LEGGERE CON LA MASSIMA ATTENZIONE !!!http://www.stragi80.it/rassegna/dossier/ufo.pdf25) UN ELICOTTERO MILITARE RAGGIUNGE, PER PRIMO, IL LUOGO DEL DISATRO,DOVE – CIOÈ – È AMMARATO (non quindi “inabissato”) IL DC-9 ITAVIA.
Ritornando allo scenario di Ustica, sempre attraverso l’analisi dei tracciati radar, i periti
hanno rilevato la presenza di almeno un elicottero che, decollato dalla portaerei (inglese?)
che incrocia nel Mediterraneo occidentale, raggiunge l’area del disastro, dove si sarebbe
“inabissato” il DC-9 Itavia, molto prima che questo venga raggiunto dalle unità della
spedizione di soccorso ufficiale e, cosa inspiegabile se fosse stata vera la versione
ufficiale circa l’inabissamento dei resti del cargo civile e conseguente assenza di
sopravvissuti, lancia diversi canotti di salvataggio (vedi “Corriere della Sera” del 1°
settembre 1999, pag. 9).
26) L’AMMARAGGIO DEL DC-9 ITAVIA ED IL SUO SUCCESSIVO AFFONDAMENTO
INTENZIONALE DA PARTE DI UN COMMANDO DI SUB GIUNTI A BORDO DI UN
SOTTOMARINO.Un primo sostanziale indizio del fatto che il DC-9 Itavia non sia esploso in volo, ma abbia
picchiato verso il mare dove, poi, ha effettuato un ammaraggio alquanto “rude”, ci viene
dato dall’apparente immobilità della relativa traccia sullo schermo del plotter primario di
Roma Controllo, durante le ultime “marcature” (ossia rilevamento strumentale) del jet civile
da parte del segnale radar, anche se il “plot” appariva di qualità sempre più scadente. Di
norma, infatti, la traccia di un aereo permane sullo schermo del plotter per 3 – 4 secondi
prima di scomparire e poi riapparire, in una posizione diversa ad ogni nuova “battuta” del
raggio esploratore e proporzionale alla distanza percorsa nello spazio di tempo impiegato
dal “raggio” del plotter a compiere una rotazione completa dello schermo; se poi, il velivolo
in questione ha il Transponder inserito, l’indicazione del livello di volo e quella relativa al
codice d’identificazione dello stesso permangono sullo schermo del radar, per poi variare
di posizione insieme al plot.
Se l’aereo fosse esploso in volo, difatti, il segnale radar (plot) corrispondente sarebbe
scomparso di colpo dallo schermo dello strumento, insieme all’indicazione della quota e
del codice d’identificazione del volo; nel nostro caso invece, prima che ciò avvenisse
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(come poi è stato alle ore 20:59:45), il “cursore” (ossia il raggio che ogni 6 secondi compie
un giro completo dello schermo), per ben tre battute – cioè per 18 secondi – ne ha rilevato
la posizione sempre nello stesso punto. Dopo di che lo ha perso. Ora, dal momento che il
radar in questione non rileva la quota degli aerei, ciò può significare una sola cosa:
durante quei 18 secondi di apparente immobilità nello stesso punto dello schermo, il DC-9
stava – in effetti – precipitando verso il mare con ancora alcuni strumenti attivi come l’IFF
ed il Transponder. Sono proprio questi ultimi, difatti, ad indicare alcuni parametri di volo
accanto alla traccia (plot) di ogni singolo aereo, presente sullo schermo del radar (vedi
“l’Occhio” del 3 luglio 1980, pag. 6, Cronista Mario Pandolfo).
26/a) LA DRAMMATICA TESTIMONIANZA DEL CAPITANO SERGIO BONIFACIO.Una seconda e questa volta determinante prova del fatto che il DC-9 Itavia non si sia
distrutto in aria ma sia riuscito ad ammarare, con la carlinga sostanzialmente integra e,
cosa ancora più sconvolgente, che resta a galla per ben 11 ore prima di affondare (o
meglio, di essere intenzionalmente e proditoriamente affondato) è data dalla testimonianza
del capitano di corvetta Sergio Bonifacio.
Quest’ultimo ha raccontato ai giudici che, partito
con il suo aereo Atlantic Breguet (un velivolo dotato di sofisticate apparecchiature per
individuare i sommergibili, in grado di scrutare sott’acqua, abbassarsi quasi a pelo d’acqua
e con un’autonomia di volo di ben 7000 miglia) alle ore 03:10
(ben 5 ore e 10 minuti dopo
che il jet Itavia era stato dato per disperso) del 28 giugno 1980 dalla base di Cagliari,
scorge alle ore 07:00 circa di quella stessa mattina (subito dopo che un elicottero del
soccorso aereo aveva segnalato al centro di Martina Franca l’avvistamento di una vasta
macchia d’olio) la sagoma del DC-9 che ancora galleggiava a pelo d’acqua. Dopo aver
segnalato la macchia oleosa, l’elicottero si allontana per rifornirsi di carburante e, per oltre
un’ora, il Breguet resta solo a perlustrare la zona. Ed è proprio alcuni minuti dopo l’inizio di
tale operazione che il capitano Bonifacio scorge il DC-9 galleggiare a pelo d’acqua. Per
circa un’ora il Breguet tiene sotto osservazione l’aereo in questione. Secondo Bonifacio,
che non conferma ma neppure smentisce la cosa, le uniche aperture visibili sulla fusoliera
dell’aereo oltre agli oblò ed ai finestrini della cabina di pilotaggio erano due fori del
diametro di circa 20 centimetri localizzati all’altezza del posto dei piloti.
26/b) UNA VALUTAZIONE SUL PIANO TECNICO ATTA A SPIEGARE COME SIA
STATO POSSIBILE, PER IL DC-9, RIMANERE A GALLA PER UN COSÌ LUNGO
TEMPO.46
In base alle nostre conoscenze di fisica, è certo che, per rimanere a galla tanto a lungo, la
fusoliera dell’aereo non poteva presentare che danni e/o uno squarcio di modeste
dimensioni (illustrazione n° 32). Solo il verificarsi di una circostanza del genere (e cioè
quella che, sul piano verticale l’aereo avesse ancora una “tenuta stagna” anche se non
perfetta), difatti, avrebbe consentito il formarsi di un’ampia camera d’aria la quale avrebbe
sia arrestato (per compensazione della pressione interna) l’allagamento completo della
fusoliera ed il conseguente affondamento dell’aereo, sia garantito la respirazione ai
passeggeri superstiti per molte ore. A quest’ultimo proposito, non bisogna dimenticare
che, nella normale dotazione di un aereo civile, è compreso un certo numero di bombole di
ossigeno che, oltre a consentire di pressurizzare l’interno del velivolo, alimentano in caso
di emergenza anche i respiratori individuali disponibili per ciascun passeggero e membro
dell’equipaggio.
Il fatto, poi, che nella testimonianza rilasciata da Sergio Bonifacio si affermi che il DC-9
fosse “appena sotto il pelo dell’acqua”, non significa affatto che l’aereo in questione lo
fosse sin dal momento dell’ammaraggio. È quasi certo difatti che, inizialmente, il jet Itavia
galleggiasse sul mare o fosse solo parzialmente affondato, in seguito al riversarsi di una
certa quantità di acqua all’interno della fusoliera. Con il passare delle ore, la lenta ma
costante perdita di aria interna, a cui corrispondeva un altrettanto lento ma progressivo
allagamento dell’aereo, faceva sì che quest’ultimo affondasse sempre più nel mare.
Finché, dopo circa dieci ore dal momento della sciagura, e cioè quando viene scorto per
caso dal capitano Bonifacio, il volume d’acqua imbarcato è tale che oramai l’aereo si trova
“appena sotto il pelo dell’acqua”. Ciò vuole dire quindi che, nella fusoliera, c’è ancora una
bolla d’aria residua e che una parte dei superstiti (quelli cioè feriti meno gravemente), può
ancora respirare. Dunque, ci sono persone ancora vive nell’aereo; almeno una di queste
viene vista nuotare vicino al DC-9. Ma, poi, giungono i “soccorsi” e questa volta, come
sappiamo, è la morte anche per gli ultimi superstiti.
26/c) IL RACCAPRICCIANTE EPILOGO DELL’AMMARAGGIO DEL DC-9 ITAVIA, NELLA
TESTIMONIANZA DEL CAPITANO SERGIO BONIFACIO.Ritornando allo svolgimento degli eventi, sono circa le ore 08:00 quando Sergio Bonifacio
individua, a poca distanza dal relitto, una minacciosa “massa nera ed oblunga”, con una
striscia nera sul dorso. A quest’ultimo proposito, il capitano Bonifacio ha precisato ai
giudici che, secondo la sua esperienza (oltre 6000 ore di volo in gran parte accumulate a
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bordo dei Breguet) non poteva trattarsi che di un sottomarino. Ed è a questo punto che il
pilota in questione assiste ad uno spettacolo raccapricciante e sconvolgente. Dopo alcuni
minuti, vede un improvviso sollevamento dell’acqua (probabilmente, prodottosi in seguito
all’esplosione di una o più cariche detonanti applicate sulla fusoliera dell’aereo da alcuni
uomini rana, provenienti dal vicino sottomarino) e, mentre l’aereo si inabissa rapidamente,
fuoriescono corpi e cuscini.
Appena atterrato, Bonifacio stila il consueto rapporto, ma prende anche una decisione
insolita. Aggirando le procedure gerarchiche, si presenta al Procuratore Generale di
Cagliari e rilascia una deposizione su quello che ha visto. Su tale rapporto è stato
successivamente imposto il “segreto militare” (da chi e perché non è dato ancora di
sapere), e per nove anni non si sa assolutamente nulla di questa deposizione. È solo nel
settembre del 1989 che il capitano Bonifacio viene nuovamente ascoltato dal Procuratore
Militare di Cagliari Bruno Maggi e poi, agli inizi del 1990, viene ascoltato anche dal
magistrato Bucarelli, il quale si reca in Sardegna dove raccoglie la testimonianza in
oggetto. Di questa deposizione, con tanto di verbale, non si è mai saputo nulla (vedi
“l’Europeo” n° 27 del 7 luglio 1990, pagg. 8-13, Cronisti Daniele Protti, Sandro
Provvisionato, Vittorio Scutti e “l’Espresso” n° 36 del 9 settembre 1990, pag. 31, Cronista
Pierluigi Ficoneri).
(Allegato n° 11)
26/d) LA PRESENZA DI SOMMERGIBILI NELL’AREA DOVE È APPENA “PRECIPITATO”
IL DC-9 ITAVIA.Per quanto riguarda la presenza di sommergibili – uno almeno – nell’area del basso mar
Tirreno, alla stessa ora in cui veniva abbattuto il DC-9 Itavia, la circostanza trova conferma
in un articolo pubblicato circa una settimana dopo il disastro aereo:
“… Sono appena trascorse le ore 20:59 del 27 giugno 1980, cioè l’ora in cui il segnale del
DC-9 scompare dallo schermo del radar di Roma Ciampino, quando - nel braccio di mare
tra Ponza ed Ustica - sopraggiunge - si dice - un sommergibile. Per questo, a Punta Raisi,
circola subito in proposito la voce di manovre militari in corso nella zona…” (vedi “l’Unità”
del 5 luglio 1980, pag. 2, Cronista Vincenzo Vasile).
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26/e) LE FOTO E LA TESTIMONIANZA DI ALCUNI MARINAI DELL’INCROCIATORE
ANDREA DORIA SUFFRAGANO LA TESI DELL’AMMARAGGIO DEL DC-9 E LA
PRESENZA DI SOPRAVVISSUTI ALLA SCIAGURA AEREA.E ancora, a ulteriore conferma della veridicità dei fatti riportati nella testimonianza di cui
sopra, ci sono 32 foto inedite, scattate al largo di Ustica da un marinaio dell’incrociatore
lanciamissili Andrea Doria il 28 giugno 1980, cioè il giorno successivo alla tragedia del DC-
9 dell’Itavia e consegnate verso la fine del giugno 1997 al giudice Rosario Priore dalla
redazione del settimanale Panorama che ne era venuta in possesso. Tale serie di
immagini illustra cosa accadde, in quella mattina di 19 anni fa, in relazione al recupero dei
corpi di 39 passeggeri rinvenuti accanto ai resti del DC-9, da parte dell’equipaggio
dell’incrociatore Andrea Doria, che per primo giunse sul posto. Difatti, secondo il racconto
di Sergio Bonifacio, intorno alle 07:15 di quel mattino egli ebbe l’impressione di notare
qualcuno che nuotava. Successivamente, secondo i racconti di alcuni componenti
dell’equipaggio dell’Andrea Doria, venne recuperato il corpo di uno dei due carabinieri
(come rivelò, poi, l’esame del suo documento d’identità) che sembrava morto da poco. A
questo proposito, due sottufficiali di marina, Gildo Cosmai e Gianpaolo Roccasalda, si
presentarono nel luglio del 1991 alla redazione del “Gazzettino di Venezia” per raccontare
come si svolsero le operazioni di recupero delle salme. “Abbiamo tirato a bordo un
ragazzo alto di statura. Sembrava morto da poco. Non era gonfio d’acqua. Aveva i jeans e
una camicia dalle maniche lunghe. Quella sinistra era strappata e legata sopra il ginocchio
destro, quasi come un laccio emostatico. Il ragazzo, poi si disse che si trattava di un
carabiniere in borghese, era senza il piede destro.” E ancora: “Raccogliemmo una donna
giovane che teneva stretto al petto un bambino”.
(Fonti: “Europeo” n° 27 del 7 luglio 1990, pagg. 8-13, Cronisti Daniele Protti, Sandro
Provvisionato, Vittorio Scutti;
“la Repubblica” del 6 novembre 1990, pag. 21, Cronista Daniele Mastrogiacomo;
“il Giornale d’Italia” del 27 giugno 1997, pag. 7).
26/f) UNA SISTEMATICA QUANTO EVIDENTE AZIONE D’INQUINAMENTO ED
ELIMINAZIONE DELLE PROVE CARATTERIZZA, SIN DAL PRINCIPIO, LE INDAGINI
SULLA STRAGE DI USTICA.
49Inoltre, quasi certamente, è proprio per impedire che un approfondito esame autoptico
(cioè l’autopsia) effettuato sui corpi delle vittime recuperate mettesse in evidenza il fatto
che numerosi passeggeri non erano morti in seguito all’esplosione in volo dell’aereo, ma
solo molte ore dopo il suo ammaraggio di fortuna[25], che avvengono i seguenti
inspiegabili fatti.
26/f-1) IL NUMERO DEI CORPI DELLE VITTIME RECUPERATE: UN CONTO CHE NON
TORNA.Vengono “fatti sparire” i corpi di almeno due o tre delle vittime, tra cui quello che
presentava un improvvisato laccio emostatico al di sopra del ginocchio destro. Difatti, fino
ad una settimana dopo la tragedia, dalle notizie date attraverso le reti della Rai e i
quotidiani nazionali, risultano recuperati almeno 42 corpi. Poi, all’improvviso, il loro numero
scende a 39 (vedi “Europeo” n° 33 del 18 agosto 1990, pagg. 28-30, Cronista Sandro
Provvisionato).
26/f-2) QUALCUNO “DIMENTICÒ DI ORDINARE” LE AUTOPSIE SUI CORPI DELLE
VITTIME RECUPERATE O, ALMENO, COSÌ PARE. IN REALTÀ, TALI AUTOPSIE NON
VENNERO MAI EFFETTUATE OPPURE FURONO SOLO FATTI SPARIRE I RELATIVI
REFERTI AUTOPTICI?All’epoca dei fatti, nessuno si preoccupò di accertare, vittima per vittima, l’ora e le reali
cause del decesso. E ciò proprio per le ragioni esposte in apertura del presente paragrafo
(punto 26/f). Ecco, al riguardo, una conferma professionale ed autorevole.
Il prof. Giovanni Arcudi, dell’istituto di Medicina Legale di Roma, affermò a suo tempo che
era possibile risalire alla dinamica della sciagura proprio attraverso le autopsie sui
cadaveri. In questo caso, erano quattro le possibili cause di decesso: asfissia, ustioni
mortali, disintegrazione degli organi interni o annegamento. Se tali autopsie sono state
effettuate, quindi, è ovvio il perché siano rimaste top – secret (vedi “Europeo” n° 33 del 18
agosto 1990, pag. 30).
Non vengono eseguite le autopsie sui corpi dei cadaveri recuperati o, quanto meno,
vengono fatti sparire i relativi referti autoptici. Agli atti della Commissione Parlamentare
d’Inchiesta, difatti, esisterebbero soltanto i referti relativi all’esame esterno dei corpi.
Mentre due vere e proprie autopsie (sul totale di 39 corpi recuperati) sono state eseguite –
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ma solo cinque anni dopo il disastro – sui corpi di una bambina e di un’anziana signora
che, probabilmente, erano sedute una accanto all’altra nell’ultima fila di destra dell’aereo
(vedi “Europeo” n° 33 del 18 agosto 1990, pag. 30, Cronista Sandro Provvisionato).
Tutto ciò, con il risultato di rendere quasi impossibile, o comunque molto approssimativo,
l’accertamento delle vere cause dei decessi.