Missile in California: errore USA o cyberattacco… cinese?
Malgrado le assicurazioni del Pentagono, sono molti a non credere che la scia avvistata lunedì scorso al largo della California meridionale fosse quella di un aereo. Lo negano anzi con sicurezza voci autorevoli come l’ex vice-segretario della Difesa Robert Ellsworth, o il generale in pensione Tom McInereney che a Fox News ha dichiarato:
Guardate, questo non è un aereo a causa del pennacchio e il modo in cui vedete il pennacchio, gli aerei non lasciano scie a livello del mare a 5000 o simile. Ho trascorso 35 anni di volo combattenti e non ho mai visto un aereo lasciare una scia a quel modo. Questo è un missile, è stato lanciato da un sottomarino e si può vedere che passa attraverso una traiettoria di correzione e quindi prende una traiettoria molto regolare, nel senso che il sistema di guida è ora disattivato, sta andando a circa 45 gradi di distanza da voi ed è per questo che non riesci a percepire gran parte della velocità ‘verticale’.
Non è convinto delle spiegazioni del Pentagono nemmeno Theodore Postel, professore di scienze, tecnologie e sicurezza internazionale del MIT. Postel ha inviato una email alla stampa dichiarando che il Dipartimento di Difesa non ha fornito una ‘spiegazione plausibile’ né una ‘analisi convincente’ dell’evento osservato. Postol ha inoltre messo a confronto fotografie della scia misteriosa con immagini molto simili di lanci di missili a propellente solido.
Se però è stato un missile e il suo lancio non era intenzionale, rimangono due alternative: un errore dell’esercito USA, oppure un cyberattacco. In entrambi i casi, il fatto è avvenuto a breve distanza da un altro evento inquietante: tre settimane fa, infatti, l’areonatutica statunitense aveva perso la comunicazione per 45 minuti con 50 missili nucleari. Quindi, o l’esercito statunitense sta perdendo pericolosamente il controllo sul suo arsenale, o qualcun altro lo sta prendendo per lui.
Se dobbiamo credere all’ipotesi di cyberattacco, l’impresa non può certo essere opera di hacker dilettanti, ma anzi di cybersoldati al servizio di uno Stato come l’Iran o la Cina, la quale peraltro non è nuova a tentativi di penetrazione nei sistemi del Pentagono. Bastino alcuni articoli: nel 2005 un report di NPR riferiva di 80.000 tentativi degli hacker cinesi di pentrare nei 5 milioni di computer del Pentagono. Nel 2007 il Times Online titolava “Il cyberesercito cinese pronto a marciare sull’America, secondo il Pentagono”. Nel marzo 2008, il Los Angeles Times riferiva di nuovi cyberattacchi dalla Cina. Nell’aprile 2009, infine, il Wall Street Journal annunciava che degli hacker avevano ‘sifonato’ diversi terabyte del progetto da 300 miliardi di dollari del Joint Fighter-Jet, oltre a importanti informazioni sul controllo del traffico aereo dell’areonautica. Secondo le dichiarazioni degli ufficiali l’attacco arrivava, anche in questo caso, dalla Cina.
Certo, la perdita di controllo di testate nucleari e il lancio di un missile vanno ben oltre lo spionaggio militare e aprono la prospettiva di una guerra cibernetica che non è confinata al cyberspazio. Ma come il caso Stuxnet ha dimostrato con gli impianti nucleari iraniani, il passo dai byte alle infrastrutture si è fatto molto breve.
Fonte
http://www.fabioghioni.net/blog/2010/11 ... co-cinese/