiano affinche rispetti la sovranità nazionale" della Libia, ha aggiunto il portavoce.



che gran casino. quindi se ho capito bene il governo di tobruk (quello del gen. haftar, ergo colui che ha alle spalle russia ed egitto) ci vuole fare la guerra se non ce ne andiamo? ma da quanto ho letto io quelle navi e quel personale militare hanno come unico scopo riaprire e mettere in sicurezza la nostra ambasciata a tripoli quindi non hanno finalità belliche.

non vorrei che la libia diventasse la nuova siria a pochi passa da casa nostra considerando anche i nostri enormi interessi (eni), il possibile abbandono di trump e la possibilità di una base russa in territorio libico.

quali possibili scenari?

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 Oggetto del messaggio: Re: Guerra in Libia
MessaggioInviato: 11/01/2017, 20:04 
... tutto il M.O. in mano russa ... [^]



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 Oggetto del messaggio: Re: Guerra in Libia
MessaggioInviato: 11/01/2017, 21:06 
il medioriente è troppo strategico e ricco di risorse per lasciarlo alla russia a cominciare dalla libia. il problema principale è come reagisce haftar alla presenza degli italiani perché se dovesse attaccarci (mi riferisco al territorio libico visto che non riuscirebbe a spingersi fino in italia), in nostro aiuto dovrebbero intervenire i nostri alleati ma haftar sarebbe certamente sostenuto da egitto e forse russia quindi il conflitto potrebbe degenerare e allungarsi.

a mio parere in libia l'unico che potrebbe riunire il paese senza usare troppo le armi è il figlio di gheddafi, quel tale saif al islam laureato in economia a londra, incarcerato a lungo a zintan ma poi a quanto dicono liberato, il quale da quanto ho letto rappresenterebbe un ritorno alla stabilità voluto da molti che non si sentono rappresentati da nessuno dei due governi attualmente presenti in libia e che allo stesso tempo fomentando l'unità libica aiuterebbe a scalzare l'isis.

mike



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