Lettera degli shministim che rifiutano l’occupazione13 ottobre 2009
http://www.peacelink.it/mosaico/a/30338.htmlNoi sottoscritti, giovani donne e uomini, ebrei e arabi da ogni parte del Paese, dichiariamo qui di volerci impegnare contro l’occupazione e le politiche oppressive del governo israeliano nei territori occupati e nell’interno di Israele e perciò rifiutiamo di partecipare ad azioni connesse con tali politiche, che vengono condotte a nome nostro dall’esercito israeliano.
Noi siamo tutti attivisti della comunità e contribuiamo in vari modi a una varietà di settori della società israeliana. Crediamo che il contributo, la cooperazione e il volontariato siano un modo di vita, che non dovrebbe essere limitato a due o tre anni. La nostra obiezione di coscienza nasce direttamente dall’esperienza volontaria, dai valori nei quali crediamo, dal nostro amore per la società della quale siamo parte e nella quale viviamo, dal nostro rispetto di ogni essere umano e dal nostro proposito di fare del nostro Paese un posto in cui tutti i suoi abitanti possano vivere meglio.
L’occupazione crea una condizione di vita insopportabile per i palestinesi nei territori occupati. La politica dei check-point, dell’annessione della terra, della costruzione del muro dell’apartheid, la pavimentazione delle strade solo per gli israeliani, i progetti delle colonie, gli assassinii, tutte queste cose hanno seminato distruzione nella West Bank per più di 40 anni. L’assedio di Gaza e la proibizione d’importare materiali, inclusi i prodotti alimentari di base e l’aiuto umanitario, mina alla base le condizioni minime di vita dei residenti di Gaza. Non possiamo tollerare tale realtà.
La pretesa avanzata dai portavoce del governo e dell’esercito, che il perdurare dell’occupazione nasce da ragioni di sicurezza, non ha consistenza. Nessun Paese che ha combattuto per la sua indipendenza è mai stato sconfitto da mezzi militari. La sofferenza del popolo palestinese e il suo esser soggiogato è la causa della violenta resistenza. La popolazione d’Israele non sarà mai al sicuro finché la nazione palestinese è sotto occupazione. Non c’è soluzione militare al conflitto israeliano-Palestinese: solo la pace assicurerà vita e sicurezza agli ebrei e agli arabi in questo Paese.
Il governo d’Israele spesso proclama con enfasi che Israele è la sola democrazia del Medio Oriente. L’occupazione è una completa contraddizione di tale pretesa. Può un governo che controlla la vita di milioni di persone che non hanno preso parte alle elezioni, essere chiamato “una democrazia”? Può il governare militarmente una popolazione civile esser considerato qualcosa di diverso da una dittatura?
L’esercito israeliano pretende di essere l’esercito “più etico del mondo”. Tuttavia ancora una volta la realtà prova che occupazione ed etica non possono stare insieme. Quando giovani armati vengono mandati in missioni di polizia in mezzo a persone sotto occupazione e prive di garanzia, quando il governo tenta di reprimere con la forza la lotta per l’indipendenza di un popolo assoggettato, tutto è pronto per l’oltraggio alla popolazione civile e per i crimini di guerra. Coloro che compiono tali azioni non sono l’eccezione delle “mele marce”. L’occupazione è la condizione generalizzata da cui nascono simili azioni. L’occupazione ha condotto l’esercito israeliano a violare continuamente trattati internazionali, decisioni dell’ONU e disposizioni della Corte internazionale e anche della legge israeliana.
La politica degli insediamenti è razzista per principio: in nome dell’ideologia messianica, ha creato una realtà di apartheid nella Cisgiordania. Palestinesi privi di diritti e coloni privilegiati vivono vite contrastanti gli uni accanto agli altri. I coloni partecipano all’elezione del governo che amministra i loro affari, mentre i palestinesi vivono sotto governo militare. I coloni godono dei benefici della sicurezza sociale e di benefici economici, mentre i palestinesi vivono una vita di povertà e schiavitù. I coloni sono processati da tribunali israeliani secondo la legge israeliana, mentre i palestinesi sono processati da tribunali militari senza il diritto elementare a un giusto procedimento. Qualsiasi essere umano contrario al razzismo trova questa realtà rivoltante e inaccettabile.
C’è chi sostiene che noi siamo obiettori, sebbene sia il governo di Israele il più consistente obiettore, perché obbietta alla pace. L’esercito israeliano non è “una forza di difesa”, ma una forza aggressiva di occupazione. Il governo israeliano non tende un ramo d’olivo, ma pratica bensì un violento nazionalismo.
L’occupazione è un delitto continuo contro la società israeliana. L’impiego dei palestinesi in condizioni da schiavi nel mercato del lavoro israeliano causa un deterioramento delle condizioni per tutti i lavoratori e produce la violazione dei loro diritti. Invece di investire per spese sociali, il governo israeliano ha investito per più di 40 anni nella costruzioni di ville e strade riservate per le colonie, al fine di alterare la realtà sul terreno. Le norme perverse e la violenza che i giovani soldati confessano di praticare nei territori, hanno valicato la linea verde e hanno provocato un aumento della violenza e del razzismo in tutta la società israeliana.
Per il senso di responsabilità e la preoccupazione per le due nazioni che vivono in questo Paese , non possiamo rimanere inerti. Siamo nati in una realtà di occupazione e molti della nostra generazione vedono questo come una “condizione naturale”. Nella società israeliana è un dato di fatto che a 18 anni, ogni giovane uomo o donna partecipa al servizio militare. Tuttavia non possiamo ignorare la verità: l’occupazione è una situazione estrema, violenta, razzista, inumana, illegale, non democratica e immorale, che minaccia la vita di entrambe le nazioni. Noi, che siamo stati allevati con i valori di libertà, giustizia, rettitudine e pace non possiamo accettarlo.
La nostra obbiezione a diventare soldati dell’occupazione, nasce dalla nostra lealtà ai nostri valori e alla società che ci circonda, ed è parte della nostra continua lotta per la pace e l’uguaglianza, una lotta la cui natura ebreo-araba prova che la pace e la coesistenza sono possibili.
Questo è il nostro pensiero, e noi siamo disposti a pagarne il prezzo.
http://www.peacelink.it/mosaico/a/30338.htmlLei si chiama Omer Goldman
Lei si chiama Omer Goldman, ha 19 anni, il suo numero di matricola è il 5398532. È una Shministim, o refusnik. Ha rifiutato di arruolarsi nell’esercito israeliano, e per questo è stata più volte rinchiusa in un carcere militare.
Di suo padre dice: «in fondo abbiamo un carattere simile, entrambi combattiamo per quello in cui crediamo: soltanto che abbiamo visioni diametralmente opposte».
La cosa – neanche troppo originale – che molti diciannovenni direbbero del proprio padre.
Il padre, però, non è un genitore qualsiasi. È stato vicecapo del Mossad fino all’anno scorso, ed è considerato tutt’ora una delle persone più influenti nel campo della security in Israele.
Ma lei, Omer, la pensa in un altro modo: dice che “proprio perché crede nel servizio alla società di cui fa parte” non può arruolarsi nell’esercito. E che “La violenza non porterà da nessuna parte, e io non commetterò violenze, a qualunque cosa io vada incontro…”
A cosa va incontro lo sa bene, significa essere richiamata più volte sotto le armi, e fare un periodo in prigione a ogni rifiuto. Per poi essere rilasciata, e essere richiamata, magari pochi giorni dopo.
Eppure le possibilità di scamparla, con un sotterfugio, non dovrebbero mancarle: non si può dire che non abbia conoscenze. E, in ogni caso, con le donne che proprio non vogliono fare il servizio militare è più facile che si chiuda un occhio per fittizî “motivi religiosi” o “di salute”, per i maschi è ben più difficile. Chissà se c’ha mai pensato o ha tirato dritto per la sua strada, lastricata di quell’idealismo testardo che – dagli anni ‘70 – ha convinto vari ragazzi israeliani a fare la stessa scelta.
Non so se sarei del tutto d’accordo con lei e i suoi amici, perché qualunque posizione è infinitamente complessa e difficile da comprendere e conciliare, in quella zona di mondo; ma sono i personaggi come lei ad affascinarmi, a dare una radice di speranza. A far saltare gli schemi e i pregiudizî, che sono sinonimi quando si parla di Israele e Palestina.
Degli ebrei che si battono contro l’islamofobia, valgono molto di più: perché qui ogni cosa è schieramento, l’identità connota e esige lealtà cameratesca: chi ne sfugge è aria fresca.
Così come per le ideologie: il sionismo è considerato ragione dell’occupazione da una parte, e alla stregua del nazismo dall’altra? Ci sono questi, che sparigliano le carte, e proclamano – con argomenti anche convincenti – che i veri sionisti sono coloro che vogliono la fine dell’occupazione.
Del resto è forse soltanto in Israele che possono accadere queste cose. Sarebbe sicuramente difficile immaginare la figlia (omosessuale, per di più) di un primo ministro impegnata nel combattere le ingiustizie foraggiate dal governo del padre, e senza che questo crei troppo scandalo. Non lo immaginerei in Italia, vorrei farlo in Palestina, ma è meglio non farlo.
Qualcuno dice che sono proprio queste le contraddizioni di Israele, se è così, beate contraddizioni.
Il 18 dicembre c’è l’iniziativa dell’organizzazione Free the Shministim per richiedere la liberazione, e il congedo, di Omer e i suoi compagni di disavventura, quel giorno sarò nuovamente in Palestina, magari faccio un salto al di là del muro e vi racconto.
http://www.distantisaluti.com/lei-si-ch ... r-goldman/